This is a reproduction of a library hook that was digitized by Google as part of an ongoing effort to preserve thè Information in books and make it universally accessible. Google' books https://books.google.com Google Informazioni su questo libro Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni è stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Google nell’ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo. Ha sopravvissuto abbastanza per non essere più protetto dai diritti di copyright e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio è un libro che non è mai stato protetto dal copyright o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblico dominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l’anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico, culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire. 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Digitized by LjOOqIc ALLA SOCIETÀ GEOGRAFICA ITALIANA -->- Ai coraggiosi e benemeriti, che pei primi si uni¬ rono in dotto Consorzio collo scopo di promovere l’in- cremento della più universale fra le scienze, di quella scienza, che tanto si accrebbe un giorno per l’attività, de’nostri avi, ed all’illustre presidente, comm. Cristoforo Negri, che fu già il padre, ed è tuttavia l’anima della Società Glegrafica Italiana, sia per l’operosità meravi¬ gliosa nel procurarne ogni vantaggio ed ogni lustro, sia pel sapere e per l’eloquenza, che tanto vivamente risplendono nei suoi scritti, sia infine per l’instancabile alacrità con cui alimenta una sterminata corrispon¬ denza con persone d’ogni paese per aiutare tra noi il progresso degli studi geografici, ed attirare sul nomo italiano le simpatie e la stima degli stranieri, a questi benemeriti, io dico, mi è dolce onore il potere offrire in omaggio il presente lavoro, ove mi sono studiato di esporre con succosa brevità i meriti e le gesta degli esploratori italiani, antichi e moderni, fidando che un soggetto sì caro al loro amore verso la scienza e verso la patria supplirà presso di loro alla debo¬ lezza delle mie forze nel trattarlo. Digitized by LjOOqIc Raccomandandolo pertanto alla loro indulgenza, con¬ viene che io qui premetta alcune poclie parole intonio agl' intenti del libro, ed alle vie da me tenute per conseguirli. Fino dal 1863, pubblicando un Sunto storico delle scopeiie geografiche, nel quale assai aridamente enu¬ merava i viaggi e le scoperte avvenute ne’varii se¬ coli e ne’ varii continenti, dagli antichi fino a noi, io concepiva il disegno di trattare lo stesso argomento su scala più ampia, dando una Storia generale del successivo incremento della scienza geografica nel senso dello spazio e fors’anco nel campo delle teorie. Malgrado gli eccitamenti di alcuni amici che in quel breve sunto avevano scorto un’utile orditura per lavoro di più ampio tessuto, io desistetti dal pro¬ posito per parecchie e sode ragioni. Anzitutto io non poteva sperare di raggiungere, nonché superare, i buoni libri che circa la storia della Geografia e delle scoperte geografiche pubblicarono i tedeschi Peschel, Loewenberg e Ritter, il francese Vivien de Saint- Martin, ringlese Desborough Cooley, e parecchi altri in tempi meno recenti. In secondo luogo io doveva rifiettere che una di codeste opere (quella del Cooley), sebbene un po’ antiquata, giacché si chiude col 1840, venne tradotta nella nostra lingua dal signor Gae¬ tano Demarchi, e risponde assai bene al bisogno di un’opera generale e sintetica sull’argomento in di¬ scorso. Continuarla fino ai giorni nostri, arricchirla in qualche sua parte,. sarebbe stato còmpito assai più facile, che non il rifarsi da capo con manifesto pericolo di fare men bene. In terzo luogo mi atter¬ riva la vastitù del campo, la scarsezza do’mezzi scien- Digitized by LjOOqIc Vlf tifici, la difficoltà, di procacciare un gran numero di opere straniere indispensabili a consultarsi quando si voglia coscienziosamente riassumere il molto che si fece, massime nel nostro secolo, in fatto di navi¬ gazioni, di esplorazioni, di lavori idrografici e carto¬ grafici, e scoperte d’ogni fatta utili alla cartografia. Queste considerazioni m’indussero, come già dissi, a rinunciare al suddetto divisamento, ma non tolsero che il ripigliassi con maggior amore dopo averlo es¬ senzialmente modificato. Pensai di restringere il campo agl’ Italiani ; col che, oltre far cosa decorosa al nostro, nome, io accresceva l’interesse del lavoro, mi trovava facilmente sotto mano le opere a consultarsi, e riem¬ piendo nna lacnna, soddisfaceva ad- un bisogno sentito. Tre scopi doveva e volli prefiggermi, cioè: Riassumere in brevi pagine i viaggi e le gesta di molti viaggiatori itàliani del medio evo, troppo ed a torto dimenticati dietro la gigantesca flgnra di Marco Polo. Esporre concisamente i risultati dei recenti stndj di autori stranieri e nostrali intorno ai nostri sommi, specialmente Cabotto, Colombo, e Vespucci. Narrare succintamente, ma pur sempre con suffi¬ ciente ampiezza e colle debite proporzioni, le troppo generali peregrinazioni degl’italiani ne’secoli del¬ l’età moderna, massimamente nel nostro, giovandomi all’nopo sia delle opere originali, or concise, or volu¬ minose, scritte dagli stessi viaggiatori, sia degli arti¬ coli 0 lavori minori pubblicati in proposito nei pe¬ riodici stranieri, bene spesso, pur troppo, unica fonte ove attingere notizie sui nostri compaesani. Dovendo più volto ridurre in breve spazio la ma- Digitized by Google Vili tcria di scritti voluiuinosi, io mi attenni strettamente ad un solo criterio, il geografico. Non mi occupo delle avventure, degli episodj, delle descrizioni di costumi, e di quelle notizie che tornano utili a questa o quel- r altra scienza, bensì Uìnerario, acciu’atamente tracciato, perchè da questo anzitutto risulta il van¬ taggio che per un dato viaggio venne alla Geografia. E mio precipuo scopo si è appunto quello di mostrare ciò che operossi dagli Italiani per il progresso di questa heneflca scienza. Soltanto circa alcuni viaggi assai recenti ed importanti, cui gli stessi stranieri de¬ dicarono costose pubblicazioni, corredate di apposite carte, mi trattenni con maggior diffusione. Per essi mi appariva opportuna una relazione abbastanza mi¬ nuta delle circostanze che determinarono ed accom¬ pagnarono il viaggio. Tenendomi lontano dalle questioni, che per essere troppo speciali e puramente scientifiche non riescono utili alla pluralità dei lettori, io miro ai risultati più accertati, curandomi più che d’altro della brevità e della chiarezza del dire, ed escludo rigorosamente tutto quanto non ha stretta attinenza col mio tema. Lessi e consultai in gran parte le opere che con¬ cernono gli esploratori italiani, e che accenno in apposita Bibliografia, nulla trascurai perchè meglio riuscisse quest’opera che mi pareva dovesse tornare amena, istruttiva e patriottica ad un tempo; edera mi affido aH’indulgenza di chi legge. i" (iennaio 1871. <>ÀETAX0 Branca Segretario della Società, Digitized by LjOOQle I. BIBLIOGRAFIA DEI VIAGGIATORI ITALIANI Populus late rex. Opere i^enerali. Ramusio G. B. Delle navigazioni e viaggi, Venezia, Eredi di Luca Antonio Giunti, voi. 3 in-folio. R 1° voi. di questa prima grande raccolta di viaggi, esempio c mo¬ dello a tutte le straniere, fu stampato nel 1530 e ristampato nel 1554, 1563, 1606 e 1613; ma l’edizione completa porta una delle ultime tre date. — Il 2® voi., stampato la prima volta nel 1539 (dopo la pubbli¬ cazione del 3® voi., che ha la data 1556), fu ristampato nel 1574,1583 é 1606. L’edizione completa porta una delle ultime due date. — 11 3® voi., stampato la prima volta nel 1556, fu ristampato nel 1565 e 1606. L’unica edizione completa è quella coll’ultima data. La raccolta del Ramusio comprende viaggi antichi e paoderni fatti da Raliani e da stranieri. Il 1® voi. (ediz. compì.) comprende i viaggi dei seguenti Italiani: Luigi da Cadamosto, Vespucci, Giovanni da Empoli, Lodovico Bartema, Andrea Corsali (comite veneziano), Nicolò Conti, Gerolamo da Santo Stefano e Pigafetta. — Il 2® voi. comprende i viaggi dì'Marco Polo, Giosafatte Barbaro, Ambrogio Contenni, Giorgio Inte- riauo, Piero Quirino, Sebastiano Cabotto, Caterino, Nicolò ed Antonio Zeno, Oderico da Pordenone, oltre la vita di Ussun Cassan (sciah di Persia), scritta da G. M. Angiolello, le relazioni sulla Moscovia di Paolo Giovio, e la descrizione della Sarmazia del Guagnini. — Il 3® voi. contiene la relazione del viaggio di Fra Marco da Nizza *a Ce¬ rala nel regno delle sette città, le lettere di Giovanni da Varezzano a Francesco I re di Francia, il viaggio di Cesare dei Federici nelle Indie, ed un sommario della storia del Nuovo Mondo scritto da Pietro Martire d'Angera. i Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani. Digitized by Google 2 Ramusio aveva preparato i materiali per un 4" voi., ma perirono in un incendio della stamperia del Giunti nel novembre 4557. Ecco alcune altre collezioni di viaggi stampate in Italia : Raccolta di viaggi dalla scoperta del Nuovo Continente fino ai dì nostriy compilala da F. G. Marmocchi — Prato, Giacchetti, 4 840-45, 48 voi. con rami. Elegantissime le apparenze tipografiche, di niun valore e guidata da pessimo criterio la scelta de' viaggi. Si espongono quelli di Colombo, di Marcellus nell’Oriente, la relazione della conquista del Perù fatta da Pizarro, scritta da Xeres, il viaggio in Cina di Lafond, i viaggi di Burnes in Asia, gli scritti di Tezozomog, Velasco e Montesinos sulle antichità del Perù e del Messico, di Lafond neH’America spagnuola e nella Polinesia, di Robinson in Siria e Palestina, di Bufkardt nell'A¬ rabia, di Mitchell nell’Australia centrale, di Leguevel nei Madagascar, di Volney negli Stati Uniti, la storia della conquista del Messico per opera di Cortez, ecc. Come ognuno vede, anziché una buona scelta dei principali viaggi fra i moltissimi eseguiti dopo Colombo ne’secoli dell’evo moderno (e tali sarebbero qui soltanto quelli di Burkardt, Mitchell e Burnes), è questo un autore che mescola i viaggi più insi¬ gnificanti con quelli di insigni esploratori, e con scritti d’indole affatto storica. E si noti che in diciotto volumi, quando io spazio si fosse meglio adoperato, era possibile dare estratti discretamente precisi d’ogni viaggio più importante avvenuto dal 4500 a noi, come sembra promettere il frontispizio. 11 viaggio di Marcellus nell’Oriente, di pochissima im¬ portanza perchè in paesi già noti, segue immediatamente quelli di Co¬ lombo ed occupa due volumi. Quanta perspicacia nella scelta ! Preferiamo di molto, malgrado i grandi suoi difetti, la Raccolta di viaggi woderm. — Venezia, Antonelli, 43 voi., 4830-34, È poco più che la versione della raccolta fatta in Francia da G.B. Eyries. Anche qui si affastellano viaggi d'importanza assai diversa, la stampa è scorretta, pessimo lo stile. Non si indica nè il nome del traduttore nè la lingua d’onde si traduce. Insomma è una fra le colossali, ma indigeribili compagini uscite dallo stabilimento Antonelli. Vi si leg¬ gono per estratti i viaggi di Lewis e Clarke nel bacino dei Missouri (4805), di WilSon alle isole Pelew (4783), di Mariner alle isole Tonga 0844), di Ross, Parry e Franklin nell’Oceano artico (4848-29), di Robinson lungo l’Orenoco, di Tuckey al fiume Congo (4846), di Bur- cheil nell’Africa meridionale (4820), di Moilien lungo il Senegai (4847), di Mersden a Sumatra (4780), di Raffle a Giava (4845), diPercivala Ceylan, di Cailliaud nell’Egitto (4849-22), di Denham e Clapperton nel cuore dell’Africa, ecc.; tutti viaggi fatti da stranieri. Digitized by LjOOqIc 3 Raccolta dì viaggi. — Milano, Sonzogno, 18^9 e seg., 450 volumi. Anche questa raccolta non si informa ad un ben determinato cri¬ terio. Coi grandi e difficili viaggi di Azara, Billings, Cook, Franklin, Parry, Humboldt, Mawe, Mungo^Park, Mollien, Pallas si mescolano viaggetti di nessuna importanza scientifica eseguiti in diverse parti d’Europa, siccome sono quelli di Baretti, Bertolotti, Crassei, Roma¬ nelli, Scrinton e Tenore. 1 viaggi d’italiani compresi nella raccolta sono quelli di Acerbi, Bolzoni, Della Cella e Pananti. Ai futuri rac¬ coglitori raccomandiamo di porre per base alle loro imprese un prin¬ cipio ben determinato: — gli antichi o i moderni, gli Italiani o gli stranieri, i viaggi di primo ordine e di scientifica importanza nelle regioni malnote o ignote fuor d’Europa, ovvero i viaggetti dilettevoli nei'paesi europei. Procedendo senza basi fisse non si fanno che delle moli indigeste ed inutili. Heyd G. Le Colonie commerciali degli Italiani in Oriente nel medio-evo. Versione dal tedesco. — Venezia, Antonelll, 1866, 2 voi. È il sesto volume della Collezione di opere storiche pubblicate da questo editore. Il sig. Heyd, bibliotecario in Stuttgart, pubblicò dal 1858 al 1864 dieci dissertazioni sulle colonie e sul commercio degli Italiani nell’Oriente, nella Zeitschrift fur staatswissenschaft che compose in Tubinga. Il Prof. Giuseppe Mùller avendogli chiesto licenza di fame una versione italiana, egli non solo cortesemente l’accordò, ma si sob¬ barcò alla fatica di rivedere le dissertazioni e di correggerle, giovan¬ dosi dei lavori recentemente pubblicati in Italia e concernenti in qualche modo il suo argomento. Con vasta erudizione trasse partito da gran numero di fonti, ed usando di severa critica, rettificò non pochi er¬ rori. Si giovò anche degli storici arabi e bizantini, non trascurando qualsiasi più tenue indizio. Non è libro popolare, ma di scienza soda e sicura. Il Prof. Mùller, traduttore del libro, erudito come è nelle lettere greche de’ bassi tempi, e nelle storiche discipline, ha arricchita la versione di preziose note. Ecco i titoli delle quattro dissertazioni comprese nel l® volume: I primordi delle colonie commerciali ita-^ liane nell'impero bizantino. Le colonie italiane in Grecia durante l'impero latino. Le colonie italiane nella Palestina, Siria ed Ame¬ rica minore al tempo delle crociate. Le colonie italiane in Grecia al tempo de' Paleologhi. Fanucci G. B. Storia dei tre celebri popoli marittimi italiani: Pisani, Veneziani, Genovesi, e del loro commercio ne' bassi secoli- — Nuova ediz. Livorno 1855, 5 volumi. . La prima edizione è di Pisa 1817. L’opera fu accolta con grande applauso ai tempi della pubblicazione e conserva ancora buona parte Digitized by Google 4 del suo pregio. Una breve biografia dell’autore leggesi nella Biografia degli illustri Italiani dai secoli xviii e xix fino al 1840, pubblicata a Venezia in 10 volumi dal cav. Emilio Tipaldo. ZuRLA P. Di Marco Polo e di altri viaggiatori veneziani, — Ve¬ nezia, Fuchs, 1848, 2 volumi con carte. In questo lavoro l’erudito e paziente prelato rifuse due dissertazioni precedentemente da lui stampate, 4’una sui viaggi dei fratelli Zeno (Venezia 1808), l’altra su quelli di Alvise da Cadamosto (Venezia 1815). 11 primo volume è tutto consacrato ai Polo; il secondo tratta parti- lamente dei seguenti viaggiatori e cartografi veneziani: Maria Sanuto (cartografo) verso il 1320. Pizigani fratelli (id.) verso il 1377. Zeno fratelli (viagg. al nord) 1390. Nicolò Conti (India) 1420-44. Pietro Quirino (seti, europeo) 1432. Andrea Bianco (cartografo) 1436. Giosaf. Barbero (Persia) 1440-70. Alvise da Cadamosto (Africa occid.) 1436. Fra Mauro (cartografo) verso il 1459. Cabolto Gio. e Scb. (America) verso il 1496. Caterino Zeno (Persia) verso il 1300. Ambrogio Contariiii (id.) verso il 1300. Luigi Hoiicinotto (Asia ed Africa) verso il 1530. 'Cesare dei Federici (Pegn) 13G3-81. Gaspare Balbi (id.) 1379-88. ‘ Parla eziandio di anonimi, e di scrittori e cartografi di minore impor¬ tanza. Lo stile è alquanto prolisso e forse troppo grande il desiderio di spiegare sempre i dati, spesso incertissimi, degli antichi viaggiatori, col confronto della moderna geografia. Alla fine del secondo volume vi è una carta da navegar riprodotta da quelle degli Zeno, come per servire ai viaggi dei Polo , copiata da quella esistente nella sala dello scudo a Venezia (palazzo dogale); ed una terza che rappresenta il mirabile mappamondo di Fra Mauro (1439), illustrata dallo Zurla con apposito lavoro nel 1806. MoRELLt. Dissertazione intorno ad alcuni eruditi viaggiatori ve¬ neziani poco notij 1803. Tratta di viaggiatori degni di memoria non per lunghi viaggi, ma piuttosto per eruditi scritti sulle antichità, le monete, le iscrizioni, ecc. dell’Egitto, della Siria, Dalmazia, ecc. Digitized by LjOOqIc 5 Erdmannsdòrffer Tì. De commercio quod inter Venetos et Ger- maKdae civitates aevo medio intercessil dissertatio. --Lipsiae 1858. Veggasi in proposito il cenno di A. Reumont nel U® volume' della nuova serie MVArchivio Storico, • Mutinelli F. Del commercio e de*costumi dei yeneziani. — Ve¬ nezia, Plet, 1835. Lodato dal Cicogna. Marin C. a. Storia civile e politica del commercio dei Veneziani. — Venezia, Coleti, 17i)8-1808, voi. 8. Formaleoni. Storia filosofica e politica della navigazione j del commercio e delle colonie degli antichi Veneti nel mar Nero. — Venezia 1788. Dello stesso autore: Saggio sulVantica nautica dei Veneziani, \mmdi 1785; che Hennin tradusse in francese nel 1788. La vita del Formaleoni scritta dal sig. Rozoli si legge nel 3° voi. della già citata opera del Tipaldo. Lo Zurla preferwce di molto ai Formaleoni il Marin. Marco Foscarim. Frammento inedito del libro quinto della let-* teratura veneziana intorno ai viaggiatori veneziani. Marco Foscarini, doge di Venezia (1752 al 1762) ed erudito scrit¬ tore, scrisse una Storia della letteratura veneziana che restò incom¬ pleta per la sua morte. Il citato frammento, che doveva far parte del voi., fu scoperto è pubblicato dal detto sig. Tommaso Gar nel 4» voi. deU’Appendice alla prima serie MVArchivio Storico. Serristori L. Notes statistiques sur le littoral'de'la mer Noirè. — Vienne 1832. Si accenna anzitutto ai primordi del commercio italiano nel Levante, poi si tratta dei privilegi accordati dai principi orientali ai mercanti italiani, del trattato conchiuso dai Veneziani coi principi di Trebisonda e Moscovia, degli stabilimenti genovesi di Gaffa e Calata e del porto pisano. Vi si confrontano i nomi antichi coi moderni. Serristori L. Illustrazione di una carta del mar Nero del con notizie sulle colonie degli Italiani. — Firenze 1855. L’originale della carta illustrata si conserva nella Laurenziana a Firenze. Sull’opuscolo qui citato abbiamo il seguente commento del Canestrini. Canestrini C. Il mar Nero e le colonie degli Italiani nel medio evo. Pubblicato nel 5® voi. della nuova serie deWArchicio Storico. L’au¬ tore prendendo argomento dalle pubblicazioni di Canale, Serristori ìs Digitized by LjOOqIc 6 Cornet, tratta brevemente il tema accennato, e ci dà un’idea dì questi recenti lavori. Lo stesso sig. Canestrini pubblicò sette documenti spet¬ tanti al commercio dei Veneziani coll'Armenia, Trebisonda, Ra¬ gusa e Negroponte nel 9® voi. deH’Appendice alla prima serie del- VArchivio Storico, De-Gubernatis a. Memorie intorno ai viaggiatori italiani nelle Indie Orientali dal secolo xiii a tutto il xiv. — Firenze 1867, Quest’operetta interessa il filologo più che il geografo e lo storico^ giacché l’autore si intrattiene anzitutto suH’etimologia ed il significato dei nomi proprii di luoghi che occorrono, assai alterati nelle memorie degli Italiani che percorsero le Indie nei secoli accennati. Le opere susseguenti concernono specialmente Genova, le sue colonie ed i suoi viaggiatori. Pagano C. Delle imprese e del dominio dei Genovesi nella Grecia. Libri quattro, Genova, Pagano, 2* ediz., 1852. Atto Vanucci ne diede giudizio assai favorevole nel 4® voi. dell’Ap¬ pendice alla prima serie Archivio Storico, Così lo Scarabelli nel- l’8® voi. della stessa Appendice. Canale M. G. Della Crimea, del suo commercio e dei suoi domi¬ natori, dalle origini fino a noi, commentaru, — Genova 1855, voi. 3. In quest’opera l’illustre autore della Storia di Genova tratta delle colonie italiane sulle rive del mar Nero e del mar d’Azow. L’opera.fu scritta col sussidio di documenti inediti tratti dagli archivi di Venezia, Genova, Vienna e Firenze. Si divide in quattro epoche; la prima ar¬ riva fino al sorgere delle colonie, la seconda alla conquista di Costan¬ tinopoli nel 1453, la terza a Caterina II (morta nel 1796), l’ultima alle guerre di Crimea. Come ognuno vede il lavoro esce di molto dal campo tracciato dal titolo. Fu tradotto in tedesco ed in russo. Canale M. G. Storia del commercio, dei viaggi, delle scoperte e carte nautiche degli Italiani, — Genova, tip. Sociale, 1866. Si divide in cinque libri. Il primo tratta dei Fenici, Cartaginesi, Greci, Romani e Bisantini. 11 secondo delle origini di Venezia, Pisa, Amalfi e Genova, degli Arabi, delle crociate e delle lotte fratricide fra le nostre repubbliche. Il terzo si occupa specialmente delle colonie e del traffico dei Genovesi e dei Fiorentini, delle grandi scoperte ma¬ rittime degli stranieri, delle nuove vie prese dal commercio, della con¬ quista della Crimea fatta dai Bussi e della recente guerra di Crimea. Il quarto libro tratta assai brevemente dei viaggiatori italiani dai Polo fino ai viventi, consecrando non più di 24 pagine ai viaggi eseguiti Digitized by LjOOQle 7 negli ultimi tre secoli. Il quinto libro discorre degli atlanti e delle carte nautiche italiane dal xiii al xvii secolo. Sauli L. La colonia dei Genovesi in Odiata, libri sei. — Torino, Bocca, 4831, 2 voi. Lodato da Atto Vannucci, e da Nicolò Tommaseo nel suo Dizio¬ nario estetico. De-Ferrari L. a. Cenni storici sul commercio antico e moderno di Genova. — Genova 1856. pRiMAUDAiE. Etudes s^ur le commerce de la mer Noire et des co- ìonies génoises de la Crimée. — Paris 18i8. Ne diede un cenno il sig. Reumont, nel 6* voi. deirAppendice alla 1* serie deìVArchivio Storico. Mévil. Gaffa et les colonies géìwises de la Crimée. Paris, Denta, 1855. SECOLO Vili. De Rossi G. B. Sopra il cosmografo ravennate e gli antichi geo¬ grafi da lui citati. Roma, tip. delle belle arti 1852. Opuscolo di poche pagine. Recensione di A. Gennarelli nel 9* voi. deirAppendice alla 1» serie deWArchivio Storico. Sui viaggiatori del secolo Xin. Le livre de Marco Polo, dtoyen de Venise, conseiller et com- missaire imperiai de Khoubilai-Khaan, redigé en frangais sous sa dietée en 1298 par Rusticien de Pise, publié pour la première fois d'après, trois manuscrits inèdite de la bibliothèque impériale de Paris, présentant la rédaction primitive du livre revue par Mare Paul lui^méme, et donnée par lui en 1307 à Thiebault de Cépoy, accompagnée de variantes, de l*explication des mots hors dfusage et dis commenteùres géographiques et historiques tirés des éerivains orientaux principaìement chinois, avec une carte gé^ nèrale de V Asie par M: G. Pauthier. — Paris, Didot, 1865, % volumes. Sir Rodrigo Murchison, presidente della Società geografica di Londra, nella seduta 28 maggio 1866, leggendo un rendiconto dei progressi fatti dalla scienza nell’anno prece^nte, parlò diffusamente e con elogio di questa importante pubblicazione del sig. Pauthier. Questi ha sciolto la Digitized by LjOOqIc 8 vecchia questione sul testo originale di Polo, ammettendo con buone ragioni (già accettate dal nostro prof. Bartoli) essere il codice francese Tautentico. Valente orientalista, ha accompagnato il testo di minuti commenti geografici, di confronti e schiarimenti tolti da scrittori orien¬ tali, e di una bibliografia delle varie versioni ed edizioni di Polo. La carta rappresenta TAsia qual era politicamente al tempo di Polo, n^lla seconda metà del xiii secolo. Nell’introduzione si mostra il grande impulso che fu dato dal viaggio di Polo alle scoperte geografiche, anche neH’opposta direzione d’occidente, e la gran luce che per lui si fece su gran parte dell’Asia. Quest’opera, la più importante sul massimo dei viaggiatori del medio evo, ha tolto ogni pregio alle più antiche di Baldelli Boni (Firenze 1827, 2 voi.), di Marsden e d’altri commentatori. Conservano ancora per gran parte il loro pregio le recenti versioni di Polo eseguite una da Wright in inglese (Londra 1854), l’altra da Biirck, e Neumann in tedesco (2*^ ediz., Lipsia, Teu- bner, 1855), ambedue accompagnate da sottili commenti. / viàggi di Marco Polo secondo la lezione del codice maglia- becchiano più antico, reintegrati col testo francese a stampa per cura del prof. Adolfo Bartoli. — Firenze, Le-Monnier, 1863. Una diffusa introduzione del sig. Bartoli discute la questione dei varii codici di Polo, eie circostanze più dubbie di sua vita e famiglia- L’opera è dedicata al nome venerato dell’illustre Niccolò Tommaseo. Ne scrisse un ragionato giudizio il prof. Bertolini nell’annata 1865 del- VArchivio Storico. Qual utile commento a questo libro si può ado¬ perare il 1* voi. dell’opera citata di P. Zurla, giacché questa non dà il testo di Polo, ma bensì un semplice sunto dei suoi viaggi partito per argomenti. Pertz G. e. [I più antico tentativo per scoprire una via ma¬ rittima all'India Orientale. Berlino 1859 (ted.). Negli Annales des Voyages, annata 1859, leggesi una versione francese di questo breve lavoro che il celebre Pertz consacrava alla memoria dei fratelli Vivaldi e della loro impresa (1291). Alla versione fa seguito un lungo commento dell’autorevole d’Avezac il quale si ac¬ corda con Pertz in tutti i ponti più essenziali. SECOLO XIV. Ricoldo (Frate) da Monte Croce. Itinerario ai paesi orientali. — Firenze, Francesco Moucke, 1^93. Pubblicò questo breve ma importante itinerario Fra Vincenzo Fi- neschi, il quale nella prefazione ci diede notizie sull’autore frate do¬ menicano, nato a Monte Croce nel Mugello. Pare che il viaggio e l’ir Digitized by LjOOqIc 9 tinerario debbano assegnarsi agli ultimi anni del decimoterzo secolo. La prosa di Ricoldo è una delle più antiche e non manca di quel- l’aurea semplicità che distingue i nostri primi prosatori. Ricoldo (Frate) da Monte Croce. Viaggio in Terra Santa. — Siena, Mucci, 4864. È un volgarizzamento del xiv secolo secondo un manoscritto della Biblioteca imperiale di Parigi. Prescobaldi (Leonardo di Nicolò). Viaggio in Egitto ed in Terra Santa. — Roma, Mordacchini, 4818. L’editore Guglielmo Manzi tolse questo testo di lingua da un Codice della Barberina, ma l’abate Fracchi avvertì che se avesse consultati i Codici della Libreria Ricasoli, non avrebbe commesso certi abbagli che - fornirono argomento ad una severissima critica contenuta nel- ri4® voi. (annata 4818) della Biblioteca italiana. Il viaggio ebbe luogo nel 4384. Se ne imbblicò recentemente una nuova edizione da Bar¬ bera in Firenze (1862). Sui frequenti viaggi degli Italiani in Terra Santa si consulterà assai utilmente il lavoro inserto dal sig. Tito Tobler nell’annata 4861 del¬ l’accreditato giornale VAusldnd, col titolo Das heilige land und die Italiener. SiooLi SiMONE. Viaggio al Monte Sinai. — Firenze, all’ insegna di Dante, 4829. Testo di lingua tolto da un Codice Magliabecchiano ed accompa¬ gnato da illustrazioni di Francesco Poggi e di Luigi Fracchi. Fu ri¬ stampato in Napoli nel 4831 per cura di Basilio Puoti, il quale com¬ menda altamente la grazia e la soavità dei testo, paragonandola a quella del Cavalca e del Passavanti. Mariano da Siena. Viaggio in Terra Santa. — Firenze, Maglieri, 4822. Pubblicato per cura del Gan. Domenico Moreni; fu scritto in dia¬ letto- sienese circa il 4431 , ma lo poniamo qui perchè sotto molti aspetti afiSne ai precedenti. Peregrinatores medii aevi quatuor : Burcardm de Monte Sion, Ricoldus de Monte Crucis, Oderico de Foro Tulii, MHlbrandus de Oldenburg, quorum duos nane primum. edidit, duos ad fidem librorum manuscript. recensuit T. C. M. Laurent. — Lipsiae, Hinrich, 4864. , Dei quattro pellegrini qui nominati due sono italiani? Oderico da Pordenone che dal 431al 4330 viaggiò l’Asia fino alla Cina, e Ri¬ coldo da Monte Croce, tioscano. Quest’ultimo del convento di S. Maria Digitized by LjOOqIc 40 delle sue convinzioni religiose, I ma non sì può negare che trasse in Novella (ordine de*predicatori), viaggiò l’Asia occidentale diffondeD- dovi la fede. Meinert F. G. Viaggio di Giovanni da Marignola nelV Oriente (t3i0). — Praga 1820 (ted.). (Peschel, pag. 164). Zehrtmann. Osservazioni sui viaggi nelle regioni settentrionali^ attribuito ai Veneziani Zeno (danese). In questa dissertazione, inserita nell’annata 1854 della Nordisìc tidskrift for oldkyndighed che si pubblica in Copenhagen, l’autore pone in dubbio il viaggio degli Zeno. 11 viaggio pare certo, bensì non sembrano ammissibili parecchie circostanze di esso che lo Zurla (vedi opera citata) si sforza di provare verosimili o di combinare coll’o- dierna geografia. Kunstmann F. Studii su Marino Sanuto il Seniore (ted.). Dissertazione pubblicata nell’annata 4855 della Abhandlungen der bayerischen Akademie der Wissenschaften, (Pcschel, 194). SECOLO XV. Kunstmann F. Le cognizioni che si avevano sull'India nel xv se^^ colo. — Monaco, Kaiser, 1863 (ted.). È un opuscolo di 66 pagine, che nella prima metà contiene uno studio sui viaggi nell’India e sul Conti in particolare, nella seconda metà il testo latino di Nicolò Conti tolto dal 4*^ libro dell’Azzio De varietale fortunae (ediz. di Parigi, 1723). Da questo libretto trasse argomento il sig. 0. Peschel per un bell’articolo sul Conti, inserito*nel giornale VAusland, 11 Kunstmann è conosciuto per pregevoli lavori storici stampati di solito negli Atti dell’Accademia delle Scienze di Monaco. Barbaro Jos. Viaggi alla Tana ed in Persia. — Venezia, Aldo, 4543. (Brera). Le lettere di Giosafatte Barbaro, ambasciatore veneziano presso di Assun Cassan, re di Persia, pubblicate per cura di Emilio Cornet. — Vienna, Tendler, 4852. CoNTARiNi Amb. Viaggio in Persia. — Venezia, Aldo, 4543. (Brera). • Cristoforo Colombo. Numerosissimi sono gli scritti di ogni età, lingua e formato concer¬ nenti il nostro grande navigatore. Qui cerchiamo di dare le opere più Digitized by LjOOqIc recenti ed accreditate, il fiore della Biblioteca Colombiana. Se la scelta ci è ben riuscita, si intende che le escluse hanno perduto gran parte del loro pregio. Raccolta completa degli scritti di Cristoforo Colombo recata in italiano, Cixrredata di note, di una introduzione e di una dedica al re Vittorio Emanuele Torre di Genova.—Lione, Lépagnez,t864. Il sig. march. Gerolamo d’Adda pubblicò in Milano nel 1866 (Leengner) la lettera spagnuola diretta da Colombo a Luis de Santangel delle Ca¬ narie il 17 febbraio U93, riprodotta a fac-simile dall’unico esemplare a stampa finora conosciuto che si conserva neH’Ambrosiana. Vi fa pre¬ cedere una erudita introduzione sulle lettere di Colombo. Codice Colombo Americano, ossia raccolta di documenti originali ed inediti spettanti a Cristoforo Colombo, alla scoperta ed al go¬ verno dell'America pubblicato per ordine degli illustri decurioni della città di Genova. — Genova, Ponthenier, 1823. Notes on Columbus by M. H. Harisse. — New York 1865. (Fuori di commercio). Bibliotheca americana vetustissima a description of Works re^ lating to America published betwen 1492 and 1561. New York 1866. Opera pubblicata con splendidi tipi dal sig. Harisse che la corredò di note critiche. 11 sig. Harisse per compilare questo catalogo interes¬ santissimo non solo esaminò attentamente ogni opera citata, giovan¬ dosi della liberalità del sig. Barlow che possiede in New York una biblioteca ricchissima in fatto di cose antiche relative aH’America, ma volle che ogni titolo venisse riprodotto in fac-simile con tipi ap¬ positamente fusi. Sono circa 300 titoli di opere ed opuscoli comparsi nel mezzo secolo immediatamente successivo alla scoperta e quindi rarissimi. Queste pubblicazioni costano grandi somme e sono destinate ad una cerchia di lettori così ristretta che appena si possono dire commerciabili. Qual più bella prova dell’importanza che si dà a questi studi? Canale M. G. Vita e viaggi di Colombo. — Firenze, Pettini, 1863. La prima parte tratta delle colonie e delle navigazioni degli antichi, la seconda è una storica narrazione del commercio, delle colonie, dei viaggi degli Italiani nel medio evo, la terza narra in quarantasette paragrafi le vicende del grande genovese. Roselly de Lorques. Cristophe Colomb, sa vie et ses ouvrages d'après les documents d'Italie etd'Espagne, — Paris, deuxième édit., Didier, 1859, 2 voi. L’autore fu accusato di fare del libro uno strumento di propaganda Digitized by LjOOqIc luce fatti nuovi. Fu tradotto in italiano dal conte Tullio Dandolo e pubblicato nella Poliantea cattolica, — Milano, Battezzati, 1857, 2 voi. — Vers. oland., Utrecht 4863. Irving W. History of thè life and voyages of Columbus. — New edit., London 4830, voi. 4. ' Quest’opera di un illustre storico americano, popolarissimo per molti scritti in ambidue ^li emisferi, fu tradotta in tutte le princìpuii lingue d’Europa. Una versione italiana comparve in Genova nel 4818 (Gravier) ed un’altra in Torino nel 4820. Irving si giovò di documenti conser¬ vati nell*archivio di Madrid ed in quello del suo amico il duca di Veraguas. Goehring. Colombo , ossia la scoperta d'America narrata alla gioventù. — Lipsia, Teubner, 4863 (ted.). Chi amasse consultare altri scritti italiani su Colombo, s’informi delle opere di Spotorno (Genova 4810), Sanguinetti (Genova, Dettolo, 4846), Reta (Torino 4854), Belloro, Napione, Cancelleri, l’elogio scritto dal march. Gerolamo Serra neH’uItimo voi. della sua Storia dell'ano iica Liguria, e la polemica del march. Vincenzo Serra contro Felice Isnardi circa il luogo di nascita del navigatore. Gli scritti di Reta e Sanguinetti furono lodati da Atto Vaniicci nel 4^* voi. dell’Appendice alla prima serie àeWArch. Storico. Vespucci e Cabotto. Varnhagen F. a. Amerigo Vespucci, son caractère, ses écrits et ses navigations. — Lima (Perù) 4865. Volume in-folio, di pagine 420, con una carta. Contiene la colle¬ zione delle lettere, ecc. del Vespucci pubblicate sui codici o sulle edi¬ zioni originali, illustrate con discorsi critici. L’autore, ministro del Brasile presso le Repubbliche del Perù e dei Chili, è noto per lunghi studi sul Vespucci, scopritore del suo paese. Avezac M. a. — Les voyages de Vespuce au compie de l'E- spagne et les mesures itinéraires employées par les Espagnols au xiv« et xv« siècle. — Paris, Martinet, 4858. Dell’eruditissimo geografo, già segretario della Società geografica parigina abbiamo molti altri lavori pubblicati negli Annales des voyages, nella Eevue des deux mondes, ovvero staccatamente, sic-*- come gli Etudes sur VAfrique septentrionale. ' Santarem M. F. Becherches hktoriques et critiques sur Amét'ic Vespuce et ses voyages. — Paris 4842. — Versione ingl. di Ohilde. Boston. Digitized by LjOOqIc \ò Lester and Forster. Life and voyages of Americo Vespucci, ìvitk illustrations concerning thè discovery of thè new vcorld .— New-York 1846. Sul celebre navigatore italiano, per cui venne jl nome ad una delle più belle e vaste parti del mondo, esistono le opere italiane di Ban¬ dini (pubblicate verso il 1745), Bartolozzi e Canovai (Firenze 1819). Questi scrittori toscani per misera gara di municipio tentarono riven¬ dicare a Vespucci la gloria di avere scoperto pel primo l’America. La stessa tesi fu difesa dal brasiliano Varubagen, ma ornai la que¬ stione fu sciolta in favore del Colombo dall’autorità di G. M. Canale, di d’Avezac, di Vannucci, ed anzitutto da quella di Alessandro d’Hum- boldt che le consacrò un intiero volume de’pregiati suoi scritti. Questi scrittori difendendo il Colombo difendono anche il Vespucci dalla taccia di impostore e maligno, ed ammettono che le falsificazioni delle date relative a’viaggi di Vespucci (come pure l’origine del nome Ame¬ rica), non sono in alcun modo imputabili al navigatore fiorentino. Biddle. Memoir of Sebastian Cabotto,—London 1832 (Pei;chel,262). SECOLO XVI. Premier voyage aiitour du monde, par le chev. Pigafetta, sur Vescadre de Magellan pendant 1519-22, suivi de Vextrait du traité de navigation du fnéme auteur et d'une notice sur Martin de Behaim. —PiìVìs, Tansen, an IX (1801). Avec cartes. Esiste anche un’edizione di Milano, 1800. Il signor Amoretti, cui dobbiamo questo interessantissimo testo pubblicato contemporanea¬ mente in francese ed in italiano, si giovò di un manoscritto in carat¬ tere cancelleresco che appartenne al cardinale Federico Borromeo, e si conserva nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. Vi sono altri co¬ dici in spagnuolo, francese e portoghese, ma quello adoperato da Albo- retti si crede il più attendibile. L’Amoretti fe’precedere una lunga introduzione, nella quale con molta dottrina mostra quale fosse lo stato degli studii geografici alPaprirsi del xvi secolo e quali i meriti del cavaliere vicentino. Alla fine dell’opera, che va adorna di cartine diligentemente copiate dalle originali, leggesi il Trattato di naviga¬ zione dello stesso Pigafetta, ed una diffusa dissertazione sulla, vita e gli scritti del geografo tedesco suo contemporaneo Martino di Behaim. Lettera di Giovanni da Verazzano, navigatore fiorentino, a Francesco 1 re di Francia sulla scoperta di nuove terre nella costa settentrionale d'America, con altra lettera di Ferdinando Digitized by LjOOqIc u Carli sullo stesso argomento. Documenti storici del secolo xvi, tratti da un Codice Magliabecckiano, preceduti da un discorso di Giuseppe Arcangeli^ letto alla Società Colombaria il 24 agosto i85i. Nel 9*^volume deH’Appendice alla prima serie àeWArchivio Storico. Firenze 4853. La lettera porta la data di Dieppe, 8 luglio 1524. Fu pubblicata la prima volta dal Ramusio nel volume della sua rac¬ colta^ e nel 1841 dal signor G. .Greene negli Atti della Società sto¬ rica di New-York. Anche la lettera del Carli fu già pubblicata dal medesimo insieme ad un discorso sul Varazzano nelFanno primo del Saggiatore^ giornale romano. Sul celebre navigatore che scopri la Nuova Francia, vedasi anche Telogio stampato in Firenze dal padre camaldolense Gatani nel 1767. Vi si dice che l’unica cosa che ci ri¬ manga di lui è codesta lettera, essendo andate disperse tutte le altre carte in occasione del memorando assedio di Firenze. Balbi G. Viaggio alle Indie Orientali 1579-88. —Venezia, Bor- gominieri, 1590. (Brera). Carletti F. Ragionamento de'suoi viaggi in Asia. — Firenze, Manni, 1701, 2 volumi. (Brera). SECOLI XVII E XVIII. Viaggi di Pietro della Valle, il pellegrino, descritti da lui we- desimo in lettere famigliari all'erudito suo amico Mario Schi'- pano, divisi in tre parti, cioè la Turchia, la Persia e l'India, colla vita dell'autore. —Brighton, Gancia, 1843, 2 voi. Esistono antiche edizioni delle quali una di Venezia, Baglioni, 1661 ; una di Roma, Mascardi, 1650-63, in 3 volumi. Quella citata fu stam¬ pata in Torino da Fontana per incarico del nostro dotto bibliografo Gancia, già risiedente in Brighton. La dedicò a sir Enrico Wellesley, che l’incoraggiò alla ristampa. Precede una vita del Della Valle, scritta da Pietro Bellori, colla data di Roma 15 ottobre 1662. Ciascuna delle tre parti comprende diciotto lettere. La prima lettera porta la data, Costantinopoli 23 agosto 1614, le nove susseguenti sono date da Co¬ stantinopoli, le ultime otto dal Cairo, Aleppo e Bagdad. Le lettere della seconda parte sono date per la maggior parte da Ispahan, poi da Ferhabad, Sciraz, Combru e dalla nave Balena. Le lettere della terza parte concernenti l’India sono date da Surat (22 marzo 1623), Goa, Gnor, Ikkeri, Mangalor e dalle città toccate nel ritorno, cioè Mascate, Bassora, Aleppo, Lamica in Cipro, Malfa, Siracusa e Mes¬ sina. Le ultime tre da Roma stessa. Digitized by LjOOqIc 15 Gemelli-Carreri. Giro del mondo. Napoli, 1700, 5 voi. Altra edizione posteriore. Venezia, Colati, 1719,9 volumi. La stessa data 1719 porta la versione francese di Dubuis Saint-Gelais, impressa in Parigi in 6 voi. da Stefano Ganeau. Havvi anche una versione inglese colla data 1704.— Il viaggio di Gemelli trovasi compendiato nella grande opera: Abrégé de Vhistoire générale des voyages (Pa¬ rigi, Ledoux, 1820, 24 voi.), e nella Collection abrégée des voyages anciens et modernes autour du monde, pubblicata in Parigi nel 1808 dal signor Brancarei presso Dufart. Quest’ultima dedica intieramente al Gemelli uno de’suoi dodici volumi, il terzo. Su questo viaggiatore si potrà consultare anche il Saggio critico, pubblicato da Ignazio Ciampi nel 5» voi. dei Saggi e Riviste (Mi-, lano, Daelli, 1865). Luta P. Famiglie celebri italiane. / Malaspina. Ramo di Mvr^ lazzo. Tavola Vili. Contiene un breve cenno biografico su Alessandro Malaspina, che alla testa di una squadra spagnuola, accompagnato dà Gaieano Valdez c da Teodoro Hhnke, fece dal 1789-93 un viaggio intorno al globo. Nacque in Mulazzo di Lunigiana nel 1754, morì in Pontremoli nel 1809. SECOLO XIX. a) Viaggi nelle Americhe. Beltrami J. C. a pilgrimage in Europa and America leading to thè discovery of thè sources of thè Mississipi and Bloody river with a description of thè whole conrse of thè former and of thè Ohio. — London, Huntoed Clarke, 1828, 2 voi. with maps. Elegante edizione, accompagnata di una carta minuta, ma poco esatta del corso del Mississipi. L’opera si divide in 22 lettere, ma le interessanti sono verso la fine del 2* volume, quelle che descrivono il viaggio alle sorgenti del Minnesota e del Mississipi, specialmente la 19*, data alle sorgenti Giulie il 21 agosto 1823. Vi è anche il ritratto dell’autore abbigliato alla Siù. Beltrami J. C. Le Mexique. — Paris, Crevot, 1830, 2 voi*. L’opera si divide in 13 lettere, date da Tampico (28 maggio 1824), S. Luis de Potosi, Aguas Caliantas, Rokula, Gnadalaxara, Guanaxuato, Majico, Uascala, Alvarado (24 maggio 1825). La decima parla della scoperta del Codice Azteco, scoperto dal Beltrami e pubblicato in Mi¬ lano dal signor Biondelli, col testo latino a fronte, nel 1858. Digitized by LjOOqIc 46 Rosa G. Della vita e degli scritti di Costantino Beltrami da Bergamo. — Bergamo, Pagnoncelli, 1864. Opuscoletto di 34 pagine. Codazzi A. Geografia statistica di Venezuela. Versione dallo spa- gnuolo. — Firenze, Bellini, 1864. Il Iradullore signor G. Foscliini vi premelle una dedica al cav. Ser- yadio, console d’Italia alla Venezuela, ed una lettera di Humboldt al Codazzi, data a Parigi il 20 giugno 1841. La prima parte delFoptra tratta la geografla fisica, cioè delle coste, isole, monti, valli, acque> clima, prodotti dei trp regni; la seconda tratta della geografia poli¬ tica, etnografia, religione, amministrazione, istruzione, commercio. Si passano poscia partitamente le 13 provincie della Repubblica. OsccLATi G. Esplorazione delle regioni equatoriali lungo il Napo ed il fiume delle Amazzoni negli anni 1846-48. —Milano, 2^ edi¬ zione, 1864. Con tavole. Si divide in 18 capitoli, oltre alcune appendici di storia naturale, e d’una bibliografia de’pacsi delle Amazzoni, scritta dal signor Denis, bibliotecario in Parigi. L’autore promise un secondo volume sugli altri suoi viaggi nelle Americhe, ma non fu pubblicato, per quanto c’è noto. b) Africa settentrionale. Pananti F. Avventure ed osservazioni sulle coste di Barberia. —Firenze 1817, 2 volumi. Questo viaggio, sebbene non le meritasse punto, ebbe due poste¬ riori edizioni, una di Milano, Stella, 1817, 3 volumi; l’altra di Milano, Sonzogno, 1829, 2 volumi. Della Cella P. Viaggio da Tripoli di Barberia alle frontiere occidentali delVEgitto neWanno 1817. —Genova, Ponthenier, 1819. Si divide in 18 letterine, dirette dal viaggiatore al signor Viviani, professore di botanica presso l’Università di Genova. Vi è un’edizione posteriore di Milano, Sonzogno, 1826, cui va unita una cartina sin¬ golarissima, che mette il mezzodì all’alto della carta, alla cinese. Recensione pelfannala 1819 della Biblioteca Italiana. Belzoni J. B. Narrative of thè recent discoveries and excava- tions in Egypt and Nubia, and of ajourney to thè coast of thè Red Sea.— London, Murray, 1821, 2 volumi. Con atlante di 44 tavole colorate. Se ne pubblicò una versione ita¬ liana in Milano nella citata raccolta del Sonzogno, ma senza carte. Digitized by LjOOqIc 17 Forni. Viaggio nelVEgitto e nelValta Nubia — Milano, Salvi, 1859, 2 volumi. Non ha carte, bensì (ciò che men occorre) il ritratto del viaggiatore e della sua consorte in costume di Mammalucchi. c) Viaggi all’alto Nilo. Sapeto G. Viaggio e missione cattolica fra i Mensa, i Bogos e gliHababy con un cenno storico-geografico dell*AUssinia. — Roma, Congreg. de propaganda fide, 1857. Volume in ottavo di 560 pagine. La prima parte dà una descrizione generale delFAbissinia, la seconda narra il viaggio suddetto eseguito nel 1851, la terza parte tratta di storia naturale, la quarta dì storia e linguistica. L’autore fondò una missione cattolica in Adoa ed ebbe parte non piccola nelle cose politiche di quel reame. Si mostra uomo di rara coltura, massime in fatto di scienze naturali. L’annata 1861 della Mittheilungen contiene un lungo estratto dell’opera accompagnato da apposita e bellissima cartina. Amico e compagno di Sapeto fu il mis¬ sionario italiano Stella dal quale il Munzinger ebbe molte utili notizie. De-Bono a. Recenti scoperte sul fiume Bianco. — Alessandria d’Egitto 1862. I Nouvelles annaìes des Voyages del 1862, recano la versione fran¬ cese di quest’opuscolo. Nell’annata 1859 dello stesso periodico leggesi la versione francese di una lettera nella quale Terranova, agente di De-Bono, narra un viaggio sul Spbat, il primo fatto da Europei su quell’affluente del Nilo Bianco. Anche il Tour dw twonde (1860) con¬ tiene un breve estratto di questo viaggio tolto dalle memorie dello stesso De-Bono. Voyage au Bahr-el-Gazall par A, Castel Bolognesi. Breve estratto del viaggio fatto da questo nostro concittadino, all’af- iluente del Nilo detto talvolta, con versione del vocabolo arabo, fiume delle Gazzelle. Si legge nell’annata 1862 del Tour du monde che pubblicasi a Parigi dal sig. Charton. Antinori 0 . Catalogo descrittivo di una collezione d'uccelli fatta nelVAfrica centrale nord, dal maggio i859 al luglio i86i. — Milano, Daelli, 186i. Dedicato al compianto prof. De Filippi. 11 catalogo ornitologo è pre¬ ceduto da alcune pagine che riassumono brevemente le quattro escursioni dell’autore nel Sennaar, nel Cordofan ed al Bahr-el-Gazall. Quest’ul- 2 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani. Digitized by LjOOqIc ^8 lima, la più importante, fu narrata più diffusamente dall’autóre in una lettera che venne pubblicata in tedesco nel ^ 0^ fascicolo comple¬ mentare (ergauzungshaft) della Mittheilungen di Gotha (dicembre 1862). Il sig. Diromè tradusse la lettera dal tedesco in francese e la stampò negli Annales des Voyages 1863. Beltrame G. Di un viaggio sul fiume Bianco nell' Afìica cen¬ trale. — Verona, Vicentini e Franchini, 1861. L’autore, missionario, vi descrive il suo terzo viaggio da Cartum a Gondokoro eseguito nel 1850. Vi aggiunge due cartine assai interes¬ santi dell’alto Nilo. Mia NI G. Spedizioìie verso le ongini del Nilo, diretta da G. Miani 1859-60. — Cairo 1860. Mia>i G. Paragone sulle scoperte fatte sul Nilo equatoriale dal viaggiatore Miani 1856-60, da Speke e Grant 1860-62. — Trieste, Linasti, 1864. (Milhig. 64, 196). L’autore confronta l’itinerario degli ufficiali inglesi col proprio, e lo confuta in varii punti. Sulle scoperte di Speke veggasi anche l’opuscolo di Monsignor *F. Nardi. Roma 1864. Miani G. Le spedizioni alle origini del Nilo. — Venezia 1865. (Milhig. 66, 317). Miani G. Le mie spedizioni all'origine del Nilo, compendio del giornale di viaggio dedicato aS.A. MohameLSaid pascià d'Egitto. Lungo articolo pubblicato dall’autore neU’annata 1862 deWs Rivista contemporanea. (Torino, Poraba). d) Viaggi nell’Africa occidentale. Omboni T. Viaggi nell'Africa occidentale. — Milano, Civelli, 1847. Si divide in 26 capitoli ed un’appendice di note storiche e geogra¬ fiche. Non ha carte bensì alcune tavole appena mediocri. * Scala G. B. Memoria di un viaggio ad Abbeokuta nelVinterno dell'Africa. — Sampierdarena, Varnengo, 1862. Borghero. Note géographique sur le delta du Niger. Nel BulleUn de la Sodété de géographie de Paris, 1865, 2*aem* Digitized by LjOOqIc 19 Borghero. Lettre au sujet d'une carte de la cote des esclaves adressée a if. d'Avezac. Pubblicata, col corredo di una bella carta originale, nelFannata 4866 del periodico succitato. ej Viaggi in diverse parti dell’Asia. Brocchi G. B. Giornale di osservazioni fatte nei viaggi in Egitto^ Siria e Nubia. — Bassano 1842, 5 voi. con atlante. Fra le molte biografie del Brocchi addurremo quella scritta da lui stesso nella prefazione all’opera qui citata, e VElogio storico pubbli¬ cato dal Larber in Padova nel 1828. Giornale di carovana o viaggio nell'Armenia, Persia ed Arabia fatto negli anni i84i-42 da Felice De Vecchi e Gaetano Oscvr^ lati, descritto da F. De Vecchi. Milano, Wilmant, 1847. Elegante edizione con disegni. Nel 1854 si volle approfittare della curiosità destata dalla guerra d* Oriente e si posero in commercio le copie invendute, colla semplice mutazione del frontispizio che suona come segue: Escursione lungo il teatro della guerra attuale dal Danubio alle regioni caucasee, brano di un viaggio ecc. Note d'un viaggio nella Persia e nelle Indie Orientali negli anni 1841^42 di Gaetano Osculati. — Monza, Corbetta, 1844. Opuscolo di poche pagine che non fu posto in commercio. Ha per appendice il catalogo dei coleopteri raccolti da Osculati lungo il viaggio. Dandolo E. Viaggio in Egitto, nel Sudan, in Siria e Palestina, iSSOSI. — Milano, Turati, 1854, con due carte. La prima parte comprende l’Egitto, la seconda il Sudan ed il ritorno al Cairo, la terza la Siria e la Palestina. Vanno aggiunte due carte, ormai di nessun valore. De Bianchi A. Viaggio nell'Armenia, Kurdistan e Lazistan. — Milano 1863, con una carta. La carta non ha alcun valore scientifico. De Filippi F. Note d'un viaggio in Persia nel 1862. — Milano, Daelli, M865. La prefazione porta la data: Torino, novembre'1863.Edizione disoli 500 esemplari. È un volume di 396 pag. diviso in 22 capitoli, e fu pubblicato per brani anche nel Politecnico. Digitized by LjOOqIc S!0 Gavazzi M. Alcune notizie raccolte in un viaggio a Bucava. - Milano 4865. La bellissima cartina dell’Asia centrale che accompagna il volumetto sembra tratta dagli accurati lavori pubblicati dall’istituto di Gotha e forse anche dalle grandi carte russe che l’autore potè ispezionare in Pietroburgo. Il lavoro citato venne stampato per brani nella Perse-- veranza del 1865, poscia pubblicato separatamente. Guarmani. Il Neged settentrionale, itinerario da Gerusalemme^ ad Aneizefi nel Cassim. — Gerusalemme, tip. dei Francescani, 1866. Il sig. Rosen, console di Prussia in Palestina, ne pubblicò la tra¬ duzione tedesca nell’annata 1865 della Zeitschrift fur erdkunde di Berlino. La versione francese, eseguita come la tedesca sul manoscritto di Guarmani, fu pubblicata nell’annata 1865 del Bullettin de la So- ciélé de géographie de Paris col corredo d’una carta eseguita sugli schizzi dì Guarmani, nella quale si rispetta l’ortografia italiana ado¬ perata dal viaggiatore pei nomi arabi. Aggiungiamo che a Bologna nel 1864 veniva pubblicata la tradu¬ zione italiana di un lavoro francese di Guarmani sul Ramsa, il ca¬ vallo arabo puro sangue. Nella prefazione si dice che l’autore fe’ dono al re d’Italia d’una carta particolareggiata del deserto siro-arabo. Tobler T. Gli Italiani e la Terra Santa (ted.). Lavoro inserto nell’annata 1861 del noto giornale tedesco DosAusland, L’autore ha pubblicato recentemente un lavoro importante col titolo: Bibliographia geographica Palestinae (Lipsia, Hirsel, 1867), nella quale si dà un catalogo ragionato delle opere stampate in qualsiasi tempo sulla Terra Santa. Bassi A. Pellegrinaggio storico descrittivo di Terra Santa. — Genova 1858, 2 voi. In quest’opera l’autore (frate minorità) dà una bibliografia della Palestina ed enumera tutti i viaggi che vi si fecero dal vi secolo in poi. Digitized by LjOOqIc II. VIAGGI DEGLI ITALIANI IN ASIA NEL Xin SECOLO Giovanni di Carpini, i Polo, Giovanni da Montecorvinq ed i Missionari Apostolici. Il tentativo del Vivaldi. Il primo viaggiatore italiano del qnale si faccia men¬ zione nella storia delle geografiche esplorazioni è frate Giovanni di Piano Carpini, dell’Ordine de’Minoriti. Era nato da nobile famiglia del Pian de’Carpini, che è una terra a nove miglia da Perugia verso il Trasimeno, detta presentemente la Magiotte, e dove anche oggi è una piazza detta appunto dei Carpini. Fu uno di que’missio- narii che i papi mandarono nell’Àsia col dilìicile inca¬ rico di convertire i capi delle orde mongoliche al cri¬ stianesimo e di fare de’Mongoli un potente alleato dei Cristiani contro i Turchi, i Mammalucchi, ed altri bar¬ bari dell’Asia occidentale, acerrimi nemici degli Eu¬ ropei e delle loro colonie sulle coste del Mar Nero c del Mediterraneo. I Mongoli mostravansi piuttosto in¬ differenti in fatto di confessioni religiose, ed offerivano ai Cristiani di Palestina ed ai principi d’Armenia op¬ portunissimi alleati, anzi liberatori dal giogo musul¬ mano. Carpini parti nel 1246, sette anni prima che il fiammingo Ruysbroek (Rubruqnis) venisse spedito da re Luigi il Santo di Francia negli stessi paesi con analoga missione. I Mongoli, retti da Rata secondo successore Digitized by LjOOqIc 22 del terribile conquistatore Gengis-kan, avevano da qual¬ che anno invasa anche l’Europa (Polonia, Russia, Slesia), riempiendola di spavento. E ciò non ostante il pontefice Innocenzo IV sperava che ai suoi legati sarebbe riuscito ammansarli, farsene degli alleati, ed anzi convertirli al cristianesimo. Potenza della fede! Tanti risultati non furono raggiunti che in poca parte, ma un guadagno grandissimo, sebbene non previsto nè cercato, fu cer¬ tamente questo, che da que’ pii missionarii vennero alla geografìa le prime notizie sui paesi dell’Asia centrale e intorno ai suoi abitatori. Vincenzo di Beauvais e Rug¬ gero Bacone, geografi del tredicesimo secolo, fondano i loro scritti principalmente sulle relazioni di Ruysbroek e di Carpini. Quest’ultimo, accompagnato da un Bene¬ detto, frate polacco, da Breslavia per Kiew valicando i fiumi Dnieper, Don e Volga, attraversò le steppe della Tartaria, che così diceasi allora la Russia dal nome delle tribù mongole che l'avevan assoggettata. Affatto ignaro di cose mondane, ma pieno di zelo religioso, e fermamente convinto che i Tartari potevano essere fa¬ cilmente convertiti, soltanto perchè guerreggiavano i Musulmani di Siria e Palestina, il Carpini, coll’indo¬ mito coraggio che viene dalla fede, pare non restasse molto atterrito dall’aspetto de’Tartari, che pure a quei tempi si credevano generalmente popoli vomitati dal¬ l’inferno 0 dal Tartaro dell’antica mitologia. S’imma¬ ginava che il solo annuncio de'voleri del pontefice sa¬ rebbe seguito da immediata sommissione, e progrediva coraggioso. Sulle sponde del Dnieper trovò un accam¬ pamento tartaro. Compiute varie cerimonie, fra le quali quella di piegare tre volte il ginocchio sinistro, venne introdotto nella tenda del capitano, cui disse che ve¬ niva a richiederlo d’alleanza co’Cristiani, e ad ammo¬ nirlo in nome del papa perchè cessasse gli sterminii, ed, abbracciata la vera fede, si pentisse del male operato. Il capo lo ascoltò, a quanto pare, con molta pazienza, e gli diede una scorta perchè si presentasse a Batu-kan. Giunto nella Cumania il pio legato ammirò la magnifica Digitized by LjOOQle 53 residenza di Batti, che alla sua volta gli ordinò di con¬ tinuare il viaggio e di presentarsi al gran kan. I con¬ fusi cenni che dà il Carpini sul paese attraversato sono di difficile interpretazione. Al nord della Cumania dice che abitavano i Morduini-Biteri nella gran Bulgaria e i Bastarci {Baschiri?) nella Grande Ungheria fra il Volga e il Jenissei. Al di là dei Bastarci erano i Samogeti (Samoiedi?), ed oltre il paese di questi, sulle spiaggie deserte deirOceano, erravano sparsi certi popoli colla fàccia da cane. Al mezzodì della Cumania erano gli Asi (Alani), i Cerki o Circassi, e i Catti o Georgiani. Dalla Cumania i frati entrarono nel paese dei Kangitti, re¬ gione deserta (aìTovest del Caspio?), priva d’acque, sparsa di scheletri e d’ossa umane di genti perite per stenti 0 per mano de’Tartari. I Kangitti, come i Cumani, igno¬ ravano Tagricoltura e vivevano soltanto dei prodotti dei loro armenti. Entrarono poscia nelle contrade dei Biser- mini, popolo musulmano abitante a settentrione della Sogdiana, in un paese sparso di rovine di città e castelli distrutti da Gengis-kan. Arrivata alla sede del gran kan, Tambascieria fu accolta con bontà ed ebbe agio di am¬ mirare le imponenti solennità .con cui Aiuk-kan nella immensa sua tenda venne eletto e rivestito delle impe¬ riali insegne. Sciami di nobili tartari galoppavano per colli e valli sfoggiando ogni giorno vesti di nuovi co¬ lori. Le selle, le briglie e tutte le bardature erano spesso fregiate da pietre preziose ed aurei ornamenti. Teroslao duca di Susdal in Russia, principe del Kitai, del Solangi, e di Georgia, e molti principi maomettani, fra’ quali rin¬ viato del califfo di Bagdad, si confondevano nella turba de’messaggeri che da provincie lontanissime venivano ad offrire doni e sudditanza. Passò un mese, poi tutto il campo si trasferì in una bella pianura a breve di¬ stanza, ove si eresse la tenda detta dell’Orda d’oro. Era sostenuta da pilastri coperti da lamine d’oro, coperti da magnifico baldacchino. Quando il kan sali sul trono tutta la turba, che prima era stata immobile col viso volto verso mezzogiorno, si gettò a terra; poi si apri Digitized by LjOOQle 2i l’adienza. Ricchi doni, gioie, vesti di porpora, drappi ricamati, cavalli riccamente bardati ed altre offerte si accumulavano dinanzi alla tenda. Finalmente i poveri legati del papa, dopo essere stati diligentemente visitati nelle persone, furono condotti al sublime cospetto. Dichiararono di non poter fare alcun dono, giacché le necessità del viaggio avevano inghiottiti quelli che ì nobili polacchi di Cracovia ave¬ vano affidati aU’ambascieria. Il kan tenne sempre un contegno molto serio, nè si mostrò punto disposto a mutar fede; bensì senti con bontà,le parole del Carpini, ed interrogatolo se alla corte papale vi fosse chi inten¬ desse il tartaro, o almeno il russo, o l’arabo, gli diede una lettera pel capo de’Cristiani. Ebbe anche salvacon¬ dotti pel ritorno, e dalla madre dell’imperatore un abito di tino ed una pelliccia di pelle di volpe. In mezzo ad infiniti disagi e dopo avere bene spesso pernottato fra le nevi, il legato, dopo sedici mesi d’assenza, ripassando per Kiew, l’antica capitale russa, ripatriava. Il racconto di Carpini e del suo compagno polacco è la più antica relazione sui popoli dell’Asia. Come quella di Ruisbroek e di Ascelino, pur contemporanei di Polo, di Mandeville (che percorse l’Asia nn secolo dopo, cioè nel 1388), porta l’impronta dell’ignoranza e dell’inge¬ nuità proprie de’suoi tempi e ribocca di cose incredi¬ bili, siccome, per esempio, quella peregrina notizia che il popolo di Parassiti per la picciolezza dello stomaco e della bocca non viveva che del fumo delle vivande. Ma fatta astrazione di queste mirabilia mundi, che il medio-evo voleva nelle relazioni di viaggi, il racconto non manca di verità, ed è di somma importanza se si riflette all’ impulso che deve aver dato ai viaggi poste¬ riori. Carpini non mancava di spirito osservatore ed in certe parti del racconto nulla lascia a desiderare. « I Mon- » goli, dice egli benissimo ed assai meglio di Ruys- » broek, hanno faccia assai larga, gli ossi delle guancie » prominenti, nasi piccoli e schiacciati, occhi piccolis- > simi, colle palpebre superiori che toccano le ciglia, Digitized by LjOOqIc . 25 » corpo snello, barba scarsissima, i cocuzzoli rasi alla » maniera dei preti ed ai lati i capelli uniti in treccie » dietro le orecchie. — Parlando della loro indole dice » che sono obbedientissimi ai loro capi, poco amanti dei » litigi e delle risse, che non sono ladri, giacché lasciano » airaperto sui carri i loro averi, che liberalmente di- » vidono coi più bisognosi le scarse vettovaglie, che sop-« » portano tranquillamente le privazioni, che sanno stare » allegri anche quando sono digiuni, e che si aiutano e » non si sprezzano a vicenda». Aggiunge però che sono fieri e feroci massime cogli stranieri, irritabili, subdoli, astuti, dati alTubbriachezza, superstiziosi all'eccesso, facili a punire di morte certe piccole inavvertenze, che secondo le loro ublj^ie sono delitti. E mentre non stimano delitto Tuccidere uomini, sono scrupolosissimi in casi assai più perdonabili; non credono colpa Tinvadere i ter- ritorii altrui; nulla poi sanno della vita avvenire e della vita eterna. Le cognizioni geografiche del frate erano limitatissime, nè da lui ci vennero idee molto chiare sulle diverse tribù mongoliche che egli va enumerando. Dà pel primo qualche cenno sulla maniera di scrivere degli Asiatici, pel primo nomina il Catai (Cina) ed i Samoiedi, ma in generale le sue indicazioni sono va¬ ghissime, e, siccome confonde talvolta il Caspio col Mar Nero, pare non conoscesse troppo bene neppure ciò che a*suoi tempi molti sapevano. «La Mongolia, egli dice, » ha airoriente il Catai ed i popoli Solangi, a mezzodì » la contrada dei Saraceni, al sud-est quella degli Huini, » airovest quella dei Maimani, al nord TOceano. In al- » cune parti è piana, in altre montuosa, ma qua^^i do- » vunque occupata da deserti di sabbia, cosicché non » v’ha centesima parte del suolo che sia fertile, massime » dacché i fiumi sono rarissimi. L’unica città è Cracurim » (la Caracorum d’altri viaggiatori), che io non ho veduto » sebbene ne fossi appena a mezza giornata di distanza » quando era all’orda della Syra^ o corte del gran Kan »• Al sud di Caracatai (deserto nero) e della Mongolia, il Carpini dice essere un vasto deserto, nel quale trovai Digitized by LjOOqIc $6 vansi uomini muti e senza nodi nelle gambe, ma capaci di fabbricare certe stoffe col pelo del cammello. Il clima della Mongolia dice tempestosissimo , e formidabili e spesso fatali alFuomo gli uragani di primavera, i venti settentrionali, e le nuvole di sabbia che seco travolgono. Interessante e preziosa è Tosservazione, constatata dai recenti progressi della meteorologia, che le piogge nella state vi sono scarsissime, tanto che non passano la pol¬ vere, nè inumidiscono le radici deirerba appassita; che rinverno è senza neve; che nella state ai calori repen¬ tini ed intollerabili succedono freddi intensi. De'Cinesi e della loro religione diede notizie curiosissime, dicendo che gli abitanti del Catai sono pagani ed hanno un sin¬ golarissimo modo di scrivere, nel quale possedono le Scritture deir antico e nuovo testamento. Hanno pure, cosi continua, le vite dei Santi Padri e case nelle quali si raccolgono a pregare in tempi determinati, costrutte esattamente come le chiese nostre. Si dice che abbiano santi, adorino un solo Dio, venerino nostro Signore Gesii Cristo, e credano nella vita eterna, ma non sono battezzati. Del prete Gianni, quel famoso principe cri¬ stiano che si credeva dominasse nelTAsia o nell’Africa, ed a rintracciare il quale si fecero tanti tentativi dalle nazioni europee, narra che si trovava nell’ India mag¬ giore e che seppe respingere le orde mongole, condotte da un figlio di Gengis-kan, mediante una quantità di simulacri di rame pieni di materia infiammabile, che egli spinse ardenti contro il nemico, il quale così restò arso od ottenebrato dal fumo. Contemporaneamente al Carpini, papa Innocenzo IV, esposti al Concilio di Lione i pericoli che minacciavano l’Europa per parte dei Mongoli, spedi loro fra Ascelino, lombardo, dell’ordine di San Domenico, insieme con un altro religioso per nome Simone da S. Quintino e con Andrea Longjumel, quel medesimo che qualche anno dopo veniva spedito d i San Luigi re di Francia (che trovavasi a Nicosia in Cipro) al gran kan, il quale, per quanto dicevasi, aveva abbracciata la fede cristiana. Asce- Digitized by LjOOQle 27 lino sbarcò a San Giovanni d’Acri, e per TArmenia e la Georgia recossi in Persia, ove si presentò al capo tartaro Baiotnoi ; ma del spo viaggio non ci restano sufficienti notizie. Memorabili invece, ben descritti, e studiati ancora og¬ gidì da chiunque si ofccupi'sul serio di geografia, furono i viaggi de’due fratelli veneziani Matteo e Nicolò Polo, e più ancora quelli del loro nipote Marco. Fu quest’ul¬ timo il maggiore fra gli esploratori d’ogni età e paese, e per il tempo del suo viaggio, e per la durata lunghis¬ sima dell’assenza, e per la vastità delle contrade percorse, e per la veridica relazione che ne dettò. Pietro d’Abano suo contemporaneo lo disse orhis maior circuUor et dU ligens indagator; altri lo chiamarono l’Erodoto del me¬ dio evo, altri creatore della moderna geografia dell’Asia, altri infine con minor senno l’Humboldt del tredicesimo secolo. « La relazione di Marco », cosi scrive il celebre Carlo Bitter, « fu per secoli in Europa l’unico testo di » geografia asiatica, malgrado le esagerazioni evidentis- » sime. Molti ponevano in dubbio la sua veridicità e gli » stessi concittadini di Polo schernendolo delle somme » ingenti che sempre aveva in bocca lo sopranomina- » vano il milione, eppure tutti i viaggi dei moderni » non hanno fatto che constatare sempre più l’esattezza » del Polo, che può essere accusato talvolta di troppa » ingenuità, non di bugia. Polo è il degno rappresen- » tante di quella Venezia che era il punto centrale d’ogni » geografica disciplina, l’alta scuola dei naviganti e com- » mercianti, il fuoco del mondiale commercio, il luogo » ove convergevano tutti gli studi nautici e le notizie » degli esploratori ». 11 nome di Polo riassume tutto quanto si fece di più grande per la geografia nel corso di tutto il medio evo, e nessun viaggiatore ha più di lui contribuito alle grandi scoperte che nel decimoquinto secolo iniziarono per quella scienza un’epoca di rapi¬ dissimo e non interrotto progresso. li racconto del viaggio sia la dimostrazione più evidente dei grandi meriti di questo degno predecessore di Colombo. Digitized by LjOOQle 28 La famiglia Polo, originaria di Sebenico in Dalmazia, stabilissi in Venezia nelPanno 1033, e nel secolo deci- moterzo era divisa in due rami de^ti di San Felice e di San Geremia, dalle vie ove abitavano. Null'altro ci è noto di certo fuorché questo: che i Polo di San Felice fin dalla prima metà del secolo decimóterzo avevano trovata, come tanti altri veneziani, ricca fonte di lucri nel traf¬ fico di Costantinopoli, città totalmente soggetta all’in¬ fluenza veneziana, dacché il doge Dandolo l’aveva espu¬ gnata co* crociati, e vi aveva fondato l’impero latino sulle rovine del bizantino. Nel 1250 Matteo e Nicolò figliuoli di Andrea recaronsi a Costantinopoli ove era bailo veneziano un Da Ponte; di là, nel 1259, attraver¬ sando il mar maggiore (mar Nero), vennero a Soldadia 0 Sudak, colonia veneziana presso Caffa sulle coste sud¬ est di Crimea; poi ad Assara(Saray) sul Volga, città della quale mostransi oggi poche rovine, ma che fu allora la capitale de’ Tartari dell’Orda d’oro, che signoreggiavano gran parte delPAsia di nord-ovest e tutto il Kip-ciak, ossia l’odierna Russia europea fra gli Urali e i Carpazi. A Saray trovarono il kan tartaro Beregh, successo al padre Batu-kan, e presso di lui passarono un anno intiero. Forse pensavano al ritorno, quando scoppiò la guerra fra Beregh ed Ulacu-kan di Persia; onde per evitare pericoli e disastri furono consigliati a scegliere la lunga via di Bucara. Girarono adunque al nord del Caspio, a quanto pare almeno, e, valicato il Giaik (Ural) ed i deserti al nord dell’Aral, vennero al Gihon (Sir Daria), e dopo 17 giorni di deserto senza città e castella arrivarono a Bucara. Vi si fermarono tre anni e mezzo, cioè fino al 1264, trattativi cortesemente dal re Barak. In questo in¬ tervallo giunse alla corte un personaggio che Ulacu man¬ dava ambasciatore a Kublai-kan, il gran re dei re tartari. Costui vide con piacere i due mercanti veneziani, giacché non aveva mai veduti dapprima uomini latini e li esortò ad andare con lui al gran re, promettendo loro onori e benefici. I Polo, raccomandandosi a Dio, dice la relazione, furono contenti della proposta e presero a viaggiare Digitized by LjOOQle 29 coH’ambasciatore alla volta di greco4lramontana, seco conducendo parecchi servi cristiani che li avevano se¬ guiti fin da Venezia. Fiumi, nevi, ed altri ostacoli furono cagione che il viaggio durasse circa un anno. Tocca¬ rono Samarcanda, Kaschgar, Koten, Saciu, Canciu, finché giunsero ali’imperiale residenza di Caiping-fu (1265). Il gran kan li accolse con squisita cortesia, anzi volle che andassero ambasciatori in suo nome al pontefice, e diè loro per compagno uno de’suoi capitani per nome Co- gatal. Questi si ammalò per via ed i due fratelli conti¬ nuarono il viaggio fra mille stenti, dirigendosi però da Samarcanda al porto armeno di Aias o La Giazza (l’an¬ tico Issus, non lungi dall’odierna Alessandretta o Isken- derun sul Mediterraneo), frequentatissimo dai Veneziani. Da La Giazza vennero ad Acri, ove Tedaldo de’ Visconti, piacentino, diè loro la notizia della morte di papa Cle¬ mente IV, avvenuta nel novembre dell’anno precedente (1268). Da Acri mossero a Negroponte, indi a Venezia, che avevano lasciata 19 anni prima. Nicolò trovò morta la moglie, ma nato un bambino (1251) poco dopo la sua partenza, cui era stato dato il nome di Marco, in me¬ moria di un fratello di Nicolò morto assai prima. Preso seco Marco, appena ventenne, nel 1271 i due fratelli ripartirono per l’Asia. Da Acri passarono a Ge¬ rusalemme a fine di prendervi un po’d’olio delle lampade che ardono innanzi al Santo Sepolcro, come aveva or¬ dinato l’imperatore tartaro. Vennero poscia al porto di Aias, ma qui seppero che era stato eletto pontefice, col nome di Gregorio X, quello stesso Tedaldo Visconti che avevano,conosciuto in Acri parecchi anni prima. Allora tornarono ad Acri, ove il nuovo papa diè loro messaggi e doni per Kublai-kan, ed ordinò a due missionarii di accompagnarsi coi mercatanti veneziani. Avevano per nome Guglielmo da Tripoli e Nicolò da Vicenza, ma pare non fossero di troppo arditi, perchè, venuti da Aias nel¬ l’Armenia, ed avute ivi notizie di guerre e devastazioni, ricalcarono le proprie orme, lasciando soli i tre Poli. Questi, avvezzi ai disagi dei viaggi, e pratici dei costumi Digitized by LjOOQle 30 e delle lingue t#taresche, continuarono la via per la grande e nobile Clemenfu, ove soggiornava il gran kan* Durò la peregrinazione tre anni perchè nel verno si fa¬ ceva poco cammino. L’itinerario non è facile a ben de¬ cifrarsi e paragonarsi colla geografia moderna, poiché la relazione confonde i luoghi veduti coi luoghi che Polo senti nominare; ma secondo i più recenti studi tocca¬ rono Tauris, Kaswin, Damgan presso la riva meridionale del Caspio, percorrendo cosi la via di Arcingan (Erze- rum?J che era la più frequentata dal commercio orien¬ tale. L’Armenia, cosi» dice, ha a tramontana la Zorzania (Georgia) ed è posta fra due mari, il Maggiore (Nero) e quello di Abaccu (Caspio). Quest’ultimo gira 2800 miglia ed è come lago, perchè non si mischia con altro mare e riceve parecchi fiumi siccome il Cur e l’Arasse. Non lungi sono Mus (Musch presso il lago Van) Mosul sul Tigri, e Meridin (Merdin al S. E. di Diarbekir). Nomina poscia Baldach sede del califfo (Bagdad), divisa da un gran fiume (il Tigri) e distante diecisette giorni per Balsera (Bassorah) daH’Oceano Indiano. Imbarcatisi a Bassora, pare venissero al famoso porto di Ormus nel- l’isoletta omonima aH’ingresso del golfo Persico, gran scalo commerciale in allora, oggi decaduto, e di là per Chiermain (Kirman) posta fra i deserti a Sapurgan (Sci- bergand) nel Korassan. Procedettero per Baloch (Balck) Kullum, Kunduz e Scassem a Balascian (Badakscian) alle sorgenti dell’Oxus. Qui si fermarono circa un anno essendosi Marco gravemente ammalato. Al passo di Pamir varcarono le gran catene dei Bolor e scesero a Casgar (Kaschgar) nobile città con bellissimi giardini. Vennero indi a Garcan (Yarkand) su un fiume omonimo, luogo ove si riunivano le carovane dirette al Catai (Gina set¬ tentrionale), poi a Kotan su un affluente di destra del Tarim. Da questa regione ancor oggi assai malnota per mancanza di esatti dati astronomici sulla giacitura dei luoghi principali i Polo entrarono nel gran deserto dell'Asia centrale che i Mongoli dicono Gobi ed i Ginesi di Sciam. Incominciando da Lob posta sul lago dello Digitized by Google 34 stesso nome impiegarono un mese attraversandolo in parte, giacché, dice la relazione di Marco, occorrerebbe un anno di tempo quando lo si dovesse attraversare nel senso della lunghezza. Al di là del deserto trovarono Sacion (Ka-ciu?) airestremo lembo occidentale del Catai 0 Cina, poi Campion (Can-ceu-fu) ove secondo il Pego- lotti si riunivano le due vie commerciali della Cina. Al nord,dodici giorni di cammino, trovavasiErsina (Yetsina?) e quaranta giorni di deserto al nord di Ersina la cfittà importantissima di ’Caracoran (Caracorum, capitale dei Tartari), che già abbiamo citata parlando del viaggio di Carpini. Presso Caracorum sono i monti Altay; poi per settanta giorni verso settentrione la gran pianura di Bargu (odierno governo d'Irkutsk in Siberia) e finalmente qua¬ ranta giorni dopo nella stessa direzione trovavasi il mare Oceano (Oceano Glaciale), nel paese delfoscurità. Nel¬ l’inverno non si vede il sole e Taere vi è tenebroso. Gli abitanti sono come stupidi e conducono nella state le pelli ai popoli vicini, che ne fanno traffico fin colla Russia. È questa una grandissima provincia che guarda a tramontana, ed ha popoli cristiani che seguono il rito greco. Dopo questa digressione, che dava un’idea abbastanza chiara delle vaste regioni dell’Asia settentrionale delle quali ninno fin dapprima aveva parlato, la relazione ri¬ piglia il filo del viaggio. Da Campion mossero a Erginul (Liang-ceu), Egrigaia (Ning-hia), poi per Sindicin e Cian- ganor a Xandu, posta a dieci giorni da Cambalu o Pé-^ kino, ove era Kublai. Da questo punto l’itinerario, già assai incerto, si fa dubbio più che mai. Humboldt, Marsden, Baldelli, Zurla, Burck, Bartoli, cd altri commentatori, non si accordano nel conciliare le indicazioni di Polo colla moderna geo¬ grafia della Cina. Nè fa meraviglia a chi considera le difficoltà quasi insormontabili preparate agli illustratori da molte circostanze concomitanti, quali sono l’incertezza ^essa di Polo, che dettando a memoria i suoi viaggi Digitized by LjOOQle 32 molti anni dopo doreva necessariamente avere dimen¬ ticato molto ed alterare i nomi, e le stroppiatnre pro¬ babilmente fatte dai pisano Rustigelo, o Rusticiano coi dettò in carcere i suoi viaggi, le quali assumono nei diversi codici trascritti posteriormente cento forme di¬ verse. S’aggiunge a ciò che Polo non dà le direzioni e le distanze che in modo affatto incerto ed approssimativo, e spesso in giorni che variano naturalmente col variare de’ terreni; che molti luoghi importanti a’suoi tempi ora sono spariti o decaduti, mentre ne son sorti dei nuovi; e finalmente (circostanza essenzialissima), che anche l’odierna geografia ed ortografia dei nomi cinesi è lungi dall’essere ben nota. Seguendo lo Zurla, che si attenne al testo pubblicato dal Ramusio (versione italiana di un codice latino sin¬ crono a Polo), ed il Bartoli che si tenne ad un antico codice Magliabecchiano, cercheremo la maggiore chia¬ rezza, accontentandoci della maggiore verosimiglianza ove manchi la certezza. Ancora mancavano quaranta giorni a raggiungere la sede del gran kan e già s’incontrarono ne’ messaggeri che egli aveva loro spedito incontro ; eccellente preludio del¬ l’accoglienza che fu oltre ogni dire amichevole. Il gio¬ vinetto Marco attrasse l’attenzione del potente sovrano e seppe tanto cattivarsene l’animo che ammesso fra gli uiìiciali del palazzo, sali ben presto ad influenza e*fn onorato di dilficili missioni. Pel lunghissimo spazio di diciassette anni, 1274-91, i Polo soggiornarono presso Ku- blai-kan, ed ebbero cosi ampia opportunità di viaggiarne in ogni senso l’ampio impero, di studiarne i costumi, le lingue, i traffici, i riti. Marco imparò quattro lingue principali, il mongolo, il turco, il cinese, ed il manciù e prese cosi bene le consuetudini del paese che il gran signore lo mandò più volte fin nelle più lontane pro- vincie, e per tre anni gli affidò l’alta carica di go¬ vernatore di Yang-ceu-fu, gran città nella provincia di Kiang-Nang. La seconda fase de’viaggi de’Polo, quella cioè che Digitized by LjOOqIc 33 riguardai loro viaggi in Cina e nei paesi limitrofi per in¬ carico 0 al seguito delle guerresche spedizioni del kan, è senza dubbio più difficile ad interpretarsi che non la prima e la terza fase che comprendono il viaggio d’an¬ data ^ quello del ritorno. Pare però fuor di ogni dubbio che Marco attraversasse più volte le popolose e vaste provincie del Catai e del Mangi (paese al nord ed al sud dell'Hoang-ho) fino all’India, e spesso risalendo le proprie orme. Da Cambalu (Peking) passò nel Scian-si a Tay-yuen-fu, poi nella provincia di Scian-si al mezzodì del fiume Caramoran (floang-ho). Vide Singan capitale del Scian-si, poi, passando una regione montaosa dì venti giornate e molte altre meno inospite, anzi in parte gre¬ mite di villaggi, vide Sindinfu (Cing-tu-fu) capoluogo della provincia di Se-ciuen. Poco dopo passò il gran fiume Quian (Yang-tse-kiang), il quale scorre per cento giorni fino all’Oceano, e continuando verso il sud-ovest o libeccio, percorse la provincia di Yunnan la più me¬ ridionale della Cina, parte dell’Assam irrigato dal Bra- maputra, e parte de’ regni di Mien ed Ava, nell’India mi¬ nore, ossìa nella parte boreale dell’odierna Indocina. Dal Mieh sembra volgesse al ritorno per una via alquanto più meridionale, e per Cintigui (Suciu nel Seciuen su un affluente di sinistra del Yang-tse) si restituisse a Sin- dinfu già nominata. Da alcuni cenni pare vedesse od avesse almeno notizie del montuoSo Tibet; ma affatto certe sono le peregrinazioni nelle provincie orientali o marittime di Quantung, Honan e Fokien. Descrisse assai diffusamente infatti Quinsai (Hang-ceu-fu) sotto L. N. 30° 20') a poche .miglia dal mare, Tangui (Yang-ceu-fu) da lui stesso governata per lo spazio di tre anni, Sa- yanfu (Siang-yang-fu), che nel 1268 si arrese a Kublai dopo un assedio nel quale si fe’ uso di macchine costrutte da Matteo e Nicolò Polo, Nanguin, Manking a ponente di Tangui, VenceU, e Fugiii, città marittime, e circa quin¬ dici giorni al sud di Fugìu, la gran città marittima di Zaitun, non lungi dal l’odierna Amoi, circa al 25° di la¬ titudine boreale, sul canale di Formosa. I Polo erano 3 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani, Digitized by LjOOQle 3 » ormai più Tartari che Veneziani, ma noni avevano di¬ menticata la patria, che anzi pare avessero vivo deside¬ rio di rivederla per godervi tranquillamente delle rac¬ colte ricchezze. L’imperatore, loro affezionatissimo per tanti servigi, li rimproverò d’ingratitudine, offrì d’ap¬ pagare qualsiasi altro desiderio, ma si oppose alla par¬ tenza. Fortunatamente un fatto inaspettato cavò i tre ve¬ neziani dairimpiccio. Giunse alla corte di Kublai un’am¬ basciata da parte di Argun, principe indiano, che chie¬ deva in matrimonio una principessa del sangue reale. Si scelse la bella Gogatin, che parti alla volta dell’In¬ dia col seguito, ma fece ben presto ritorno, non sem¬ brando prudente continuare il viaggio per provincie sediziose. Marco Polo, appena reduce da una spedizione marittima nel lontano Oceano Indiano, si offri agli am¬ basciatori sicura guida per la via di mare, che egli stesso aveva sperimentata sicurissima, ed il gran kan accondi¬ scese, generosamente accordando quattordici navi,.rive¬ stendo i Polo dell’alto carattere di suoi rappresentanti presso tutti i re cristiani, e facendo loro promettere che sarebbero tornati. La flottiglia, composta in parte di navi che avevano duecentocinquanta uomini d’equipaggio e vettovaglie per due anni, salpò da Zaitun dirigendosi a mezzodì. Qui sul principiare del terzo ed ultimo libro la relazione di Marco accenna al Cipangu (Giappone, Sci-pen-kue de’ Cinesi), isola distante 1500 miglia dal lido del Mangi, ampia e ricchissima, che Kublai aveva ten¬ tato indarno di soggiogare (1264) perchè la burrasca ne aveva disperse le flotte radunate a Zaitun e Quinsai. È questa la prima menzione del Giappone, ove i Portoghesi approdarono appena due secoli e mezzo più tardi (1542), e verso il quale Colombo volgeva fiducioso le prore quando pel primo solcava verso occidente l’Atlantico. Nel mare Gin (che cosi vien detto nella relazione il Grande Oceano o Pacifico) vi sono 7440 isole, quasi tutte abitate, e le navi di Zaitun impiegano un anno per an¬ darvi, poiché non hanno che due venti, l’uno dominante nel verno, l’altro nella state. Da Zaitun si navigò verso Digitized by LjOOQle mezzodì per il gólfo Cheinan (mare della Cina, Nao-hai 0 mare meridionale de’ Cinesi), che ha a scirocco il Mangi 0 Cina del sud. Vi sono isole infinite, e bagna il paese di Ziamba assai ricco (Cambogia e Cocincina). Navigando poscia a scirocco trovasi la grandissima isola di Giava Maggiore (Borneo?), la quale secondo i marinai è la più vasta del mondo, perchè ha un giro di tremila miglia, ed è piena di pepe, noci moscate, garofani, ed altre buone spezie. A settecento miglia ci sono le isole disabitate di Sondur e Condur (Pulo Condor?), poi a cinquanta miglia da queste vi è la terrafermà di Loeac (Siam?), le cui genti adorano gli idoli, hanno propria favella, non pagano tributo ad alcuno perchè è luogo di accesso dif¬ ficile, ed hanno incredibile copia di oro e di elefanti. A cinquanta miglia per mezzodì havvi l’isola Pantan presso l’isola Malaiur (penisola di Malacca). A cento miglia verso scirocco è l’isola di Giava minore (Sumatra) che gira 2000 miglia. Si divide questa in otto reami ed è tanto a mezzogiorno che non vi si può vedere la stella di tramontana. Partendo da Giava minore, cencinquanta miglia al nord della medesima, sono le isole di Nocueran ed Angeman (Nicobar ed Andaman), ed a ponente di quest’uUima la vasta Ceylan nella quale è il monte detto Picco d’Adamo. A settanta miglia a ponente da Ceylan si trova la provincia di Maabar (Malabar), e ^ra Ceylan e questa v’è il golfo delle perle (golfo di Manaar). L’acqua non vi è più alta di dieci 0 dodici passi (stretto di Palk). Nominansi quindi i diversi reami dell’India, siccome quelli di Monsul, Loar, Culam, Cumarì, Dely, Guzerat, Malabar. Dely non ha porti, bensì è.attraversata da un gran fiume che ha due bocche in una spiaggia bassa e sabbiosa (Gange). Il regno di Chesmacoran abitato da idolatri e saraceni è il più occidentale di tutta l’India maggiore. Si citano soltanto i regni marittimi giacché troppo lungo sarebbe, cosi dice la relazione, addurre i reami interni. A cinquecento miglia in alto mare oltre il Chesmacoran (Mekran?) verso mezzodì vi è l’isola.di Socotera (Socotora), e mille miglia più innanzi nella me- Digitized by LjOOqIc 36 desìma direzione la grand’isola di Magastar (Madaga» scar), una delle maggiori del mondo, con un circuito di tre mila miglia, abitata da Saraceni. 11 mare corre tanto ▼elocemcnte verso il mezzodì che le navi dirette a Zan¬ zibar 0 a Magastar impiegano venti giorni nell’andare, tre mesi nel ritorno. Studii recentissimi hanno infatti stabilito questo fatto vagamente indicato da Polo, sco¬ prendo la corrente malabarica che ha origine al capo Comorino e che dall’ottobre all’aprile corre veloce verso il canale di Mozambico. Evidente è l’allnsione alla costa orientale africana che Polo non vide, ma intorno alla quale raccolse notizie da buona fonte, colà ove si dice che presso a Magastar è risola Zanzibar, dove « la gente è grande e grossa, » ma dovrebbono essere più lunghi alla grossezza ch’egli » hanno, e sono tutti neri e vanno ignudi... e sono i loro > capegli tutti ricciuti, egli hanno gran bocca e’l naso » rabbuffato in suso e le labbra e le nari grosse eh’è » meraviglia.... Egli hanno molti leonfanti e fanno grande » mercatanzia de’loro denti, e leoni assale lonze e lio- » pardi. Ed hanno tutte bestie divisate da tutte quelle » del mondo » (1). Le 12,000 e più isole fra abitate e deserte che trovansi sparse nel mare dell’lndie, come gli venne assicurato da esperti marinari, sembrano dover essere gli arcipelaghi delle Maldive e Lacchedive, com¬ posti di numerosissimi e piccoli scogli. Della costa arabica nomina Aden, e quaranta miglia a scirocco Escier, porto mercantile, e venti miglia più a scirocco Dulfar, altro porto, indi Calaiti, soggetto al principe di Ormus. Anche questi luoghi però non furono veduti dai Polo, perchè da tutti gli iridizii e coll’una¬ nime parere de’commentatori pare che dalle coste di Malabar egli navigasse direttamente ad Ormus, dopo diciotto mesi di navigazione ne’mari che sono all’oriente éd al mezzodì delPAfrica, fino allora sconosciuti agli (1) Secóndo 11 codicè magliabócciiiiino pubblicato dal signor Bartoli, capitolo 168. , ■ . i- ■ Digitized by LjOOqIc 37 Enropei. Allorché la spedizione giunse in Persia, decimata dalle malattie e dagli stenti, trovò che il principe Argon m morto qualche tempo prima, e chedl paese era sotto¬ sopra per la lotta fra l’usurpatore che occupava il trono- e Ghazan figliuolo del defunto monarca. Che avvenisse della bella principessa cinése che Polo aveva scortata dai lidi di Gina a quelli di Persia, non é noto, bensì è certo che i nostri viaggiatori, protetti dalle lettere del gran kan loro benefattore ( morto in quel tomo, nel gennaio 1^4), vennero peé terra, attraversando la Persia, a Tauris, poi nell'Armenia, indi a Trebisonda, ove s’imbarcarono sul Mar Maggiore per Costantinopoli e di quivi per Eubea e Venezia. Ripatriati nel 1295, dopo un’assenza di venticinque anni, i tre Polo non fnròno riconosciuti dai parenti su¬ perstiti. L’aspetto, i modi, le vesti, la pronuncia stessa avevano dei Tartari, fra’ quali avevano fatto cosi lungo soggiorno. Narrò il Ramusio (circa il 1550) che avvenne loro ciò che ad Ulisse reduce da Troia in Itaca dopo venPanni di lontananza, e che andati al loro palagio in San Giovanni Grisostomo, dorarono fatica a farsi rico¬ noscere ed a riavere i loro legittimi possessi. Aggiunge avere udito da Gaspare Malipiero, senatore, raccontare un aneddoto, che questi tradizionalmente aveva rice¬ vuto dal padre e dall’avo, secondo il quale i Polo, invi¬ tati i parenti ad un. convito, vi comparvero vestiti di preziosissime vesti, e scucirono dagli abiti sdmsciti, che indossavano al momento delTarrivo, una enorme quam tità di rubini, zaiRri, carbonchi, diamanti e smeraldi, stati loro regalati dal gran kan. « Allora, continua il » Rammsio, gli astmti furono compresi di meraviglia, » e conobbero veramente ch’erano quegli onorati e va- j> Vorosi gentiluomini da ea* Polo, di che prima dubita- » vano, e fecero loro grandissimo onmre e riverenzia. • Maffllo (Matteo) ebbe da’suoi concittadini un magistrate > di molta autoritk, e tutta la gioventù andava ogni » gibrao a visitaré messer Marco, il quale essendo iim»> nissimo e graziosissimo, gli demandavano delle cose Digitized by LjOOqIc « del Cataio e del Cane, ed egli rispondeva con tanta » benignità che tutti gli restavano obbligati. E poiché -» nel continuo raccontare ch’egli faceva delle grandezze s» del Gran Cane, dicendo l’entrate di quello essere, da '» dieci in quindici milioni d’oro, e cosi di molte altre » ricchezze di quelli paesi rifériVa tutte a milioni, lo co- M gnominarono messer Marco Milioni, che cosi ancora » ne’libri pubblici di questa repubblica, dove si fa men- .» zione di lui, ho veduto notato, e la corte delta sua j> casa a San Giovanni Grisostomo da quel tempo in qua è ancora volgarmente chiamata del Milioni». Vogliono altri che lo scherzevole soprannome del Mi¬ lioni venisse dalle portate ricchezze, ma ciò che è certo e piò importa constatare è che fino dai tempi di Marco ■corse per l’Italia la fama de’suoi viaggi e con essa il soprannome datogli dall’incredulità^ Duole lo scetticismo e più lo scherno; ma dàlie parole stesse di Giacomo d’Àcqui (cronistà contemporaneo)^ che asserisce èsservi molti tardi nel capire le cose e quindi pronti ad accu¬ sare altrui di menzogna, ed avere molti zelanti to^en- tato il Polo lino in ponto di morte affinché toglile dal suo libro il tailso (fevocaret quod superflue scripsemt quia inclrediMlia magne et maxime tepermntur), risulta ohe la fede ne’viaggi di Polo fu poca à’suoi tenipi, ma che s’ac- •crebbe sempre più in seguito col . crescere delle ^ geo¬ grafiche nozioni intorno . aU’Asia. Nè difficile a i spie¬ garsi è tanta dubbieba in que’tempi ignoranti, qilando sieotnsideri come Polo dovesse coutinoamenteiparlare di regioni estesissime, di popoli numerosissimi , di enormi distanze, di ingenti ricchezze^ svelare insomma un nirovo mondo, ben più variato e ricco di^ quello che »Be|»rl più tM’di Colombo. —< ! Due questioni. principali, s’attaccano a Marcio Polo. .Quando cadde nellemanii de’Genovesi?'In qual lingua scrisse la sua rolasÉone ? Ed< ambediue traggdnb là. loro importanza dalPimpórtanza grandissimaxui è giunta la jcelazume di Polo ai hostriitPmpi; come quella che .è la più antica sul l’Asia, osaià > Isull^ guigsiòf ' parte ^'dell’antico Digitized by Google a© móndo. Secondo i( Ramnsio, pachi mesi dopo il ritorno dei Pelo» Lampa Boria con settanta galee genovesi ap¬ parire . minaccioso presso, l’isóla dì Corzcda; laónde la Signoria gli mandò contro'novanta galee sotto Andrea Dandolo che rèstò sconfitto, e Marco Polo,il quale coman¬ dava una galed, venne ferito e tratto prigióne a Genova. Questa battaglia avvenne 1*8 Settembre f298, e quindi tre anni dopo il ritorno. Generalmentè gli illustratóri ammettoBO il fatto, ma il signor avvocato M.G. Canale, autore della Stono di Genavai Io nega recisamente, e citando il cronista Giacomo d’Àqui (1), ammette che Polo restasse prigione nella battaglia: vinta dai Genovesi próssò il porto di Aiazzo il 2 giugno 1S94. Il signor Bartoli nella dotta prefazione che fa precedere alla sua edizione de’viaggi di Polo, esaminate a lungo le questionile la ' diversa autorità de’codici, propende a credere che il Polo fosse preso a Curzola nel 1298 e che Ramusio abbia errato, sia indicando i pochi mesi decorsi daH’arrivo alla battaglia, sia implìcitamente ammettendo un lungo soggiórno di Marco in Genova, essendo stati scambiati i prigionieri e fatta la pace il 25 maggio 1299, com’ è mostrato dal Canale. E questo risultato è avvalorato dalle circostanze che, meno il cronista d’Aqui, nessuno fra gli scrittori posteriori che parlano del fafto di La- iazzo, fa menzione del Polo, sebbene questi nel secolo XIV fosse già celebre e noto a tutti. Nelle carceri genovesi dettò il Polo il racconto dei suoi viaggi a un Rustipiano da Pisa suo concaptivo, e, restituitosi a Venezia nel 1299, prese in moglie una Donata, dalla quale ebbe tre figliuole. Fantina, Beitela e Moretta. Nell’anno 13^ (il suo settantaduesimo)rf^ó testamento, e pare morisse poco dopo. Venne sepolto (1) c Factumstt ptaelmn de Armwia apad qui dioitur Lagat de XV ffaleis mercatorum lanuensium, XXV Venetorum et post praelium magnurn debellatae, Galeae venetorum occiduntur et ca~ piuniur omnes, inter quos capitur dominus Marchus Venetus . qui ^tux eqt MiUfones, quod est idem quod diviàae milk mUia et me vocatur in VeneoUs *. Codice 526, dell’Ambrosiantt. Digitized by LjOOqIc *0 comé il padre nella chiesa di S. Lorenzo; La famiglia si estinse nel 1418 in Marco Polo càstelland di Verona e l’nltimo rampollo fa Maria, che sposò nel 1424, lAzzo Treriràn, dal qnale discese Marc' Antonio Trèrisah, Doj^ di Venezia ai tempi del Ramasi o (1SS3>S4) (1). In qnale lingua fu scritta in origine la relazione che Polo dettò a Rusticiano? Narra il Ramnsio che, grazie alla sna fama. Marco Polo trovò in Genova molte age¬ volezze, e . che sebbene prigione malti correvano a ve¬ derlo, cosicché obbligato a ripetere sempre' le stesse cose, si decise a mettere in scrittura i suoi viaggi, e, fatti venire da Venezia i memoriali, li dettò ad un gen¬ tiluomo molto suo. amico che si dilettava grandemente di sapere le cose del mondo. Aggiunge che questo scrisse in latino, ma siccome i codici sparsi in tutte le biblio¬ teche d’Europa offrono notevoli variamenti nell’ ordine dei capitoli, e sono scritti ora in francese, ora in latino, ora in dialetto veneziano, ora in italiano, non è molto facile distinguere l’originale dai posteriori. Apostolo Zeno, Burck, e Marsden credettero che Rusti- ciano si servisse del dialetto veneziano; Ramnsio invece (t) Ecco come si potrebbe ordinare, per quanto è noto, la famiglia Polo, secondo i dati raccolti dallo Zurla e dal Bartoli: Andrea Nicolò, morto c. 4300 Matteo (dal primo letto) | I I Marco, morto c. 4386 Giovanni Stefano Matteo Moretta Fantina Bellela Marco, morto 4 44 Ut Maria sposa di Alzo Trevisan nel 4424 I Domenico Trevisan, capitano Marc’ Antonio Trè- visaa,dofeinl4663; Digitized by Goosle 41 disse cbe scrisse in latino, e pubblicò nella sua gran Maceplta di viaggi un testo italiano perchè 1’ originale era andato smarrito. Altri opinarono fosse scritto in fran¬ cese, ed Andrea Mullerj commentatore del xvii secolo, disse che Polo essendo . Teneziano scrisse in italiano; ut vfneius eral, italice scripsit. Dibattutasi a lungo la questione fra i dotti,, pare abbia ottenuta ornai la sua soluzione. Il signor Bartoli, esaminati e confrontati i codici nella loro edizione, tenendo conto dei caratteri esterni ed interni dei medesimi, e del tempo in cui fu¬ rono scritti, ammette per certo col Murray che l’origir naie sia il Codice parigino della Biblioteca imperiale, N° 7367, descritto da PauUn Paris e pubblicato da uo¬ mini autorevolissimi sotto gli auspici della Società geo¬ grafica di Parigi nel 1824 (1). Vi si dice nel prologo che, essendo Polo nelle carceri di Genova l’anno 1298, fece scrivere questo libro a Rusticiano da Pisa, come lui prigioniero, e che venuto a Venezia il Sire Tibaldo de Cepay che si recava in Oriente, Polo stesso gli consegnò le prime copie del suo racconto. Codesto cavaliere consta infatti che passò a Venezia nel 1305 e vi si abboccò col Polo probabilmente per raccogliere notizie sui paesi verso dei quali moveva con importante missione poli*- tica. Tutto, perfino i difetti, concorrono a dare auten¬ ticità al codice citato. £ una lingua mista di veneziano e francese, una forma che rappresenta al vero il rac¬ conto di chi, parlando ed avendo da tenere dietro al filo delle idee e da frugare nei ripostigli della memoria, ripete le cose temendo averle dimenticate, parla ora in prima, ora in terza persona, ora tronca improvviso il racconto, ora si dilunga sulle minime circostanze, come fa chi va’ raccapezzando. Da questa lezione primitiva sarebbero venute tutte le traduzioni e compilazioni po¬ steriori nelle varie lingue, e dai manoscritti le edizioni stampate. . (l) Reami de voyages et de mémoires puòM pa^ la Soeiété de Paris, d!Éverat, Digitized by LjOOQle ì% Sònó-qae6té cinquantanòVe, delle quali diciassette eum- Jiarse nel nostro secolo. L’edizione più antica e raris» ■sima è quella fatta dal Sessa in-Venezia nel 1406, sul Codice della Biblioteca di San Marco, assai preziosa seb^ bene sfacciatamente adulterata. La pebnltima è quella del sig. Bartoli. L’ultima quella pubblicata con tutta eleganza a Parigi nel 1866 dal sig. Pauthier, che mostra le sue opinioni circa l’originale del Polo, nello stesso titolo del libro stampando : « Le livre de Marco Polo redi^ en franmis ^oUs sa dictée en 1208 por RUsticien de Pise, publié pour la première foie etàprès troie rnanù- scrits inèdite de la Bibliolhèque imperiale de Paris, pré- sentant là rédaction primitive du livre, révtte pair Marco Polo lui méme, et donnée par lui en 1307 à Thiedtaùlt de Cepay. (Vedi pag. 7). È Io stesso codice raccomandato dal Bartoli come ottimo, confrontato con altri codici francesi. Sembra adunque risolta la vecchia questione, massime se si pensa che dagli studi recenti apparisce es¬ sere il Rusticiano da Pisa, che scrisse la relazione, quel medesimo che sul cader del xiii secolo viaggiò a lungo Fraficia ed Inghilterra e scrisse in prosa francese i ro* manzi della Tàvola rotonda di Artu, e di Girone il Cor¬ tese, abbreviando i lavori più antichi di Elia de Barrou ed altri. Pienamente somiglianti sono infatti nello strano stile la relazióne de’ viaggi di Polo e codesti altri scritti d’indole cavalleresca. ' Delle cinquantanove edizioni di Marco Polo, vènti comparvero in Italia, tutte le alhre iii paesi strahierii Questo prova l’interesse generale destato da un libro^ che per secoli fu l’unico sull’Asia, e che oltre giovare alla geografia, come si rileva dai pochi cenni dell’itinerario che già abbiamo dato, contiene molte'Utili indicazioni sulla storia, le lingue, i costumi, i prodotti, gli animali, il commercio di quelle meravigliose regioni, che sono ancor oggi, se non in tutto, in gran parte, un mistero. Prima di staccarcene affatto, ricordiamone alcuni punti più salientL,, . . «Della Cina e della Corte di Kublai-Jian, il nostro Digitized by Google 43 viaggiatore, come è ben naturale, tratta assai ampiamente, nè gli doveva essere diffìcile ricordarsene dopo avere occupato per tanti anni alte cariche presso quel gene¬ roso monarca. Delle città alcune descrive minutamente, altre nomina frettoloso. Nelle montagne al sud di Balk, vi sono, dice, grossi strati di sale di rocca, a cercare il quale la gente viene d? tutte le parti, e perfino da distanze di trenta giorni di, (cammino. K di eccellente qualità ed è tanto abbondante bastare al consumo dì tutto,,il. ipondq. A seirfidp^ distanza v’è il paese di Balescia (Badaksciarijkifiiyf'»i)iifj8 una lingua peculiare ed i cui re pretendojtao4iff6|/|Ì41!u dal grande Alessandro. Diciassette giorni ywnnngipitzodi c’è il Che- smur (Cachemir), ove dominano gl|,incantesimi e si for¬ zano gli idoli a parlare e ad oscurare il giorno. Su una montagna, che si diceva la più alta del mondo, l’aria è così fredda che non ci si vedono uccelli, e per¬ fino il fuoco vi arde più debolmente, nè cuoce le vi¬ vande colla stessa prestezza che altrove. Descritto Sa¬ marcanda, Rotan, e Kastigar, come pure la provincia di Sartem, nella quale la popolazione dopo la messe era «olita sotterrare il grano cancellando cautamente le traccte de’ suo’i passi, entra nel deserto di Lob. Esso è tanto sterile che le provvigioni dovevansi caricare insieme colle merci sugli asini e i cammelli, e, se veni¬ vano a mancare, bisognava uccidere e mangiare le bestie da soma. Anche l’acqua è tanto scarsa che spesso la carovana, sebbene poco numerosa, ha a patire la sete. 11 deserto è abitato da spiriti maligni, che si divertono ingannando con voci i viaggiatori e li fanno smarrire; talvolta invece fanno in modo che un’altra carovana sembri passare a breve, distanza, o che si vegga avan¬ zarsi da lungi un minaccioso stuolo d’armati;. Per ov¬ viare ad ogni sinistro bisogna procedere con tutte, le precauzioni, appendere sonagli alle bestie, e porre la sera dei segnali che indichino la direzione a seguirsi il mattino vegnente. Al di , l.à del deserto Lop. vi A Sa- ehioni nella: provincia di Tangut. iSli abitanti ndn eseiv Digitized by LjOOqIc u citano nè industrie, nè traffico, ma vìvono intièràmeitte de'prodotti del terreno. Nella provincia di Carnai, poco lungi da Sachion, gli abitanti sembrano nati soltanto ‘ per divertirsi, poiché consacrano tutto il tempo al ballo, ^ •al canto, ed ai giuochi. Parlando de’Tartari, dice che ‘ pascono grandi armenti, greggi, cavalli e cammelli I infiniti. Nell’estate stanno sui monti; neU'invemo pas- ' sano alle regioni più mezzodi, percorrendo ^ spesse volte H|bM|||pnza ÙÌI due o tre mesi di viaggio. ^ Hanno capann^^Prufte di sottili“piftti^e coperte di * feltro, e di fwéH'fÙtonda che tl^tpbrtano seco su carii a quattro ruo lj^g óftoofièsti o^eiPti per modo che la ’ pioggia non v^n|lta6tta,'iMe mogli co’bambini e colle ‘ masserìzie vi staùóo a idM agio. Nella montagna Aitai > si seppelliscono i gran kan, ed a qualsiasi distanza questi muoiano, colà se ne portano le spoglie. Per via i cava- ' Meri tartari uccidono allora quelli che incontrano, di- ì cendo; cVa all’altrì) mondo a servire il tuo padrone». '> Uccidono anche i migliori cavalli,'perchè il defunto se i ne possa valere. 1 yek o buoi tartari vennero per la prima volta descrìtti da Polo, che li dice certi buoi grossi \ quasi come elefanti, di pelo corto, bianco e nero; ma sulle spalle lungo tre palmi, finissimo, e di un bel color i bianco. Il maschio sì toglie da un animale grosso cóme una capra, di pelo simile a quello del cervo, con piedi e coda somiglianti a quelli della gazzella, ma senza corni. Ha due denti, che escono dalla mascella supe¬ riore, lunghi tre oncie, e bianchi come avorio* Presso Scìang-tu nel Tangut si vede il magnifico palazzo di Kublai, d’arte maravigliosa. Lo cinge un parco di sedici miglia di circonferenza, nel quale nessuno può entrare se non passando per il palazzo. I prati si alternano coi boschi, e co’laghetti, e li percorrono daini, caprìuòli e cervi. Nel mezzo vi è un chiosco di legno die riposa su colonne riccamente dorate e verniciate. Intorno a ciascuna -colonna un dragone dorato avviticchia la coda, mentre col capo regge il tetto sporgente e stende a-destra e a sinistra gli artigli lungo il cornicióne. Il tetto è-fòr- Digitized by LjOOqIc 4 & mato di canne di bambù,, ancb’esse dorate e verniciate in modo che non vi penetri la pioggia. Moltissime corde di seta collegano il tutto per assicurarlo contro la vio¬ lenza de’venti, e tanta è la maestria con cui è costrutto, che ad un cenno del gran kan se ne staccano o ricom^ pongono le singole parti. Il gran kan possiede una mandria di cavalli e giumente bianche che sono forse diecimila. Del loro latto nessuno può bere fuorché i discendenti di Gengis-kan e di upa famiglia chiamata Boriat, cdi era stato concesso questo privilegio dal ce¬ lebre conquistatore per operate prodezze. Tanto era il rispetto che si aveva per qnei cavalli, .che mentre erano ^ pascolo nelle praterie o nelle foreste reali nessuno osava turbare i loro movimenti. «Kublai-kan, dice la relazione, è di statura mezzana, ben fatto e biondo. Ciascuna delle sue quattro mogli di primo grado porta il titolo di imperatrice, ha corte se¬ parata, e più di trecento donne, tutte di gran bellezza, al suo servizio; oltre una moltitudine di paggi e came¬ riere. Vi sono poi le concubine delTimperatore, scelte generalmente dall’Ungut, provincia famosa per la bel¬ lezza degli abitanti, ove gli uiliciali récavansi ogni due anni o anche più frequentemente a fare incetta di fan¬ ciulle. Nell’ inverno il gran kan dimora sempre a Cam- balu (Pekino), alla frontiera settentrionale del Catai (Cina del nord); ma avendo sentito dagli astrologi che questa città doveyaglisi ribellare, ne fondò un’altra a breve distanza, detta Tadu, di forma quadra e con sei miglia di lunghezza per ciascun lato. La circondano bastioni di terra larghi dieci passi alla base, assai più stretti alla cima. Sono interrotti da dodici porte (tre per lato) e sopra ciascuna è fabbricato un sontuoso pa¬ lagio. A. ciascun angolo delle mura vi è una caserma pèr le guardie della città, che ammontano a mille uo- ittini-per porta. Fuori della città dodici sobborghi si stendoùo per diverse miglia da ciascuna porta e conten¬ gono un numero d’abitanti molto maggiore che non la ^ città inropria. Vi sòno alberghi per i. viandanti e diversi Digitized by LjOOQle 46 quartieri per le varie nazioni. Al mezzodì di Tadu è un altro palazzo di Kublai-kan. È compreso in un vasto ricinto quadrato, avente otto miglia per lato ed un muro che lo gira. Questo è flancheggiato da un fosso ed ha una porta nel mezzo di ciascun lato. Ad un miglio di distanza del primo muro trovasene un secondo, e lo spazio intermedio è destinato alle evoluzioni delle truppe, li secondo muro ha sei porte, tre nel lato settentrio¬ nale, tre nell’opposto. La porta di mezzo è magnifica¬ mente adorna essendo riserbata al solo imperatore. A notevole distanza dal secondo era un terzo muro paral¬ lelo ai due primi e racchiudente uno spazio quadrato. L’intervallo è foggiato a parco con gran varietà di piante e selvaggiume. Àgli angoli stanno i magazzini per il servizio del palazzo. Entro il terzo muro è il palazzo senz’altro piano che il terreno, con vaste sale ornate d’immagini di draghi, guerrieri, uccelli, battaglie, miste a dorature e vernici dai risplendenti colori. Il tetto esteriormente è colorito in rosso. Non lungi dal palazzo una deliziosa collina, coperta di alberi sempre verdeg¬ gianti, si specchia in un laghetto pieno di pesci, cigni, uccelli acquatici». Marco Polo fu il primo europeo che visitasse la Cina, ma in molte parti la sua relazione mirabilmente s’ac¬ corda con quella di lord Macartney; di Staunton e di altri europei che ebbero opportunità di vedere quel paese e le reggie de’suoi monarchi, senza pure avere tutti gli agi del consigliere di Kublai. Ecco ancora al¬ cuni importanti particolari tratti dal suo libro. < Tutta la parte al nord del fiume Giallo (Hoang-ho) porta il nome di Catai, la parte al sud quello di Mangi. E questa la più ricca provincia del mondo orientale, Circa l’anno 1269 era soggetta al re Fanfur, ricco e pacifico, ma troppo fidente nel destino ed avverso alle armi. Era tanto buono che faceva allevare migliaia di fanciulli abbandonati dalle loro madri. Kublai-kan, re de’Tartari, sommamente belligero, mandò contro Fanfur il generale Chin-san-bayan, nome che significa l’uomo Digitized by LjOOQle « dai c«Dto occhi. Questi ben presto vinse i Cinesi, sicché Fanfur spaventato fuggi sulle sne navi in un’ isola, ove restò lino alla morte. Chin-san-bayan assediò la città reale di Quin-sai, difesa validamente dalla regina, ma che cadde allorché questa, conosciuto il nome deU’as- sediante^ vide avverata una fatale predizione. Kublai la provvide di un largo assegnamento . Parlando delle città di Yangui Marco fa modestissima menzione dell’alto incarico di governatore allidatogli da Kublai, onore cui dilTicilmente giungerebbe oggigiorno in Cina un Europeo. «Partendo da Tingui e camminando per un giorno al sud-est per un bel paese pieno di castelli si trova una grande e nobile città detta Yangui, che ha sotto di sé ventisette grandi città mercantili. In questa città risiede uno dei dodici baroni del gran kan, giacché essa é eletta per sede di uno dei dodici saggi. Hanno essi monete di carta e dipendono dal gran kan, e messere Marco Polo stesso, colui del quale parla questo libro, ebbe per tre anni la signoria di quella città (1). Nel Mangi è anche la città di Saianfu, nell’espugnare la quale Kublai si valse dell’opera di Matteo e Nicolò Polo, che costrussero macchine atte a gettare enormi sassi come s’usavano in Occidente. A quindici giorni da Saianfu é Singui che fa immenso commercio. Il numero delle sue navi é prodigioso, essendo situata sul Kiang che è il maggior fiume del mondo, colla larghezza in alcuni luoghi di sei, in altri di otto, in altri di dieci miglia. La lun¬ ghezza del corso supera cento giorni di cammino, ed il (1) Quatti V en se pari ie Tingeri, il àia por yseloc une jornée por motU belle contrée la oa ilachastiausetcasausasez, et adone treuve une mòle dté et grmt qe est apellés Yangui, et sachiés q" eie est si grani et si poisant qe bien a soni sa sein— gnorie vingt sept cités grani et ìmnes et de grani mercandies. En ceste cité siet un des douze baronz dou grani Kaan, car elle est esleué por «n des douze sajes. Lor monoie ont de carte et sunt au grani Chan et meser Marc Poi màsme, celuì de cui trote ceste ■liore, sàngneurie ceste dté por troie anz. Gap. CXLIV del Codice francese pubblicato dai Barloli. Digitized by LjOOqIc ia gran volume delle sue acque vienè dal gran numero di affluenti navigabili che gli sono tributarii ed hanno le sorgenti in remote regioni. Molte città e borgate sono situate sulle sue rive, e più di dugento grossi luoghi abitati con sedici provincie godono del vantaggio di sua navigazione, ed enorme è la quantità della merce che si trasporta sul fiume a monte e a valle. A Singui si contano talvolta fin cinquemila piccole navi, ciascuna delle quali può portare parecchie migliaia di cantari dì Venezia. Le corde delle navi non sono di canapa, ma di giunchi, e servono a rimorchiarle su fiumi, nei quali spesso si specchiano alte rupi coronate da pagode ed altri edifizi. A tre giorni di cammino da Vagin si trova la città di Qninsai (Hang-ceu), nome che significa città celeste e,che ben lo merita a preferenza di qualsiasi altra città del mondo, perchè per l’ampiezza e per le sue de¬ lizie è un vero paradiso. Dura in giro cento miglia, ed ha dodici mila ponti di pietra, sotto la maggior parte dei quali possono passare le navi. La città ha dodici arti o mestieri, ciascuno dei quali ha migliaia di stazioni (bot¬ teghe?), ciascuna con dieci, venti, e fino quaranta per¬ sone che studiano questo o quel traffico. È un grande emporio che fornisce molte contrade. Gli uomini capi¬ maestri e le femmine alla direzione de'* mestieri nulla fanno di loro mano, ma se ne stanno delicatamente come se fossero re, e le donne come se fossero cose angeliche. Verso mezzodì vi è un lago che gira trenta miglia (Si-hu) e dintorno al medesimo case fatte meravigliosamente, monisteri, e badie di idoli. Nel Iqgo vi sono due isole e su ciascuna un ricco palagio ove si fanno le nozze e i conviti, e v’è tutto quanto occorre nelle festevoli occa¬ sioni. Nella città sono molte belle case, e torri ove le persone portano le robe loro quando scoppia qualche in¬ cendio, il che avviene spesso essendo le case di legno. Vi sono delle grandi piazze ad uso mercato assai distanti runa dall’altra e per mezzo di canali unite al fiume. Sono fiancheggiate da edifici di pietra che servono di magazzini ai mercanti dell’India e di'altre contrade. Gli Digitized by LjOOqIc ' 49 abitanti non si fanno scrnpolo di mangiare ogni specie di animali per quanto immondi. Fanno grande uso di bagni, i cui edilizi ascendono a ben tremila. La popola¬ zione si conta per tomani di fuochi; ciascun tornano è di diecimila fuochi. Ciascun capo di famìglia scrive sul suo uscio il nome delle persone che da lui dipendono e tiene sempre la nota in buon ordine ora cancellando, ora ag¬ giungendo. Cosi anche gli albergatori. A venticinque miglia da Quin-sai trovasi sul mare il frequentato porto di Ganpu (Ningpo?). Adiacente alla provincia di Kinsai è quélla di Conca colla capitale Fugiu ». Pare che Polo viaggiasse anche le provincie occiden¬ tali della Cina verso il Tibet, a giudicare da quanto narra di certe alte e deserte pianure, con laghi salsi, gazelle ecc. Del paese di Ziampa dice che era tributario della Cina, e che il re aveva nientemeno che trecento- venticinque figli fra maschi e femmine. Di Sumatra narra che si usava estrarre da certi alberi un midollo che pre¬ parato nell'acqua si riduceva poscia in farina ed aveva grato sapore come d’orzo; certamente il sago o qualche vegetale alfine. Dell'India parla più confusamente come chi s'alfida a ciò che ha sentito da altri ; è però il primo che nomini il Bengala e faccia menzione de’ Bramini, non soltanto come casta religiosa, ma anche come ceto di dotti e negromanti, senza l’aiuto de’ quali non si cre¬ deva possibile alcuna impresa. Quando muore il marito, la moglie si getta nello stesso suo rogo, ed unisce le sue alle ceneri del marito. Sono tanto superstiziosi che spesse volte essendo in viaggio volgono addietro per uno starnuto o per avere visto un uccello. Agli idoli offrono cibi e bevande, e vi ballano e trescano sfacciatamente dintorno. Sulla costa d’Africa vi è il paese d’Abascia (Abissinia) il cui re è cristiano, ma domina anche sui maomettani. La relazione di Polo contiene senza dubbio molte esa¬ gerazioni, massimamente in fatto di cifre, ma, tenuto conto del secolo in cui scrisse e degli spropositi introdotti ■dagli amanuensi, non si può a meno di stupire sull’in- 4 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani, Digitized by LjOOqIc 50 * gente copia di fatti e di osservazioni ch’egli ha raccolto. Tale è Topinione di Carlo Ritter e di tutti i commen¬ tatori. Desborough Cooley, celebre geografo inglese con¬ temporaneo, opina egualmente che il carattere gene¬ rale di verità nella relazione di Polo è cosi accettato dai critici che il suo silenzio suìTuso del thè, o sulla gran muraglia cinese, non basta ad infirmarlo, e spie¬ gasi facilmente dalle circostanze che presiedettero alla redazione dello scritto. 1 libri di Erodoto riboccano di grossolane credenze, e pur si leggono colla dovuta venerazione. Due grandi fatti emergono implicitamente dal racconto di Polo ed esercitarono senza alcun dubbio grandissimo impulso sulle imprese dei posteriori esploratori. Essi sono; la possibilità di circumnavigare l’Africa al mez¬ zodì, e quella di raggiungere per la via d’occidente le meravigliose città di Zaitun e Quinsai sui lidi del Ca- taio, 0 l’aurifero Gipangu, all’estremo confine orientale del mondo conosciuto. Lo storico portoghese Barros narra che Colombo fu invogliato a navigare verso oc¬ cidente dalla lettura delle cose orientali del regno di Cataio, e Colombo stesso in una sua lettera (stampata a Basilea nel lo33) dice a proposito di Cuba « tam mor gnam inveni ut non insiilam sed conlinentem Cathaipro- vinciam esse crediderim ». Queste parole stesse però mo¬ strano che troppo oltre andò lo Zurla quando conget¬ turò che Polo facesse qualche menzione del continente americano, giacché non una parola contiensi nella re¬ lazione che possa in siffatto modo interpretarsi. Come sarebbe sfuggita a Colombo se vi fosse stata? Chiudiamo adunque colle belle parole dell’orientalista C. F. Neu- mann le quali si leggono nelle sue note alla versione te¬ desca fatta da Biirck : « Marco Polo è tanto lontano da » ogni finzione e vanteria, che noi possiamo presente- » mente con poche eccezioni additare i luoghi e le città » da lui descritte ; ed ogni severa indagine, ogni nuovo » viaggio nelle regioni da lui percorse, aggiunge una » nuova fronda alla corona di quel nobile veneziano Digitized by LjOOqIc 51 Non è alfatto improbabile che la cortese accoglienza fatta dagli imperatori mongolia! primi missionarii cat¬ tolici nella Cina fosse dovuta in parte al rispetto che si aveva per la memoria dei tre Polo, già ammiragli e consiglieri del potente conquistatore Kiiblai. Il primo missionario che giunse a Pekino il più celebre nella schiera di quegli uomini pii che spiegarono tanta pa¬ zienza e perseveranza neir umile loro mandato, fu un altro italiano, frate Giovanni da Montecorvino, minore osservante. Da parecchi anni trovavasi neirOriente, quando papa Nicolò IV, correndo il 1288 (poco prima del ritorno dei Polo), gli ordinò di passare dalla corte di Persia airindia per diffondervi il cristianesimo. Pare che sussidiato da altri frati, siccome Tommaso da Tolentino e Nicolò da Pistoia, operasse non poche conversioni, massime in Ma- liapur presso Madras ove dimorò più di un anno. Passò poscia in Cina, e, malgrado l’opposizione della setta cri¬ stiana de’Nestoriani, fondò in Pekino una comune cri¬ stiana e vi costrusse un tempio, finché nel 1306, cretto l’arcivescovado di Pekino, Giovanni vi fu consacrato ar¬ civescovo. I suoi sforzi malgrado l’opposizione de’Ne¬ storiani, furono coronati da felice esito, poiché battezzò migliaia di persone, e gran numero di fanciulli allevò nella fede cristiana istruendoli anche nel leggere, nel latino, e componendo per loro uso libri di preghiere. Nelle sue lettere al pontefice, conservateci dal Wadding, negli Annali de* minorili, egli narrà come si fosse com¬ piutamente impadronito del tartaro idioma e tradotti in esso i salmi ed il nìiovo testamento; che aveva conver¬ tito un principe mongolo delle tribù dei Karaiti cui aveva imposto il nome di Giorgio ; che il gran kan gli era cortesissimo amico e gli aveva concesso di erigere una seconda chiesa nelle vicinanze del suo palazzo; e Anal¬ mente sollecita dalla Corte papale l’invio di persone che lo aiutassero nel suo apostolato. La domanda fu esaudita e furono in Asia spediti i frati Oderico da Pordenone, Andrea da Perugia, Riccardo da Montecroce e Francesco Digitized by LjOOQle 52 Pipino, i due primi dell’ordine de’minoriti, gli altri due de' predicatori. Riserbandoci a parlare più distesamente del primo, che è il più illustre, nel prossimo capitolo, aggiungeremo qui che Andrea di Perugia assistè in Pekino alla consecrazione di Giovanni (1308) e scrisse più volte ai suoi superiori del convento di Perugia’dando diffusi cenni sull’impero cinese. In una lettera datata da Zaitun nel gennaio del 1326, volgarizzata e pubblicata dal Canale, egli dice: « L’imperatore ci ha accordata » l’indennità (alala) che generalmente si concede ai messi » de’ principi stranieri. Della sua ricchezza e gloria, della » vastità dell’impero, moltitudine di popoli, numero di » città, loro grandezza, passerò sotto silenzio, perchè » lungo fora lo scriverne e incredibili cose sarebbero » a chi le udisse, comechè io stesso qui presente tali » ne odo che appena posso crederle. Da Cambalu mi sono » trasferito a Zaitun che dista circa tre settimane, ed » avendo ottenuto che costi mi venisse continuata l’a- » lafa ho fatto erigere una chiesa con casa per ventitré » confratelli nei dintorni della città.... In questo vasto » impero sono genti d’ogni nazione e d’ogni setta, ma a » tutti si concede vivere secondo le proprie opinioni, » giacché hanno l’idea o piuttosto l’errore che ciascuno » nella sua setta possa salvarsi. Quattro nostri fratelli » vennero martirizzati nell’India dai Saraceni... F. Ni- » cola da Bautera, F. Àndrusio da Assisi ed un altro » vescovo vennero uccisi nell’India inferiore ». Riccardo da Montécroce fiorentino, del convento di S. Maria, percorse tutta l’Asia e ne scrisse in latino un Itinerario che il monaco Long d’Yprès tradusse in fran¬ cese. Vi descrive le provincie, i costumi, le leggi, le su¬ perstizioni, le sètte, e tutto ciò non per giovare alla scienza profana, ma per utile di coloro che intendessero recarsi a propagare la fede in quei paesi. Descrive anzi¬ tutto la Terra Santa, poi la Turcomania e Baidarca (Bag¬ dad) che chiama Babilonia. Francesco Pipino bolognese pellegrinò in Palestina, che descrisse in apposito trattato; mn è più noto per la Digitized by LjOOqIc 53 versione latina dei viaggi di Polo da Ini eseguita a quanto pare dall’originale provenzale dettato da Marco. L’arcivescovo di Pekino, Giovanni da Montecorvino vi mori nel 1330. Dodici anni dopo Giovanni da Marignola, legato papale, partito da Napoli nel 1339, vi giunse fe¬ licemente, passando per Armalecco (Knliscia sull’Ili?). Trovò che il cristianesimo aveva fatto notevoli conquiste, magnifico il palazzo arcivescovile, il convento de’ fran¬ cescani attiguo al palazzo imperiale. Alle chiese cristiane era permesso l’uso delle campane, ed al legato di pre¬ sentarsi al kan preceduto dalla croce. 11 Marignola parti carico di doni nel 1346 e raggiunse otto anni dopo la corte papale (in Avignone) dopo avere veduto Quinsai, Zaitun, Maliapnr nell’India, Ceylan,Ormus e la Palestina. Ma il trionfo del cristianesimo non durò a lungo nella Gina. Caduta pochi anni dopo la partenza del Marignola la dinastia mongola dei Yuen e giunta al trono quella dei Ming, ostile agli stranieri, furono spezzate le rela¬ zioni fra l’Oriente e l’Occidente, durate circa un secolo (da Carpini al Marignola 1246-1346), la Cina restò chiusa agli Europei fino all’arrivo de’ Portoghesi nel decimosesto secolo, e le sedi arcivescovili fondate da Clemente V, dimenticate. Nell’anno stesso in cui i Polo lasciavano la Cina, e San Giovanni d’Acri, ultimo propugnacolo de’ crociati in Asia, cadeva nelle mani degli infedeli (1291), avveniva il memorabile tentativo de’genovesi fratelli Vivaldi, i quali con due galee tentarono girare l’Africa per giun¬ gere alle fonti delle ricchezze orientali ed indennizzarsi cosi delle perdite fatte nel levante, ove i Saraceni chiu¬ devano ornai le antiche vie commerciali del Mar Rosso e dell’Eufrate. Frequentissime relazioni di Genova col¬ l’Egitto, con Tunisi e con tutti i paesi della costa set¬ tentrionale africana, la ponevano in grado di raccogliere dagli Arabi tutto quanto loro era noto intorno alle forme dell’Africa. A sciogliere il grande problema, se cioè girando la costa occidentale del continente si po¬ tesse penetrare nell’Oceano Indiano, Tedisio Doria coi Digitized by LjOOqIc 54 fratelli Ugolino e Vadino Vivaldi, partirono nel maggio 1291 da Genova con due galee ben fornite, e passato lo stretto di Sebta (Ceuta), tentarono un viaggio che niuno mai prima di loro aveva osato tentare, quod aliquis usque lune facere minime aUemptamt, come dice Tannalista Jacopo Boria zio di Tedisio. Oltrepassato però di poco il capo di Gozola, le navi arenavano sulla costa, c gli infelici navigatori cadevano per sempre nella schiavitù degli idolatri. Di questo fatto notevolissimo, se non per il risultato, per il tempo in cui avvenne e per la probabile sco¬ perta delle Canarie che vi si annoda, parlarono F. Pe¬ trarca, e gli antichi scrittori di cose genovesi Agostino Giustiniano ed Oberto Foglietta, ma restò avvolto nel- rincertezza finché il signor Giorgio Pertz, il Muratori della Germania, pubblicò colla sua integrità il testo di Iacopo Boria, continuatone dal Calfero, ove con parole precise si dà notizia delFimpresa, ed accennala la dire¬ zione e la meta del viaggio. Si dice che dal luogo di Gozola nulla più si seppe della spedizione. Basato sul- Tautorità del Boria, scrittore sincrono e testimonio del fatto, il Pertz (Ij pubblicò un breve lavoro diretto ad (I) Vedasi Pertz, Der àlteste versuch znr entdeckung des see- meges nacli AstindieìL Berlino 4859. Questo opuscolo fu offerto dal Pertz airAccademia delle scienze di Monaco, nel 1859, anniversario secolare di sua fondazione. Una traduzione francese seguita da un commento del d’Avczac si legge nelPannata 1859, dei Nouvelles an- nales des voyages, Pertz prendendo argomento dal testo primitivo di Giacomo Boria da lui pubblicato nel 18® volume dei Monumenta kistmica Germaniae esamina successivamente quanto dissero del- Timpresa del Vivaldi il Pietro d’Abano, Cecco d’Ascoli, TUsodimare , il Giustiniani, il Foglietta, comunica le esplicite parole del Boria in proposito e conchiude ammettendo che i Genovesi hanno aperta la strada che i Portoghesi molto tempo dopo, seguirono con buon successo. Che essi fossero gli scopritori delle Canarie e di gran tratto della costa occidentale africana gli par fuor d’ogni dubbio. B’Avezac dissente dal Pertz in alcuni punti affatto secóndarir, s’accorda coniai negli accennati risultati, e parla del dotto alemanno con sensi di stima grandissima. ‘ Digitized by LjOOQle 55 illustrare questo primo tentativo per trovare la via ma¬ rittima airindia, ed il signor Canale in uno scritto re¬ cente gettò nuova luce suirargomento mostrando erro¬ nea ropinipne che jl viaggio avvenisse, nel 128^1 anziché nel 1291, c'onie disse il conte Baldelli Boni citando una lettera di A. Usodimare, viaggiatore genovese del xv se¬ colo, 0 che due anziché una fossero le spedizioni del Vivaldi. Quanto alla scoperta delle Canarie, che i Fran¬ cesi attribuiscono a Giovanni di Bethencourt (1346), e gli Spagnuoli a navigatori di loro nazione circa la fine del.XIV secolo, due sono le circostanze per le quali pare che Tonore della scoperta debbasi ai liguri navigatori; la prima che una delle Canarie ebbe nomedi Allegrmcia, mentre questo appunto era il nome di una delle due galee di Vivaldi, la seconda che in un portolano geno¬ vese del 1351, ora conservato nella Laurenziana di Fi¬ renze, lè Canarie sono indicate colla bandiera della Ligure repubblica.il simile riscontrasi anche nella carta dei Pizigani del 1367, ed in quella del Pareto, intorno alle quali si terrà parola più tardi trattando dei carto¬ grafi italiani dei secoli xiv e xv. Supposero persone autorevoli, e fra queste il signor 0. Peschel, ben noto per la recente sua Storia della Geo- grafia^ che non soltanto le Canarie, ma anche Madera e le Azorre fossero scoperte da navigatori genovesi sul finire del xiii o sul principiare del xiv secolo. E infatti, per tacere di questo che genovesi erano nel xiv secolo le persone preposte in Lisbona alle marittime imprese, ambedue gli arcipelaghi trovansi segnati la prima volta nel portolano mediceo già citato del 1351, Madera voce portoghese che significa legname col suo primitivo nome di isola del Legname, le Azorre con nony latini o ita¬ liani, fra quali la forma prettamente genovese di San Zorze. Non é adunque arumissibile che Madera sia stata vista la prima volta da Portoghesi nel 1419, e le Azorre dal fiammingo Vander Bruges nel 1430. Digitized by Google m. TIAGGI DEGLI ITALIANI NKL lIY SECOLO Oderleo da Pordenone, Pegolotti, linea Tarigo ed altri Oenoveai, i due Zeno, Marino Sanato ed altri Gar- tograS. Ancor prima del 1300, nel xiii secolo, gli Italiani ave¬ vano raggiunto l'estremo Oriente, per i primi tentata la via di mezzodì ossia la circumnavigazione deU’Àffrica, e schiusa per un tratto quella via d’Occidente per la quale Colombo scopri un nuovo mondo. Il secolo xjv si apre con Flavio Gioia d’Àmalii, il perfezionatore della bussola. I Cinesi si giovarono dell’ago magnetico a de¬ terminare la direzione delle navi fino dal primo secolo dell’era nostra, ma il primo che tenne parola in Europa della proprietà dell’ago calamitato, fu Alessandro Nekam (nato nel 1187, morto nel 1217) probabilmente istrutto del frequente uso che ne facevano gli Arabi che anche in questo punto avanzavano allora di gran lunga i popoli europei. Rozzi e quindi affatto malsicuri erano i con¬ gegni cui si affidava l’ago. Flavio Gioia ebbe il merito di perfezionare l’utile strumento appendendo l’ago .a mobilissima base e col minimo attrito nel mezzo di una scatola o bussola. Ciò basta ad assicurargli la rico¬ noscenza de’posteri; e pur ammettendo che lunghi viaggi vennero eseguiti anche prima di tale perfezionamento» Digitized by LjOOqIc 57 massime dai Normanni, ninno oserà negare che Amalfi porti a ragione orgogliosa nel suo stemma la bussola, e a Flavio Gioia competa un posto d’onore nella nume¬ rosa schiera degli Italiani che in qualche modo con¬ tribuirono al progresso delle geografiche discipline. Fra i missionarii che daH’ltalia raggiunsero l’Asia poco dopo Giovanni da Montecorvino abbiamo già no¬ minato Òderico di Pordenone, il cui viaggio cominciò a quanto pare nel 1316, e durò per ben quattordici anni fino al 1330. Ottenuta licenza da’suoi superiori in Pa¬ dova, il monaco francescano prese imbarco sulle navi veneziane e per Costantinopoli approdò a Trebisonda nel 1317. Visitò l’Armenia col suo monte Ararat sul quale si fermò l’arca di Noè dopo il diluvio ; vide Erzerum col¬ locata ad alto livello sul mare, come egli dice, e quindi freddissima; poi Tabris importante pel commercio. Di qui venne a Soldania posta nell’antica Media, poi a Ca- san (Kasuin ?), indi nell’opulento paese di Ur ed in Cal¬ dea ove trovasi la torre di Babele. Di questo interes¬ sante edificio non dà alcuna descrizione e prosegue il viaggio. Attraversata l’India minore, come egli chiama la parte meridionale della Persia, paese che trovò desolato dai Tartari, giunse al porto di Ormus. Qui si imbarcò, e dopo venti giorni sbarcò in Tana porto delle Indie (Tattà alla foce dell’Indo?) e teatro del martirio di pa¬ recchi frati minoriti, fra’ quali, To mmaso da Tolentino. ^ il compagno di Montecorvino. Passò poscia a Minibar • (Malabar) ove è unaTòresta di alberi di pepe che mi¬ sura non meno di diciotto giorni di lunghezza. La pianta del pepe si avviticchia a certi pali apposita¬ mente ficcati nel suolo come i pali delle viti in Italia, ha foglie di color vivace, e lascia pendere i baccelli pieni di pepe a grossi fiocchi come i grappoli delle viti. La selva è infettata da coccodrilli e serpenti, cosicché nella stagione della messe la gente è costretta ad ac¬ cendere fuochi ,per allontanare ’quegli animali. All’e¬ stremità della selva è Palumbo. La descrizione che Oderico dà dell’India è più com- Digitized by LjOOqIc 58 pietà di quella data da Polo. Osservò la venerazione iti cui è tenuto il bue, il fanatismo del suicidio, e le ce* rimonie sanguinose in onore di Taggernaut. « Nel regno » di Moabar (Garnatia), dice egli, vi ò un maraviglioso » idolo che ha la forma di un uomo, tutto di puro oro » forbito, e gli pende al collo un vezzo delle più pre- » ziose pietre. Tutta la cassa deiridolo è d’oro. Gli In* » diani vanno in pellegrinaggio a quell’idolo, e per » fargli onore si tagliano qua e là nel corpo. Presso il » tempio vi è un boschetto nel quale i divoti gettano » l’argento e le pietre che offrono per le riparazioni del » tempio. Quando si fa l’annua festa dell’idolo il re e » la regina e moltitudine immensa di popolo si aduna » presso il tempio, e ponendo l’idolo su un carro splen- n fidissimo, lo traggono in processione accorapagnan* » dolo di canti, suoni e danze. Allora vedonsi molti dei » pellegrini gettarsi sotto le ruote di quel carro pesan- » tissimo per farvisi stritolare in onore del dio. I loro » corpi si ardono e le ceneri si raccolgono con venera- » zione. Più di cinquecento persone muoiono ogni anno » in questo modo. Talvolta vi sono anche di quelli che » volendo propiziarsi l’idolo abominevole, entrano nel » tempio seguiti da gran stuolo d'amici, e dopo essersi » ripetute volte feriti si uccidono». Viaggiando verso mezzodì il buon frate toccò l’isola di Ceylan, celebre per diamanti, rubini, ed uccelli a due teste, e non lon* tano da un certo gruppo di 4400 isole, divise fra ses- santaquattro re. Cinquanta giorni di navigazione al mez¬ zodì di Moabar arrivò ad un paese detto Lamuri (porto di Sumatra), nel quale tutti andavano nudi, scusandosi coiresempio di Adamo ed Èva. I costumi vi sono orri¬ bili sotto ogni aspetto, ma la contrada abbonda di carne e grani, d’oro, di legno di aloe e di canfora. Al mez¬ zogiorno di Lamuri, Oderico pone l’isola e il regno di Si- moltra, probabilmeiite un’altra parte di Sumatra. Vi era Tuso di imprimersi flgure sul corpo mediante ferri ro¬ venti. Andò poscia neU’isola e nel regno di Giava, celebre per le noci moscate, per la canfora, pei garofani e per gli Digitized by LjOOQle arami di ogni specie. 11. re abitava un palazzo altissimo nel quale i gradini della scala erano alternatamente d’oro e d’argento. Airisola di Patan vide certi alberi che man¬ davano un sugo con un sapore affine a quello del miele, e certi altri che producevano farina da far pane e la¬ sagne. Vide eziandio una specie di canna che cresceva altissima e serviva a fare travi per case e per barche. Dei mari di quei climi racconta che tanto abbondano di pesce, che per qualche tratto dal lido spesso non si vede che una compatta superficie di squame. Vengono spontaneamente alla spiaggia e per tre giorni si lasciano pigliare senza difficoltà. Partito questo banco di pesci, ne viene un altro e fa lo stesso. Gli abitanti dicono che è Tomaggio reso dai pesci all’ imperatore. Difficile sa¬ rebbe il dire i nomi moderni delle ìsole di Giapa, Ni- cuneran, Silam e Dandin, che Oderico toccò nel viaggio da Giava alla Cina. I suoi dati sono troppo incerti, ge¬ nerici, perchè se ne possa inferire qualche cosa di certo; prohaìbilmente furono punti della costa cocincinese o isole del gruppo delle Filippine. Dall’ isola di Dandin^ abitata da antropofagi, Oderico non ebbe che pochi giorni di viaggio, ed entrò nel Mangi o Cina meridionale, regno del quale udiva dire contenesse più di duemila città. Qui descrive il modo di pescare dei Cinesi nelle vici¬ nanze di Fu-ciu, nomina il Yang-tse-kiange l’Hoang-ho co’loro nomi mongoli Dalai e Caramoran, tratta del- Tampia Quinsai «la città celeste» di Marco Polo, di¬ cendo, che secondo i Cinesi contava più di 850 mila case. Percorrendo per un tratto il celebre canale impe¬ riale, si diresse poscia verso l’imperiale residenza di Pekino o di Xaudu. Fu sorpreso di trovare che tutti gli abitanti erano mercatanti o artigiani, e non s’induce- vàno mai ad accattare per grande che fosse la loro po¬ vertà. Gli uomini parvergli di bell’aspetto, ma le donne di eccezionale bellezza. « Sì considera, egli dice, come » una gran leggiadria per gli uomini di questo paese » Tèvere unghie lunghe alle dita, tanto lunghe che. le » ripiegano sull ammano/ma la gra^a delle donne ean- Digitized by LjOOqIc 60 » siste nell’avere piedi brevi e sottili, epperd le madri, > allorché le figlinole sono giovani, fasciano loro i piedi » acciò non crescano ». Le città toccate da Oderico furono Censcnla (?), Zaitone, grande il doppio di Bologna e piena di idoli e monasteri, Fnzo (Fn-ciu?), Cansai(Nan> king), fabbricata come Venezia nelle lagone, con cento miglia di periferia e trentadne milioni d’abitanti, Chi- lenfo con nn arsenale, Taccara, nota per gli abitanti della bassa statura, Tamzay al nord del fiume Dotolay, Benzin sul fiume Caramoran, e finalmente la gran Cam< balec (Gambalut di Polo), città imperiale e sede del gran kan che vi abitava in un sontuoso palazzo presso del quale avevano un convento i frati minori. De’ sagrifici offerti da’ sacerdoti pagani ai falsi loro simulacri, dice che of¬ ferivano bensì frequentemente sontuosi banchetti agli Dei, ma che questi ultimi nulla più godevano dell’odore de’ cibi, i quali passavano nelle fauci de’ministri. Il gran kan mostravasi assai favorevole alla fede cristiana, anzi ne bramava la diffhsione, e consigliò egli stesso il nostro Oderico a ritornare in occidente onde procurare nuove missioni di zelanti apostoli che sapessero propagare le massime del Vangelo fra quei popoli di animo mite e facile a ricevere la luce della verità. Oderico obbedì e per la vìa di terra, attraverso la Tartaria, venne nel regno di Tangut (Tibet?), ove il suo Ordine aveva parecchie missioni, e s’occupava con molto frutto nel suo pio mi¬ nistero delle conversioni. Qui allude pel primo al Gran- Lama là dove nomina il papa delFOrienle, capo spiri¬ tuale di lutti gli idolatri. La storia del viaggio si chiude ai confini di Tartaria, ma pare che Oderico attraversasse la Persia e la Turcomania, e pel Mediterraneo tornasse nel Friuli circa il 1330, coll’intenzione di continuare il viag¬ gio per Avignone e d’esporre colà a papa Giovanni XXII i voti del gran kan. A Pisa (ove egli sarebbe giunto senza toccare prima il Friuli, se ci atteniamo alPanna- lista de’frati minori nel Wadding) fu sorpreso da una malattia; e, costretto quindi a differire la gita ad Avi¬ gnone, recossi a Padova, ove fra Guido suo superiore lo Digitized by LjOOqIc 61 consigliò di scrivere la storia de’suoi viaggi, perchè non fossero defraudati i posteri di tante utilissime co¬ gnizioni. Obbedì, ma siccome la malattia cresceva in forza, dovè dettare come meglio poteva ciò che ancora ricordava ad un frate Guglielmo di Solegna; poi, venuto al suo convento in quel di Udine, mori il 14 gennaio del 1331. Oderico da Pordenone, forse il più creduto fra i viaggia¬ tori del medio evo, che sono pure per la maggior parte assai scarsamente provvisti di senso critico, ritornò in Occidente con un ricco fardello di cose incredibili, ed i brevi saggi estratti dalla sua relazione ne sono una prova. Le esagerazioni del suo racconto fecero credere a qualcuno che tutto il viaggio non fosse che un’inven¬ zione fondata su Marco Polo. Altri non posero in dub¬ bio il viaggio ma supposero come il Tiraboschi che mani straniere interpolassero le esagerazioni o per gua¬ starne la lezione o per smania del meraviglioso. Il sig. Lòwenberg nella sua Storia della geografia dice che il viaggio d’Oderico non è che un povero commentario a quello di Polo e che la scienza nulla v’ha a guadagnare se non fosse per la notizia che in Cina le donne hanno i piedi piccoli e gli nomini le unghie lunghe. Questa sen¬ tenza, apparentemente troppo assoluta, può essere scusata e forse anche giustificata dalle esagerazioni del dettato; tuttavia noi preferiamo i più pacati giudizi dati da uomini non meno autorevoli, fra quali il Cooley ed il Peschel. Il primo nella sua Storia delle scoperte, edita ormai da trent’anni e più, ammette bensì che il frate narrasse molte cose affatto inverosimili, ma dice che è fuor di questione la realtà del viaggio e che lo si può com¬ provare coi passi stessi della narrazione. Aggiunge che non si può dire lo stesso di un certo viaggiatore con¬ temporaneo, uomo d’alto affare. Sir Giovanni Mande- ville, il quale dopo aver vista la Palestina e qualche altro angolo dell’Asia occidentale, ebbe l’impudenza di spacciare in Europa le bugie più insigni copiando in¬ tere pagine da frate Oderico e dall’armeno Aitone, senza Digitized by LjOOQle 6 * far cenno di loro e soltanto aggiungendovi quà e là qualche suo mostruoso abbellimento; « Oderico, cosi si esprimeva il Cooley, parlò di un mare di sabbia, e Fespressione non è impropria per descrivere i deserti sabbiosi sui confini di Persia; ma il Mandeville, non contento di un mare di sabbia, vi aggiunge un fiume di roccie che vi mette «foce, ed asserisce che quel mare portentoso abbonda di pesce eccellente. Atfetta di essere sommamente accurato ed esperto, eppure non fa che dar continue prove della più crassa ignoranza. Egli solo viaggiò il paese dei Pigmei che vennero tutti dan¬ zando ad incontrarlo. Egli solo visitò due isole nel centro deìFAsia, una delle quali abitata da giganti da trenta piedi d’altezza. Nella Tartaria ha trovata una certa zucca, nel mezzo della quale quando è matura si trova un animale di carne, ossa, e sangue e rassomigliahte ad un agnello tosato che si mangia insieme col frutto. Vide anche conchiglie tanto vaste da servire di abitazione a molte persone, diamanti destinati ad ingrossare col tempo, quadri rappresentanti le imprese di Oggero il danese nelle reggie del re di Giava, ed anzi, che più? ebbe la fortuna di vedere lo stesso Preteianni (il prin- cipe^cristtano che il medio-evo s’ostinò a credere domi¬ nasse nel centro dell’ Asia e dell'Africa), seduto sul trono circondato da dodici arcivescovi e clugento venti vescovi. Le porte del suo palazzo erano di sardonico, le sbarre d’avorio, le finestre di cristallo di rocca, le tavole di smeraldo, e le sale illuminate di nottetempo non da lampade, ma da enormi carbonchi. Tali erano le enormità che il medio-evo amava e raccoglieva con infantile trasporto, giacché allora, come adesso e più che adesso, le moltitudini non credevano se non le cose incredibili, e, entusiaste per il fantastico, si annoiavano di ciò che veramente è utile e grande. Notevolissima è la coincidenza fra il Cooley ed il Pe- schel a proposito del plagio che Mandeville fece alFO- derico. Il Peschel in un’ opera recentissima che già avemmo occasione di citare, forse anche senza avere no- Digitized by LjOOQle 63 tizia della congettura già espressa dallo inglese, dice nel modo più assicurato che le famose relazioni del Mandeville, delizia delle belle castellane dalle torri merlate, non è che una copia adulterata dei viaggi di Oderico, ed anzi aggiunge che lo spiritoso cavaliere, a quanto pare, non oltrepassò Terra Santa e rubò al po¬ vero frate tutte le descrizioni, le quali, per quanto esa¬ gerate, sono abbastanza originali per convalidare la veracità del viaggio e per persuadere chiunque che la relazione di quest’ultimo ha origine propria e non può essere in alcun modo un semplice raffazzonamento del racconto di Polo (1). La politica, il commercio, e la religione furono alter¬ natamente i motori principali delle esplorazioni nelle lontane contrade. La religione condusse nell’Asia Ode¬ rico e molti altri lino ai giorni nostri; il commercio ispirò i Polo al memorabile loro viaggio e condusse Balducci Pegoletti, agente della gran casa lìorentina dei Bardi, a percorrere più volte TAsia fino agli estremi suoi confini. Di queste sue peregrinazioni avvenute circa il 1335, ossia qualche anno dopo la morte di Oderico, il Pegoletti ci lasciò una memoria che può dirsi davvero un insigne documento del traffico esteso esercitato dagli Italiani in Asia, quando tutte le altre nazioni appena oltrepassavano il proprio confine. La memoria porta per titolo Guida per la strada della Tarn al Calai con mercanzie e ritorno, e fa parte di un maggior lavoro intitolato Pratica della mercatura che il Bagnini trasse da un codice della Riccardiana e pub¬ blicò nel 1768 in Lucca nella sua opera Decime della mortela dei fiorentini. È un breve itinerario fatto per uso di chi volesse viaggiare per l’Asia battendo l’usuale via del commercio italiano verso le regioni del centro e dell’Est. Poco vi si curano le caratteristiche geogra- ( 1 ) Der ritter Mandeville scheint aus eigener àmcliauung vom Orìent nur Alexandrien und daf heilige land gekannt, alle seme ubrigen schilderungen aber aus dem Odorico geraubt haben. Digitized by LjOOQle 6i fiche dei vastissimi paesi attraversati ; bensì vi si indi* cane accuratamente le distanze fra un punto e l’altro, i mezzi più acconci al viaggio, la maggiore o minore sicurezza della via, le monete in uso, i pedaggi, le prov¬ vigioni, ed insomma tutto ciò che più doveva interessare il mercante. E fa meraviglia il vedere come nel xv se¬ colo gl’ Italiani conoscessero la via attraverso l’Asia, come ora si conosce una via qualsiasi attraverso l’Europa, e come frequentemente sì facesse dai nostri avi quel viaggio che oggi, con tanto progresso di lumi e di mezzi, ninno s’attenterebbe di fare. 1 mercanti, dice il Pego- letti, sono obbligati a lasciar crescere la barba ed a prendere seco buoni interpreti di lingue tartare; ma tutto il viaggio fino a Pekino si può fare, compreso il salario delle persone di servizio, con meno di 400 du¬ cati. Si parte dalla Tana (colonia veneziana alla foce del Don presso l’odierna Azow), e viaggiando su carri tirati da buoi si giunge nello spazio di venticinque giorni a Gintarcan (l’odierna Astrakan) alla foce del Volga. Adoperando cavalli invece di buoi, si può eco¬ nomizzare metà tempo. Per strada s’incontrano spesso i Moccoli (Mongoli) armati e minacciosi; laonde vita e sostanze sono malsicure; ma se la carovana si compone anche solamente di una sessantina di persone si può riposare tranquillamente come in casa propria. Da Gin¬ tarcan si va a Sarai posta più al nord sullo stesso Volga; ed un giorno di navigazione o di marcia lungo il fiume può bastare. Da Sarai a Saracanco (che il Fòrster sup¬ pone fosse un luogo sul Taik, l’Ural dei nostri geografi) occorrono almeno dodici giorni e ci si va sia per terra, sia per acqua, sebbene quest’ultimo mezzo riesca assai più economico. Da Saracanco ad Urgenz o Organci, sf viaggia con carri tratti da cammelli e ci si impiegano venti giornate. Organci (ora Urgengi) è luogo ove le merci si spacciano facilmente, laonde è bene che vi si rechi il mercante che ne è ben fornito. Giace nella Gauresmia (kanato di Khiwa) in riva al fiume Osso degli antichi, (Amu Daria, poco lungi da Khiwa). La via dal- Digitized by LjOOqIc 65 lUral, ossia da Saracanco ad Organci, non si rileva con chiarezza daH'itinerario, ma pare che fosse attraverso l’altopiano di UsMJrt che separa il mar Caspio dal mare d’Aral. Da Organci si viaggia per trenta o trentacinque giorni con cammelli fino ad Oltrar (città ora minata sul Sir Daria); ma chi non avesse merci farà bene ad andare direttamente da Saracanco ad Oltrar, senza toc; care Organci; ed in tal caso cinquanta giorni possono bastare. Da Oltrar ad Armalecco (Almalik) si va in qua¬ rantacinque giorni, adoperandosi per questo tratto a preferenza gli asini. Ogni giorno s’incontrano torme di Mongoli. Da Almalecco a Camexu (Kan-ciu?) occor¬ rono non meno di giorni settanta con asini, e cin* quanta da Camexu al gran fiume Cara Morin (Hoang-ho de’Cinesi). Da questo fiume il trafficante .può recarsi a Cassai (?) luogo ottimo per lo spedito spaccio della mercanzia, e lontano non più di trenta giorni da 6am- balecco (Cambalu de’Tartari e di Polo, l’odierno Peking) capitale del Catai. La moneta corrente è di carta, porta il bollo del gran kan, e dicesi babissi; quattro babissi equivalgono ad un sumo d’argento. De’luoghi citati dal Pegoletti alcuni si riconoscono e si determinano con certezza, altri no. Sarai, seconda sta¬ zione deU'itinerario, è celeberrima come capoluogo dei Tartari del Ripeiak (Russia del mezzodì). Venne fondata nel 1266 dal kan Rareka presso il Volga, e se ne vedono ancor oggi poche rovine presso la sinistra riva, colà ove il fiume s’awicina di molto al Don. Saracanco o Sara- chick è sparita come Sarai, ma era ancor fiorente nel 1358, quando, dice il Cooley, era visitata da Tenkinson che la poneva a circa dieci giorni da Astrakan e vi osser¬ vava un forte passaggio di carovane. Organci presso l’Amu Daria o Gihon, ed Oltrar sul Sir Daria, sono luoghi la cui posizione è accettata con unanime consenso; ma non cosi Armalecco, Camexu, e Gassai. La prima pare fosse situata nella valle dell’Ili, secondo il Cooley, e corrisponde ad Almasig nel Turkestan, secondo il For¬ ster; la seconda, a giudizio di alcuni, è Kan-ciu, e se- 5 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani, Digitized by LjOOqIc 66 guendo altri, fra’quali il Forster ed il Cooley, corri¬ sponderebbe piuttosto a Carni sulle- frontiere settentrio¬ nali, del Tangut; la terza è Risser suU’Hoangho, se vo¬ gliamo credere a Forster, ed è la Quinsai (Hang-ceu) di Marco Polo, se ci atteniamo al Canale; ma se stiamo al Peschel, non si può assolutamente determinare. Intanto che Veneziani e Fiorentini viaggiavano l’O¬ riente, cioè la Grecia, l’Arcipelago, l’Asia minore, l’Ar¬ menia, la Persia, l’India, e perfino la Cina lontanissima, i Genovesi allargavano il campo del loro commercio e delle loro imprese (siccome palesano i molti fatti ed indizi che si vanno raccogliendo) non solo nelle suddette regioni, ma anche nell’estremo Occidente, e sui miste¬ riosi flutti del temuto Atlantico che ancora nascondevano dietro di sè, può dirsi, due continenti. Africa ed America. Navi genovesi navigavano il Caspio già dalla seconda metà del xiii secolo, portando le sete del Ghiien (Persia) ad Astrakan; e te parole di Marco Polo in proposito sono troppo chiare per lasciare luogo ad equivoci. La forma del Caspio restò malnota lìnchè Pietro il Grande nello scorso secolo ordinò ai suoi uflìciali di misurarne esatta¬ mente le coste e descriverne il periplo; eppure gli Italiani del XIV secolo disegnavano già le carte di quel mare colle penisole di Mehnemeselach (Mengischlack), il golfo dei Monumenti (Mertwoi Kultuk de’Russi), le foci dell’Etil e del Taik (Volga ed Ural), Trestanga (Tereskendi) ecc. La via tracciata dai Polo era sempre più battuta da’loro concittadini, cosicché nel xiv secolo trovavansi mercanti, banchieri, operai italiani sulle coste del Coromandel, a Zaitun in Cina, a Cambalut, e a Quinsai. Più degli altri sembravano attivi i Genovesi, se pensiamo che il Pego- letti nel suo itinerario non nomina alcun altro popolo europeo a levante del Tanai, e se combiniamo i cenni dati da Marco Polo con alcune imprese, delle quali ci restano notizie sufficientemente diffuse ed accertate. Fra queste non è permesso obbliare la navigazione di Luca Tarigo, genovese, sul mar Caspio. Era l’anno 1374, quando il Tarigo, armata una Insta sottile a Caffa,ed attraversata Digitized by LjOOqIc 67 la palode Meotide (mar d’Azow), entrò nel Tana! (Don), rimontandolo contro corrente fino a quel punto ove tanto s’awicina alla destra riva del Volga, che i due fiumi non distano più di cento chilometri; angusto istmo sul quale i Russi hanno recentemente costrutta una via fer¬ rata (Kalatschewsk sul Don e Zaritzin sul Volga). Qui, aiutato da’suoi rematori, trasse la fusta a terra e tra^ scinolla fino alla prossima riva del maggior fiume, affi¬ datosi al quale venne impetuosamente ed in breve tempo condotto nel Caspio. In questo mare, giovandosi de’ nu¬ merosi seni e de’promontorii, sorprese e depredò pa¬ recchie navi, facendo buon bottino; poi risalì il Volga per ritornare alle colonie liguri della Tauride, senonchè, arrivato all’istmo, una tribù di Calmucchi gli tolse il mal tolto, e fu ancor ventura che si potessero celare loro non pochi gioielli co’quali la ciurma rientrò gio¬ iosa in Tana, poi in Caffa. E fu si grande la meraviglia dell’ardita impresa, che ne restò memoria nel pubblico archivio, siccome ci viene assicurato dal Serra nella sua Storia dell'antica Liguria e di Genova, e dietro lui dal Canale. Sull’Atlantico, oltre le colonne d’Èrcole che gli an¬ tichi avevano detto estremo limite della terra, rinnova» vano i generosi tentativi de’Vivaldi i loro concittadini, cui, secondo tutte le probabilità, devesi la scoperta degli arcipelaghi delle Azorre, di Madera, e delle Canarie, già note e segnate su carte italiane del 1351, e quindi molto prima del tempo in cui taluni vorrebbero avvenuta la scoperta di quelle isole per opera di Spagnuoli e Por¬ toghesi. Niccoloso di Recco fin dal 1341 capitanava una spedizione che lungo le coste occidentali dell’Africa do¬ veva raggiungere, se era possibile, i sospirati lidi del¬ l’India e delle isole delle Spezierie. Erano due navi por¬ toghesi che, equipaggiate da Portoghesi, Spagnuoli, ed Italiani, salparono nel luglio e giunsero con prospero vento alle isole quas vulgo repertas dicimus (cosi il co¬ dice latino Magliabecchiano pubblicato dal Ciampi); poi volsero addietro le prore non è ben noto in conseguenza' Digitized by LjOOQle 68 di quali ostacoli. La direzione, il tempo impiegato, il numero stesso delle isole vedute (dieciotto o venti) au¬ torizzano le congetture che fossero le Canarie, delle quali pare che qualche notizia si avesse fin dall’anti¬ chità, e che, perdute di vista durante i secoli delle bar¬ bariche invasioni, venissero chiamate repertas ossia le Ritrovate al loro nuovo scoprimento (!). La più orientale delle Canarie porta ancor oggi il nome di Lanzerota, e le carte nautiche italiane del l’ortolano Mediceo (1331) e di Bartolomeo Pareto (1455) segnano presso ad essa il vessillo genovese, ed anzi la carta del Pareto scrive vicino all’isola le parole: Maroxello LanzeroUo lanitensL Vollero certi scrittori francesi che Langelode Maloysel, come essi scrivono, fosse di loro na¬ zione; ma il Canale mostrò che i Malocello sono di fa¬ miglia nobilissima genovese, e ne’polverosi registri no¬ tarili del quattordicesimo secolo trovò parecchi atti rela¬ tivi a Lanzerotto Malocello, morto verso il 1384, e secondo ogni probabilità, navigatore degno di più dif¬ fuso commento, quando non ci facesse difetto ogni più esatta notizia sul di lui conto. La scoperta dovrebbe essere avvenuta tra il 1318 e il 1351, non facendosene cenno nel Portolano di : Pietro Visconti che porta la prima delle suddette due date, e trovandosi in vece il nome del Lanzerotto scritto nel Portolano Mediceo, che porta la seconda data. Le navigazioni, gli studii, i tentativi degli Italiani, e principalmente de’Genovesi, prepararono la via ai Por¬ toghesi, che verso la metà del ,xv secolo iniziarono quella serie di scoperte marittime colle quali s’apre l’evo mo¬ derno della geografia. Quando le imprese ornai incon¬ trastate de’Vivaldi, di Niccoloso, e di Malocello non Ijastassero, gioverà aggiungere quest’altro fatto: che nel 1317 un genovese, Emanuele Pessagno, era nomi¬ nato ammiraglio di Portogallo colla somma annua di (4) Sulla scoperta delle Canarie nel 4341 per opera di navigatori fiorentini, genovesi, e spagnnoli, reggasi l’articolo di S. Ciampi nel volarne 24 dell’^nto/opta. Digitized by LjOOQle 69 tremila lire, col dono di un luogo detto Pedreira in Lisbona, col diritto di trasmettere ereditariamente la ca-, rica ai Agli, di non entrare in mare con meno di tre galee, e, quel che più monta pel nostro assunto, coll’ob- bligo di tenere sempre pronti sotto di sè. venti genovesi periti nella navigazione, col titolo ed i vantaggi degli alcadi e de’ corniti di galea. Fra i molti documenti che in proposito ancora si conservano nei Reali Archivi di Lisbona, e che, comunicati per sunto al sig. Canale, ven¬ nero da lui registrati nella recente sua Storia del com¬ mercio degli Italiani, àne $ono i più notevoli: la nomina di Emanuele Pessagno nel 1317, e quella di Lanzerotto Pessagno, chiamato 130 anni dopo (13 agosto 1444) alla stessa eminentissima carica d’Àmmiraglio del Regno, preludendo così agli onori non inferiori che il regno di Spagna accordava ad un altro genovese, il Colombo, e quello d’Inghilterra, al veneziano*Cabotto. La famiglia Pessagno vive ancora tanto in Genova che in Lisbona. Pel medesimo stretto di Sebta (Gibilterra) mpvevano nello stesso secolo, ma ad epoca più tarda ed in diversa direzione, due fratelli veneziani, Nicolò ed Antonio Zeno, fratelli di Carlo Zeno noto nella storia per la vittoria sui Genovesi durante la guerra di Chioggia (1380). Ni¬ colò Zeno, cittadino illustre in Venezia per censo e per valore, parti cupido di gloria sur un legno armato a proprie spese (1380), usci dal Mediterraneo, e, navigando a tramontana, fu gettato dalla burrasca sulla costa di una grand’isola detta Frislandia, la quale, secondo la carta Zeniana, sarebbe stata al mezzodì del Tisi anda, al- l’incirca fra i gradi 61 e 65. Qui fu ben accolto da certo principe detto Zichmi, padrone delle isole Pontland al mezzodì della Frislandia, e postosi al di lui servizio, dopo avere chiamato a sè da Venezia il fratello Antonio, gli fu di grande aiuto nella conquista della Frislandia non solo, ma in parecchie marittime spedizioni, nelle quali i Zeno riscoprirono può dirsi le terre settentrionali, già viste dai Normanni nel x secolo, ma poscia dimenticate. E queste furono l'Islanda, una gran penisola all’ovest del- Digitized by LjOOQle 70 rislanda, detta Engroneland, e più al nord Grolandia, l’isola di Icaria all’occidente della Frislandia, le terre di Estotiland e Drosco ancora più aU'occidente, e nell’op¬ posta direzione l’arcipelago d’Estlandia (Shetland) e le coste norvegesi. Antonio visse quattro anni col fratello, e, morto questi, soggiornò ancora per circa dieci anni in quelle freddissime parti, e ritornò a Venezia, a quanto pare, verso il 1400. Questo è in brevi parole il sunto del racconto Zeniano quale fu stampato in Venezia (presso Marcolino) nel 1558 da Nicolò Zeno, discendente del navigatore, col titolo ; Dello scoprimeìUo delle isole Frislanda, Esllanda, Engro- nelanda, Eslolilmda et Icaria fatto sotto il polo artico dai due fratelli messer Nicolò et messer Antonio Zeno, lavoro corredato da una carta e compilato, come dice lo stesso Nicolò iuniore, su alcuni frammenti miracolosamente sfuggiti alle fiamme appiccate da lui stesso inavvertente- mente quand’era fanciullo al manoscritto del proavo Antonio. Su pochi argomenti si scrisse tanto, prò e contro, quanto su questo viaggio da dotti d’ogni paese ; giacché miste a notizie credibilissime e ad un disegno meravigliosamente preciso, per que’tempi, delle terre settentrionali che rinserrano l’Atlantico, trovansi cose affatto incredibili ed inverosimili, ed anzitutto, come perno della descrizione, una grand’isola di Frislandia al mezzodì dell’Islanda, della quale niuno vide mai, dopo gli Zeno, la minima traccia. Livio Sanuto, Gerolamo Ruscelli, Giuseppe Moletti, l’Ontelio ed altri geografi de’secoli xv e xvi non posero menomamente in dubbio la scoperta, e ricopiarono senz’al¬ tro la carta che Antonio Zeno aveva aggiunta al suo libriccino, copiando alla meglio una carta vecchia e cor¬ rosa, come dice egli stesso, conservata in famiglia qual documento dell’impresa degli avi in tramontana. La cre¬ denza che esistesse un’isola di Frislandia al mezzodì della Islanda era tanto viva nel secolo decimosestó, che quando il navigatore inglese Frobisher, é^oiùndò per Digitized by LjOOqIc ordine di Elisabetta i mari settentrionali (1567-78), s’im¬ battè nella punta sud della Groenlandia, la credè è la disse la Frislandia degli Zeno. In tempi a noi più vicini il tedesco Forster, in un^opera sulle scoperte settentrionali (pubblicata nel 1784), spiegò il viaggio degli Zeno e le terre da essi nominate, addi¬ tando gli arcipelaghi delle Shetland, delle Orcadi, delle Pàroer, Tlslanda, e le coste del Labrador e Terranuova; ma senza fare sparire e sorgere terre dal mare. Il be¬ nedettino Terrarossa (1687) ed il Bossi nella Vita di Co- lombo interpretarono la favolosa Frislandia per la parte occidentale dellTslanda. Il francese Maltebrun, il danese Von Egger nella sua dissertazione Sulla vera posiziono dell'antica Ostgronlanda (Kiel 1794), il francese Buache nella sua Mémoire sur Vile de Frislande, letta dinanzi all’Accademia delle scienze parigine nel 1787, provarono con sode ragioni che per codesto nome si devono in¬ tendere le Fàroer. Il Buache specialmente ci sembra au- • torbvolissimo colà ove osserva che le Fàroer non sono nominate nella relazione zeniana, e non essere punto credibile che gli Zeno non le vedessero navigando tanti anni fra le coste europee e le groenlandesi, che TEstland degli Zeno, per universale consenso corrispondente alle Shetland, viene posta da essi fra la Frislandia e la Nor¬ vegia, mentre appunto le Shetland trovansi fra quest’ul¬ timo paese e le Fàroer. Cooley è dello stesso avviso e dice che la proporzione del miracoloso presso gli Zeno non è superiore in dose a quella che si trova in tante altre relazioni del medio-evo, riconosciute da tutti per autentiche, e che le parti ammissibili e chiare sono più che sufficienti per fare accettare il testo come genuino. Peschel scrive che la carta degli Zeno ormai viene am¬ messa come genuina, e cita in proposito l’interpretazione felice che ne fu fatta dal celebre geografo polacco Le¬ se/ le^el nella sua Géographie du moyen àge. Non mancano anche gli scettici cui muovono a riso i nomi evidentemente favolosi di Dedalo ed Icaro, i libri latini nella biblioteca del re di Estotilandia, lo Zichmi Digitized by LjOOQle 7 * che parla latino coi Veneziani, e i marinai veneti che con¬ ducono in salvo le navi di codesto principe in un mare per essi ignoto, o che per certo doveva essere loro men noto che agli indigeni; e dichiarano il tutto una^ poco spiritosa e maligna invenzione, pubblicata non si sa per¬ chè cento cinquantanni dopo il fatto, diretta avmagni- ficare la famiglia Zeno e a togliere al genovese Colombo la priorità della scoperta d’America, paese confusamente adombrato ne’ nomi di Estotiland e Drogeo, e nelle vaste regioni che s’additano ad ostro di codeste isole. Il più autorevole nella schiera degli scettici è senza dubio il danese Zehrtmann, il quale in una sua dissertazione Sui viaggi degli Zeno (Om Zeniernes reiser) inserita nell’an¬ nata 1*833 del Giornale seUenlrionale per Varcheologia fNordisk tidsskrift for oldkyndighedj nega tutto il rac¬ conto, e dice che porta Timpronta della massima igno¬ ranza d’ogni costume, d’ogni vicenda, e d’ogni lingua del settentrione. « Orazio solo contro Toscana tutta » l'erudito abate (poscia cardinale) Zurla nell’opera sua, Sui viaggiatori verieziani^ combattè gli scettici non solo, ma anche i più creduli commentatori perchè in tutta la sua interezza non apcettano il viaggio; e si lagna che un illustre scrit¬ tore, come il Tiraboschi, dichiari che v’ha molto di in¬ verosimile, invece di impegnarsi a spiegare un’impresa che tanto onora Vitala nazione; come se si dovesse la¬ sciare da parte ogni critica, anzi il buon senso, ogni¬ qualvolta un qualsisia enigma possa sciogliersi in ma¬ niera adulatrice per la vanità nazionale. Secondo lo Zurla, la Frislandia degli Zeno non cor¬ risponde nè aU’Islanda, nè a qualsisia altra terra oggi esistente, ma esisteva in allora e si è sprofondata senza lasciar traccia. Ma come può credersi cosa similq di un’i¬ sola abbracciante quattro gradi di latitudine ed altret¬ tanti di longitudine, più vasta dell'Irlanda, lunga 40, larga 25 leghe, secondo dice egli stesso? Suppone che sia stata corposa dalle onde, e cita per esempio le coste venete; ma appunto la piccola differenza che il flutto Digitized by LjOOqIc 73 prodasse nell’estensione de’ lidi veneti dalla più remota antichità (Ino a noi deve far ripudiare l’ipotesi di un’i¬ sola si vasta corrosa, e, quel che non deve obbliarsì, senza pur lasciare almeno «n banco sottomarino, giacché ne’ paraggi al sud dell’lslanda siffatti banchi mancano affatto. Adduce le isole vulcaniche comparse e sparite; ma codeste isole effimere furono sempre di breve durata e di piccolissima superficie. E come è credibile che non siasi sentito un contraccolpo di si gigantesca catastrofe, se isola tanto vasta colle dieci sue città si è per una ca¬ tastrofe sobissata? Cita un passo del preteso viaggio di Maldonado, pubblicato daU’Amoretti ; ma codesto viaggio fu definito da Humboldt una solenne impostura, e niuno dopo l’Amoretti commise l’errore di credervi. Le Fàroer, secondo il detto prelato, sono segnate sulla carta ze- niana anonimamente in forma di un rombo di crocette 0 scogli al nord-ovest dell’Estlandia (Shetland); ma come ammettere che gli Zeno abbiano disegnato sformatamente grandi le Shetland e sproporzionatamente piccole le Fàroer, mentre i due arcipelaghi non variano molto in superficie? Non è più verosimile che Nicolò Zeno il iuniore, per quanto colto, mal ricopiasse la vecchia carta che gli giaceva innanzi, come dice egli stesso, guasta e corrosa? Qual è insomma il valore scientifico del viaggio? Senza approvare l’assoluta devozione dello Zurla, nè lo scetticismo di Zehrtmann, noi crediamo debba seguirsi ' Topinionc della maggioranza cui appartengono persone autorevolissime siccome Cooley,* Lelewel, Peschel, e Bua- che, scrittori moderni e viventi. La relazione è genuina; ma Nicolò Zeno iuniore l’ha guasta ed adulterata, in¬ troducendovi cose da lui udite, o qualche grazioso abbel¬ limento per rendere il libro più gradito. Niuno può ne¬ gare per questo che gli Zeno nel xiv secolo richiamas¬ sero alla memoria le dimenticate scoperte fatte dagli Scandinavi nel secolo decimo ; che essi per i primi ab¬ biano dato alla scienza una descrizione mirabilmente esatta, relativamente ai tempi, del settentrione europeo Digitized by LjOOQle 74 e delle terre che gli stanno ad occidente; e, qnel che più importa, che essi pei primi abbiano indicato chiara¬ mente resistenza di un continente all’ovest dell’Atlan¬ tico, porgendo cosi nuovo incitamento al generoso ;ardi- mento di Colombo. La forma peninsulare della Engronelant (Groenlandia), i nomi che si danno alle sue coste ed ai suoi capi, i co¬ stumi degli abitanti corrispondenti in tutto a quelli degli Esquimesi, la forma ed i nomi dell’Islanda, la forma ed i nomi della costa norvegese, ove si segnano Trondo e Pergen (Trondhiam e Bergen), e perfino quella costa, che sotto il generico nome di Grolandia unisce forse, come è detto espressamente, la Engronelant colla Norvegia, tutto ci autorizza a dire che nessuno poteva descrivere cosi tali paesi senza esservi stato, e che il compilatore non avrebbe avuto alcuna fonte cui attingere notizie per l’impostura, quando tale fosse, sia perchè ninno allora in Europa sognava resistenza della Groenlandia, e sia perchè questo paese non venne visitato dai Danesi dai tempi di Leis Ericson verso il mille, fino a quelli di re Cristiano IV, intorno al milleseicentotrenta. I Zeno toc¬ carono adunque la Groenlandia quattro secoli dopo la dimenticata scoperta normanna, due e più secoli prima de’ rinnovati viaggi danesi. Qualcuno asserì che le sco¬ perte de’ due veneziani sono di poco momento, perchè furono di terre già scoperte da altri parecchi secoli ]^rima; ma conviene riflettere che codesta prima scoperta era caduta neU'oblivione; cheniuna traccia sene trova ne’secoli posteriori; che gli Zeno hanno non soltanto trovata, ma anche descritta la Groenlandia e tutta una vasta plaga settentrionale, dapprima in gran parte in¬ cognita; e, ciò che più importa, che essi hanno accen¬ nato al continente colombiano con termini più signifi¬ canti che non sia il Vinbini normanno. In questa parte importantissima della relazione converrà fermarsi al- qnanto.«Più di mille miglia all’occidente della Frislandia (Fàroer) ed ,al mezzogiorno della Groenlandia, cosi vi si dice, vi è un’isola poco minore dell’lslanda, ma assai più Digitized by LjOOQle 75 ricca ed ubertosa, la quale si nomina Estotiìandia (Labra¬ dor?^, ed ha airest un'isola più piccola detta Icaria(Terra Nuova?). Un pescatore frislandese gettato dalla burrasca sulle coste di Estotiìandia passò da questa isola in un altro paese più al mezzodì detto Drogeo (Nuova Scozia?), ove si seminava il grano e vi sono foreste immense. Quel paese è di un’estensione grandissima e quasi wi nuovo mondo; ma è abitato da gente rozza e priva d'ogni bene, perchè va nuda, non ha metalli, e non mangia che cac¬ ciagione. Porta lancie di legno aguzzate, ed archi con corde fatte di pelle d’animali. Sono popoli di grande ferocia, che combattono assieme mortalmente, e si man¬ giano a vicenda; ma più si va verso garbino e più si trova della civiltà per l’aere temperato, di maniera che vi sono città, templi, ed idoli, e vi «agrificano gli uo¬ mini per divorarseli poscia, ma hanno qualche intelli¬ genza ed uso deiroro e dell'argento ». Rarissimo è il caso in cui una cosa venga inventata ex nihilo ; frequente invece quello che un fatto venga di molto alterato, perchè poche sono le persone che sap¬ piano fare qualche cosa di più che non sia raggiungere gli ornamenti della fantasia ai fatti dati dalla sperienza. Ammettendo per genuina la relazione degli Zeno mal¬ grado la sua inverosimiglianza, chi non vede nelle pa¬ role addotte una chiara e preziosa indicazione delle coste degli odierni Stati Uniti in allora deserte, e popolate dalle tribù selvaggia qui mirabilmente descritte in brevi linee? Come non riconoscere il Messicp coll’avanzata sua civiltà, e coi suoi templi efl idoli, in quella regione più temperata verso garbino? Non è qui accennato un altro mondo, cent’anni prima di Colombo? Qual valore infine possono avere le dotte congetture sul tratto di coste che corrisponde ad Estotiland o DrOgeo, quando la re¬ lazione accenna tanto chiaramente e le parti temperato e le calde del continente americano? Digitized by LjOOQle 76 I CARTOGRAFI ITALIANI DEL XIV SEGOLO. l'Ol Al progresso della geografia contribuirono, oltre gli esploratori che fra stenti e pericoli visitarono lontane regioni e ce ne recarono notizie, quei dotti che fecero tesoro de’guadagnati risultati, e che pe' primi scoprirono nuove leggi cosmiche, o disegnarono graficamente sulle carte le fatte conquiste. Torricelli, Galilei, fra Mauro, Marin Sanuto, Andrea Bianco, e tanti altri minori fisici e cartografi, meritano posti cospicui nella schiera degli Italiani benemeriti della scienza che descrive il globo, e se troppo lungi dall’assunto ci condurrebbe Tesposi- zione anche succinta del contemporaneo progresso degli studi fisici ed astronomici co’ geografici, non possiamo per questo dispensarci dal dare qualche breve notizia intorno ai nostri più illustri cartografi, tanto più che dal confronto delle principali carte noi possiamo vedere nel modo più determinato il successivo progredire della scienza, e le fasi sempre più complete attraverso le quali passò ne’diversi secoli. Nicolò Zeno iunibre, come ab¬ biamo detto, aggiunse alla sua relazione sul viaggio degli avi, stampata nel 1838, una carta del settentrione europeo copiata da un disegno fatto almeno cencinquanta anni prima dai due navigatori. Questa circostanza ci ricorda che la nostra Italia come nel commercio, nella Naviga¬ zione, e ne’viaggi, cosi anche nella cartografia, prece¬ dette di gran lunga un giorno le altre nazioni europee. Gli Italiani avevano fattorie in lontane contrade; i loro mercanti gareggiavano co’principi; il loro commercio era l’unico legame fra l’Asia e l’Europa, fra l’Oriente e l’Oc¬ cidente; i loro viaggiatori furono i primi che svelassero all’Europa la inaggior parte del mondo antico. Venezia fu nel medio-evo l’alta scuola delle risorte scienze geo¬ grafiche, il punto centrale del mondiale commercio, de’ viaggiatori, e di tutto quello che poteva essere utile alla navigazione,e al più facile scambio colle lontane contrade. Colle ricchezze accumulate dal traffico, colle scienze, e \n MI MI .'ini l'i k\ 'ite: jtSi: «?li IÌDì laijt Sre ■M: % S ine 'U ili lial iijp feil inii l^Si Digitized by LjOOqIc 77 colle arti più gentili fiorivano anche l’inci«ione in legno ed in rame. A Venezia vivevano celebri miniatori e dise¬ gnatori di carte, le quali, ornate sulle'prime di ligure, bandiere, templi, ed animali, hanno piuttosto aspetto di quadri d’opere artistiche che non di geografici disegni. I monaci camaldolesi erano famosi scriptores et miniato- rcs; i dogi ed i nobili de'temuti Consigli andavano su¬ perbi de’ tesori che raccoglievano ne’ loro marmorei pa¬ lazzi, e fra que’ tesori primeggiavano i manoscritti ele¬ gantemente miniati, e le carte da navegar, i mappamondi, gli isolarii,e i portolani; ed ancof oggi forse nessuna città è più ricca di Venezia in fatto di antiche carte. Se ne valsero per eruditi lavori i moderni scrittori Formalboni, Zurla, Marin, Tiraboschi, Morelli, Foscarini, Filiasi, e prima di loro 6. B. Ramusio, che verso la metà del se¬ dicesimo secolo pubblicava la prima gran collezione di viaggi imitata più volte ne’ tempi recenti con volumi¬ nosissimi lavori da’Francesi, dagli Inglesi, dai Tedeschi, e, sebbene con minor esito, anche da parecchi nostri rac¬ coglitori. Niuna meraviglia adunque se per secoli Fiam¬ minghi, Tedeschi, e Portoghesi frequentarono le scuole nautiche e geografiche di Venezia; se il tedesco Alberto Diirer vi imparò l’arte con cui incise in legno l’am¬ mirabile suo mappamondo (15iS); e se il napoletano Be- nincasa per accrescere pregio alle sue carte (1471) vi scriveva* « Composuit Venetiis ». Nè l’antichità, nè i primi secoli del medio-evo ebbero carte o cosa che cosi possa essere chiamata. Le tavole di Anassimandro, la tavola itineraria di Peutingerione del IV secolo, la tavoletta argentea di Carlo Magno, sulla quale stavano disegnate Roma ed altre città, il globo argenteo che l’arabo Edrisi fabbricò per Ruggero re di Sicilia, e lo strano disegno che si conserva nella biblio¬ teca di Torino annesso ad un commento manoscritto del¬ l’Apocalisse del 787, forse a degno commento di quel trattato geografico che neH’vni secolo un anonimo geo¬ grafo di Ravenna scrisse 'dietro divina ispirazione, sono bensì monumenti degni di venerazione e meritevoli di Digitized by LjOOqIc 78 esercitare l’acume degli scienziati, ma troppo differiscono da ciò che noi intendiamo sotto il concetto di carte geografiche perchè si debbano e possano comprendere sotto questo titolo. Il più antico monumento geografico d’Europa e d’Italia appartiene secondo tutte le proba¬ bilità al secolo xiv del quale stiamo trattando, ed è il disegno de’ viaggi di Marco Polo, delineato sulla parete della sala dello Scudo del palazzo della Signoria in Ve¬ nezia. Il Zanetti, e dietro lui lo Zurla, ritengono che sia contemporaneo di Polo, o di poco a lui posteriore; ap¬ partenente in ogni modo al principio del xiv secolo; e lo Zurla sospetta che sia stato eseguito su carte cinesi por¬ tatela Polo, perchè nel disegno il mezzodì trovasi aU'alto come è uso presso -i Cinesi. A questa opinione non ade¬ risce però il Peschel, il quale scrive che da tutti gli indizii e daU’esame stesso delle carte più antiche pare che Polo non portasse seco dalTAsia alcun disegno per quanto imperfetto. La tavola o carta in discorso è qua¬ drilunga; è attraversata pel verso della lunghezza da due linee rette parallele rappresentanti l’equatore ed il tro' pico del Cancro; e porta segnati lungo i lati minori 63 gradi di latit. verso il nord (basso della carta) e 12 verso il sud (alto della carta). Comincia alla foce deirindo e dà con mirabile approssimazione la penisola indostanica, il golfo del Bengala, la penisola di Malacca, e poi con poca verità le isole della Sunda e la costa orientale ^plPAsia. In faccia a questa è segnato un vasto paese col nome di Nuova Spagna, evidentemente aggiunto dai restauratori, i quali più d’una volta ebbero ordine dalla Signoria di rinnovare l’antica tavola ad onore e gloria della Repub¬ blica. Alcuni vogliono che l’originario disegno si facesse verso il 1339, poiché Paolo Morosini nella sua Storia di Ve- «mastampata nel 1637,pari anelo del Doge Francesco Dan¬ dolo, scrisse : « Correndo Tanno 1339, morì questo prin¬ cipe dopo d’avere con molto zelo ed applicazione ammi¬ nistrato il ducato. Dicesi che in suo tempo fossero fatte le nobilissime carte di cosmografia che tuttavia sono e ei vedono, sebbene rinnovate e risarcite, nella sala ducale ». Digitized by LjOOqIc 79 E tale opinione non contraddice punto a quelle espresse da Zurla e da Zanetti. Il primo restauro si crede fatto verso il 1489, e ciò per un Decreto del Senato in data di quest’anno riferito dal Morelli, nel quale viene ordinato che prima di atterrare un vecchio muro del palazzo ab¬ biano a levarsene le pitture ed il mappamondo per ri¬ produrlo sul nuovo muro (1). Più accertate sono le due restaurazioni posteriori, una verso il 1550, l’af!ra nel 1761. La prima si fece sotto il Dogado di Francesco Do¬ nato (1545-53) per mano di Ramusio, o per mano del Castaldo, autore di un’edizione migliorata di Tolomeo (1543) ed amico del Ramusio: la seconda si fece per or¬ dine del Doge Marco Foscarini, dottissimo scrittore di cose veneziane, per mano di Francesco Grisellini, sotto la sorveglianza del doge stesso e dei riformatori dello studio di Padova, incaricati di curare l’esattissima ripro¬ duzione delForiginale, o, per dir meglio, del disegno che trattavasi di ristorare, finché potesse esporsi al pubblico, come infatti avvenne nel dicembre del 1762. Pietro Visconte, Marino Sanudo, Francesco e Domenico Pizigani, genovese il primo, veneziani gli altri, furono i nostri illustri cartografi del xiv secolo, i primi che des¬ sero lavori geografici degni di questo nome. Marin Sa¬ nudo, come rilevasi da una sua lettera al Papa, aveva fatti lunghi viaggi nel Levante, fermandosi in Cipro, in Alessandria, in Rodi, nell’Armenia, in Acri, e sempre collo sJopo di studiare le condizioni politiche di quei paesi e d’estendervi più che possibile l’influenza dei Cri¬ stiani. Volendo eccitare i popoli d’Europa ad una cro¬ ciata per togliere ai Soldani d’Egitto il commercio del- rIndia, e indennizzare forse colla via del mar Rosso il commercio di Venezia gravemente danneggiato dalla ristorazione dell’impero Bizantino fatta dai Genovesi a (i) Quod in muro novo construendo ponantur et pmgantnr fUatoriae depictae in veteri maro . et simUiter refioiatur de** scriptio orine me rmppammdus qm in medio ipsarum piota** rarapi extare consueverat. Digitized by LjOOQle 80 Costantinopoli nel 1261, il Sanndo diresse un suo scritto intitolato Liber secretorum fidelium crucis ai principi della cristianità e vi aggiunse alcune carte ed un pla¬ nisfero quasi a guisa di schiarimento. À queste carte, che furono pubblicate e commentate dagli scienziati che predilessero lo svolgersi successivo delle geografiche co- gnizioig, siccome Santarem portoghese, Lelebhibl polacco, e Tomard francese, deve il Sanudo la sq^ fama di cartografo eminente pe’ suoi tempi ; ed il tedesco F. Kunstmann vi dedicava, or fanno pochi anni, un’appo¬ sita monografia. Lo Zurla, che esaminò un esemplare della collezione Canonici di Venezia, dice che le carte di Sanudo vi si suddividono in quattro mappamondi, li primo si compone di cinque carte come segue : 1* Carta occidentale d’Europa, dalle Fiandre fino alle isole Fortunate, il tutto con bandiere colorate, stemmi, rombi, ecc. 2° Carta d’Italia e delle corrispondenti coste afri¬ cane, col mar Ionio. 3“ Asia minore, Mesopotamia, Siria, Arabia, Egitto, Mar Rosso, e Nilo. 4“ Periplo dell’arcipelago Egeo e corrispondenti lidi d’Africa. 8® Periplo del Mar Nero, seguito da una specie d’astrolabio. Il secondo mappamondo che è il più importante rap¬ presenta il mondo cognito de terra et mari; è circolare, ed ha circa un piede di diametro. Il terzo ed il quarto contengono carte supplementari colla pianta di Geru¬ salemme e Tolemaide. 11 secondo mappamondo, che rias¬ sume le cognizioni geografiche di quel tempo nel loro complesso, ha Gerusalemme nel centro, secondo un’idea che a lungo prevalse nel medio-evo, e rappresenta la terra come un disco galleggiante nell’Oceano che com¬ pletamente lo circonda. Il merito d’originalità non è grandissimo, perchè, come tutti ammettono, si vede chia¬ ramente che la carta riproduce le idee de’ geografi arabi da' quali venne il risorgimento della geografia in occi- Digitized by LjOOqIc 84 dente, ed in special modo riluce Tinfliisso delVarabo Al- Edrisi, il quale, nato in Africa, studiò in Spagna e visse in Sicilia alla Corte del re Roggero I, per ordine del quale costruì un prezioso globo argenteo, delineandovi la terra secondo le idee che erano allora comuni fra i dotti di sua stirpe, e fu autore di un’ opera intitolata Nozhat-el Mosctak (Sollazzo di chi brama percorrere le re¬ gioni, ecc.), nella quale, unico fra gli Arabi, non sdegnò descrivere anche l’Europa, paese degli infedeli; lavoro geografico che, secondo TAmari, primeggia fra tutti gli altri del medio evo (1). Sanudo, il primo fra gli europei, disegna TAfricacon forma peninsulare e quindi con aperta comunicazione fra TAtlantico e l’Eritreo, che, sparso di isole, divide l’Asia dall’Africa; fa sboccare il Niger nel¬ l’Atlantico ; segna il mar Caspio, e due regioni estreme, inabitabili sia per Teccessivo calore, sia per Teccessiva rigidità del clima. L’Arabia ha ivi la sua vera forma peninsulare fra i golfi Rosso e Persico; il Mediterraneo vi è segnato con discreta esattezza; e non meno giusta¬ mente sono delineate le coste d'Europa, e l’Asia occi¬ dentale, grazie alle cognizioni attinte, non da Polo, ma dall’armeno Aitone. Imperfettissime appariscono al con¬ trario tutta la parte orientale e meridionale dell’Asia, e quell’enorme curva che si dà all’Africa verso oriente, in modo da racchiudere quasi a foggia di seno il mare indiano. Dalle chiose marginali risulta che il planisfero non registra molte cose che erano pur note al suo au¬ tore, e la più notevole è quella che dice: ulira Gades non inbeniuntur insulae alicuins valoris. Sanudo fece le sue carte verso il 1320. Contemporaneo adunque o di poco anteriore è il portolano che fece Pietro Visconte genovese verso il 1318. Si compone di dieci tavole, e se ne conservano due copie, l’una nella Biblioteca imperiale di Vienna, l’altra nel Museo Correr di Venezia. S'intitola Atlante idrografico, e secondo il • Canale contiene i seguenti disegni: 1. Calendario lu¬ ci) Amari, Storia dei Mussulmani di Sicilia. Firenze, 1854 vo¬ lume l, pa^. XLIV. 6 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani, Digitized by LjOOqIc 88 nare; 2. Mar Nero o Easino; 3. Mediterraneo; 4. Egeo; 5. Ionio e Siculo; 6. Gallico, Ligustico, e Tirreno; 7. Iberico; 8. Atlantico; 9. Britannico e Germanico; 10. Adriatico. I lidi sono tempestati di nomi, per la maggior parte non interpretabili. Il primo a far cono¬ scere questo atlante fu Giuseppe Carampi, nunzio papale a Vienna, che ne diede notizia al Tiraboschi; ma pare che l’esemplare viennese sia preferibile a quello del Museo Correr che ha soltanto sette carte. Più antico di questo si vorrebbe daH’avvocato Cor¬ nelio Desimoni un portolano in otto pergamene, di mano veneziana; ma il Canale osserva che, appunto per la massima estensione delle coste atlantiche, questo lavoro debbesi giudicare posterfore. Procedendo in ordine cronologico fanno sèguito a questi due lavori una carta marittima di un prete ge¬ novese, Giovanni, conservata nell’Archivio fiorentino, e il famoso portolano di un anonimo genovese coll’annb 1361, che gelosamente si custodisce nella Biblioteca Medicea di Firenze. Si divide in otto carte che rappresentano i peripli del mar Nero, dell’Egeo, del Mediterraneo orientale, del Mediterraneo occidentale, delle coste oc¬ cidentali europee (compreso il Baltico), della Barberia, deU’Adriatico, del Caspio, e finalmente il planisfero di tutte le terre cognite dall’India al freto erculeo. Questo lavoro è un prezioso documento delle cognizioni relativamente grandissime degli Italiani a quel tempo in fatto di geografia. I diversi peripli del Mediterraneo sono zeppi di nomi veneziani e genovesi; e l’Africa (cen- totrentasei anni .prima che Diaz portoghese ne vedesse l’estremo capo meridionale) non soltanto ha forma pe¬ ninsulare, ma contiene l’ampio golfo di Guinea, il capo Non, Madera col nome de lo legname, e le Canarie, co’nomi genovesi di lalegranza, lanzerolo, vegimarin, parmé, e * colla bandiera della repubblica (aresso la seconda, in segno probabilmente della scoperta fattane da Vivaldi. Il Baldelli Boni tolse da questo portolano la carta del¬ l’Africa da lui aggiunta alla sua Vita di Polo e riprodotta Digitized by LjOOqIc 83 da Peschel nella Géschichte der erdkunde. Serristori ne tolse la carta del mar Nero da lui pubblicata in Firenze ed illustrata nel 1856. Un altro lavoro analogo, posseduto dal barone di Wal- ckenaer, contiene quattro fogli colla data del 1384. Il dotto signor d’Avezac, francese, dubita che sia opera genovese, e lo afferma il Canale con sode ragioni. Altra erudita contesa scoppiò fra A. Pellegrini e Angelo Pez- zana, illustre bibliotecario ed autore della Storia di Parma (morto nel 1862), a proposito della mappa dei fratelli veneziani, Francesco e Domenico Pizigani, colle date 1367 e 1373, che da Gerolamo Zanetti venne rega¬ lata al Paciaudi e da questo alla Parmense Biblioteca. Il Pellegrini la voleva posteriore a quella di Fra Mauro che è del 1459; il Pezzana, in un suo opuscolo sull’Aw- tichità del mappamondo de'Pizigani, e ne’suoi articoli in¬ seriti nel Giornale letterario di Padova 1806, ammette col Zanetti, primo illustratore della mappa {Dell’origine di alcune arti presso i Veneziani 1768), che non sia po-' steriore alle date ivi notate del 1367 e 1373. Consiste in una sola membrana con miniature e leggende in rozzo latino; ed ha otto medaglioni agli otto rombi de’venti, e certi spazii ai margini, che sembrano corrispondere ai gradi di 50 miglia. La costa africana non va ivi soltanto fino al capo Non, come nel portolano mediceo di sedici anni anteriore, ma fino al capo Boiador che vi è segnato col nome Caput finis Africae\ e ciò sessantacinque anni prima che lo raggiungesse il portoghese Gigliarez(1432). Le Canarie portano anche qui, non una, ma tre bandiere genovesi. Presso la Tana alla foce del Tanai(Don) nel mare d’Azow vedesi il leone alato de’Veneziani. In faccia al Portogallo esce dal mare una figura che accenna di non andare più oltre. Vicino al capo Cantin ci sono le isole Fortunate o di S. Brandano colla figura di questo Santo che vi stende sopra le braccia. Al sud-est la carta finisce al solito col golfo Persico. De’viaggi di Polo, quivi, come presso Sanudo, non si vede traccia alcuna, sia che ninna fede si attribuisse alla sua relazione, sia che i Pizigani, • Digitized by LjOOqIc 84 anziché geograh ben addentrati, in ciò almeno che allora si sapeva, non fossero che semplici artefici copisti che si limitarono a riprodurre carte anteriori a noi ignote. Quest’ultima congettura è generalmente ammessa, perchè si hanno altri lavori deTizigani, fra’quali un piccolo atlante membranaceo di nove carte colla iscrizione: « Adi vili di zugno Franzescho Pizigani veniziano in Ve- niexia me fece». Al secolo decimoquarto finalmente debbonsi ascrivere altri due lavori cartografici: una carta marina pisana di incerta data, illustrata dal Tomard, che il Peschel so¬ spetta anteriore perfino a quella del Sanudo; ed una caria da navegar, che Antonio Zeno fece delle regioni setten¬ trionali da lui percorse col fratello Nicolò, e della quale si giovò il suo discendente per quella che aggiunse alla relazione del viaggio, stampata nel 1558. Fu lodata dal Van figger danese, che disse esservi delineata la costa norvegese assai meglio che non nelle carte scandinave, e fu riprodotta esattamente dal cardinale Zurla alla fine del T tomo della sua Opera su Marco Polo. # Digitized by LjOOQle IV. VIAGGI DEGLI ITALIANI NKL SECOLO XV «La geografia deve tulli i suoi progressi agli Italiani ne* secoli xiii e xiv ; ed anche ne* secoli xv e xvi essi ci ap^ paiono guide e maestri degli scopritori ». Così scrive per¬ sona autorevolissima in questi studii (1). E infatti se ne’due secoli, de’quali già abbiamo trattato, gli Italiani non hanno emuli in Europa (chè tali non possono dirsi i navigatori catalani), in quello del quale ora vogliamo parlare conservano bensì il primato, ma cessano di es¬ sere unici, perchè i Portoghesi incominciano quella lunga serie di scoperte che li condusse verso il 1500, con Vasco de Dama, alle Indie, circumnavigando TAfrica ed attra¬ versando pe’primi fra gli Europei TOceano Indiano. Abbiamo ancora innanzi adunque un periodo per noi glorioso, ricco di fatti e di imprese, che esporremo cro¬ nologicamente secondo Tordine di loro successione, pur coordinapdoli per quanto è possibile in gruppi secondo le principali direzioni seguite da'viaggiatori. Sul principiare del xv secolo i Turchi, già padroni, non solo dell’Asia minore, ma di buona parte delle terre già bizantine al di qua. del Bosforo, stringevano sempre {^ ) Die Italùner denen die erdkunde ihre hìkhsten rdumUchen gewinne im i3 und i4 jahrhundei't verdanklCy treten im 15 und 16 noch als lehrmeister und anfuhrer der entdecker auf, vm dann fast gdnzlich aus der geschiclite unserer ivissenschaft Zu verschwinden, (Peschel 0., Gesch der erdk, pag. 209). Digitized by LjOOQle 86 più dappresso Costantinopoli, la capitale del decaduto impero di Oriente, che dopo lunga ma misera vita spa¬ riva affatto nel 1453, quando que’barbari espugnavano la città e tramutavano in moschea il magnìfico tempio di Santa Sòfla. I Veneziani, a tutelare i lor» possedi¬ menti nell’Arcipelago, come una volta avevano trovato ne’Mongoli degli alleati contro i Saraceni di Palestina, così tentarono ora più volte di guadagnarsi l’alleanza della Persia, naturale nemica dell’Ottomano; ed a tale scopo mandarono legati agli Sciah risiedenti in Teheran ed Ispahan. Dovevano essi concertare i modi più oppor¬ tuni per guerreggiare di comune accordo il Turco, te¬ nerlo lontano dalle isole possedute da Venezia, e pro¬ teggere le vie commerciali tra le Indie ed il Bosforo, le quali erano già da lungo tempo battute da numerosi mercanti italiani, ed allora erano entrate in parte nei paesi soggetti all’implacabile nemico del nome cristiano. Nè a caso abbiamo detto numerosi, giacché da moltissimi indizìi si è potuto dedurre con certezza che i viaggi degli Italiani, massimamente liell’Asia, furono assai più frequenti di quelli de’quali a noi giunse notìzia. Infatti Oderico da Pordenone, parlando di Quinsai in Cina, af¬ ferma avere conosciute in Venezia persone che vi erano state; Toscanelli nelle sue lettere a Colombo dice avere parlato con molte persone che erano state nell’India delle Spezierie; Albuquerque, il celebre portoghese, trovò nell’India il veneziano Bonajnto di Albao che gli fu utilissimo per le notizie che avea raccolte ne’suoi viaggi asiatici; Copper dice che dal Mediterraneo alla Cina i popoli asiatici non conoscevano altra moneta europea oltre il zecchino veneziano; Bruce, nel suo viaggio in Abissinia, narra che un Francesco Brancaleone vene¬ ziano nel 1434 trovavasi presso- il re di quel paese ; Al- varez, nel viaggio in Etiopia (1520), stampato dal Ra- musio, parla di un pittore, Nicolò Brancaleoni, dimorante bell’Abissinia ; Mandeville ed altri antichi, e Canale ed altri moderni scrittori, parlano di Veneti e di Genovesi che fin dal tredicesimo secolo trovavansi per ragioni dr Digitized by LjOOqIc 87 commercio nei porti dell’India e degli orientali lidi ^ dell’Asia. Marco Cornaro e Giovanni Maria Angiolello furono c nel 1419 i primi legati veneziani in Persia. Contempo¬ raneamente un altro veneziano per nome Nicolò Conti incominciava i celebri suoi viaggi nell’Asia, ed unico fra i viaggiatori del suo secolo non solo si spinse per gran tratto al di là dell’India fino alle Molucche, ma fece ritorno in Europa non già per la via di Tarlarla ® per quella di Ormus, bensì per quella più breve del Mar Rosso e d’Egitto, che era pur gelosamente custo¬ dita dai Sultani mamelucchi ; ed ebbe cosi agio di vedere Socotora, Aden, Gedda, e di illustrare una parte dell’Asia rimasta fino allora nell’oscurità. 11 Conti presentossi in Fi¬ renze a papa Eugenio IV alfine di essere assolto per avere rinnegata la fede cristiana mentre, trovandosi sulle coste del mar Rosso, era stato fieramente minacciato della vita. Ebbe l’assoluzione, ma a patto di narrare scrupolosa¬ mente i suoi viaggi a Poggio Bracciolini segretario del pontefice, che ce ne tramandò diffusa memoria nella sua opera De varietale fortume, ora rarissima in commercio. Il dottore Federico Kunstmann, professore di diritto ca¬ nonico presso l’Università di Monaco, ripubblicò nel 1863 con una breve introduzione il testo latino del Conti, e del suo libretto, come si valse il Peschel per un arti¬ colo sul nostro celebre viaggiatore, inserito nel giornale VAueland, cosi ci varremo anche noi; giacché la versione italiana eseguita dal Ramusio, non già sul testo origi¬ nale, ma sopra una versione portoghese (fatta da V. Fer- nandez per ordine del re Emanuele di Portogallo e stam¬ pata verso il 1600 in Lisbona) è tanto alterata, massime ne* nomi propri! de’luoghi, che è quasi inservibile. Nicolò Conti era di antica famiglia veneziana, e per quanto suppone lo Zurla, antenato di quel patrizio de’Conti, che il Cadamosto trovò ambasciatore della Re¬ pubblica in Portogallo. Passò parte de’suoi anni giova, nili in Damasco, ove imparò l’arabo e forse anche il persiano. Verso il 1424 parti con una carovana di 600 Digitized by LjOOqIc 88 persone, attraversò l’Arabia petrea, orrida pe’deserti^ e giunse a Bagdad, della quale dà una breve descri¬ zione, non dimenticando il regai palazzo che gira 14 miglia. Navigò poscia venti giorni pel fiume: indi sbarcò e dopo otto giorni toccò Balsera (Bassora). Quattro giorni più tardi giunse ai golfo Persico, dove osservò il fenomeno della marea non dissimile da quella del Mediterraneo. Cinque giorni durò la navigazione sul golfo, dopo i quali toccò Calcum (Bender Konkun), e indi passò all’isola di Ormus. Da questa città dopo cento miglia venne a Calatia (Kalaliat), nobilissimo porto, assai mercantile, ove ragioni di traffico gli consigliarono qual¬ che tempo di soggiorno. Assunte vesti persiane, e stretta relazione con mercanti persiani co’quali ormai parlava facilmente la lingua del paese, noleggiò una nave, e dopo un mese di navigazione venne a Cambeia presso la foce dell'Indo. Navigando lungo la costa per altri venti giorni, vide due città marittime, che nel testo la¬ tino diconsi Pachamuria (Baccanor?) ed Belli. Si spinse dentro terra e a trecento miglia trovò la grande Bize- negaglia (Bisnagor?), di 60 miglia di perimetro, sede di re potentissimo che nella sola città aveva novantamila armati. Questa stessa città fu visitata nel 1566 da Fe¬ derici, altro viaggiatore veneziano, che la nomina Be- zeneger, ed assegnandole una grande periferia, la dice desolata da quattro re mori, i quali l’avevano occupata l’anno precedente, e, sebbene non distrutta, affatto de¬ serta e nido soltanto alle fiere. Da Bisnagor il nostro viaggiatore dopo otto giorni di cammino venne a Pelagonda (là Penigonda del Fede¬ rici); poi movendo verso il lido orientale dell’ India an¬ teriore e passando per Odeschiria (Utgerydroog?) e Con- derghiria (Kandeghery?), venne al porto di Pudifetania, forse l’odierna Masulipatam. Di là, a quanto pare, sempre lungo la costa, e viaggiando verso mezzogiorno, giunse a Meliapur nel paese di Maabar (Costa di Carnate nel Coromandel) e vi ammirò la grande ed odierna chiesa ove si conserva il corpo di san Tommaso. Dopo Meliapur Digitized by LjOOqIc 89 il testo ricorda la città di Cabila (forse la Cael di Polo), dalla quale il Conti passò per mare nell'isola di Sai!- lana (Ceylan). Gira 3000 miglia; ha gran dovizia di ru¬ bini, granate e cannella, ed è dominata dai Bramini i quali studiano illosofìa ed astrologia. In mezzo ad un lago sorge, cosi aggiunge, una città di tre miglia di circuito; ma siccome il lago non esiste, pare questa una delle aggiunte fatte da Poggio, il quale però non avrebbe che riprodotta un'idea erronea di Plinio. Da Saillana navi¬ gando venti giorni e lasciando a destra l'isola Anda- maria (Andaman?), abitata da antropofagi, il Conti venne a Sciamutera (Sumatra), isola immensa di seimila miglia di giro, abitata da gente crudele, provvista di grandi orecchie nelle quali porta gioielli d'oro abbelliti da pietre preziose. Portano vesti di tela e seta che arrivano fino al ginocchio. Sono adoratori di idoli, abitano case bassissime, ed hanno più mogli. Canfora, oro e pepe hanno in abbondanza. In quella parte dell* isola che di¬ cesi Batech abita una gente belligera che divora i pri¬ gionieri e si vanta dei cranii degli uccisi. Chi ne ha più è il più ricco. Imbarcatosi per ritornare nell'India, una burrasca lo balestrò qua e là per diciassette giorni finché prese terra a Temassari alla foce di un fiume, in paese ricco di elefanti. Il Kunstmann ammette senz'altro che corri¬ sponde a Tenasserim nell'India transgangetica (inglese); ma leggiere affinità nel suono non bastano a mio avviso per determinare con certezza questo e simili casi, tanto più che la relazione si fa sempre più intricata, e non è facile a dirsi per colpa di chi. Secondo il testo ramusiano (in lingua italiana) il Conti da Temassari dopo lunga via di mare giunse alla bocca del Gange, e navigando in questa per venti giorni ca¬ pitò a Cernovan. Ognun vede che lo spazio di tempo indicato in giorni non si può interpretare che assai ar¬ bitrariamente, e che talvolta manca anche questo povero indizio* S'aggiunga che i testi non s’accordano; p. es., il latino parla di pluribus ilineribus terra marique cour Digitized by LjOOQle «0 fìetig, e pare questa volta meno attendibile della pes¬ sima versione ramnsiana. Il fiume Gange è si largo che spesso supera quindici miglia, e le rive non si possono scorgere da chi navighi in mezzo ad esso. Altissimi canneti d’enorme grossezza albergano coccodrilli, ma bene spesso le rive sono abbellite da giardini e palaz¬ zine. Tre mesi durò la navigazione sul fiume, e Nicolò vide parecchie città famose, finché giunse a Marazia luogo celeberrimo per copia di oro, argento, perle, ecc. Vol¬ tosi all’oriente, probabilmente per fare incetta di car. bonchi, tredici giorni bastavano per ritornare a Cernovan, la quale come Marazia non può essere identificata con alcune delle moderne città (1). Da Cernovan ritornò a Bufietania (Masnlipatam), e da questa città riprese il viaggio arrivando un mese dopo alla foce del Rachan (Arracan?) e ad una città dello stesso nome in riva al detto fiume (2). Indi dopo un altro mese di viaggio fra monti e deserti arrivò ad un fiume maggiore del Gange, chiamato Ava o Dava (Irawaddy?) che è nel regno di Macino, al di là del quale è il famoso Cataio dominato dal gran Kan che risiede in Cambaleschia (Cambalut). Navigando circa trenta giorni suU'Ava giunse alla città di Ava, capitale (ora distrutta) del regno di Birma. È un paese ricco di elefanti, ed il re ne possiede diecimila che adopera in guerra. Egli si serve di un elefante bianco che porta appeso al collo una catena d’oro tempestata di gemme. Gli abitanti sono idolatri e per mezzo di col¬ telli si incidono figure sul corpo. Il testo fa un confuso cenno di Cambaleschia, di Nem- ptai e di Zaitun, tre città cinesi; ma il Kunstmann opina (e dietro lui il Peschel), che Conti non abbia oltrepas¬ sato il paese odierno di Birma, da lui detto Macino, e che il passo sulla Cina sia un’ interpolazione o al più un cenno affatto sfuggévole per incidente. Da Ava il (1 ) Etne nicht su erklarende beuennung. (Kunstmann, pag. 23). ’ (2) Secondo il testo italiano che non cita BafTetania parrebbe piut¬ tosto che da Cernovan fosse passato direttamente per terrà al Raehan. Digitized by LjOOqIc 9 « Conti volse al mare, ed in diciotto giorni venne ad nna città detta Zeitona alla foce di nn gran fiume. Questa, se¬ condo tutte le probabilità, è Sittang alla foce di nn fiume che mette nel golfo di Martaban, e non la Zaitun cinese di Marco Polo, come si credette da quelli che sosten¬ nero avere avuto il viaggio di Nicolò qualche influsso sulle idee di Colombo, e quindi sulle scoperte dell’A¬ merica. Dieci altri giorni di viaggio secondo il testo ra- mnsiano, per mare, e, s,econdo il latino ed il portoghese, per fiume, lo condussero alla gran città di Pauconia, che si vorrebbe essere l’odierno Bangkok, e vi dimorò quattro mesi. Da Pauconia per mare tragittò a due isole lontane circa un mese di navigazione da quella città ed ambedue assai vaste. Ambedue portano il nome di Giava, l’una maggiore, l’altra minore, e colà ove più si avvici¬ nano distano circa cento miglia. In queste isole (proba¬ bilmente Giava e Borneo) si fermò nove mesi, sempre accompagnato dalla moglie e dai figli. I costumi degli isolani sono feroci e corrotti oltremodo. L’assassinio è frequentissimo, e va impunito; generale la poligamia; la schiavitù per sanare i debiti. Quindici giorni all’est delle due grandi isole ci sono le isole di Sandai e Ban- dam, ricche di noci moscate e garofani, al di là delle quali il mare è innavigabile per le burrasche. Nicolò ne parla come di luogo che gli fu descritto, non come di luogo visitato personalmente, e pare che si debbano ritenere per le isole Molucche. Dalle due Giave Ni¬ colò navigò verso ponente, incominciando cosi il viaggio di ritorno. Toccò il porto di Ciampa nell’Annam, ove trovò in copia aloe, canfora ed oro. Vi stette un mese; poi un altro mese impiegò per passare da Ciampa a Cttlam, città del Malabar; provincia ricca di serpenti d’ogni specie. Tre giorni bastarono per il tratto da Culam a Gochino sul fiume dello stesso nome. Da Cochino pas¬ sando per Colonguria, Peluria e Meliancuria (la quale ultima è grandissima, ma ora pare sìa tanto decaduta da non potersi facilmente rintracciare) giunse alla più mercatantesca città dell’India, Calicnt. Il tragitto da Digitized by LjOOqIc 92 questa a Cambaia, già nominata più addietro, si fece in dieci giorni e senza dubbio per mare. A Cambaia sMmbarcò di bel nuovo per Pisola di Socotéra (Socotora) dove gli abitanti sono cristiani nestoriani, e dove trovasi molto aloe. Non lungi vi sono due isole, una abitata esclusi¬ vamente da donne, Taltra da uomini. Anche questa sin¬ golare notizia, data da Polo, pare sia stata interpolata da Poggio nella relazione. Da Socotora in cinque giorni giunse ad Aden importantissima pel trafTico. Da Aden passò sulla costa africana a Barbera (Berbera); poi na¬ vigando pel mar Rosso toccò Zidam (Gedda sulla costa arabica), e la costa presso il monte Sinai. Due mesi circa durò la navigazione sul mar Rosso, probabilmente in conseguenza di frequenti soste su ambedue le rive. Dalle falde del Sinai per terra attraverso il deserto veline nel- TEgitto alla città di Carrab (Cairo?J; e qui la pestilenza gli rapì la moglie, due figli, e due famigli, e più non gli restarono che due figli, co’ quali dopo faticoso e pe¬ ricoloso viaggio potè rivedere Venezia. Questo breve ma fedele riassunto del viaggio di Conti ritrae senza dubbio tutta l’incertezza e l’oscurità del¬ l’originale; ma non omette alcun nome proprio di fiume, isola, città, cui sembri doversi attribuire qualche im¬ portanza. Tutte le relazioni de’nostri viaggiatori del medio-evo, mentre sono scrupolosamente ricche di certe indicazioni, p, es., le approssimative distanze in giorni, il giro delle isole in giorni od in miglia, i costumi san¬ guinari de’ varii popoli, le specie più singolari ed in¬ credibili di piante e d’animali, i prodotti che più pote¬ vano allettare i mercanti, sono altrettanto deficienti di certe altre notizie che pure ci sarebbero indispensabili ad ordinare con sufllciente certezza gli itinerari, e che dovevano assai facilmente essere raccolte da chi sog¬ giornò per mesi ed anni in quelle regioni. Si direbbe quasi che si volesse seguire un sol tipo, e che il viag¬ gio di Polo restasse il tipo de’successivi. Finito l’itinerario, il Pòggio aggiunse, quasi ad appen¬ dice e schiarimento, un capitolo De riiu moribusqiie In^ Digitized by LjOOQle 93 dormi, secondo ciò che il Conti gli andava esponendo; ma anche qui, come nel capitolo che tratta la parte geo¬ grafica, i testi non sempre s'accordano, ed il maraviglioso si mescola col verosimile e coiraccertato. L’India si di¬ vide in tre parti, una all’ovest dell’Indo, l’altra ira questo ed il fiume Gange, e la terza all’est del Gange. Quest’ul- tima è l’India terza, ed è la più ricca, la più civile, e la più conforme ai nostri costumi. Parla poi del rito delle sepolture de'morti, de’Bramini,delle loro predizioni, delle mortificazioni che si infliggevano, delle navi divise in camerette, delle navigazioni fatte, non colla bussola, ma coirosservazione delle stelle che sono dalla parte di mez¬ zodì verso il polo antartico, degli idoli, degli spontanei suicidi in ossequio degli idoli, de’ lieti riti nuziali, de’ diamanti, delle varie specie di moneta compresa quella di carta, delle armi, balestre, e corazze, della carta fatta di scorza d’albero e scritta non già in linee orizzontali da sinistra a dritta, ma dall’alto al basso, e di tante altre cose che vennero confermate dalle relazioni de'mo¬ derni viaggiatori, e dal progresso de’ lumi sull’Asia. Il viaggio di Nicolò Conti durò circa vent’anni (142444), e sia per la durata, sia per le percorse distanze, è il più insigne che si facesse nell’ Asia durante il medio-evo dopo quello di Polo. Malgrado l’oscurità del testo, mal¬ grado l’oscillazione e le stroppiature de’nomi, per cui difficilmente chi ha senno critico s’induce a ragguagliarli co’ nomi moderni (1), malgrado finalmente ciò che esso contiene di esagerato e di meraviglioso, questo viaggio è un notevolissimo fatto nella storia delle scienze, e ben merita l’attenzione che gli consacrarono alcuni dotti stranieri. In generale il Conti ci appare attento osserva- (4) Diamo qui ad esempio i nomi del testo latino Baldochia, Col- chum, Ormesia, Hellim, Bizenegaglia, Cenderghiria, Sciamuthera, Rachan, Ava, Cambaleschia, i quali diventano Baldacco, Calcum, Ormuz, Dely, Bisinagar, Cenderghisia, Sumatra, Racha, Ava, Cambaln nella versione italiana pubblicata dal Ramusio, e Baldachia, Calcon, Omersia, Beli, Berengalia, Gonterichirian, Sciamncera, Nican, Clava) e Gibalechiu, nella versione spagnuola. I Digitized by LjOOQle 94 tore, massime per tutto ciò che ha qualche attinenza col traffico, e le sue notizie combinano bene spesso con quelle date da Pegoletti, da Federici, e dal russo Anastasio Ni- kitin, il quale ultimo però, come bene osserva il Kuns- tmann, non viaggiò che una piccola parte dell’India, e riempi il suo racconto di cose sentite da altri. Presso i contemporanei il viaggio del Conti trovò credito, se riflet¬ tiamo che alcuni, certo di poco posteriori al suo viaggio e giunti Ano a noi, registrarono luoghi da lui per la prima volta svelati all’Europa; e trovò diffidenza, se con¬ sideriamo che un illustre cosmografo, papa Pio II (Enea Silvio de' Piccolomini) parlando del Gange e de’ paesi che bagna scrisse: Nicolaus tamen quidam Venetm co- gnomenlo comes nostra aelale in haec loca pervenit, si vera sunt quae ab eo narrata feruntur. Qualche cosa d’analogo succede anche oggi; poiché mentre Humboldt e Kunstmann ammettono l’influenza esercitata dal Conti su Colombo, il Peschel la nega dicendo che il Conti non vide l’o¬ riente asiatico, sebbene non neghi poi che fu a quelle isole delle Spezierie che formarono il sogno dorato di Colombo e di tutti i navigatori del medio-evo. Un altro veneziano, Giosafatte Barbaro, d’illustre pro¬ sapia, contemporaneamente al Conti visitava l’Asia, seb¬ bene soltanto nelle parti occidentali. Nell’esordio del suo racconto pubblicato dal Ramusio, dopo avere detto che si conosceva soltanto una parte dèlia terra e che in gran parte ai mercanti veneziani si doveva ciò che era noto, cosi si esprime con singolare ingenuità ; « Se fra i mercanti veneziani alcuno v’ha che si sia affaticato a vedere qualche parte del globo, credo potere dire in verità essere io quello, conciossiachè quasi tutto il tempo della gioventù mia e della vecchiezza ho consumato in luoghi lontani, fra genti barbare, fra uomini alieni in tutto dalla civiltà nostra, fra i quali ho provato e ve¬ dute molte cose che a quelli che le udranno, non essendo fórse mai stati, per modo di dire, fuori di Venezia, sem¬ breranno bugie. E questa è la cagione per la quale noa mi sono troppo curato nè di scrivere quello che ho ve- Digitized by LjOOqIc 95 dnto, nè eziandio di parlar molto. Ma essendo al presente costretto con preghiere da chi mi potrebbe comandare, e avendo inteso che molte più cose di queste che paiono incredibili si trovano scritte in Plinio, in Solino, in Pom¬ ponio Mela, in Strabene, in Erodoto, ed in altri moderni siccome Marco Polo, Nicolò Conti, nostri veneziani, ed in altri novissimi come sono Pietro Querini, Alvise de Mosto, e Ambrogio Contarini, non ho potuto far di meno che ancor io non scriva quello che ho veduto ». Il Barbaro nacque sul principio del decimoquinto se¬ colo e mori a quanto pare nel 1494. Della sua vita nulla è noto senonchè fu due volte provveditore nell’Albania, e prestò mano forte a Nicolò Ducagino e più tardi al famoso Scanderbeg mentre guerreggiavano i Turchi, Di¬ vide i suoi viaggi, che lo tennero per la maggior parte della vita lontano dalla patria, in due parti ben distinte; la prima tratta del viaggio alla Tana, c la seconda del viaggio in Persia. Partito nel 1436 andò alla Tana (Agoro) e stette da quelle parti sedici anni < circondandole così per mare come per terra con diligenza e quasi con curiosità ». Parla degli eserciti tartari, della gran copia de’ loro carri e deU’ospitalità che egli stesso ebbe opportunità di con¬ cedere ad un principe tartaro, al cui cognato il console veneziano della Tana lo aveva poco prima spedito con donativi. Partito dalla Tana a tre giorni fra terra trovò il paese di Cremuch, fertile ed abitato da gente ladra, simile in volto agli Italiani; poi i paesi di Cippi, Ta- tacosia, Sobai, Cheyartei, ed Alania che si stendono lino alla Mingrelia, la quale tocca la Zorzania (Georgia), il mar Maggiore (Nero), e la montagna che taglia la Cir- cassia ed ha da un Iato il fiume Phaso (Caucaso). Tor¬ nando alla Tana dice che a destra si va all’isola di Caffa (Crimea), unita a terraferma per l’istmo di Zucala (Pe- rekop), e signoreggiata dai Tartari. Alla bocca del mare delle Zabacche (d’Azow) vi è Cherz (Kertch), indi Caffa, Soldadia, Cimbalo, Sarsona, e Calamita, tutte in potere de’Turchi. Racconta qui la perdita di Caffa fatta dai Digitized by LiOOQle 96 Genovesi, come la udì narrare in Persia dal genovese Antonio de Guasco testimonio del fatto. Dietro l’isola di Gaffa è la Gozia, poi l’Alania verso Moncastro. Al¬ l’oriente del Don, dopo sette giorni di viaggio attra¬ verso il deserto Tumen, si viene al gran fiume Erdil (Volga), sul quale è Citracano (Astrakan), che prima di essere distrutta da Tamerlano aveva servito di scalo commerciale fra Tana e la Soria. L’Erdil sbocca nel mare di Bacu (Caspio) venticinque miglia dopo Citracano. Navigando contro acqua sull’Erdil si giunge al fiume Mosco che comunica col primo mediante il fiume Occar. Grazie a questi fiumi ì Russi commerciano facilmente con Citracano. Lungo l’Erdil sono innumerevoli Tar¬ tari; ma verso maestro è Rizan (Riazan)ove gli abitanti sono cristiano-greci. Un po’più oltre è Colona (Kolo- mna), fabbricata di legname, e sul Mosca la città dello stesso nome, residenza del duca Giovanni di Russia. Una volta i Russi pagavano tributo all’imperatore tartaro, ma da venticinque anni si sono impadroniti di Cassan (Kasan) sulla sinistra dell’Erdil ed a cinque giorni da Mosca, terra che fa commercio di polli fra la Polonia e le regioni del Zagatai (paesi asiatici settentrionali). Il duca di Russia soggiogò anche Novogradia (Nowgorod), grandissima terra otto giorni verso maestro da Mosca. Da Mosca ai confini di Polonia vi sono 22 giorni, pas¬ sando per Trochi, Leonin, e Varsonich di Lituania, terre soggette a Casimiro di Polonia. Poco dopo vi è Marsaga (Varsavia?), buonissima città, e quattro giorni più in là Francoforte ove s’entra in Alemagna. La seconda parte tratta, come già abbiamo detto, dei viaggio in Persia. Nel 1471, trovandosi la Signoria di Venezia in guerra coll’ottomano, il Barbaro, uomo uso a stentare (adoperiamo spesse volte le sue parole), pra¬ tico di gente barbara, e desideroso d’ogni bene della sua patria, fu inviato in Persia assieme ad un ambasciatore che Ussun Cassan, signore di quel paese, aveva mandato a Venezia onde confortare la Signoria a proseguire la guerra col Turco. Parti con due galee piccole e due Digitized by LjOOqIc 97 grosse, cariéhe di artiglierie, genti d’arme, e donativi, cioè vasi d’argento, panni d'oro, seta e scarlatto, il tatto pel valore di quasi 9000 ducati. A Famagosta (isola di Cipro) senti che, essendo la Caramania occupata dal Turco, non sarebbe stato possibile il viaggiarvi. Appro¬ fittando della vicinanza della squadra veneta, forte di 60 galee, oltre 39 galee napoletane, alcune cipriotte e papaline, ed altre del Gran Mastro di Rodi, il Barbaro occupò il castello di Sigi sulla costa di Caramania, e indi Seleucia, che è dieci miglia a maestro da Corco, luogo ove si vedono molte nobilissime iscrizioni ed avanzi di bei monumenti. Anche a Seleucia presso la foce del Ca- lycednus si vede un anfiteatro non molto dissimile da quello di Verona. Proseguendo il viaggio, Barbaro toccò Tarso sul Cydno nell’Armenia minore a circa un giorno da Seleucia, poi, ad altrettanta distanza, Adena presso il Pyramus. Giunto all’Eufrate, che fa il confine fra gli Stati del Snidano e la Persia, toccò Orphan poi Merdin, poi Assanchip sul Tigri, e poi Sairt presso i fiumi Betelis ed Issan (affluenti del Tigri). Valicando la catena del Tauro, la quale si stende fin a Trebiso’nda sul mar Nero, vide le munite rocche costrutte dai feroci Curdi sulle rupi più inaccessibili. Assalito da costoro il 4 aprile 1474, presso il luogo di Chexan rimasero uccise nello scontro quattro persone, fra le quali l’ambasciatore persiano ed il cancelliere del Barbaro ; questi poi rimase ferito e de¬ rubato. Dopo alcuni giorni di viaggio, toccando le ro¬ vinate città di Vatan e di Choi, giunse a Tauris, anti¬ camente capitale della Media. Quivi fu accolto con di¬ stinzione dal re persiano che lo provvide del necessario e lo ammise nella sua loggia ad assistere agli spettacoli, facendolo sedere su tappeti, aU’uso moresco. Gli mostrò anche infinite magnificenze, gemme, padiglioni, e tesori inestimabili. Partito assieme al re ed a tutto l’esercito per una campagna contro un figlio ribelle al re, descrive la màrcia faticosa, il numeroso corteo, e l'immenso ba¬ gaglio. A Snltania vide con ammirazione una magnifica moschea. A Culpercaen gli mori l’interprete; ma, siccome 7 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani, Digitized by LjOOqIc 98 conosceva già abbastanza il persiano, si troyà io grado di far senza dell’interprete, unico in ciò fra gli ambasciatori che troyavansi alla corte di Persia. Parla poi dell’ irri¬ gazione artificiale, della bellissima città di Spahan, del- l’industre Cassan, di Corno disabitata, di Tesdi floridis¬ sima e celebre in tutta l’Asia per belle sete, e di Siras, terra frequentata dai mercanti che vanno a Samarcanda 0 vengono da quella terra. Dice d’essere stato anche colà c d’avervi veduti molti Cini e abitanti del Cataio; ed a proposito di questo paese, che fin d'allora passava per il principale dell’Asia (il Conti lo dice provincia omnibus praeslanlior), narra che essendo alla Tana vi co¬ nobbe un Tartaro, che era stato a Cambalut e vi aveva veduta la carta-moneta. Costui, parlando degli abiti dei Catainì, diceva che erano qffatto simili a quelli di tal Nicolò Diede veneziano, il quale passava appunto per la via mentre il Barbaro discorreva con quel mongolo.— Ri¬ pigliando la descrizione della Persia fa capo ancora a Tauris, e descrive i luoghi che ha a levante e a scirocco. S’incontra dapprima Cuerch che è sulla via del golfo Persico, nel quale è l’isola di Ormuz, emporio della mercanzia dell’India. In questo golfo mette capo l’Eu- frate sul quale è Bagadet (Bagdad), che dista sei giorni dalla foce. Uscendo dal gólfo a scirocco vi è la rino¬ mata Calicut. All’incontro di Ormuz invece, ma fra terra, è Lar, poscia la Siras già nominata, indi Camarà, presso la quale vi è un monte rotondo con in cima 40 colonne cariche di bassirilievi. Questo luogo, che secondo lo Zurla corrisponde alle rovine di Persepoli, dicesi dal Barbaro eliminar. Prosegue poi la relazione citando Un gran numero di luoghi colle loro relative distanze in giorni; ma sia per l’incertezza di questo dato, sia per la poca importanza de’luoghì, per la guasta ortografia, e per i cambiamenti successi nel corso de’secoli suc¬ cessivi, riesce assai difficile il ragguagliarli co’nomi mo¬ derni. Men difficile riesce la cosa pel tratto da Trebi- sonda a Tauris, che passa poscia a descrivere con tutta esattezza, come quello che era generalmente percorso Digitized by LjOOQle 9 » dagli Italiani e nel quale luetteTano capo le linee più estese che in varie direzioni venivano dal centro e dal mezzogiorno dell’Asia. Da Trebisonda, che fu già terra rispettabile sul mar Maggiore, movendo a scirocco, dopo varii castellucci e ville in mezzo a monti e boschi si trova Baiburt in fruttifera regione, e cinque giorni dopo Arzengan (Erzerum) che è presso l’Eufrate, il quale fiume si passa ivi su un bel ponte di pietra cotta di dicias¬ sette archi. Cinque giorni dopo il viaggiatore trova il castello di Carpurth, poi Moschout, Hella^e Thene* ba¬ gnati da un grosso fiume che passa poco lungi da Car¬ purth. A levante, in cima ad una rupe, vi è Palla, indi a quattro giorni Amns. Questa regione abbonda ovunque di vino e frutta. Entrando in Turcomania, la prima terra che ci si affaccia è Mus, posta in regione montuosa, poi Alelat su un lago lungo 160, largo 60 miglia (lago di Van). Non lungi al nord vi è un altro lago che ha un circuito di 80 miglia, sul quale è Ceus. Lontano un giorno si trova Herzis presso un fiume che si passa sur un ponte di cinque archi. Vi sono poi molte ville, una città rovinata da Tàmerlano, ed un altro lago lungo 200, largo 30 miglia con isole abitate (lago di Urmiah). A greco da Tauris, toccando Sammachi che dista do¬ dici giorni a ponente dal mar di Bachu (Caspio), si va a Darbend, luogo fortificato fra il mare ed i monti. Questo luogo è detto Tamircapi (Demir Kapu de’Turchi) o porto di ferro, perchè è l’unico passaggio di Persia in Tàr- taria. Sul vicino monte Caspio (monti del Daghestan) vi sono frati francescani e molti cristiani e greci. In riva al mare è Bachu, che gli dà il nome, ed è luogo conosciuto per le sue sorgenti di olio fetente (nafta e petrolio). Il Barbaro segui Assanbei (Ussun-Cassan), non solo nella spedizione in Zorzania (Georgia) fino alle rive del Phaso, ma anche in spedizioni posteriori verso il centro della Persia. Verso il 1478 trovavasi in Tauris, quando il re mori ed i suoi figli cominciarono una atroce guerrà civile. Allora accommiatossi e per Erzerum ed Aleppo Digilized by LjOOQle 100 venne a Barato (Beyrnt) snl Mediterraneo, e per Cipro fe’ ritorno a Venezia. Sebbene confusa e seminata di cose poco credibili, questa relazione dell’ambasciatore veneziano, che noi al solito riassumemmo nella parte geografica, curandoci meno delle notizie pertinenti ad altre discipline, è la migliore che il secolo decimoquinto desse sulla Persia. Anche qui, come in tutte le relazioni de’primi viag¬ giatori, il valore delle notizie 6 grande soltanto consi¬ derato relativamente all’epoca del viaggio ed alle te¬ nebre che densissime coprivano in allora quasi tutte le regioni non europee. Molte cose bisogna respingere, molte restano oscurissime, ma avvene parecchie che, ben accertate e confermate dai viaggi posteriori, si potreb¬ bero definire con Malte-Brun granelli d’oro sparsi fra la sabbia. E di questi bisogna far tesoro, quantunque del Barbaro potrebbe dirsi come de’Polo, che.essendosi trattenuto si a lungo nell’Oriente, avendone conosciuto famigliarmente le lingue, ed avendo avute tutte le mi¬ gliori opportunità per grado ed influenza presso i so¬ vrani de’paesi percorsi, parrebbe che il suo racconto avrebbe dovuto essere più copioso, più ricco di parti¬ colari, più vario, più adatto insomma a soddisfare la curiosità delle popolazioni cristiane che per tradizione ed abitudine volgevano l’occhio al lontano e popoloso Oriente, e tendevano ansiose l’orecchio alle descrizioni che di quello gli venivano fatte. ’ ÀI viaggio di Giosafatte Barbaro si annodano quelli di due altri nobili veneziani, che contemporaneamente 0 poco dopo recaronsi come Ini in Asia ambasciatori della Signoria di Venezia ad Ussun Cassan sciah di Persia, e, seguendo il lodevole costume inaugurato in Europa da Venezia due secoli e mezzo prima delle altre nazioni, scrissero la particolareggiata relazione del viaggio e dell’esitò della missione.'Sono dessi Caterino Zeno e Atobrogio Contarini. Caterinò Zeno era nipote di quel¬ l'Antonio e di quel Nicolò, che verso il 1400 navigarono i freddi mari settentrionali, ed era figlio di un Brogone Digitized by LjOOqIc m Zeno (figlio di Antonio), che dopo lunghi viaggi era morto in Damasco. Verso il 1&71 la Repubblica, inquieta de’crescenti progressi del Tarmi ottomane, e ignara e malcontenta delTesito delle ambascierie di Lazaro Que- rini (i463) e del Barbaro allo Sciah persiano, affidò a Caterino la missione di recarsi presso quel potente mo¬ narca onde stringere sempre più con lui legami di al¬ leanza a danno del comune nemico. Era arduo incarico perchè non volevasi destare la gelosia delle potenze eu¬ ropee, e trattarasi di sfidar^ la potenza di un gran con¬ quistatore qrial era il turco Maometto 11 ; ma la Signoria vedeva un’arra di buona riuscita nella parentela che passava fra Caterino e lo Sciah, avendo quest'ultimo per moglie una sorella di una principessa di Trebisorlda, che sposata a Nicolò Crespo, duca delTarcipeìago, era dive¬ nuta madre di Violante, sposa di Caterino. Partito nel 1471 lo Zeno, toccando Rodi e la Cilicia, giunse in Persia. Ebbe liete accoglienze, e più dalla regina che, compiacendosi del nipote, volle avesse alloggio in corte, e, contro i còstumi orientali, ampia facoltà di studiare e di esaminare tutto quello che più lo interessava. Nel 1473 Maometto batteva i Persiani à locato èd alTEufrate^ onde Ussun Cassan mandò lo Zeno alle corti Europee implorandone gli aiuti. Fra indicililli disagi Caterino, schivando le terre conquistate dagli Ottomani, venne a Caffa sul Mar Nero, poi con lunghissimo giro in Polonia, ove persuase re Casimiro a far pace cogli Ungheri ed a rinunciare alla lega coi Turchi; Mentre ivi si tratteneva ebbe agio di trovarsi con Paolo Ognibene, che i Vene¬ ziani spedirono in quello stesso paese donde egli veniva, e ne approfittò per informare Ussun Cassan del felice esito di sue trattative col re polacco (4). Venuto poscia a Buda in Ungheria indusse il famoso re Mattia Corvino (4) Pare fossero molto frequenti le relazioni fra rOeeidente e la Pèrsia nella seconda metà del xv secolo. Anche il Konstmann cita il francescano Luigi da Bologna, mandato aihbasciatore da papa Cal¬ listo III ad Ussun Cassan nel 44S6. . i Digitized by LjOOqIc fO* ad unire le sae afmi colle polacche e colle veneziané contro il gran nemico della cristianità. Il re con suo diploma da Buda, 20 aprile 1474, lo fece suo cavaliere, come già altri Italiani che fiorivano alla corte del bel* ligero Hunyadi. A Venezia fu accolto con giubilo, e, sen¬ tita la sua relazione, la Repubblica mandava legati al papa ed al re di Napoli onde concertare la léga; ma come al solito le gelosie e le discordie impedirono che si ve¬ nisse a fatti efficaci. Queste notizie, senza dubbio pù utili allo storico che al geografo, si raccolgono dai com¬ mentari! di Caterino, pubblicati nel 15S8 da'Nicolò Zeno, quel medesimo che, giovandosi delle carte possedute dalla famiglia, stampò il viaggio degli avi nel settentrione. Qualche anno dopo, nel 1474, fu spedito ambasciatore in Persia Ambrogio COntarini, che ci lasciò un esatto diario dal febbraio 1474 all’aprile 1477, impresso nel 1483 in Venezia da Andrea Fosco, e ristampato nel secondo volume della grande collezione di Ramusio. Per evitare il teatro della guerra fra Turchi e Persiani dovette bat¬ tere, come lo Zeno, la via d*Alemagna, Polonia, Russia, piccola Tartaria e Caucasia. Casimiro di Polonia, cui pre¬ sentò lettere della Signoria, volle che a lui si unissero due suoi ambasciatori e lo fece scortare per gran tratto fino ai confini tartari. La relazione comincia con queste parole: « Io partii da Venezia addì 24 febbraio 1474, ed in mia compagnia ebbi il venerabile prete Stefano Testa, mio cancelliere. Dimitri da Setinis turcimanno, Maffeo da Bergamo e Zuanne Ungaretto miei servitori^ tutti vestiti di grossi panni alla tedesca. Li denari li quali portai con me erano cuciti nei giupponidi detto prete Stefano e ne’miei, il che non era senza affanno. Montai in barca colli sopradetti quattro ed andai a. S. Michiel di Murano, dove udita la messa feci che il priore ne segnò tutti col legno della croce, e con la sua be¬ nedizione andassimo a dirittura a Mestre dove erano apparecchiati cinque cavalli sopra li quali montassimo e col nome di Dio andammo a Treviso » A Gaffa sul Mar Nero giunse il 26 maggio. Noleggiata una nave Digitized by LjOOqIc 403 sbarcò alia foce del Phaso e per la Mingreli'a e la Georgia venne a Tanris il 4 agosto. Ussun Cassan guerreggiava contro un figlio ribelle. Il Contarini da Tauris per Sol- tania. Sena, Como, arrivò sul finire d’ottobre a Spahan distante non più di 24 giorni da Tanris, e con indici¬ bile allegrezza vi trovò il concittadino Giosafatte Bar¬ baro che lo presentò allo sciah; del quale seguirono poscia assieme le lente spedizioni. Sul finire del mag¬ gio 1475 lo sciah, presso di sè tenendo il Barbaro, li¬ cenziò il Contarini e frate Lodovico da Bologna, legato del duca di Borgogna, incaricandoli di esortare i prin¬ cipi dell’occidente alla guerra comune contro il turco. Partito il 28 giugno assieme a tre legati del re, uno pel duca di Borgogna, due (fra quali certo Marco Rosso) per il duca della Moscovia bianca, seco recando alcuni donativi dello sciah destinati alla Signoria, attraversò la Georgia e la Mingrelia. Arrivato alla foce del Phaso (presso l’odierna Poti) senti con Solere che i Turchi avevano tolta Gaffa ai Genovesi. Nati dispareri sulla via a seguirsi, la compagnia si divise, ed il Contarini, venuto a Summachi, poi a Derbend sul Caspio, quivi passò il verno. La relazione tratta a lungo della navigazione e della pesca che i musulmani facevano in questo mare. Il 6 aprile 1476 salpò da Derbend, il 26 entrò nel Volga, il 30 fu a Citracan (Astrakan), già luogo assai trafficante. Vi si fermò fino all'agosto, ed in questo mese, attraver¬ sando i deserti lungo il Volga, e passandò per Resan e Colomna, giunse a Mosca (26 settembre) e si presentò al duca Giovanni della Russia bianca. Sul principiare del 1477, fattosi trasportare con vetture a Smolensco e di là a Trochi, vi trovò re Casimiro, che accoltolo cortese¬ mente volle da lui circostanziate notizie sugli affari di Persia. Poi per'Varsonia (Varsavia), Prancoforte, Norim¬ berga e Trento fe’ ritorno a Venezia, ove entrò il 10 aprile. Cosi si chiude la relazione del Contarini la cui importenza svanisce al confronto di quella di Giosafatte Barbaro. Abbiamo detto finora de’viaggi fatti dagli Italiani in Digitized by Google 104 Oriente; diremo ora di quelli verso mezzodì lupgo la costa africana occidentale, poi di quelli verso settentrione; e poiché nessuna plaga restò intentata, chiuderemo co’ celebri viaggi de’Cabotto, Colombo, e Vespucci verso l’Occidente. Nel XV secolo la via, solcata nel secolo precedente da’ genovesi fratelli Vivaldi, dal Melocello, e da Nicoloso di Recco, fu percorsa probabilmente non senza frutto da altri genovesi, addi 24 settembre 1419. Infatti, cosi dice il Canale, il fogliazzo notarile di Genova registra come insigne navigatore Un Michele Zignago del quondam Bar* tolomeo ; e lo storico portoghese Barros scrive che verso il 1440 vennero scoperte le isole del Capo Verde da Antonio Nolle (Noli?) di nazione genovese e di sangue nobile, che per dispiaceri avuti in patria venne in Por¬ togallo con sue navi, accompagnato dal fratello Barto¬ lomeo e dal nipote Raffaele. L’infante gli aveva libe¬ ralmente accordata dbncessione di muovere alla scoperta di nuove terre. La scoperta deU’Arcipelago del Capo Verde si attri¬ buisce però generalmente al navigatore veneziano Luigi da Mosto (Alvise da ca’ da Mosto) il quale si pose al servizio del Portogallo nel 1456, sedici anni dopo i Noli, ed ottenne nella storia delle scoperte posto più cospicuo per maggior certezza di informazioni e copia di notizie. Ritter dice di lui che fu per la costa occidentale d’A- frica ciò che Polo fece per la costa d’Asia; elogio gran¬ dissimo, che vedremo giustificato dai.fatti che qui com¬ pendieremo da un lavoro speciale del cardinale Zurla, Luigi aveva appena ventidue anni quando nel 1454 (l’otto di giugno), parti da Venezia su galee venete de¬ stinate ai porti di Fiandra, e comandate da Marco Zeno, Giunti al capo S. Vincenzo, Patrizio: de’Conti, « console veneziano in Portogallo; lo presentò al principe Enrico; il gran patrono de’ navigatori, nella sua villa di Rapo- sera, e fece in modo che gli fosse concessa una cara¬ vella per muovere alla scoperta di nuovi lidi. Enrmo, sapendo ohe I Veneziani erano conoscitori del aure più Digitized by LjOOQle 405 che ogni altra nazlono, accondiscese. Il marzo 1455 Lnigi salpò dai Lisbona, toccò Porto Santo (1) (che disse scoperto dai Portoghesi ventisette anni prima), toccò Ma¬ dera il giorno 28 ammirandovi le viti portatevi da Gandia, e passò poscia alle Canarie. Nella relazione del viaggio: parla de’ loro prodottL e del picco ardente di Teneriffe; ma non dice quando fossero state trovate e da chi. D» Palma navigò al capo Bianco, che fa distante 870 miglia. Questo capo, così dice, chiqde al nord il gran golfo di Arguin, le cui coste sono deserte come sempre fra il capo Gantin e il capo Bianco, corrispondendo esse al gran de^ serto di Sarà, che dalle montagne di Barberia va flno' ai Negri d’Etiopia, e ad attraversare il quale occorrono •50 0 60 giorni. Dietro il capo Bianco fra terra, lontano 6 giorni, vi è un luogo detto Oden, ove si fermano le ca¬ rovane provenienti da Timbuctu. È abitato da Arabi che sono maomettani, hanno molti camelli, sono di color bruno, vestono cappe bianche e commerciano coi negri. Sulle coste avevano i Portoghesi fondate alcune fattorie, ma gli indigeni si mostravano con loro oltremodo astuti» ladri, e bugiardi. Sei giorni Oltre Oden vi è Tegazze, ricca di sale, il quale si porta a Tombotu e di là a Melli grand’imperio de’Negri e paese caldissimo. Quaranta giorni si impiegano da Tegazze a Tombotu, e trenta da Tombotu a Melli. Quest’ultimo luogo è il centro del com¬ mercio deiroro che di là si distribuisce per varie stradò M al GaiiV), a Tunisi di Barberia, ad Oden, e per questa città a Fessa nel Marocco, e ad Argin, stabilimento marittimo pértoghése. Non vi è nloneta; tutto ir com^ marcio coAsUte nello scambio. Dal capo Bianco il Ga> damosto'veleggiè alla foce’ del Aio de Sanuga (Se¬ negai) lontana 980‘miglia. Questo fiume (scoperto già dal portoghese NunoTristan nel 1447) ha diverse bócche, è profondo, e dividé la terra arida dalla terra fertile. L’opinione di quel li che hanno ^cercato il mondo è che (4) S’àminettè dómuhemeittè cBé le scoperte di Porto Sahtò'e Mà-ì dw», la prims'déi Pwioghesi, avvenissero nel 4448.' . Digitized by LjOOQle t06 questo fiume sia un r^o del Gion, ohe viene dal Pa¬ radiso terrestre e manda un altro ramo al Mediterraneo sotto nome di Nilo (I). Sul Senega o Sannga trovasi il primo reame de’Negri d’Etiopia. Più all’interno vivono popoli esperti nel maneggio dell’arco, nuotatori, sprez¬ zatovi della morte, che vanno seminudi, sono inganna¬ tori, ed hanno re che vivono traflìeando di schiavi, cioè vendendo i sudditi. Sono pigri coltivatori, hanno fa- giuoli e miglio ma non frumento, e bevono vino di palma, ossia un liquore che cavano da un albero simile alla palma. Leoni, leonesse, leopardi, ed elefanti infestano il paese. Sbarcato sulla costa non lungi dalla foce del fiume Senega, strinse amicizia con un capo per nome Budomel, che l’accolse con bontà, ed acni offri un pranzo alla veneziana. «Durante il pasto continuamente parlammo delle zentileze de la Italia e de'cristiani ; ma non potea darse pace del nostro seder a la mensa, perchè loro man- zano in tcra come le bestie». Desioso di scoprire il regno di Gambia, che dicevasi ricco d’oro, il Cadamosto si accommiatò da Budomel. Men¬ tre era per salpare alla volta di capo Verde, vide due vele in mare e giudicando non poter essere che di cristiani vi si appressò e conobbe che erano condotte da « mes- ser Àntoniotto Usodimare, gentiluomo genovese, il quale con due caravelle, e fatta conserva con. alcuni scudieri dell’infante, veleggiava per passare il capo Vérde, e pro¬ vare la ventura ». Unitosi all’Usodimare il Cadamosto toccò il detto capo, il quale chiude un gran golfo con rive bellissime, poi la ^cca di un fiume detto de’Bar- becini (lontana 60 miglia dal capo), indi la foce di ua altro fiume non minore del Senega, ove invano tenta¬ rono stringere relazione coi Negri. Più innanzi trova¬ rono l’imboccatura di un terzo gran fiume, largo da 3 a 4 miglia, ed opinando essere il Gambia tanto deside¬ rato (foce del Gambia L. N. 13“ 30') vi entrarono eolie navi; ma gli indigeni con una quantità di barchette leg¬ gere 0 almadie si fecero dintorno ai legni, e riputandoli nemici lanciarono tale quantità di saette avvelenate che Digitized by Google m i maiinai non vollero procedere sul 0ame, ed anzi chie¬ sero, che desistendo dalla direzione di mezzodi si vol¬ gessero le prore al ritorno. Nell’anno susseguente 14S7 succede la seconda e piu celebre navigazione del Cadamosto coirUsodimare. Par¬ tirono con tre caravelle dal porto di Lagos ed anche questa volta sotto gli auspici dell’infante. Giunti al capo Bianco li colse una procella che li gettò qua e là per tre giorni e due notti, finché videro terra. Vi sbarca¬ rono alcuni uomini e videro che quella era un’isola, che tre altre isole erano verso ponente, e che forse ce n’eran > ancora altre, ma si lontane che non potevansi ben distinguere. Ad una delle isole si diede il nome di Buona Vista, ad un’altra quello di S. Giacomo, le altre furono vedute e denominate da viaggiatori posteriori attirati dalla fama della scoperta di questo arcipelago che ora prende il nome dal Capo Verde che gli sta dirim¬ petto. DaH’arcipelago la spedizione volse al capo Verde, e indi al fiume Gambia, che risalì per 60 miglia fino alla terra di un capo negro per nome Battimansa. Uscite poi dal fiume le navi, trovandosi ben provviste di viveri, continuarono il viaggio verso mezzodì. Oltrepassato un fiume di mediocre larghezza, ne trovarono un altro poco minore del Gambia, detto il Gasamansa. Dista dal primo circa 100 miglia. Dopo altre 20 miglia girarono capo Rosso, poi videro il rio o fiume di Santa Anna, poi a 60 miglia da capo Rosso il rio Domenico, ed un giorno più tardi il rio Grande (L. N. 11°), presso la foce del quale sono parecchie isole (Bissagos). Qui vedendo che anche i turcimanni più non comprendevano il linguaggio de* Negri, con grandissimo rammarico si incominciò il viaggio verso l’Europa. Incertissime sono le notizie sulla vita deirUsodimare. Nella Biblioteca deU’Uaiversità di Genova conservasi un itinerario che consiste in un codice cartaceo di -32 pth gine, in carattere gotico, nel quale oltre una specie di compendio di geografia universale, leggesi una lettera del navigatore colla data 12 dicembre 1455. Ne parlarono ' Digitized by LjOOQle gli eruditi svedesi Akerbtand « Grdberg de Hemsd (1), e più recentemente d’Avezac, Baldelti^ Boni, WalrJtenaer, Agostino Olivieri, e Canale. Grdberg opina, e dietro lui quasi tutti gli altri, che non Sia opera dell’Usodimare, e che questi, occupato a cercar oro, col quale pagare i suoi debiti, come dice nella lettera indirizzata a’suoi creditori, non rivedesse la patria. Ganalq invece giudica che sia stato scritto nella seconda metà del x\' secolo; lo dice prezioso documento della geografia del medio-evo, ed osservando che l’Usodimare non fe’cenno del Cada- mosto, mentre questi nella sua relazione nomina l’Usodi- mare, sospetta che il veneziano abbia seguito il genovese qual semplice mercenario, e che, raccolte da lui preziose notizie sul commercio e sui popoli deH’Africa interna, se ne sia fatto bello nella sua relazione. Pensa il Canale che il Cadamosto sia qualcosa di peggio di un millantatore, e che perciò a ragione Pietro Martire d'Anghiera lo accu¬ sasse di plagio e malafede. A suo giudizio il Znrla pec¬ cava di eccessiva buona fede, tenendo per sacra la rela¬ zione del suo concittadino pubblicata dal Ramusio, ed appuntando di errore gli autori della Storia generale de*viaggi, che proclamarono scopritore dell'arcipelago del Capo Verde il genovese Antonio da Noli (1440). Autorevolissima è l'opinione del sig. Canale; ma la lettera e l’itinerario, di dubbia origine, non ci sem¬ brano argomenti sulBcienti a distruggere il merito del Cadamosto, generalmente accettato dai dotti. Senza di¬ videre le opinioni del cardinale Zurla colà ove egli vuol mettere il Cadamosto a livello di Mungo Park (poiché il viaggiare sii una nave lungo le coste d’Africa è cosa ben diversa dall’attraversare le torride solitudini), e senza esagerare in alcun modo il merito del navigatore ve¬ neziano, noi non crediamo che si abbiano finora fatti ba¬ stanti a detronizzare il Cadamosto in^ favore dell’ Uso- dimare. Quand’ anche si ammetta che i Noli avessero H) AHnalett del pobbUeaib a Parigi da Màlte-Brun, 4840, 7 voi. — Aunaii di CSe monta il sole, e ne’ mesi oppòsiti è quasi sempre notte. » Dal 20 novembre al 20 febbraio la notte è continua, > durando ventuna ora, sebbene resti sempre visibile la Digitized by LjOOqIc ns » Iona; dal maggio al 20 agosto invece si vede sempre » il solo 0 almeno il sno bagliore ». Quéste parole ac¬ cennano al clima prossimo al TO'* grado di latitudine bo¬ reale; ed infatti si aggiunge che l’isola dista circa set¬ tanta miglia dall’estremità settentrionale di Norvegia (capo Nord L. N. 71” 10’) e mille da Bergen* Era senza dubbio una delle Lofoden ma è dubbio ancora se fosse Roesti che ne è la più meridionale, o piuttosto Ando 0 Longò. Questo mare fu già navigato dai Normanni verso il mille, e più all’occidente dai veneziani Zeno, mezzo secolo prima del Querini. L’inglese Willoughby 10 attraversò navigando verso la nuova Zembla nel 1553, centovent’anni dopo il Querini. Continua poi la relazione, dicendo che gli isolani di Rustene si mostrarono sommamente ospitalieri e di co¬ stumi oltremodo candidi, senza neppur riserbo di pudicizia, 11 che pare debba intendersi ingenui fino all’ impudicizia. Hanno case rotonde, con aperture circolai in alto che co¬ prono con pelli di pesce; ed alla morte de’conginnti fanno festa. Loro unica risorsa è il pesce che portano a Bergen, la qnal città^ a dir vero, dista assai meno di quello che nella relazione si dice. La neve non cessò di cadere dal 5 febbraio al 14 maggio. In questo mese i Vene- ziani presero posto nelle barche dirette a Bergen e li accompagnò il buon cappellano che voleva visitare l’ar¬ civescovo di Trondon (Dronthjem). Il viaggio fu per ca¬ nali di mare, fra alti scogli, e sempre in mezzo a gran strepito di uccelli acquatici. Incontrarono due galee che portavano l’arcivescovo. Questi vide con piacere i Vene¬ ziani, diede loro commendatizie, e donò al Querini un ca¬ vallo. A Trondon videro il magnifico tempio di Sant’OIao, e furono albergati dal governatore che provò pietà di tanti infortunii e li volle suoi commensali assieme a persone d’illustre stirpe. Dopo otto giorni di fermata il Querini s’avviò a visitare certo messer Zuan Francesco, veneziano, il quale abitava a Stichinborg o Stegeborg, castello di Svezia nella Gotlandia orientale. Impiegò 53 ^orni fra monti e valli solitarie. Fu ben accolto e ma- Digitized by LjOOqIc 413 gnificamente ospitato per 16 giorni, A quattro giorni di lontananza vi è il luogo di Vatsena o Vastena, ove il primo d'agosto assistettero alla festa di S. Brigida. In questa occasione sentirono che a Lodese, porto lon¬ tano otto giorni, v’erano due navi destinate Tuna per Rostock (Meklenburg), Val tra per V Inghilterra. Il Que- rini s’imbarcò su quest’ultima, e venuto a Londra, fu trattato con onori dai mercanti veneziani. Vettore Ca¬ pello, Zuan Marcanuova, e Girolamo Bragadin. Con questo ultimo tornò a Venezia per la via di Basilea. Diremo ora delle grandi navigazioni verso occidente, e, come vuole l’ordine cronologico, diremo anzitutto del viaggio del sommo Genovese, che per arditezza, per novità e per incalcolabili conseguenze supera di gran lunga tutti i viaggi narrati finora, escluso forse quello di Marco Polo. Colombo schiuse all’Europa VOccidente, Polo l’O¬ riente. Il punto più lontano raggiunto da quest’ultimo verso l’est (il Catai o Cina) era lo scopo che il primo si prefiggeva quando, varcato sui vergini flutti un im¬ menso Oceano, èon indomita costanza scopriva le terre centrali di un nuovo, vastissimo, e bellissimo continente. Colombo è gloria dell’umanità; la sua impresa è nota a tutti; o aver unito per le loro nozze in un solo stato questi due reami della penisola iberica, e cosi con¬ fi) Lettera del 25 giugno 1474, pubblicata da parecchi, ed anciié M Marmoeelii nella versione della Vita di Colombo del Lamartiae. — Milano, Gttigoni, 1864. Digitized by LjOOqIc 148 dotta a buon punto Tunità spagnuola, stavano assicu* randola guerreggiando gli Arabi di Granata, cui riesciva loro più tardi di cacciare in Africa correndo l’anno 1492, quello stesso che la scoperta d’America rese si famoso. Straniero, povero, senza mezzi, Colombo non poteva ot" tenere udienze dai principi, e dovette sostentare a pena là vita col lavorare carte geografiche. A tutti parlava del suo progetto, e con tale accento di convinzione che spesso anche i restii.restavano convertiti. Per tal modo si cattivò Tanimo di Alfonso Quintanilla, ragioniere della finanza di Castigìia, di Antonio Cerai- dini, nunzio del papa, e di Alessandro Geraldini, fratello del precedente e precettore de’figli del re. Per loro mezzo potè conoscere Pietro Gonzalez da Mendoza, vescovo di Toledo, il quale lo presentò a Ferdinando ed Isabella, in Salamanca, l due sovrani ascoltarono con attenzione le parole di Colombo, e diedero incarico ai dotti del¬ l’Università di Salamanca di prenderne in esame il pro¬ getto. I frati professori gli fecero parecchie obbiezioni, alcune delle quali, desunte da argomenti teologici, erano estremamente facili o dilBcili a confutarsi, secondo che partecipa vasi, o no, del fanatismo ignorante con cui a quei tempi volevansi capire letteralmente le frasi dei libri sacri. Meno pericolose a combattersi erano le ob¬ biezioni desunte dall’ arditezza stessa del piane, sic¬ come, a mo’ di esempio, la difficoltà di portar seco i vi¬ veri sufficienti alla durata del viaggio attraverso lo ster¬ minato Oceano che dovevasi varcare. Alcuni dell’assem¬ blea, siccome Diego Deza, teologo domenicano, e piti tardi arcivescovo di Siviglia, rimasero convinti appièno delle idee esposte da Colombo e delle grandi probabilità di buon successo. Nel 1491 Colombo segui la corte spagnuola nel mez¬ zodì a Cordova, óve moltiplicavansi gli apparecchi di guerra contro i Mori di Granata. Tentò più volte di avere una seconda udienza, ma invano, e dovette per alcun tempo accontentarsi di liete accoglienze e di promesse^ lAdarnu si volse ai duchi di Medina-Sidonia e Medina-Oliy pe^ Digitized by LjOOqIc 149 chè il primo non credeva alla possibilità deirimpresa, ed il secondo temeva offendere la corte se ne accettava l'iniziativa. Risolutosi per tanta contrarietà di abbando¬ nare la Spagna e di recarsi in Inghilterra, ove il fratello Bartolomeo era stato ben accolto da re Enrico VII, re¬ cossi al convento della Rabida, per levarne il piccolo Diego ; ma il buon priore Perez lo dissuase, anzi recossi in persona in Cordova, si presentò ad Isabella, ed ottenne da questa che fossero accettate le proposte di Colombo. Dopo sette anni di indugi e di ripulse il grand’uomo ebbe il conforto di stringere un capitolato colla corte di Spa¬ gna, nel quale si stabiliva che avrebbe titolo d’ammi¬ raglio trasmissibile ai discendenti, autorità di governa¬ tore nelle terre che scoprirebbe, e diritto di prelevare il decimò de’ guadagni, prelevate le spese. Fu sottoscritto a Santa Fè de la Yega di Granata il 17 aprile 1492. Alla bontà e generosità d’isabella si dovette l’accordo, ed a lei i mezzi non lievi necessarii a tentare l’impresa. La regina offerì perfino di mettere a pegno i suoi gio¬ ielli; ma il prefetto della reai casa vi sopperì con un pre¬ stito di denari tratti dalle casse del reame di Aragona. Ferdinando d’Aragona, probabilmente partecipava all’av¬ versione che il suo popolo portava ai Genovesi per i fre¬ quenti conflitti in Sardegna e Corsica, e per le sconfitte toccate a Ponza, nel Bosforo, ed alla Sapienza; nè pare che molto si curasse d’assecondare Colombo benché do¬ vesse pungerlo l’ambizione di emulare, nel campo delle scoperte, il piccolo e limitrofo Portogallo. Si allestirono tre caravelle, due delle quali fomite dal comtine di Palos per obbligo di regio servizio, ed una equipaggiala a spese lavate da* fratelli Pinzon di Palos. Delle tre caravelle, una chiamata Santa Maria era gui¬ data dall’ammiiràglio stesso, l’altra detta la Pinta era sotto gli ordini di Martino Alfonso Pinzon, col piloto Francesco Martino suo fratello, e la terza detta la Mna (Nigna) era comandata da Vincenzo Janez (Jagnez) terzo dei fratelli Pinzon. Le ciurme sommavano in tutto a 120 uòmini, li 2 agosto 1492, dopo avere ricevuto i sacra- - Digitized by LjOOQle 4 so menti ed impetrato il divino aiuto, e dopo avere i;acco- mandato nuovamente il piccolo Diego, che la regina Isa¬ bella già destinava a paggio del principe Giovanni, erede presuntivo della corona, si fecero gli ultimi preparativi, ed all’alba del giorno susseguente la piccola squadra salpò da Palos accompagnata dai voti della moltitudine. Veleggiarono nella direzione delle Canarif, ed il primo accidente fu un guasto al timone della Pinta^ forse opera del caso, forse della malizia. Le fiamme del vulcano di Teneriffa sgomentarono molti marinai, ma Colombo li calmò cogli esempi dell’Etna e del Vesuvio. Durò tre settimane la fermata nelle Canarie; poi si riprese il corso e ben presto erasi perduta di vista Teneriffa e le sue compagne Cornerà e Ferro (9 settembre). La flottiglia, favorita dai venti che spirano regolarmente nella regione tropicale da oriente verso occidente, si addentrò a grandi giornate nel vergine Oceano; ma il timor panico inva¬ deva sempre più gli animi, massime quando si notava il nuovo fenomeno della deviazione deU’ago magnetico (13 settembre). L’ammiraglio calmava a stento i paurosi; teneva celata la vera lunghezza del cammino percorso, e raccoglieva ansioso tutti gli indizi che potessero far supporre resistenza di terre verso Occidente. Due pel¬ licani ed altri uccelli, ed una mutazione del vento, che da levante si cambiò in libeccio, contribuirono ad acquetare gli animi, ma per poco. Crescendo sempre più la percorsa distanza, e, trovandosi le navi al ot¬ tobre 780 leghe ad occidente delle Canarie, crescevano le inquietudini. L’ammiraglio sentiva ornai sfuggirsi di mano ogni autorità, l’obbedienza, la disciplina erano a grave pericolo, nè più sapevasi come persnadere le ciurme a progredire più oltre. L’8 ottobre Colombo do* vette promettere solennemente che se entro tre giorni non si scopriva terra si sarebbero rivolte le prore verso la Spagna. La minore profondità del mare, numerosi siuoli di uccelli acquatici, un ramo d’albero con coccole frc^e ravvivarono le sperans^ e tutti aguzzarono lo sguardo airorizzonte, cercando ciascuno di eeaere il primo alia Digitized by LjOOqIc 1*1 scoperta. Il lieto grido di terrai terra s’ailzò dalla Pirtìa. nella notte dall'H al i2 ottobre. ' All’alba del i* si vedeva un’isola coperta di bella ve¬ getazione. Tosto si ìntnonava il Tedeum e tutti s’affret¬ tarono a tributare a Colombo omaggio di venerazione. Onesti pel primo poneva piede a terra e, tenendo im¬ pugnata la sgpda, piantava su quel suolo la croce, e ne prendeva possesso in nome della corona di-Castìgliai imponendo airisola il nome di San Salvador invece di quello di (ruosMiAant adoperato dagli indigeni (1). Mentre questi miravano attoniti la bianchezza degli Spagnnoli, le variopinte vesti, le navi, le armi, e quasi li credevano esseri soprannaturali, gli Spagnuoli esar minavano con attenzione le sembianze degli indigeni, c le nuove specie delle erbe e degli alberi. Il 14 otto¬ bre le navi abbandonarono l’isola dirigendosi in traqria de’paesi ricchi d’oro, che loro venivano indicati dagli indigeni siccome posti verso mezzodì. Trovarono un’al¬ tra isola che dissero S. Maria della Concezione, poi una terza che chiamarono Ferdinandina (oggidì Grande Exuma) in onore di re Ferdinando, e tre giorni appresso un’altra cui diedero il nome d’isabella. Il 28 ottobre si toccò una terra (oggidì isola di Cuba) cui si diè il nome di Giovanna, in onore del principe ereditario. Si cercò di girarla; ma la costa era si lunga che si dovette desi¬ stere éal proposito, e si congetturò essere un continente, forse il Cataio stesso di Mm-co Polo. Alcuni nomini man¬ dati ad esplorarne l’interno riferirono che si erano recati in a sessanta miglia dalla costa^ e che avevano trovato paese ridentissimo, suole fertile, villaggi, e abitatori sve¬ gliati ed ossequenti, interrogati ove fosse la regione dell’oro, avevano risposto accennando ad un luogo detto Cubanacam, e ad un’isola Ibiti posta verso levante. Si scintelo le vele verso questa, direzione ; ma Alonso Pin- '(t) Dagli studi recenti pare corrisponda aH’isola Watlings’,' una delle Bahama Sane di talitadiae settentrionale, cioè a ràii 4 gradi pHi ab snd dette Gaaariep i Digitized by LjOOqIc m tati, sperando impossessarsi prima degli altri de’segnati tesori, salpò occultamente separandosi dal resto della squadra. 11 6 dicembre si approdò alla terra di Haiti cui si diè il nome di Hispaniola. Un capo indigeno fece agli Spagnuoli le più cortesi accoglienze e li assicurò che avrebbero trovato in copia il prezioso metallo in un paese montuoso detto Cibao, verso il centro dell’isola. Colombo, fisso nella sua credenza d’essere giunto all’A¬ sia, non dubitò fosse quello il Cipangu (Giappone) di Polo. Un altro cacìco o capo, per nome Guacanabagari, accolse non meno amichevolmente gli Spagnuoli, li colnoò di donativi, fu loro d’aiuto in occasione del naufragio della Santa Maria, e conservossi fedele alleato anche quando per le loro improntitudini ed insolenze l’ave¬ vano demeritato. L’allontanamento del Pinzon colla Finta assai afflisse il Colombo, che ben poteva sospettare essersi costai affrettato al ritorno a fine di prevenire gli animi in proprio favore, arrecando pel primo in Ispagna la felice novella della scoperta. Risolse adunque di far vela verso l’Europa ; e, perchè la Nino non poteva ricettare l’equi¬ paggio della naufragata Santa Maria, costrusse un pic¬ colo forte in Hispaniola e vi lasciò trentotto uomini sotto il comando di Diego d’Aranda, raccomandando la con¬ cordia cogli indigeni. Il cacico Guacanabagari fu largo di soccorsi alla piccola colonia, e volle che i suoi aiu¬ tassero gli Spagnuoli nello scavare il fosso e piantare Io steccato. Il 4 gennaio 1493 incominciava il viaggio di ritorno; e il 6 si raggiunse la Pinta che da sei setti¬ mane orasi perduta di vista. Parecchi insulani, tratti dalle isole scoperte, una certa quantità d’oro, necelli non mai veduti in Europa, piante e fratti di nuove spe¬ cie, dovevano coìnprovare alla Spagna la verità del rac¬ conto che senza dubbio avrebbe riscosso l’universale applauso, ed eccitata l’universale ammirazione. Un ul¬ timo ostacolo restava a superarsi prima di toccare i lidi di Spagna e con essi l’ora della gloria. Fu questo l’imr perversare delle burrasche, le quali costrinsero Colombo Digitized by LjOOqIc m a cercare rifugio aile isole Azorre, possednte da’Porto¬ ghesi, e più tardi a cercar asilo nel Tago ed a Lisbona ove il re di Portogallo lo trattò egregiamente, e senti, probabilmente non senza invidia e pentimento, le im¬ prese condotte a termine dagli Spagnnoli sotto la dire¬ zione di colui che qualche anno prima gli aveva offerto si umilmente i propri servizi. Il 15 marzo 1493, sette mesi ed undici giorni dopo la partenza da Palos, la squadra vi rientrava. In mezzo al giubilo universale il fortunato nocchiero era accolto con regi onori, e nella chiesa rendeva grazie al Signore che l’aveva scorto nel difficile viaggio. Verso sera en¬ trava in porto anche la Pinta che le burrasche avevano separata dalla Nina. Da Palos Colombo, dietro invito della'corte, reqossi a Barcellona, e colà presentossi ai due monarchi che l’accolsero con regia pompa, alzan¬ dosi al suo arrivo, facendolo sedere al loro fianco ed ascoltando 'con attenzione il racconto delle cose av¬ venute. Tutti i grandi del regno circondavano il trono ed imitarono la reai coppia quando questa s’inginoc¬ chiò ringraziando Iddio dell’aumento concesso alla co¬ rona di Spagna. Nessuna dimostrazione d’onore fu ob- bliata per Colombo; gli venne confermato l’accordo di Santa Fe; furono di nuovo riconosciuti a lui ed a’suoi eredi i privilegi conferiti ed i gradi di nobiltà ; ed in prova della somma fiducia in lui riposta si ordinò che diciassette navi di mole diversa fossero allestite, e che, equipaggiate riccamente, si caricassero almeno di 1500 persone affinchè fosse possibile impossessarsi delle terre trovate, e muovere alla scoperta di nuove. Il papa Ales¬ sandro VI (Borgia), invitato a stabilire una linea di de¬ marcazione fra i possedimenti oltramarini degli Spa- gmtoli e dei Portoghesi, fissava nel trattato di Torde- sillas (1494) il meridiano che passa 375 miglia all’oc¬ cidente delle isole Azorre. Secondo viaggio — Il 25 settembre 1493 la nuova flotta, ben fornita d’ogni cosa, compresi molti animali indi¬ geni dèli’Europa, piante, attrezzi, strumenti, e tutto^ Digitized by LjOOqIc tu quanto può occorrere alla colonìzzaeione di lontane re¬ gioni, salpava dal porto di Gadice. Toccate le Gaparie, dirigevasi a mezzodi>ponente (sud-avest) più che nel primo viaggio, e venti giorni dopo di avere lasciate quelle isole trovava nn’isoletta posta al 3 ud‘-est (soilocco) di quelle viste l’anno antecedente. Le venne dato il nome di Deseada o Desiderata (i). Poco dopo scoprivansi le isole Maria Galante, Dominica, Gnadalupa, Antigua, l’ampia Porto-Rico, e parecchie isolette minori. Sul finire del novembre si raggiungeva quel punto detto costa d’Hispaniola (Haiti o S. Domingo), ove erasi lasciata una piccola colonia sotto il comando deirA.rada. La colonia era sparita, distrutto il forte, ed uccisi gli Spagnuolij i quali colla loro condotta imprudente, e sfacciatamente vi¬ ziosa avevano provocata la vendetta de&li indigeni. Co=- lombo si oppose a’suoi capi che volevano un esempio di terrore, ed ordinò che si fondasse una nuova colonia, cui si desse il nome della regina Isabella. A reprimere poi i tumulti suscitati dagli oziosi e da quelli che. trova- vansi alquanto delusi nelle dorate loro aspettazioni di guadagni e godimenti, molti puoi, e molti rimandò in Spagna sulle navi onerarie, chiedendo rinforzi. Ad oc¬ cupare poi le menti e ad assecondare l'avara nmnia dei suoi avventurieri, capitanò con Alfonso di Oviedo una spedizione verso i monti del Gibeo, che dicevansi'ricchi d’oro, e giunto in quelle alpestri regioni vi eresse il piccolo forte di S. Tommaso. Ritornato poscia alla co¬ lonia Isabella, che trovò fortemente travagliata dalle febbri e dalla mancanza de’viveri, vi istituì un consi¬ glio sotto la presidenza del fratèllo Diego; incaricò Don Pietro Margherita delle cose militari; ed il 24 a- prile 1494 salpò con tre legni, dirigendosi verso l’est onde scoprire, se possibile, qual fosse la forma, la dispo¬ sizione, e resteosione delle terre vedute e delle circon¬ vicine. Durò il viaggio fino , al 4 settembre, ma senza (4) Oesidierada, hdb delle Astllle sotto L. N. >160 IO'or» possedotà dn^Frascesi. Digitized by Google H5 alcun risHltato, se si toglie la scoperta di unMsola piut¬ tosto ivasta qual è la Giaraaica, e di alcuni piccoli arci¬ pelaghi lungo la costa meridionale di Cuba. Il viaggio era disastroso, accompagnato da tempeste ed uragani, e le ciurme erano stanche e chiedevano ad alta voce il ritorno alla Spagnuola, sicché Colombo dovette cedere e giunse ad Isabella tanto affranto dalle fatiche e dai dispiaceri che ammalò gravemente. Vegliò al suo capez¬ zale il fratello Bartolomeo, che dalla corte d’Enrico VII d’Inghiltera passato in Francia vi aveva udito della sco¬ perta fatta dà Cristoforo, e venuto in Ispagna si era affrettato a ra*ggiungerlo, approlBttando di alcune navi che cariche di viveri partivano per la nuova colonia. Tristi furono le notizie che Bartolomeo dovette dare al fratello sul conto dello stabilimento d’isabella. Don Pietro Margherita, sprezzando l’autorità di Di^go, aveva scorse le fertili pianure della Vega rubacchiando ed insultando gli Indiani che, timidi e sofferenti sulle prime, si vol¬ sero poi alle armi, sterminarono gli Spagnuoli, ed asse¬ diarono sotto la scorta del prode caeico Caonabo il forte di S. Tommaso, difeso coraggiosamente da Alfonso di Oviedo con pochi soldati. Il cacico Guacanahagari si era conservato fedele aU'alleanza spagnuola; ma il Mar¬ gherita, sia che temesse il castigo dell’ammiraglio, sia che volesse prevenire l’accusa, era partito alla volta ^ di Spagna assieme al catalano Boyl, vicario apostolico, complice delle sue colpe. Probabilmente costoro volevano salvarsi gettando sul capo della spedizione la colpa dei disastri avvenuti. Giunte in quel mentre quattro navi dalla Spagna ben provviste di viveri, sotto il comando di Antonio Torres, l’ammiraglio ebbe il conforto di ricevere lettere corte¬ sissime de’due monarchi, colle quali gli si diceva che in lui era riposta ogni fiducia. A sventare le mene del Boyl e del Margherita, ordinò allora al Torres di far<^ ritorno a Cadice, ed incaricò il fratello Diego di accom¬ pagnarlo, affidandogli una missione per la re al coppia d’Aragona e Castiglia. Trattenne Bartolomeo presso di Digitized by LjOOQle 126 sè; e questi, colla energia de’propositi ed ii valore del braccio, gli fu di grande soccorso nel domare rinsiu*- rezione degli Indiani* La quale si era fatta tanto for* midabile che i due fratelli dovettero porre in assetto di guerra duecento uomini e venti cavalli, e, supplendo colle arti e colla potenza delle artiglierie alla pochezza del numero, muovere guerra d’esterminio agli indigeni. L’ar¬ dito Alfonso di Oviedo riusciva a far prigione Caonaho, e Bartolomeo Colombo, difeso fortemente il forte S. Tom¬ maso, poteva impadronirsi del fratello di quel valoroso cacico. I vinti dovettero espiare la ribellione coU’oro, nè al certo furono trattati con troppi riguardi. Diego Colombo intanto giunto in Ispagna poteva combattere le calunnie che il frate catalano e Margherita avevano sparso sul conto di Colombo. Fu ben accolto alla corte, ed ottenne che* fosse scelto a commissario regio nel Nuovo Mondo certo Giovanni Aguado, lodato c commen¬ dato al governo dallo stesso Colombo. Cinquecento In¬ diani prigionieri, trasportati in Ispagna sulle navi del Torres, dovevano essere venduti come schiavi; ma la buona Isabella non lo pati e volle che fossero ricondotti al loro paese nativo. Nell’ottobre 1495 l’Aguado e Diego Colombo con quat¬ tro caravelle giungevano alla Hispaniola. Il primo aveva istruzioni di rispettare l’autorità dell’ammiraglio; ma doveva riferire sullo stato della colonia, ed aveva seco lettere del re che comandavano in termini recisi obbe¬ dienza alle sue parole. Appena sbarcato, difficile sarebbe il dire con quanta ingiustizia e ostilità egli si dipor¬ tasse verso Cristoforo e porgesse facile orecchio ai nu¬ merosi suoi accusatori; cosicché l'ammiraglio decise di recarsi in Ispagna a perorarvi la propria causa. Dna fiera tempesta rompendo tutte le navi ancorate nel porto, meno la Nina^ lo costrinse a differire la partenza, la quale avvenne il 10 marzo 1496, dopoché cogli avanzi dei legni spezzati si ebbe costrutta la nuova nave Santa Croce* Mentre Bartolomeo, lasciato da Cristoforo nell’isola col titolo Al adelmtado o prefetto, dava opera a fondare Digitized by Google ana imora oolonia, detta S. Domingo, sulla costa me¬ ridionale dell’isola, che con questo mutò l’antico nome di Hispaniola o Spagnuola (i), il Colombo e con lui TAguado suo avversario veleggiavano alla volta d'Europa, ed approdavano Vii giugno a Cadice, dopo avere molto sofferto dalle burrasche, dalla carestia, e dalle insolenze delle ciurme. Ferdinando ed Isabella accolsero Colombo con bontà, mostrando che le calunnie poco avevano po¬ tuto sul loro animo, aggradirono i suoi doni, stanzia¬ rono la somma necessaria a fondare una gran colonia nel Nuovo Mondo, confermarono aH’ammiraglio tutti i privilegi concessi, dandogli facoltà di istituire un mag- giorasco nella sua famiglia, riconobbero l’autorità di adelantado a Bartolomeo, revocarono i permessi conce¬ duti ad altri pei nuovi discoprimenti nelle Indie, ed in¬ fine diedero le disposizioni necessarie per una terza spedizione. Terza viaggio.--Usuino 1497 e parte del susseguente * furono impiegati in preparativi. Il matrimònio del prin¬ cipe Don Giovanni, unico erede della corona, con Mar¬ gherita d'Austria, la morte dello sposo avvenuta poco dopo, i progetti ambiziosi di Ferdinando sul reame di Napoli, contribuirono forse a renderli più lenti. Il 30 maggio 1498 salpava da S. Lucar de Barrameda la nuova flotta composta di sei navi. Mutando alquanto direzione, veleggiava verso mezzodì fino a cinque gradi dall’equa¬ tore; poi volgeva a ponente. Alle Canarie tre navi presero direttamente la via della Spagnuola, le altre tre conti¬ nuarono sotto rammiraglio dirigersi alle isole del capo Verde, poi verso sud, indi verso ovest, come già si è detto^ Il primo d'agosto gridavasi terra. Tre monti, sorgendo vi- (4) S. Domingo, dagli indigeni detta Haiti, è la più vasta delle An- tille. Si stende fra i gradi 17° 36' e 20° di latitudine settentrionale ed ha 76,000 chil. di superficie, circa il triplo della Sicilia. La massima lunghezza dal capo Eugano al capo Tiburon è di 650 cliil., e la mas¬ sima larghezza dal capo Mongon al capo isabella è di 260 chil. La colonia di S. Domingo fu la prima fondata dagli europei nel Nnovo Mondo. Digitized by LjOOQle 428 cinì deiracqua, formavano un’isola abbastanza vasta, cui si diede il nome di Trinidad, che ancor oggi conserva (ly. Un po* più al sud ei vide una delle foci deirOrenoco, e questo fu per Colombo il primo e più sicuro indizio deirampiezza della terra scoperta, e nel tempo stesso il primo punto ch^egli toccasse della parte continentale o di terraferma. Un angusto braccio di mare fra Trinidad e la costa di una penisola dirimpetto ad essa fu detta e si dice ancora Boca de Dragos. SI toccarono varii punti della ridente costa di Cumana (oggidì parte della repub¬ blica di Venezuela), poi l’isola di Margarita; ma la trista condizione dei vascelli ed altre circostan^ consigliarono di veleggiare direttamente verso settentrione alPIspa- niola. Ivi Bartolomeo raccontò a Cristoforo un’altra iliade di mali, una lunga successione di abusi, prepo¬ tenze, insulti, sollevazioni degli Indiani, e crudeli re¬ pressioni. Gli disse d’avere visitato il paese di Veragua e d’avervi stretta amicizia col cacico Behechio; ma che, durante la sua assenza^ per la violenza usata da uno* spagnuolo alla moglie di un altro cacico per nome Gua- rionex, questi aveva ricorso alle armi ed aveva trovato un alleato in quello stesso Francesco Roldano, che Co¬ lombo aveva lasciato nell’ isola rivestito deirautorità di giudice. Costui aveva spinta l’impudenza al punto di congiurare contro Diego, ed aveva osato assalire il forte della Concezione. Avendo egli respinto ogni offerta di pace, ed istigando gli indigeni ad una generale solle¬ vazione, erasi trovato necessario di dichiararlo tradi¬ tore e di marciare contro di lui. Conchiudeva Barto¬ lomeo la sua relazione col riprovare Tinàolente ed avara condotta degli Spagnuoli avidi soltanto d’oro, schifi della fatica pur necessaria a procacciarsi i viveri mediante ht' coltivazione del suolo, abituati bene spesso alla vita (l) Giace circa 7 gradi più al sud, c circa allreUanti più alPest di S. Domingo. Superficie 3220 chil. q., circa due terzi della Corsiòa, éd appartiene all’Inghilterra: Probabilmente Colombo non vide la Vera léce dell’Orenoco, ma quella del Manamo, ramo del suo delta che fa capo nel golfo di Paria. Digitized by LjOOqIc 429 più dissoluta, di continuo scandalo per gli isolani, i quali credevano che la religione del Cristo approvasse ogni nefanditù. Le tre navi, che dalie Canarie avevano fatto vela di¬ rettamente per S. Domingo, erano comandate da Alfonso Sanchez di Carvajal, da Pietro di Avana di Cordova, fratello di Beatrice Enriquez (madre di Ferdinando Co¬ lombo), e da Giovanni Antonio Colombo genovese, pa¬ rente di Cristoforo. Approdato il Carvajal per errore, anziché a S. Domingo, ai lidi di Varagua, cioè a quella parte delFisola che era insorta sotto il Roldano, questi nascose Soccorso, e infingendosi cercò guadagnarsi il Carvajal che gli si offri mediatore presso Tammiraglio. Una parte della ciurma, appena a terra, fece causa co¬ mune col Roldano, ed il Carvajal, dopo lungo sog¬ giorno fra i ribelli, si recò dinanzi all’aramiraglio con una lettera del Roldano che, sotto alcuni patti, offriva sommissione. Le trattative proseguirono, ma con poco frutto. Allora Tammiraglio mandò navi in Ispagna colla relazione del viaggio, la descrizione della scoperta della Trinidad e di altre terre, e colla nan^azione della sol¬ levazione scoppiata a S. Domingo, nella quale buon nu¬ mero degli Spagnuoli aveva fatto causa comune cogli Indiani. Ma il Roldano, il quale, a quanto pare, dispo¬ neva di grandi mezzi e non era affatto dalla parte del torto, se vogliamo tener conto di molti indizii, contrap¬ pose alle informazioni del Colombo le sue, ed accusò Pammiraglio ed i fratelli di lui, Diego e Bartolomeo, di varie e gravi colpe. Re Ferdinando, influenzato dal Fon- seca, vescovo di Badajoz, e da gran tempo ostile ai Co¬ lombo, prestò facile orecchio alle accuse, e scrisse laco¬ nicamente che si sarebbero esaminate le reciproche ac¬ cuse delle due parti, e che si sarebbe provveduto secondo giustizia. La nomina di monsignor Fonseca al ministero delle Indie, in luogo di Antonio Torres, che era al Co¬ lombo amicissimo, fu per quest’ultimo di triste presagio. Poteva infatti prevedersi che col Fonseca avrebbe pre. valso presso la corte la parte aragonese, che sempre si 9 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani. Digitized by LjOOQle 430 era mostrata poco favorevole al Genovese, forse, come già si è detto, pei molti motivi di emulazione che da secoli rendevano Aragona e Catalogna invidiose di Genova. Il nuovo ministro largheggiò concessioni agli armatori; comunicò loro le relazioni del terzo viaggio di Colombo, fornendo così loro un facile modo di continuare la sco¬ perta delle coste meridionali del nuovo continente; di¬ pinse al re i Colombo come persone di carattere vio¬ lento, desiderosi del proprio più che delTinteresse della monarchia, e forse anche in lor cuore già ribelli ai loro benefattori. Queste insinuazioni alienavano dairammi- raglio Tanimo generoso della regina e più quello fred¬ dissimo di re Ferdinando, tanto più che molti reduci dalla Spagnuoìa non cessavano di lamentarsi delTammiraglio e delle sue ingiustizie. Trionfò alfine della ritrosia dTsa- belìa il partito avverso all’italiano, e Francesco Bobadilla veniva inviato con ampli poteri nell’India ad esaminare 10 stato della colonia ed a riferire sul governo esercita¬ tovi dalTammiraglio e dal prefetto suo fratello. Costui, appena giunto a S. Domingo, invece di farsi pacifico me¬ diatore fra il Roldano e Colombo, siccome questi aveva richiesto, prese tosto partito pel primo, si fe’prestare giu¬ ramento come governatore per anni venti, diede ricom¬ pense, pubblicò esenzioni, e giunse a tanto da fare ar restare e caricare di catene i tre Colombo, che per mag¬ gior dolore si videro fatti segno agl’insulti della plebe. Poco dopo una nave salpava per la Spagna portando in ca¬ tene colui che a quel regno aveva dato un nuovo mondo. 11 23 novembre 1500 ap^nrodava a Cadice. L’infelice Co¬ lombo mandò tosto una lettera a Donna Giovanna Della Torre, nutrice del principe Giovanni, descrivendo i mal- trattamenti e gli abusi del regio commissario Bobadilla, giustificandosi delle misure prese colla singolarità ed eccezionalità del paese ove si era trovato fra mille im¬ pensate difficoltà quali non sì trovano ne'paesì ben re¬ golati d’Europa, ed impetrando un'udienza reale. Fer¬ dinando ed Isabella, mossi da generosi istinti, vollero che fosse tosto liberato, gli fossero tributati tutti gli Digitized by LjOOqIc tabilis, nec tamen propinquius ad eam accedit quam 20 gradibus vel > citra. Hunc ih modum terra iam quadripartita cognoscitur, et pHmaè ® tres eius partes contincntes sunt; quarta insula , cum òmniquaque > mari eireumdata conspiciatur >. Digitized by LjOOQle uo 4" Che se nelle relazioni de'viaggi d’America, scritte da lui medesimo, ma stampate a sua insaputa, si asse¬ gna la falsa data 1497 alla sua prima navigazione, fatta due anni dopo, una tale sostituzione non avvenne per colpa del llorentino, ma per colpa altrui o per errore di stampa, giacché le relazioni furono stampate mentre ancora viveva Colombo, e nessuno si prevalse mai del- Terrore, nemmeno nella famosa lite fra gli eredi e la Corona spagnuola, ove centonove testimoni!, per la mag¬ gior parte navigatori, affermarono unanimi che Colombo aveva scoperto pel primo le Indie occidentali, la terra¬ ferma, ed il Darien; 5" Che l’aver dato il nome L’America al Nuovo mondo fu opera del caso, indipendente affatto dalla volontà del Vespucci, il quale, come socio del mercante Berardi stabilito in Siviglia, ebbe parte negli apparecchi del terzo viaggio di Colombo. Le relazioni de’viaggi eseguiti dal Vespucci dal 1499 in poi, pubblicate assai presto, resero celebre il suo nome prima che i documenti di¬ mostranti i meriti del primo scopritore fossero venuti in mano de’dotti; 6° Che dai documenti esistenti risulta la dichiarazione dell’Hojeda, d’aver fatto vela nel 1499, avendo seco Gio¬ vanni de la Cosa ed Americo Vespucci ; essere egli stato il primo a fare un viaggio di scoperte dopo l’ammira¬ glio; essersi giovato delle carte da questo mandate in Ispagna; ed avere trovato traccio di lui nell’isola di Trinidad presso lo stretto del Dragone; T Che la data del 1497 pel primo viaggio d’Americo non è ammissibile, anche perchè consta che, morto il banchiere Berardi nel dicembre 1495, la direzione degli armamenti marittimi, compresi quelli pel terzo viaggio di Colombo (1498), rimase sotto la direzione di Americo stesso; 8" Che l’innocenza di Americo è constatata da tutti gli indizi!, e, fra gli altri, dalle espressioni cortesissime che a suo riguardo adoperava il Colombo nella lettera da Siviglia, 5 febbraio 1505, diretta al figlio Diego. Lo Digitized by LjOOqIc chiama in essa Vespuchy, e lo dice uomo onestissimo (mucho ombre de bien), che aveva sempre cercato di es¬ sergli utile, ma che, come lui, era poco favorito dalla fortuna. E notisi che la lettera veniva scritta otto anni dopo il preteso primo viaggio del Vespucci al nuovo continente; 9"" Che il Vespucci, egregio navigatore e cosmografo, eseguì infatti quattro viaggi, il primo de’quali nel 1499 coirHojeda; ma che Colombo a quelTepoca ne aveva già eseguiti tre, e già da un anno toccato il continente. Sciolta era ornai la questione nel modo più chiaro e soddisfacente, quando il signor Varnhagen, scrittore bra¬ siliano, col libro Vespucci ed il suo primo viaggio e con la Storia del Brasile colonizzato dai Portoghesi tentava far rivivere le idee degli scrittori toscani. Gli rispose con apposito lavoro, intitolato Les voyages de Vespuce, il dotto geografo francese signor d’Avezac, che aggiunti nuovi studii a quelli fatti da Humboldt sulPargomento, calcolate le misure itinerarie impiegate dai navigatori spagnuoli e portoghesi nei secoli xv e xvi, confrontati tutti i documenti, decise nuovamente la questione in favore del Colombo, dimostrando di nuovo che il fioren¬ tino intraprese il suo primo viaggio transatlantico con¬ fuso coi subalterni delfHojeda nel 1499, e che potè anzi giovarsi delle carte del viaggio fatto Tanno prima nelle stesse acque dal grande Genovese e de’consigli di Bar¬ tolomeo Roldano, che, dopo avere accompagnato Co¬ lombo Tanno precedente, trovavasi allora colTHojeda. 11 Vespucci si annovera fra i navigatori più insigni di ogni tempo e paese, anche da chi gli è poco benevolo. Nato in Firenze il 9 marzo 1451 da Anastasio Vespucci notaio, ebbe a precettore il dotto frate Giorgio Antonio Vespucci, e recossi in età già virile a Siviglia in Ispa- gna onde occuparvisi degli affari de'ricchissimi nego¬ zianti fiorentini che vi avevano lucrosi traffici, i .Medici cioè ed i Berardi. Amico e contemporaneo del Colombo, il Vespucci fu tra i primi che navigassero alle coste del Nuovo mondo, le quali scopriva in parte contemporanea- Digitized by LjOOQle U2 I mente al Colombo, e le descriveva in lettere, che il me- I raviglioso trovato della stampa diffondeva in Europa. Se j togliamo Cristoforo Colombo e Marco Polo, il Vespucci è I il viaggiatore cui più frequentemente si rivolse l'atten- I zione e lo studio dei dotti, e, crescendo Timportanza de’suoi viaggi col crescere delle cognizioni, noi vedemmo negli ultimi anni l’Humboldt, il Varnhagen, il Santarem? il Pòster, il Chaix dedicargli intieri volumi o lunghe dis¬ sertazioni critiche. Ma questi scrittori non sono concordi sulle circostanze della vita del fiorentino, sul suo carat¬ tere, e sopra i suoi meriti. Le notizie che di lui ci restano riduconsi ad alcune lettere che egli diresse a Renato d'Anjou, a Lorenzo Pier Francesco de’Medici, ed al Sede¬ rini gonfaloniere di Firenze; ma queste lettere conten¬ gono tali contraddizioni coi fatti, nomi si alterati, e date si dubbie che offrirono campo a diverse interpretazioni, e fra queste ad alcune poco favorevoli al Vespucci, che venne perfino, imputato di premeditata impostura collo scopo di attribuirsi la gloria dovuta al grande genovese ed ai navigatori che egli in qualità di subalterno accom¬ pagnò alle terre nuovamente scoperte al di là dell’Atlan¬ tico. Il brasiliano Varnhagen, attualmente ambasciatore ^lel Brasile presso la Repubblica del Perù, autore di una biografia recentissima del Vespucci, lo vuole il primo scopritore non solo del Brasile ma anche del continente americano, considerando suoi successori Colomlio, Cabrai, e Pinzon. Il francese Paul Chaix al contrario nega recisa¬ mente il primo viaggio che il Vespucci, secondo lui, pre¬ tende aver fatto nel 1497; lo dice uomo poco modesto, abilissimo nel vantare i propri! meriti e nel celare gli altrui, e si poco curante della gloria degli altri, che non può in alcun modo essere pienamente giustificato; onde non deve far meraviglia se anche la sua fama sia stata assalita in modo da fare dimenticare perfino le grandi sue cognizioni ed i reali suoi meriti. Noi narreremo anzitutto i fatti che sono accettati da tutti; addurremo poscia alcune delle principali accuse mosse al Vespucci e le ragioni con cui gli avversari! suoi Digitized by LjOOQle U3 cercano sostenerle; e al sunto delle opinioni del Chaix faremo seguire una minuta esposizione critica de’viaggi del Vespucci, secondo il Varnhagen, ben lieti di potere in si spinoso campo addurre sì imponente autorità, li¬ mitandoci alla umil parte di semplici espositori. Il Vespucci accompagnò la spedizione che Alonzo de Ho- jeda fece con quattro legni alle coste del Nuovo mondo nel 1499. Salpò dalle coste di Spagna il 19 maggio; attraversato TAtlantico, costeggiò il nuovo continente fino alle bocche deirOrenoco, toccò nel settembre Fisola di San Domingo, e nel giugno 1500 rivide i lidi d’Eu¬ ropa, Lo stesso Hojeda, nel processo fatto alla corte di Spagna dagli eredi di Colombo, nominò Morigo Vespu- che (1) e Juan de la Cosa, siccome suoi piloti in quella spedizione. Intorno a questo viaggio il Vespucci scri¬ veva a Lorenzo Pier Francesco de’ Medici (2) il 18 luglio 1500, una lettera rimasta sconosciuta fin al 1745, nel quale anno la pubblicò il Bandini. Scrisse anche sul viaggio istesso al gonfaloniere Sederini, senza però no¬ minare i compagni ed il capo della spedizione. Reduce da questo primo viaggio fatto sotto il vessillo di Spagna, il Vespucci cadde ammalato in Siviglia, dove, come ci narra egli stesso in una lettera diretta a Renato d’Anjou, gli giunse un messaggio del re Ema¬ nuele di Portogallo, col quale gli si facevano utili pro¬ poste perchè passasse al suo servigio. Senza prendere commiato dal re di Castigìia (sedeva allora sul trono la regina Isabella), recossi a Lisbona, e parti colla squadra portoghese, a quanto pare, sotto gli ordini delFOrejo. La squadra aveva l’incarico di verificare la forma della terra Santa Croce, scoperta per caso dal Cabrai il 21 aprile 1500 mentre vefeggiava alle Indie. Il giorno della partenza fu il 10 maggio 1501. Toccate le Canarie, il porto Be- (1) Ne’documenti di quel tempo ed anche ne* posteriori il nome di Vespucci trovasi difformato in mille guise: Vespuche, De Espuche, Vespnchy, Despnehi, ecc. (2) ^ Questo personaggio nacque nel 1463 e morì nel 1505. Fu am¬ basciatore in Francia ai tempi di Carlo Vili. Digitized by LjOOQle 4i4 seneghe* a 14*" 30' sulla costa occidentale d’Africa, e Tar- cipelago del Capo Verde, le navi volsero a sud-ovest lino ad un’isola lontana 700 leghe neiraccennata direzione dal Capo Verde (S. Paolo?), passò la linea, ed il 17 ago¬ sto trovò una terra della quale prese possesso in nome del re. Giaceva a 5 gradi al sud dell’equatore e a 150 leghe dal Capo Sant’Agostino. Il paese sembrava vasto e popo¬ loso. òr indigeni uccisero crudelmente alcuni uomini che avevano posto piede a terra; ma Tammiraglio non permise che se ne traesse vendetta. La squadra veleggiò poscia lungo le coste fino al capo S. Agostino nella direzione di sud-est, e volse indi a libeccio per 600 leghe lungo un lido fertile, ricco di acque, rallegrato da piante olezzanti, un paradiso, insomma, o almeno un paese poco al di sotto del paradiso. Gl’ indigeni erano innocenti, ma avevano l’abitudine di divorarsi reciprocamente. A 32 gradi di latit. merid., dopo dieci mesi di navigazione lungo le coste, fecero provvista d’acqua e di viveri; poi il 13 febbraio 1502 presero Paltò mare nella direzione di sud-est, e dopo aver percorso leghe 500, a 52 gradi di latit. merid., in una zona ove la notte durava quindici ore, trovarono, precisamente il giorno 7 aprile, una terra che venne costeggiata per 20 leghe, affatto selvaggia, fredda, inospitale, disabitata (Georgia). Qui si decise il ritorno. Il 10 maggio la flotta volse a settentrione, toccò Sierra Leona sulla costa d’Africa, indi le isole Azorre, ed entrò nel porto di Lisbona dopo 16 mesi di assenza (1). (1) Osserva il Varnhagen che i portoghesi diedero ai varii punti della costa i nomi dei Santi del Calendario, i quali si succedono ésat-» tamente dal nord al sud collegando cosi il progredire del tempo col progredire delle scoperte lungo le coste. Il capo San Rocco ebbe questo nome il 46 agosto, il capo Saut’Agostino il 28 agosto, il Rio San Miguel il 29 settembre, il Rio San Taronimo il 30 settembre, il Rio San Fran¬ cisco il 4 ottobre, il Rio dos Virgens il 21 ottobre, il Rio Santa Luzia il 43 dicembre, il capo San Tommaso il 24 dicembre, la Bahia do Salvador il 25 dicembre, il Rio de Janeiro il 4» gennaio 4502, l’Angra dos Reis (baia dei re) il 6 gennaio, ecc. La carta originale del viaggio devesi senza alcun dubbio al Vespucci e fu più volte riprodotta col titolo Charta marina portugalmsimn. Digitized by LjOOQle U5 11 10 maggio 1503, secondo anniversario della par¬ tenza pel viaggio precedente, Vespncci parti con una nuova squadra portoghese, di sei legni, diretta all’isola ricchissima di Melcha (?) all’ovest di Calicut. Toccato l’arcipelago del capo Verde ed oltrepassata di tre gradi la linea, si scopri un’isola montuosa e di piacevole aspetto, lunga non più di due leghe. In questa isola (che Humboldt suppone possa essere stata Fernando de No- ronha) abbondavano certi uccelli tanto domestici che si lasciavano pigliare colle mani. Il vascello ammiraglio peri su uno scoglio, tre altri legni furono dispersi, due soli legni, su uno de’quali era il Yespucci, navigarono di conserva verso la terra di Santa Croce. Dopo una tra¬ versata di 300 leghe, fatta in 17 giorni, si scopri il porto Abbazia, di tutti i santi (l’odierna Bahia detodos OS santos). Aspettati per due mesi, ed invano, i legni smarriti, la squadra si avanzò 260 leghe verso il sud e toccò presso il 18 grado di latit. merid., un porto ove costrusse un piccolo forte e pose una guardia di pochi soldati (Porto seguro?). Dopo cinque mesi di fermata, caricate le navi di legno brasile, s’incominciò il viaggio di ritorno, e scorsi 77 giorni di traversata, si arrivò il 28 giugno 1504 a Lisbona. Capo di questa spedizione fu probabilmente Gonzalo Coelho. Vespucci presentò al re di Portogallo le osservazioni raccolte ne’ suoi viaggi al Brasile, ma non pare che ne avesse grandi ricompense, giacché sul principiare del 1505 10 troviamo ancora in Siviglia al servizio di Spagna. 11 5 febbraio Colombo gli dava una lettera pel figlio Diego, nella quale parla di Vespucci come di un intimo amico, di una persona egregia ma poco favorita dalla sorte, e desiderosa di adoprarsi in suo favore presso Oa corte. Non è noto se Vespucci si adoprasse realmente in favore del concittadino; bensì è certo che nel 1508 venne creato piloto maggiore con 50,000 meravedis, e che ebbe più volte lauti emolumenti, e l’incarico di eseguire per la Casa de contrataeion di Siviglia le carte delle coste ed un registro delle posizioni geografiche, cui doveva 10 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani. Digitized by LjOOQle 146 successivamente aggiungere le posteriori scoperte. Egli mori il 22 febbraio 1512, sei anni dopo Colombo. Il Chaix, che osa paragonare la fama di Vespucci a quella d’Erostrato, enumera con acuta critica tutte le circostanze dubbie e contraddittorie che si riscontrano nelle sue lettere. Ammette bensì che le esagerate cifre delle distanze e le esagerate descrizioni sono difetti comuni a tutti i navigatori di quel tempo, ma non sa spiegare: r come nelle lettere scritte a Renato, quand’era reduce dal primo viaggio, il Vespucci accenni a dtie viaggi anteriori (1), mentre non ne aveva fatto che uno (quello del 1499 con Hojeda); 2® come dica di avere preso possesso della terra al mezzodì della linea in nome del re di Castiglia, mentre la flottiglia sulla quale viaggiava era portoghese; 3® e come possa ignorare, oltre il viag¬ gio di Cabrai (1580), quello di Vincenzo Pinzon, il quale fuor d'ogni dubbio vide nel 1499 le stesse coste o almeno la foce delle Amazzoni e la costa adiacente. Non sa qual possa essere l’isola Melcha, scopo del terzo viaggio, giacché se Melcha equivale a Malacca, questa giace di molto all’est, e non già all'ovest di Calicut; sospetta che il Vespucci non abbia mai meritato la fiducia di Co¬ lombo, e che si sia adoperato pel proprio vantaggio, non per quello del compaesano; si meraviglia che il nome di Colombo occorra una sola volta nelle lettere di Vespucci, cioè colà ove gli concede la gloria di avere scoperto San Domingo; suppone che il fiorentino, tornato al ser¬ vigio di Spagna nel 1505, incitasse la corte a togliere al Portogallo quelle terre che egli stesso nel secondo e terzo viaggio aveva contribuito a scoprire; osserva finalmente che Vespucci fu sempre il favorito di Ro- driguez de Fonseca, acerrimo persecutore di Colombo. (1) La lettera comincia come segue: .€ Stando in Sibillia, riposandomi da molte mie fatiche^ che in due viaggi fatti per il serenissimo re Don Fernando di Castiglia nelPIndie occidentali aveva passate, e con volontà di tornare di nuovo alla Terra delle Perle, quando la fortuna, non còntenta de’miei travagli, fece che vetine in pensiero a questo serenis¬ simo re Don Mannello di Portoigallp volersi servire di me, ecc., ecc. ». Digitized by LjOOQle 147 Il Chaix assicura che fin dal 1533 lo Schoner di No¬ rimberga nel^Opw^cw7^^m.5^^0yrapA^cl«w accusava Vespucci di essersi attribuita la gloria deile scoperte altrui e di avere inscritto troppo facilmente il proprio nome sulle carte da lui redatte in Siviglia, ed aggiunge che al na¬ vigatore fiorentino possono muoversi due altre accuse, quella di non aver mai fatto il viaggio che dice il primo, B quella di essersi attribuita la direzione ed il merito delle varie spedizioni, nelle quali non fu mai più che piloto. Dalla prima accusa recede lo stesso Chaix am¬ mettendo colFuniversale, che il nome di Americi terra 0 America possa essersi diffuso in Europa, inconscio af¬ fatto il Vespucci, da un uomo ch’egli neppure conobbe, il Waldseemùller, classicamente detto Martino Hylaco- milus, libraio a Saint-Dié nella Lorena (1). Adoperava questi fin dal 1507, ancor vivente il Vespucci, il nome d’America per denotare il Nuovo mondo, ossia le terre nuovamente discoperte al di là deH'Atlantico. Nell’anno stesso si pubblicava a Vicenza il libro Mondi e paesi nuovamente retrovati da Alberigo Vespuzio fiorentino, e quasi contemporaneamente a Strasburgo una lettera del fiorentino al Medici, col titolo Americus Vespucius de orbe anctartico per regem Porlugalliae pridem invento. Tutte queste pubblicazioni, fatte in un tempo in cui le opere a stampa erano poche e rare, ma specialmente le Quattro navigazioni tradotte in latino (probabilmente non dall’originale italiano, ma da qualche altra versione) e divulgate dall’Hylacomilus, valsero a celare i viaggi di Colombo, Pinzon e Cabrai, contemporanei od anteriori a quelli di Vespucci, e diffusero si rapidamente il nome d’America, che lo si trova già nel 1505 sui mappamondi di Pietro Appiano e di Schoner, nel 1513 sulle calrte corredanti la famosa edizione di Tolomeo, edita dal Fi- lesio in Strasburgo per impulso di Renato II di Lorena, (1) Homboldt confermò la congettura manifestata Un dal 1576 dal- l’C^telio nel Theatrum orbis terrarum essere Hylacon^lus pseudo^ Bimo di Waldseemilller. Digitized by LjOOQle 118 mecenate delle scienze e protettore del Vespucci, e dopo il 1520 su quasi tutte le carte. Le Qmtuornavigatione^ del Vespucci, pubblicate dairHylacomilus, divennero presto irreperibili, ma furono ristampate dal Grineo a Basilea. La seconda accusa è tanto fondata, quanto infondata la prima. Eccettuato il Varnhagen, niuno fra i moderni ammette che il Vespucci facesse un viaggio su navi spa* gnuole alla costa orientale del Brasile nel 1497-98. Dei quattro viaggi eseguiti fra il 1497 e il 1504,due al servizio spagnuolo, due al servizio portoghese, intorno ai quali ci lasciò memoria il Vespucci nelle sue lettere, uno (il primo) non può essere ammesso. Non soltanto gli ar. chivii di Siviglia in Ispagna e quelli di Torre de lombo in Portogallo mancano di qualsiasi documento in pro¬ posito, ma tutte le circostanze hanno una strana rasso¬ miglianza con quelle del viaggio fatto con Ojeda nel 1499 a quelle stesse coste; sicché il Chaix crede che Vespucci abbia adoperato alcune circostanze del reale primo viag¬ gio (1499) j>er fabbricare il preteso primo viaggio (1497), e che abbia quindi dovuto introdurre delle varianti nella narrazione del viaggio vero, giacché una tal narrazione non coincide sempre con quella fattaci dal comandante Hojéda. Se potesse provarsi la verità del viaggio in que¬ stione, la scoperta del continente americano (non delle isole, che Colombo toccò fin dal 1492) dovrebbe attri¬ buirsi al fiorentino; ma come potrebbe ciò provarsi, se lo stesso Hojeda, nel celebre processo mosso dagli eredi del Colombo contro alla corte spagnuola, dichiarò so¬ lennemente che primo scopritore della costà di Paria (il primo tratto di continente americano scoperto dagli Europei), fu Cristoforo Colombo? Come mai il Vespucci non figura in questo processo, mentre la corte in lui avrebbe trovato un voto da opporre ai cento testimonii che unanimemente affermavano Colombo primo scopri¬ tore non. solo delle isole, ma anche della terraferma? Che la scoperta della terraferma americana si debba al Colombo e non al Vespucci, o, con altre parole, chèi Digitized by LjOOqIc uo non sia ammessibiìe un viaggio del Vespucci nel 1497, è provato anche da Humboldt, il quale negli archivii spagnuoli trovò i documenti comprovanti con sicurezza il soggiorno di Vespucci in Ispagna dall’aprile 1497 al maggio 1498, mentre il preteso viaggio sarebbe avve¬ nuto dal IO maggio 1497 (e si noti il ripetersi di questa data) al 18 ottobre 1498. La terza accusa, avere il Vespucci parlato sempre di sè attribuendosi implicitamente ogni direzione ed ogni merito, non manca di fondamento; tuttavia essa è men grave delle altre, ed un po’ di vanagloria diventa scu¬ sabile in chi era, se non il capo della spedizione, il piloto, la mente direttrice, l’uomo più colto che fosse a bordo, forse l’unica persona dell’equipaggio che po¬ tesse vantarsi di conoscere la nautica e l’astronomia, come si conoscevano dai più dotti a quel tempo, d’es¬ sere insomma all’altezza della scienza. Il signor Varnhagen, ben conosciuto per parecchi la¬ vori sulla storia delle scoperte, consacrò tempo, cure, e spese alla biografia del Vespucci, ch’egli considera il vero scopritore della sua patria, il Brasile. Egli ammelle che Vespucci eseguisse il maggio dal maggio 1497 cdl’ot- tobre dello stesso anno costeggiando i lidi d’Honduras (giugno 1497), quelli del Yucatan, della Florida, e del- l’Àmerica settentrionale fino alla baia Chesapeake, e che tornasse in Europa toccando gli arcipelaghi delle Bermude, delle Azorre, e di Madera. Non pone in dubbio che Vespucci abbia veduto'la terraferma prima di Co¬ lombo, ma crede ben anche che non vedesse i lidi di Venezuela e Colombia, toccati per la prima volta da Colombo nel 1498. Ammette poscia, con tutti gli altri scrittori, il viaggio dal 1499-1600 lungo le coste dell’A¬ merica meridionale, probabilmente dal capo San Rocco fino al golfo di Maracaybo; ammétte quindi il viaggio importantissimo dal 1501-1802 lungo le rive orientali del Brasile e nell’aperto Atlantico fino all’alta latitudine della Georgia australe ; finalmente ammette il quarto (terzo) viaggia nel 16034. Considera eome assai incerto Digitized by LjOOqIc m il quinto viaggio, che alcuni vorrebbero eseguito dal Vespucci nel 1507 (1). Nessun viaggiatore italiano offre tanti appigli alla critica benevolente od ostile quanto il Vespucci, e questa circostanza, oltre la straordinaria importanza de'ripe¬ tuti suoi viaggi al Nuovo continente, la fama che godè presso i contemporanei, gli onori eccezionali di cui fu ricolmo in Ispagna ed in Portogallo, ed infine la viva luce che deriva daH'esame critico delle sue imprese sul- l’epoca memoranda della scoperta del Nuovo mondo, ci persuadono essere cosa utile ed opportunissima l’esami¬ nare più davvicino il lavoro recentissimo del signor Var- nhagen che allo studio del Vespucci consacrava l’ingegno, i viaggi, e cospicue somme. Originario di famiglia tedesca, notissima in Germania per aver prodotto uomini insigni nelle lettere, il si¬ gnor F. A. de Varnhagen occupa eminenti cariche nel- rimpero del Brasile, che rappresentò diplomaticamente presso le repubbliche del Perù, del Chili, dell’Equatore, e più tardi presso la corte di Vienna. Nell’anno 1865 pubblicò in Lima, capitale del Perù, un lavoro intito¬ lato: Amerigo Vespucci, son caractère, ses écrits (méme les moins authentujues), sa vie et ses navigations, avec une carte indiquant les routes, nel quale riassume con paziente e minuta critica le altrui opinioni ed i proprii studii intorno al navigatore. 11 volume, magnificamente stam¬ pato, non fu posto in commercio. Questa circostanza ed il luogo stesso della stampa lo rendono rarissimo; sic¬ ché avendo potuto esaminare uno de’pochi esemplari donati daU'autore stesso al capitano barone Acton, co¬ mandante la nostra fregata quando questa si trovava sulla rada del Callao de Lima, parmi (4) Ormai queslo viaggio è negato da lutti, li Peschel dice che nel 4506 si allestì una squadra in Sicilia la quale condotta da Vicente Janez Pinzon doveva vedeggiare alfisolc delle spezierie per la via d’oc¬ cidente, cioè girando al sud TAmerica ; ma aggiunge die secondo il Na- vaitete la flotta fu poscia adoperata ad altro scopo. Digitized by LjOOQle 1M rèndere servigio agli studii geografici dandone una de¬ scrizione e riproducendo nella nostra lingua la parte più importante, cioè l’esame critico della vita di Vespucci. 11 volume consta di 120 pagine in4'’ e si divide in tre parti, precedute da una introduzione. Quest’ultima incomincia colle seguenti parole: « Egli è ornai un fatto ben certo che il veneziano Giovanni Cabotto toccò il continente americano il 24 giugno 1497, e quindi un anno prima deH’ammiraglio Colombo, il quale non vide la tkrraferma prima del 1" agosto 1498. Grazie alle sco¬ perte del navigatore veneziano, i panegiristi del grande navigatore genovese sono diventati più tolleranti e meno solleciti di negare al povero fiorentino Amerigo Ve- spucci, raro esempio di un’ ingiuriosa accusa che va cre¬ scendo col crescere di sua fama-», il viaggio che ci lasciò scritto avere eseguito nell’anno stesso 1497. Continua dicendo che le testimonianze de’contemporanei, cioè Colombo, Sebastiano Cabotto, e Pietro Martire d’Àngera (tutti italiani), sono favorevolissime al Vespucci ; cita let- teralmente la lettera spagnuola di Colombo, ove chiama il Vespucci mucho hombre de bien, ossia nomo egregio; ed aggiunge che ornai tutti sanno che il nome à!-Ame- rica non nacque che nel 1807 per opera di Martino Vald- seemnller che l’adoperò pel primo nella sua Cosmografia. La prima parte contiene le due lettere del Vespucci, che, essendo state stampate più volte prima della sua morte (avvenuta il 22 febbraio 1812), furono in certo modo autorizzate dal silenzio stesso dell’autore. Le due lettere sono; 1“ Indirizzata da Lisbona nel 1803 al suo antico patrono Lorenzo di Pier Francesco de’Medici, istruen¬ dolo del suo terzo viaggio (primo al servizio del ^Por¬ togallo) nel 1801-2. ' 2* Indirizzata da Lisbona il 4 settembre 1804 al gon¬ faloniere di Firenze Piero Soderini, istruendolo del detto terzo viaggio, del quarto fatto nel 1803-4, ancora al ser¬ vizio del Portol'allo, e di due altri eseguiti preceden¬ temente, cioè 1497-1800 al soldo di Spagna. Digitized by LjOOqIc 158 Al testo latino della prima aggiunge scrupolosamente, mantenendo pagina per pagina, linea per linea, il testo in dialetto veneziano, pubblicato a Vicenza nel 1807. Al testo della seconda, che è in barbaro italiano, ag¬ giunge in calce una versione latina, pubblicata per la prima volta nell’aprile 1507. Ciascuna lettera è prece¬ duta da una eruditissima crìtica bibliografica ove si discorre di tutte le più antiche edizioni e versioni della medesima, con note e confronti tratti da autori moderni. La seconda parte contiene tre altre lettere, stampate in Italia, e tutte in italiano, due secoli (una di esse tre secoli) dopo la morte del Vespucci. Anch’esse sono precedute da notizie critiche e bibliografiche, nelle quali si discute sulla loro autenticità e .credibilità. La prima lettera fu pubblicata dal Bandini nel 1745, la seconda dal Bartolozzi nel 17S9, e la terza dal Baldelli nel 1827. La terza parte, intitolata Analisi critica della vita di Vespucci, comprende le ultime trenta pagine del volume, e siccome riassume i risultati degli studii e delle opi¬ nioni dì un illustre straniero che tende a purgare una nostra celebrità da gravi taccie ed a rivendicargli la glorìg di essere stato uno de’ primi grandi scopritori del Nuovo continente, io giudico opportuno darne qui la fedele versione, tanto più che le numerose note mostrano essere l’autore famìgliarissimo cogli storici spagnuoli e portoghesi non meno che coi nostri, ed avere perso¬ nalmente visitati gli archivi d’Europa coH’unico scopo di perfezionare le sue ricerche intorno le imprese del nostro Vespucci. Il primo paragrafo, che parla della vita di Vespucci prima de’suoi viaggi di scoperte, serve di introduzione; il secondo tratta del primo viaggio ese¬ guito nel 1497 (come Varnhagen ammette); il terzo del secondo viaggio; il quarto del terzo; il quinto del quarto;’ e il sesto ed ultimo della vita del Vespucci dopo il suo ritorno in Ispagna, e della possibilità di un quinto viag¬ gio da lui eseguito col Cosa nel 1507. Quand’anche non si vogliano ammettere il primo e l’ultiifio di questi due viaggi, e sono appunto quelli su* quali s’arrabbattauo i Digitized by LjOOqIc 153 critici, bastano gli altri a porre il Vespncci fra i più grandi navigatori di ogni tempo e paese. Non sarà quindi sprecato lo spazio di poche pagine che gli vogliamo ancora consacrare. Fra le molte ed erudite note di cui va accompagnata la seguente Analisi, e che io ho omesso per brevità, una dà il testo spagnuolo del decreto reale 6 agosto 1807, col quale il Vespucci è insignito della carica di piloto maggiore del regno, e che incomincia colle seguenti parole: « Mandamos que todos los pilotos de nnestros reinos » c senorios que agora son o seran de aqui adelante, » que quisieren ir por pilotos en la dicha navegacion » de las dichas islas e tierra Arme, que tenemos à la » parte de las Indias, e a otras partes en el mar Oceàno, » sean instruidos e sepan lo que es necesario de saber » en el cnadrante é estrolabio para que junta la platica > con la teorica se puedan aprovechar dello en los dichos » viages que bicieren en las dichas partes, é que sin lo » saber no puedan in en los dichos navios por pilotos, » nin ganar soldadas por pilotaje, ni los mercadores se » puedan concertar con ellos para que sean pilotos, ni » los maestres los puedan recebir en los navios sin que » primero sean examinados poi' vos Amerigo Despuchi, » nuestro piloto magor, é le sea dada por vos carta de * examinacion e aprobacion de corno saben cada uno de » ellos lo susodicho, etc. etc.». ANALISI CRITICA DELLA VITA DI VESPUCCI. 8 4 . Vespucci prima de’ suoi viaggi di scoperte. Dalle ricerche fatte da Bandini (Vita, ecc., 1748, pa¬ gina 24) risulta che Amerigo Vespucci, terzo figlio di ser Nastagio (Anastasio) Vespucci, notaio di Firenze, e di sua moglie Lisabetta Mini, nacque il 9 marzo 1451. Si sa che il giovane Amerigo fece i primi studii alla Digitized by LjOOQle 454 scuola e sotto la direzione di suo zìo Fr. Giorgio An¬ tonio Vespucci, domenicano, confratellò del famoso Sa¬ vonarola, profondo nel greco e buon latinista. Più tardi 10 stesso Amerigo confessava di non essere stato uno degli allievi più diligenti di suo zio. Verso il 1476 suo fratello Antonio frequentava l’Uni¬ versità di Pisa, ed Amerigo, per l’epidemia che deva¬ stava Firenze, abitava la villa di Mugello, a Trebbio, dal qual luogo tentava scrivere a suo padre in latino, scu¬ sandosi modestamente se lo faceva tanto male, perchè non aveva presso di sè lo zio che gli correggesse gli errori. Invece di studiare all’Università di Pisa, come il suo fratello Antonio Vespucci, Amerigo insieme coll’altro fratello Gerolamo preferì la carriera commerciale. Gerolamo partì per la Palestina, e qualche tempo dopo perdette tutto il frutto del suo lavoro. Egli stesso ce lo comunica in una lettera scritta al fratello Amerigo ed affidata al Padre Garnesecchi, che ritornava dalla Pale¬ stina in Italia. Amerigo, rimasto a Firenze, fu ammesso nella gran casa di commercio dei Medici, probabilmente per le rac¬ comandazioni del suo protettore, più tardi suo patrono, Lorenzo di Pier Francesco. La casa di commercio dei Medici aveva degli interessi in Ispagna; per lo che teneva in Cadice agenti e con- segnatarii di tutta confidenza. Vespucci s’incaricò d’an- darvi, associandosi a Donato Niccolini. Verso la metà dell’anno 1489 Amerigo non aveva ancora lasciata Fi¬ renze. Alcuni provano infatti che egli vi si trovasse, ed aggiungono che avesse a lagnarsi di sua madre, la quale voleva nuocere a’suoi interessi; dal che si deduce che 11 padre fosse già morto. La sua partenza però deve aver avuto luogo poco tefùpò dopo, imperocché il 30 gennaio 1492 egli M il socio Niccolini scrivevano dalla Spagna (da Cadice, a quanto sembra) una lettera, rendendo conto degli affari, 6 dicendo che l’un d’essi sarebbe ritornato fra non molto a Pireùze. Digitized by LjOOQle Alcuni anni dopo Vespuèci stesso assicurava che erasi recato in Ispagna per darsi al commercio, e che nel 1497 esercitava questa professione già da quattro anni. La morte di Lorenzo de’Medici, avvenuta nel 1492, fece si che la sua ricca casa di commercio venisse nelle mani del figlio Lorenzo di Pier Francesco, verso il quale il Vespucci si mostrò sempre riconoscentissimo. Negli archivii di Spagna non si trovò alcuna traccia della presenza del Vespucci prima del mese di gennaio 1496, quando fu incaricato di intendersi con alcuni operai, e di pagar loro il salario pattuito secondo il contratto coll’armatore Juanoto Berardi, lìorentino, morto il mese prima. Codesto Berardi, vecino di Siviglia ed amico di Co¬ lombo, era stabilito in Ispagna già da nove anni, e molte volte erasi offerto di fornire allo Stato de’vascelli per le spedizioni alle Antille. Il 9 aprile 1495 sottoscrisse un contratto, col quale si impegnava di noleggiare al Governo dodici vascelli di 900 tonnellate, presentandone quattro lo stesso mese d’aprile, quattro il mese di giugno, e quattro nel set¬ tembre. Prima dì morire, come già dicemmo, al mese di di¬ cembre 1495, Berardi .aveva soddisfatto a’suoi impegni verso la corona, benché le quattro ultime navi salpate da Cadice alla stessa epoca fossero sgraziatamente sor¬ prese dalla tempesta e naufragassero sulle coste della vicina Andalusia. Ma Berardi non aveva ancora ricevuta tutta la somma stabilita nel contratto, ed egli stesso doveva ancora qualche cosa a’suoi marinai. Fu allóra che Vespucci accettò l’incarico di liquidare codesti conti, ed il 12 gennaio 1496 ricevette dal teso¬ riere Pinolo diecimila maravedi, come l’indica una nota trovata da MuUoz nella lista dei conti della flotta, nella Casa de conlrataci'm a Siviglia. Digitized by LjOOQle Primo viaggio di Vespucci. Dopo il mese d’aprile 1494 la navigazione ed il com¬ mercio delle Indie occidentali furono dichiarati liberi. Qnalsiasi armatore poteva mandarvi delle navi a con¬ dizione però che queste partissero da Cadice e fossero registrate, sottomettendosi ad alcuni obblighi verso lo Stato. In conseguenza di questa facoltà, parecchi navi¬ gatori, dice il vecchio storico Gomara, si posero sulla via delle scoperte, alcuni a proprie spese, altri a spese del Re, tutti credendo d’arricchire, e d’acquistar fama e la regia stima. Ma siccome gran parte d’essi non fecero che rovinarsi, non rimase memoria di tutti, che io sappia, e neppure di tutti quelli che andarono al di là di Paria dall’ anno 1495 Uno al 1500. Noi sappiamo poi che il permesso del 10 aprile 1495 per questi viaggi non fu rivocato che il 2 giugno 1497, quando Vespucci era già in mare. Nella primavera del 1497 lo stesso re Don Ferdinando ebbe l’idea di far preparare a sue spese una flotta di quattro vascelli, ed impegnò il nostro Amerigo ad im- barcarvisi. Vedremo tosto che havvi tutta la ragione di credere che in questa stessa flotta s’ imbarcassero Giovanni Diaz de Solis, Giovanni della Cosa, e Vincenzo Yanez Pinzon che, probabilmente, ne fu il capo. Intanto che la flotta si preparava. Colombo faceva sforzi perchè si revocasse la concessione del IO aprile 1495, siccome contraria a’suoi privilegi. Ma la flotta fece vela da Cadice il 10 maggio 1497, e solamente il 2 giugno seguente il Re sottoscrisse colla Regina, a Mediha-del- Campo, la desiderata rivocazione. Si potrebbe pensare che essa sia stata ritardata di alcune -settimane pm* fa¬ vorire gli interessi particolari del Re Cattolico. Si sa che la presenza di Colombo a quest’epoca in Ispagna non bastò ad impedire questi viaggi; Andrea Bemaldes, curato di Palacios, ce lo dice nella sua Storia dei re Digitized by LjOOqIc ♦57 cattolici, parlando del soggiorno di Colombo in Ispagna dorante i preparativi pel suo terzo viaggio, ed aggiunge che mentre Tammiraglio era alla corte, si concertarono ed accordarono a diversi capitani dei permessi per viaggi di scoperta, e che se ne eseguirono infatti. Washington Irving non esitò (ediz. del 1849, voi. Ili, p. 330) a dire che le gelazioni di Amerigo sopra questo primo viaggio erano considerate false; ed Humboldt, dopo averlo dichiarato il più, importante dei quattro {Ex. crii. IV, pag. 73), lo disse problematico (Ex. crit. IV, pag. 292). Noi l’abbiamo già detto, l’ammettere che il Vespucci sia stato capace di falsificare la verità circa un viaggio cosi importante, sarebbe come negargli ogni merito. Herrera, il cronista delle Indie occidentali, copiando quasi letteralmente il testo latino della Cosmographiae introductio sopra questo primo viaggio del Vespucci in tutti i suoi particolari, sapendo che il navigatore fio¬ rentino aveva accompagnato l’Hojeda nel 1499, credette che questo viaggio dovesse essere il primo. In questa convinzione cangiò la data del 1497 nel 1499, e quando vide che il racconto del navigatore fiorentino comin¬ ciava ad essere in contraddizione coi fatti ch’egli trovava in altri documenti sul primo viaggio dell’Hojeda nel 1499, gridò all’impostura, ed accusò il Vespucci d’aver di proposito imbrogliato ogni cosa, mentre era egli stesso (Herrera) che si sbagliava, e che seco traeva in eh*ore i Charlevoix, i Robertson, i Tiraboschi, e perfino i Na^ varrete e gli Humboldt. Quest’ultimo scrittore, immaginandosi che tutti o parecchi dei vascelli forniti dal Berardi il 10 aprile 1498, e più tardi dal Vespucci, fossero destinati al terzo viaggio di Colombo, il quale fece vela solamente il 30 mag¬ gio 1498, ardisce dire con eccessiva asseveranza che: « Il cosmografo fiorentino potrebbe essere stato assente dall’inverno del 1496 alla primavera del 1497, manna scoperta del continente alla fine del giugno 1497, o un primo viaggio d’Amerigo Vespucci dal 10 maggio 149T Digitized by LjOOQle al 18 ottobre 1498* è impossibile ». {Ex, crii., t. IV, p. 268). Ma il fatto sta, che mettendo in disparte le sviste di Herrera e la congettura poco fondata d’Humboldt, la semplice lettura della relazione del Vespucci al Soderioi intorno al suo primo viaggio, ci lascia convinti della sua sincerità, giacché ci parla di una terra che esiste come l’ha descritta, e che doveva aver visitata egli stesso, tranne che non si voglia accordargli il dono della divinazione, poiché nel momento che egli scriveva, nel 1604, non si possedeva alcuna descrizione di quelle spiaggie. Vespucci ci dice: r Che partito da Cadice il 10 maggio 1497, ed avendo navigato mille leghe verso l’ovest-sud-ovest, la flotta si é trovata dopo trentasette giorni, per conseguenza il 17 giugno (alcuni giorni prima dello sbarco di Cabotto), in vista di terra, alla latitudine del 16“ nord ed alla longitudine 76" all’ovest delle Canarie. La carta ci mostra questi luoghi sul golfo di Hon¬ duras, con una differenza nellq longitudine, la quale dovrebbe essere un po’ minore; ma questa piccola diffe¬ renza non deve sorprendere quando si pensi all’imper¬ fezione degli strumenti, e trattandosi d’un primo viaggio in mari ove vi sono correnti la cui influenza difficil¬ mente può sottoporsi a calcolo. 2" Che il giorno dopo e per due giorni successivi segui la costa, in vista di terra, verso il nord-ovest. Questa é la direzione che prende la costa del Yucatan. 3" Che continuò a navigare per più giorni, scen¬ dendo sovente a terra c comunicando cogli abitanti. I rombi non sono indicati nel racconto, ma è fuor di dub¬ bio che si navigava intorno al Yucatan. 4" Che arrivò ad un porto in mezzo al quale v’erano circa quaranta case costrutte sull’acqua, « come Vene¬ zia », e con dei ponti levatoi che s’alzavano a difesa. Questo porto si trovava ad ottanta leghe al sud d’un altro che visitò più tardi, sotto la latitudine settentrio- Digitized by LjOOQle 159 naie 23®, e non può esser altro che quello di YerorCruz; od anche l’isola De los sacrificios, o quella della for¬ tezza d’Ulua. o® Che continuando verso il nord, arrivò ad un porto posto quasi sotto il tropico del Cancro, abbondante di pesce col quale facevasi il pane. Il paese era irrigato da ruscelli e gli uccelli numerosissimi. Gl’Indiani par¬ lavano una lingua diversa da quella parlata al porto la¬ sciato ad ottanta leghe verso il sud. Con tutta proba¬ bilità si trovavano verso Tampico o Pamico, paesi ricchi infatti di corsi d’acqua e di uccelli. Più al sud si tro¬ vava il confine degl’indiani Totonacs, che popolavano le coste di Vera-Cruz. D’altronde a Tampico e a Panuco gl’indiani si scostavano non poco dai loro vicini me. ridionali, i Totonacs. Erano già popoli di razza Maya e Tlastechi, che avevano invaso Cuba e la Giamaica, La descrizione data dal Vespucci, nel 1504, sui costumi ed usi di questTndiani si accorda pienamente con quelle date da altri navigatori che visitarono più tardi questa parte dell’America settentrionale. Fin qui non ci pare lecito rivocare in dubbio i par¬ ticolari dati dal navigatore fiorentino intorno al suo primo viaggio, nella semplicissima lettera al Sederini, presa nel legittimo testo, e senza il soccorso di altre prove. Non diremo altrettanto delle linee seguenti ove il Vespucci, volendo probabilmente restringer troppo, è di¬ venuto incompleto ed oscuro. « Partimmo da questo porto (posto al 23® latitudine » nord) e navigammo lungo la costa, in vista di terra, » per una distanza di 870 leghe sempre verso il nord- » ovest, toccando sovente terra e intrattenendoci cogli » abitanti. In alcuni luoghi comprammo dell’oro, ma in » piccola quantità. Infine dopo tredici mesi di viaggio • (cioè nel giugno 1498), vedendo i nostri vascelli e » l’equipaggio in cattivo stato ed i marinai stanchis- » simi, decidemmo in consiglio di mettere a secco i » navigli, per ispezionarli (perché facevano acqua) e per Digitized by LjOOQle 160 » ripararli col catrame, onde poter ritornare in Ispàgna. » Allorquando prendemmo codesta risoluzione, eravamo » vicini ad un porto, il migliore del mondo, entrati nel » quale trovammo gente che ci ricevette con molta cor- » tesia. Nói abbiamo costrutto a terra un forte con dei » battelli e delle botti, e vi mettemmo dei cannoni che » dominavano tutte te direzioni. Vi ponemmo anche tutto » quello che scaricammo dalle navi, le quali trascinammo » sulla spiaggia onde ripararle coll'aiuto degli abitanti, » i quali ci fornirono anche di viveri; di modo che in » questo paese non ci siamo serviti dei nostri viveri, » e'Ció ci fu molto utile, perchè ne avevamo pochi per » il ritorno. Vi rimanemmo trentasètte giorni, ecc. ». Prima di indagare qual fosse questo famoso porto, occupiamoci di alcune circostanze che crediamo neces¬ sarie a provare l’autenticità del viaggio. Uscendo dal porto, situato al 23“ nord, e continuando sempre a navigare verso nord-ovest, avranno dovuto co¬ steggiare la Florida, accertando la forma insulare di Cuba. Questo è ciò che effettivamente avvenne. 11 12 giugno' 1494 Colombo aveva provocato una specie di processo od informazione giudiziaria, ove molti maestri, piloti, e marinai avevano dichiarato con giuramento che, se¬ condo il loro avviso, Cuba non era un’isola, ma un vero continente {tierra firme). Noi possediamo intatto codesto documento, che si può consultare nel volume 11 di Na- varrete, dalla pagina 143 alla 149. Eppure quasi subito dopo il ritorno della nostra flotta in' Ispagna si seppe che Cuba era veramente un’ isola, e come tale Giovanni della Cosa la disegna nella sua famosa carta del loOO. D’altra parte. Martire d’Ànghiera, prestando maggior fede all’opinione di Colombo, non esitò nello scrivere: « Non mancano persone che pretendono aver navigato > intorno a Cuba. Se è cosi, non lo decido, lo sapremo » dal tempo, giudice vero e sempre vigilante ». (Dee. 1*, libro 6“). In altro luogo (Dee. 2“, lib. 7°) aggiunge : « Vincenzo Yafiez.... fece il giro intorno a Cuba, ere- Digitized by LjOOQle m » duta fino allora da molti un continente, a cagione della » sua lunghezza. Molti altri si vantano d’aver fatto al- »trettanto». Anghiera aggiunge ancora, forse confondendo un po’ i fatti : «Vincenzo Yafiez, essendosi coll’esperienza convinto » che Cuba era un’isola, continuò il viaggio e trovò » altre terre verso l’ovest di Cuba». Dobbiamo aggiungere che il dotto Humboldt, copiando (Ex. criL, t. IV, pag. 129) il primo di questi brani, ci dice molto ragionevolmente: «Che, siccome la prima » circumnavigazione bene accertata dell’isola di Cuba, » fatta da Sebastiano d’Ocampo (Herrera, Dee. 1% lib. 6®, » cap. 1), porta la data dell’anno 1508, si deve credere » che il brano d’Anghiera fu scritto prima di quest’epoca ». Dobbiamo osservare altresì che nella carta del Cosa si vede già nel 1500 disegnato come un solo continente, senza alcun braccio di mare verso l’ovest, tutto il tratto di costa che corre dal punto posto in faccia a Cuba fino alle terre scoperte dagl’inglesi sotto il comando dei Ca- botto; e certamente il* Cosa non lo avrebbe fatto senza possedere dati ben accertati. Questi però ebbe cura d’in¬ terrompere, verso il sud, la costa, che venne poscia es¬ plorata da Colombo nel 1502, cioè nel quarto suo viaggio. Ed appunto questo quarto viaggio di Colombo ci per¬ suade che egli conosceva i risultati delle esplorazioni fatte dal Vespucci nel suo primo viaggio, del quale stiamo . trattando. È noto che Colombo cercava ardentemente un passaggio onde ritornare in Europa per la via d'occi¬ dente, passaggio che fu scoperto e navigato da Magel¬ lano nel 1519. Per trovarlo nel suo quarto viaggio (il primo da lui intrapreso dopo il ritorno del Vespucci) invece di partire direttamente verso l’occidente andò cercando sulla costa d’Honduras il golfo d’Higueras sotto la latitudine del 16® per esplorare di là la còsta verso il sud; probabilmente perchè quella verso il nord era già stata esplorata in questo viaggio dal Vespucci e dai suoi compagni. • il Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani. Digitized by LjOOQle 462 Nella celebre carta Vmversalior cogniti orbis TainUa di Ruysch, che accompagna il Tolomeo di Roma del 1808, si vede segnata all’ovest delle Antille, e presso a poco ad una longitudine di 75" all’ovest delle Canarie, una lunga costa, che a torto si credè Cuba senza riguardo alla Charla Marina Portugalensium del 1504, di cui Ruysch si sarà servito, e dove si legge; Huc usque naves Ferdinandi Regis Hispanise pervenerunt. Queste righe sono un argomento potente in favore del racconto del Vespucci a proposito del suo primo viaggio fatto a spese di Ferdinando il Cattolico. Nel Capo S. Marco (C. S. Marci), che è il nome più meri¬ dionale di quella lunga costa, noi non possiamo ravvi¬ sarvi che il primo punto scoperto in questo viaggio dopo trentasette giorni, cioè il 18 giugnoj che, secondo il calendario romano, è precisamente quello nel quale la Chiesa celebra il martirio di S. Marco. Forse nello stesso tempo si scopri anche la baia della Nalividad, essendoché la Chiesa celebra la Natività di San Giovanni Rattista il 24 dello stesso mese. Questo nome di Capo S. Marco venne soppresso nella celebre carta del Tolomeo di Strasburgo del 1513; ma invece del Capo vi si trovano indicazioni più signifi¬ canti, giacché la costa ivi forma un golfo chiuso; di¬ mostrando che le acque non comunicano all’ovest col mare delle Indie. La parte settentrionale del golfo, e particolarmente la Florida, vi sono perfettamente di¬ segnate. Abbiamo altre testimonianze, dateci dagli storici, in favore di una scoperta del golfo di Higueras e della costa d’Honduras anteriore a quella di Colombo nel 1502. Ecco le parole di Ganfalo Hernandes d’Oviedo, nella sna Histoire générale et naturelle des Indes: «t Alcuni attribuirono la scoperta del golfo d’Higueras al primo ammiraglio Don Cristoforo Colombo; ma ciò non è vero, poiché il golfo d’Higueras (Honduras) fu Digitized by LjOOqIc 163 scoperto da tre caravelle, guidate dai piloti Vincenzo Ya6oz Pinzon, Giovanni Diaz de Solis, e Pedro de Le- desma, e ciò prima che Vincenzo Yanez avesse scoperto il Maranon (Amazzoni) e Solis la Piata ». In secondo luogo, Gomara ci conferma in questa opi¬ nione, dicendo che la stessa costa d'Honduras era stata scoperta tre anni prima del qmrto viaggio di Colombo. Il quarto viaggio di Colombo essendo avvenuto nel 150^ la scoperta sarebbe accaduta nel 1499, mentre che, se¬ condo il Vespucci, ebbe luogo nel 1497. Questa piccola differenza nel numero degli anni ci conferma nell’idea che non fu dietro Tautorità del Vespucci, nè dietro quella di Martire d’Anghiera che lo storico spagnuolo ci faceva la sua rivelazione. È anche d’accordo con l’Anghiera quando dice che Pinzon e Solis erano alla testa della spedizione. « Descubriò Christaval Colon 370 legnas de costa que » ponen de rio grande de Higueras el Nombre de Dios, » el ano de 1502; dicen emperd algunos que tres afios » antes lo accian andado Vimente Yanes Pinfon y Yuan » Diaz de Solis, que fueron grandissimos descubridores». Lo stesso Martire d’Anghiera, narrando l’esplorazione d'Honduras fatta dal Colombo, assicura che si diceva essere già stata quella costa visitata da altri. Anche lo storico Herrera, d’altronde poco amico del Vespucci, non esita a dirci (Dee. T, lib. vi, cap. 16) che: « non rimase alcuna memoria dei primi navigatori » ; e (nel capitolo seguente) aggiunge, senza dare alcuna data: «Subito dopo che si seppe in Castiglia ciò che Cristoforo Colombo aveva nuovamente scoperto, Giovanni Diaz De Solis e Vincenzo Yanez Pinzon risolvettero di percorrere la stessa strada». Herrera, scrivendo queste linee, con una indicazione marginale^ pone l’avvenimento con quelli di cui parla nell’anno 1506; ma non si può supporre che Pinzon navigasse nel 1506 e 1507; poiché noi sappiamo positi¬ vamente, da documenti degnissimi di fede, ch’egli era trattenuto in Ispagna col Vespucci, occupato in altri armamenti. Una prova che Tasserzione d’Herrera in fondo Digitized by LjOOQle 464 non si riferiva ad nna scoperta dell’anno 1506 ci è data dal medesimo testo, che continua così: « Siccome dopo non fuvvi alcuno che continuasse questa scoperta, non se ne seppe altro fino a che non fu scoperta la Nueva-Espana, partendo dall’isola di Cuba; e questi esploratori ambivano soprattutto scoprire nuovi paesi sia per gelosia verso l’Ammiraglio, sia per supe¬ rarne le scoperte. Ecco perchè abbiamo esordito dicendo che Pinzon e Solis (del Cosa parleremo più tardi)dovevano avere accom¬ pagnato il Vespucci in questo viaggio. Ci confermano in questa opinione altri indizi! che incontriamo più tardi. Prima di continuare, ci ajQTrettiamo a dire che oggi siamo convinti non avere il Vespucci oltrepassata nel¬ l’America del nord la latitudine di Lisbona. Ne abbiamo la prova in alcune linee dell’altra let¬ tera, scritta dallo stesso viaggiatore nel 1503, a Lorenzo di Pier Francesco de’Medici. In questa lettera il Vespucci si vanta di aver percorso un quarto di circolo della terra, 0 90 gradi di latitudine, dal porto di Lisbona fino alle terre al di là del 50' sud. Probabilmente non stabili più esattamente il numero dei gradi percorsi, poiché il suo giornale di viaggio era allora nelle mani del Re. Ci sembra tuttavia che se avesse navigato più al nord della latitudine di Lisbona, avrebbe calcolato il suo arco di cerchio partendo da questo punto più settentrionale. In questa persuasione crediamo che il famoso porto che il Vespucci dice essere stato il termine della sua naviga, zione lungo la costa, non deve essere cercato più al nord della foce del Delaware; tanto più che il golfo di Che- sapeake si presta perfettamente a spiegare l’ammirazione del Vespucci, che lo chiamava il migliore del mondo. La sua posizione infatti corrisponderebbe benissimo quando noi potessimo prestare intera fede alla prima delle tre cifre 870, indicanti il numero delle leghe navigate lungo la costa dopo Panuco o Tampico ; numero che può sem¬ brare esagerato di poco e che non è impossibile sia stato alterato da qualche errore di copia analogo a quello ove si lesso 18 invece di 23, e 37 invece di 33. Digitized by LjOOqIc 165 Un porto situato sulla costa orientale della Florida, se uno ve ne fosse di qualche importanza, si presterebbe senza dubbio meglio che questo golfo di Chesapeake, e sarebbe in maggior armonia col racconto del Vespucci. E ciò perchè, partendo dal golfo di Chesapeake per an¬ dare, secondo la relazione del Vespucci, all’arcipelago d’Iti (che altro non può essere se non il gruppo delle isole Bermude) avrebbe dovuto navigare verso E.-S.-E. e non già, come dice il Vespucci, infra grego e levante, ossia verso E.-N.-E.; salvo che non siasi scritto anche qui, siccome in altri passi, grego in cambio di sirocco; nel qual caso non vi sarebbe più discordanza, giacché dal golfo di Chesapeake movendo verso la Bermude si va per l’appunto nella direzione di E.-5.-E. Ecco la traduzione del testo del Vespucci, per mezzo della quale il lettore potrà da se stesso risolvere il dubbio suirarcipelago d’iti: «Allorquando volemmo continuare il nostro viaggio, » essi (gii Indiani) si lagnarono di una nazione feroce » e nemica, la quale in alcune epoche del Tanno veniva » per mare al loro paese, entrandovi per tradimento o » per forza, uccidendo molti di loro, divorandone altri, » altri conducendone in prigione; e ci dicevano che » questi nemici abitavano un* isola lontana cento leghe » di là. Essi ci raccontarono ciò con tanta passione » che ne fummo commossi, e loro promettemmo di ven- » dicarli di tante ingiurie; il che produsse in essi molta » gioia. Si offersero di unirsi a noi, ma non accet- » tammo per diverse ragioni; ne ammettemmo sola- » mente sette, sotto condizione che ritornerebbero soli » al loro paese nei loro canotti. Accettarono tale partito » senza diilìcoltà; poscia loro dicemmo addio come a » buoni amici, » Rimessi dalle nostre fatiche e riparate le avarie delle » nostre navi, navigammo sette giorni verso E.-N.-E., e » ci trovammo allora dirimpetto a molte isole, alcune » abitate, altre deserte. Essendoci avvicinati ad una di » esse e gettata l’àncora, scorgemmo sulla spiaggia un Digitized by LjOOQle m » gran numero crabitanti che chiamavano quest’ isola » Iti. Ciò vedendo, mettemmo nelle nostre scialuppe » degli uomini scelti, con tre cannoni, poi ci awici- » nammo a poco a poco alla terra, e potemmo distin- » guere sulla riva almeno 400 uomini con molte donne. » Erano nudi, parevano agili, guerrieri, e coraggiosi, » perchè erano armati d’archi, di frecce e di lame, e molti d’essi portavano degli scudi quadrati, coi quali » si difendevano con molta destrezza senza esserne in- » ciampati nel lanciare le frecce. Ci accostammo nelle » nostre piccole barche, ed eravamo a poca distanza quando » essi si gettarono precipitosamente in mare lanciando » una gran quantità di frecce, e battendosi coraggiosa- » mente contro di noi onde impedirci lo sbarco. Tutti » avevano il corpo dipinto a diversi colori ed ornato con » piume d’uccelli. Ciò vedendo, quelli che ci accompa- » gnavano ci avvertirono che tutte le volte che grida- » vano e si ornavano il corpo in quel modo, era per » accingersi a combattere. Realmente ci impedirono di » sbarcare, per modo che noi fummo obbligati di scari- » care sopra di essi i nostri cannoni; ed appena ne in- » tesero lo scoppio e ne osservarono gli effetti, vedendo » molti fra di essi cader morti, si ritirarono tutti a terra. » Stabilimmo allora di mandare ad inseguirli quaran-. » tadue dei nostri per combatterli; ed essendo sbarcati » colle armi, la resistenza che ci fecero fu tale, che du- » rante circa un’ora lottammo senza ottenere alcun suc- » cesso, meno che aver ucciso qualcuno, giacche essi pa- » ravano i nostri colpi di lancia e di spada con molta » destrezza. In fine noi gli assalimmo con tale impeto, » che presero la fuga verso le foreste lasciandoci padroni » del campo, con molti dei loro morti e feriti. In quel » giorno non li inseguimmo più lungi poiché eravamo » molto stanchi, e ritornammo sulle nostre navi, e tale » era la gioia degli Indiani venuti con noi, che non » sapevano in che modo manifestarla. Il giorno dopo » osservammo che molti indigeni s’avvicinavana alla » spiaggia, tutti dipinti ed ornati di piume d’uccelli, Digitized by LjOOqIc 167 » suonando dei corni ed altri istrumenti di guerra, di » cui essi facevano uso ; il che era per noi uno spet- » tacolo ammirabile. » Vedendo che si preparavano a trattarci ostilmente, » risolvemmo di amicarceli, e nel caso contrario a trat- » tarli come nemici e considerare come schiavi tutti * quelli che avremmo fatti prigionieri. » Prèsa questa risoluzione, ci armammo il meglio pos- » sibilo e ci avvicinammo alla spiaggia. Avendo paura » delle nostre artiglierie, a ciò che sembrava, non ci » impedirono di sbarcare. Arrivati a terra, ci dividemmo » in quattro compagnie, ciascuna di cinquantasette uo- » mini col suo capitano, e combattemmo lungo tempo » corpo a corpo, fino a che, essendo rimasti morti molti >» di essi, furono obbligati a fuggire. Li abbiamo inse- » guiti fino ad uno dei loro villaggi, ove facemmo ven- » ticinque prigionieri. Dopo averlo incendiato ritornammo » alle navi, conducendo con noi i venticinque prigio- » nieri e lasciando morti e feriti un gran numero d'essi, » senz'altra perdita da parte nostra che un morto e ven- » tidue feriti, i quali tutti grazie a Dio guarirono. » Avendo stabilito il ritorno, i sette Indiani venuti » con noi, fra i quali cinque furono feriti combattendo, » ritornarono al loro paese molto contenti ed ammirati » delle nostre forze. Donammo loro un canotto che pren- » demmo nell'isola, con sette prigionieri, dei quali tre » uomini e quattro donne. Continuando la nostra rotta » verso la Spagna, rientrammo nel porto di Cadice, con » 222 prigionieri, il 15 ottobre 1499. Fummo ricevuti » con molta gioia, e vendemmo i nostri prigionieri ». Non ci arresteremo troppo su questo numero di pri¬ gionieri condotti schiavi, e che fu a ragione conside¬ rato come esorbitante. Senza dubbio si introdusse in questa cifra un nuovo errore. La narrazione stessa di Vespucci ci dà prova che bisogna leggere 22. A Iti fu¬ rono fatti solamente venticinque prigionieri, dei quali sette furono regalati agl'indiani amici, che li condus¬ sero seco; ma ai diciotto rimanenti bisognava aggiun- Digitized j'by GoOgIC 168 gere i due prigionieri che erano stati fatti airisola abi¬ tata {Ulm 0 Sacri/icios) e le due vecchie che vi trova¬ rono di scorta ad un ammalato che abbandonarono e che probabilmente morì. La scrittura del navigatore fiorentino non era la più chiara. La sua penna, come generalmente quella dei vecchi, non era sicura, ed alcuni tratti probabilmente riuscirono dubbiosi. Cosi invece dei tre gradi per la latitudine di Malacca, si lesse 33 gradi. I dieci (X) mesi verso il sud, nel terzo viaggio, furono segnati come venti (XX) in un altro luogo, e ciò quando in tutto il viaggio non s’impiegarono che sedici mesi. Questo spiega, ci sembra. Terrore di 222 invece di 22. Nel 1858 noi credevamo che risola d’Iti si trovasse verso il nord-est del porto del continente, per la falsa interpretazione di un modo di esprimersi di Vespucci, il quale dice sempre il vento per il rombo, come nota benissimd Humboldt (Ex. crii. t. V, p. 118). Si credette trovare una grande obbiezione contro la verità di questo viaggio del Vespucci nel silenzio che conserva sul punto ove ha intersecata la linea delle An^ tuie. A questo noi possiamo oggi rispondere per nostra esperienza, che anche ai nostri giorni le navi a vela ed i battelli a vapore attraversano alcuni dei canali delTAr- cipelago senza veder terra nè da una parte, nè dal- Taltra (sopratutto fra la Dominica e la Martinica, ed anche al nord della Guadalupa), sia perchè si passano di notte, sia per la distanza, sia infine per le nebbie che ricoprono tanto frequentemente TOceano, e che qualche volta ne ascondono interamente le isole. Non sarebbe impossibile che la flotta ove si trovava Vespucci e che vide la terra d’Honduras al 16", passasse fra queste ultime isole poste quasi sotto la stessa latitudine. Diamo questa spiegazione, ma sospettiamo altresì che il nostro viaggiatore avrebbe potuto passare in vista di alcune isole già conosciute senza nominarle, come fece nel secondo viaggio, nel quale deve aver visto per certo la Trinidad. Digitized by LjOOqIc 169 Finiremo la nostra analisi del primo viaggio del Ve- spucci riproducendo la famosa lettera che Gerolamo di Vianello scrisse dalla Spagna alla Signoria veneta, ren¬ dendole conto del ritorno del fiorentino Amerigo da un viaggio che ha molta relazione con questo. Si sa che questa lettera venne fornita dal signor Ranke ad Hum¬ boldt, che la pubblicò nel 1839, dichiarando impossi¬ bile la data del 'ìZ dicembre 1506, che le si vuole as¬ segnare e dimostrandola non autentica. Se si giungesse a spiegarne Tenigma della data, e se, per esempio, si fosse letto DVI (506) invece di MCGCCXGVIII (1498), si avrebbe la certezza che la lettera del Vianello si rife¬ risse a questo viaggio. Ecco la lettera : « Due navi che avevano intrapreso un viaggio di sco- * perte nelle Indie, appartenenti al Re mio signore, sono » ritornate. Avevano per capitani Giovanni Biscaino e » Almerigo fiorentino, i quali hanno navigato a Tovest- » sud-ovest 200 leghe al di là dell’isola spagnuola, che » è a 2000 leghe dalle colonne d’Èrcole. Essi hanno » scoperto un continente (cosi a loro giudizio), poiché « hanno visto terra a 200 leghe più in là dell'isola » Spagnuola e l’hanno costeggiata per 600 leghe^ incon- » trando un fiume largo 40 leghe alla sua foce. Rimon- » tato il fiume alla distanza di 150 leghe, viddero che » v’erano in esso molte piccole isole abitate da Indiani « affatto nudi e nutrentisi di pesce. Poscia costeggia- » rono questa terra per lo spazio di 600 leghe e trova¬ li rono un canotto indiano somigliante ad una madia « scavata in un pezzo di legno. L'arcivescovo sta per » inviare di nuovo questi due capitani, con otto navi, 1 » quattrocento uomini ben armati e dell’artiglieria». Sappiamo che il piloto Giovanni Biscaino (Giovanni della Cosa) fece parte della seconda spedizione del fio¬ rentino, eseguita sotto il comando dell'Hojeda; ma ciò non toglie che lo stesso Cosa possa avere accompagnato il Vespucci nel suo primo viaggio. Al contrario si prova (Humboldt, £a?. crtó., t. V, p. 163) che nel 1497 e 1498 Digitized by kjOOQle 170 Cosa non fu occupato altrove, ed è impossibile d’altronde applicare le parole del Vianello al viaggio fatto in parte coll’Hojeda nel 1499-1500, poiché in questo viaggio, ben¬ ché siano passati davanti a grandi fiumi, siccome l’Amaz- zoni e ì’Orenoco, è certo che non ne risalirono alcuno. Osserviamo bene. 11 Vianello dice che la terra fu tro¬ vata duecento leghe più in là dell’isola Spagnuola. Ora, duecento leghe é la distanza da Haiti a Honduras. Dice anche che la flotta seguì la costa per seicento leghe fino allo sbocco di un gran fiume. Seicento leghe é presso a poco la lunghezza della costa, dal capo Higueras alle bocche del Mississipì. Il Vianello aggiunge che conti- nuossi a seguire là terra per seicento leghe.E sem conta il lungo giro della Florida, si vedrà che questa è appunto la distanza che corre dalle bocche del Mississipì all’en¬ trata del magnifico porto di Chesapeake, posto, come notammo già, sotto una latitudine un po'inferiore a quella di Lisbona. E queste 600 leghe rispondono alle 870 che Vespucci conta partendo da un punto della costa sotto il tropico. 3. Secondo viaggio del YespuccL Avendo esaminato i paraggi visitati dal Vespucci nel suo primo viaggio, attenendoci semplicemente alFattenta lettura della sua relazione, seguiremo lo stesso metodo per spiegare la strada percorsa nel successivo viaggio, fatto parimente a spese della Spagna. E per le ragioni già accennate, ci guarderemo dal consultare il testo della lettera che, trovata alla Biblioteca i?tcmrdto«o, fu pub¬ blicata con sì poco acume dal Bandini, a detrimento della fama del suo compatriota, il pilota fiorentino. « Il 16 maggio 1499, dice Vespucci, uscimmo dal porto » di Cadice facendo il nostro rombo verso le isole del » Capo Verde; e passando in vista della Grande Canarie, » navigammo fino ad una certa isola chiamata del fuoco, » ove facemmo provvigione di legna e d’acqua». Digitized by LjOOqIc 471 Fermiamoci per riflettere alquanto. Vi sono ragioni per supporre che la flotta toccasse non già all’isola del fuoco, come si dice nel testo stampato, ma all'isola del ferro. Quest’ultima apparteneva alla Spagna, mentre la prima, nell’ardpelago del Capo Verde, apparteneva al Portogallo, ed è noto che ai comandanti delle flotte spagnuole si raccomandava di non ancorare nei dominii portoghesi. Potremmo anche citare un’altra testimo¬ nianza che accresce la nostra esitanza nell’ammettere la sosta isola del fuoco; ma siccome questi particolari poco importano alla parte importante del viaggio, pre¬ feriamo non insistere più a lungo, ammettendo il testo letteralmente. Continuiamo il racconto del nostro viaggiatore. * Abbiamo seguitato il nostro viaggio, prendendo la » nostra strada verso sud-ovest. Dopo aver navigato di- » ciannove giorni, arrivammo ad una certa terra nuova » che credemmo parte di un continente e continuazione » dell’altra di cui parlammo nel nostro primo viaggio. » Questa nuova terra si trova nella zona torrida, a 5 » gradi al sud della linea equinoziale, e ad una distanza » di cinquecento leghe verso il sud-ovest delle isole che » abbiamo nominate. Vi osservammo che dopo il 27 (cre- » diamo che si dovesse leggere 21) giugno, quando il » sole entra nel tropico del Cancro, i giorni sono eguali » alle notti. La terra era imbevuta d’acqua ed irrigata » da grandi fiumi, e si mostrava verdeggiante e coperta » da grandi alberi.... Dopo avervi fatti diversi giri, os- » servammo che tutto era coperto d’acqua, e che non » Oravi luogo che non fosse inondato». Questi particolari sono abbastanza chiari per indicarci che si trovavano sulla costa del Brasile, fra i canneti all’ovest della provincia di Rio-Grande-do-Norte. Continuiamo : « Levando le àncore, seguimmo la costa est-sud-est » per più di quaranta leghe..., ma incontrammo una cor- » rcnte così forte, dal sud-est verso il nord-ovest, che » ci fu Impossibile navigare. Per questo inconveniente Digitized by LjOOQle » risolvemmo di tornar indietro e di continuare verso » il nord-ovest. Prendendo questo rombo, navigammo in » distanza della terra, ed alla fine arrivammo ad un » porto molto comodo, all’entrata del quale trovavasi » un'isola molto graziosa», ' Tutte le circostanze di questa parte del racconto si confermano da ciò che avviene quotidianamente ai nostri giorni su queste coste. Durante i mesi di giugno e di luglio i venti vi soffiano dal rombo est-sud-est, nello stesso tempo che le correnti equatoriali spingono con gran violenza verso l’ovest-nord-ovest, e le navi che si trovano presso la costa venendo dall’est, non possono facilmente rimontare il Capo di San Rocco, nè quello di Tour OS. Il Vespucci aggiunge che da queste acque la flotta prese, al largo della terra, la direzione di nord-ovest, ed alla fine arrivò ad un porto, ecc. Da tali parole si deve dedurre che il porto non era molto vicino; e il rombo seguito, e più ancora le cir¬ costanze del resto del viaggio, ci fanno credere oggidì che questo porto non era quello di Maragnon, imma¬ ginato da Nàvarrete (t. Ili, p. 245), e meno ancora qual¬ che altro all’entrata delle Amazzoni.Questo porto, secondo noi, deve essere stato quello di Cayenne, poiché il Ve¬ spucci aggiunge, che, navigando più in là ed andando sempre verso l'ovest, la flotta entrò in una baia ove ri¬ mase diciassette giorni e dove si comperarono dagli In¬ diani centocinquanta perle, da essi prese ai loro vicini dell’ovest. Questi vicini dovevano essere gli abitanti di Paria; e quelli della baia non potevano essere che gli abitanti del luogo ove trovasi l’attuale colonia di Demarara. Uscendo da questa baia, la flotta segui la costa ed. entrò, per ripararsi, in un altro porto, ove gl’indiani si mostrarono ostili. Continuando la navigazione,si scorse non un’isola a quindici leghe da terra. Quest’isola, che Navarrete (t. Ili, p. 252) ha creduto falsamente quella di Marajo, all’entrata delle Amazzoni, Digitized by LjOOQle 173 secondo la descrizione che ce ne dà il Vespucci stesso, non può essere che l’isola Margherita. Dopo quest’isola la flotta ne visitò un’altra, che per l’alta statura degli abitanti, si chiamò dei giganti. Ripigliamo il racconto del nostro viaggiatore; « Continuammo costeggiando, e ci avvenne più volte » di combattere cogli abitanti, perchè non ci volevano » fornire alcuna cosa. Avevamo già desiderio di ritor- » nare in Ispagna, essendo scorso quasi un anno dacché » eravamo in mare, avevamo poche provvigioni, ed anche » queste guaste dal caldo, essendncliò da quando eravamo » partiti dalle isole del Capo Verde fin qui, avevamo » continuamente navigato nella zona torrida, ed avevamo » attraversata la linea equinoziale due volte, poiché, * come dissi prima, fummo a 5 gradi al sud di essa, ed » eravamo allora sotto il IS"* (si dovrebbe leggere i3®) » grado di latitudine nord. Quando eravamo ben decisi » di ritornarcene, piacque allo Spirito Santo di dare » un po’di riposo a tante pene; atteso che cercando un » buon porto ove riparare le nostre navi, trovammo un » popolo che ci accolse amichevolmente, e noi sapevamo » che possedeva una gran quantità di perle abbastanza » preziose. Restammo con loro quarantasette giorni e » comperammo a buonissimo patto centodiciannove mar- » che di perle. >» Al termine di quarantasette giorni, congedandoci » da questa gente della quale avevamo guadagnato l’ami- » cizia, ce ne partimmo pel bisogno che avevamo di » provvigioni, e ci recammo alle isole Antille, che Cri- » stoforo Colombo scoprì alcuni anni or sono, ove ci » approvvigionammo e restammo due mesi e diciassette » giorni, durante i quali soffrimmo disagi e pericoli a » cagione dei Cristiani venuti con Colombo in quelle » isole, a quel che sembrami, per invidia; ma mi guar- » derò dal raccontare queste cose per verità. » Partendo da quest’isola il 22 luglio, e dopo aver • navigato per un mese e mezzo, arrivammo al porto di » Cadice l’S settembre (1500)». Digitized by LjOOQle 174 Tali sono le parole colle quali il Vespucci termina il racconto del suo secondo viaggio. La data del ritorno del Vespucci a Cadice, indicata da lui stesso nella sua lettera al Sederini nel 4504 e pub¬ blicata lui vivente, più volte, in diverse lingue, senza opposizione d*alcuno, è per sè stessa, a ciò che sem¬ braci, una ragione più che sufficiente, se non ve ne fossero altre, per dichiarare falsa e mal connessa la famosa lettera, che si crede scritta da Cadice il 18 lu¬ glio 1500, e che indusse in tanti errori gli scrittori più famosi. Ora proveremo che il capo della piccola flotta, secondo il Vespucci, salpata da Cadice il 16 maggio 1499, non po¬ teva essere che Alonso de Hojeda. In una deposizione giudiziaria quest'ultimo, interro¬ gato, dichiarò: r. Ch’egli aveva scoperta la terraferma verso il sud, e l’aveva costeggiata per circa 200 leghe fino a Paria (distanza approssimativa da Paria a Cajenna); 2^ Che sorti (dal golfo di Paria) per la bocca del Dragone, percorse a piedi l’isola Margherita, e visitò le coste vicine, fino in faccia all’isola dei giganti; 3^ Che scoprì il golfo di Venecia (Maracaibo) e la provincia di Quinquibacoa ; 4^ Che in questo viaggio lo accompagnarono Gio¬ vanni della Cosa, Amerigo Vespucci, e molti altri piloti. Ma come avere la certezza che questo viaggio di Ho¬ jeda, in compagnia del Vespucci, fosse veramente quello fatto nel 1499 e non un altro? Una deposizione fatta il 9 febbraio 1513 da Nicolas Perez, maestro di naviglio del Re e compagno di Hojeda in questo stesso viaggio, ci chiarirà tutti questi dubbi. Perez ci dice positivamente che la partenza dell’Hojeda per questo viaggio, fatto con lui, ebbe luogo un •po' prima di quello di Pero Alonso Nino et Cristòbal Guerra. Così questo viaggio non può essere altro che quello che intraprese nel 1499, e per conseguenza lo stesso secondo viaggio del Vespucci. Digitized by LjOOQle 175 D'altra parte sappiamo che il navigatore fiorentino non parla che di due viaggi fatti al servizio della Spagna. Ora siccome egli assegna al primo date e cifre di lati¬ tudine e di longitudine che ci portano in paesi che nulla hanno a fare con quelli citati dall’Hojeda, non rimane che il secondo viaggio, principiato nel 1499, al quale possa essere applicata l'asserzione deH’Hojeda, d’aver na¬ vigato una volta con lui. Bisogna aggiungere che i punti di contatto fra i due racconti del secondo viaggio del Vespucci e di quello che l'Hojeda ci dice aver fatto con lui sono molto sorpren¬ denti. Per convincercene basta semplicemente un con¬ fronto. Dall’Hojeda sappiamo che dopo il suo arrivo in America: Segui la costa verso il nord; Trovò delle perle; Fu assalito da certi Indiani della costa, con una per¬ dita di venti uomini feriti ed un morto; Sbarcò nell’isola Margherita ed in quella dei Giganti (Curacào); Finalmente andò alla Spagnuola (Haiti), ove sappiamo i suoi dissapori con Roldan. Il Vespucci da parte sua ci dice, che dopo un certo sbarco: Segui la costa verso il nord ; Acquistò delle perle; Entrò in un porto ove gl'indiani furono ostili; Percorse un’ isola, evidentemente la Margherita, ove l’acqua fresca mancava e dove gli abitanti nutrivansi di pesce; Sbarcò nell’isola dei Giganti; Infine andò alle Antille, scoperte qualche anno prima dal Colombo, ove, malgrado gl’intrighi ed i danni avuti da parte dei Cristiani, si apprestò al ritorno in Europa^ Ma si può obbiettare: il confronto non è completo, giacché lascia desiderare i particolari del principio e della fine del viaggio. Il Vespucci parla di uno sbarco al Brasile, e l’Hojeda non ce ne fa cenno; ed inoltre Digitized by LjOOqIc 476 la data della partenza del Vespucci per TEuropa non coincide con quella che noi sappiamo del ritorno del- l’Hojeda. Bisogna ammettere che in apparenza vi sono nei due racconti divergenze notevoli; altrimenti come si spie- glierebbero le tante differenze trovate nel confronto dei due viaggi del Vespucci con quelli d’altri viaggiatori? Ma vedremo che queste difficoltà possono spiegarsi, e che non rimane alcun motivo per impedirci di credere che il secondo viaggio del Vespucci non sia il primo del- THojeda. È vero che nel suo racconto THojeda non parla dello sbarco al Brasile, di cui ci parla il Vespucci; ma è in¬ contrastabile che, essendo interrogato soltanto sulla sco¬ perta della tierra firme o Paria, potrebbe aver voluto fare come altri testimonii una dichiarazione ristretta, tanto più perchè collo sbarco al Brasile aveva mancato alle sue istruzioni, le quali, come era stato stipulato a Tordesillas fra le due corone cinque anni prima, gli ordinavano espressamente di non toccare le terre appar¬ tenenti al Portogallo. E nel 1515, allorquando egli po¬ teva già sapere che il suo primo sbarco era avvenuto sulle coste non appartenenti alla Spagna, doveva ricor¬ darsi che gli era già costato assai caro l’avere fatto poco conto degli^ ordini ricevuti di rispettare il dominio por¬ toghese. Si sa che dopo il suo primo viaggio era stato condannato per essere sbarcato nell'isola di Santiago nell’arcipelago del Capo Verde. Così se tacque su questo sbarco, mentre non tratta- vasi d’una dichiarazione generale, non vuol dire che lo negasse. E secondo tutte le regole della critica, non vi sarebbe che una assoluta negativa per distruggere l’aflfer- mativa del Vespucci, tanto più che le lettere di quest’ul¬ timo erano già state stampate più volte quando si tenne l’inchiesta. _ L’asserzione del Vespucci è un argomento decisivo, tanto più quando si riflette ch’egli scriveva libertimente in Portogallo, destinando lo scritto all’Italia. Avremo Digitized by LjOOQle 477 un’altra prova in suo favore, vedendolo nel seguente viaggio cercare di nuovo questa terra alla stessa lati¬ tudine di 5 gradi. Da un’altra parte, Empoli, partito da Lisbona per l’India in compagnia d'Albuquerque il 6 aprile 1503, cioè un mese prima della partenza del Vespucci per il quarto viaggio, ci dice, parlando del Brasile, che era stato altre volte scoperto dal Vespucci. Cosi il navigatore fio¬ rentino, secondo Empoli, era stato al Brasile due volte almeno, di cui una prima nel 1501. Occupiamoci ora deU’altra obiezione, che il racconto del Vespucci non va d’accordo con quello che si sa del primo viaggio dell’Hojeda, vogliamo dire della data del ritorno del Vespucci. Crediamo che, quantunque non s'accordi con ciò che è noto del ritorno dell’Hojeda, quest’ultimo, stanco delle liti con Roldan, si sia affrettato a ritornare in Ispagna, mentre Vespucci, amico del Colombo, sarebbe rimasto per ristabilirsi e sarebbe ritornato più tardi. Cosi siamo ben lontani dall’adottare le correzioni fatte dal Canovai nelle date del ritorno, che d’altronde s'accordano be¬ nissimo. Crediamo anche che l’Hojeda e il Cosa sieno arrivati ad Haiti qualche tempo prima del Vespucci. Sappiamo (Na- VARRETE, t. III. p. 7) che l’Hojeda e il Cosa arrivarono al porto di Yaquimo (Jacmet) il 5 settembre 1499, e se¬ condo il racconto del Vespucci risulta che a quella data egli doveva trovarsi ancora sulle coste di Venezuela. Ciò signilìcherebbe che le navi della flotta si separarono, ed è ciò che ci si conferma da una deposizione giudi- ciaria fatta da Cristobai Garcia, di Palos, il T ottobre 1615. Questo testimonio dichiara che mentre era ad Haiti, l’Hojeda e il Cosa vi arrivarono in un piccolo battello, avendo perdute le navi, e che con essi vennero pure quindici o venti uomini, poiché gli altri erano periti od erano rimasti altrove.' 12 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani. Digitized by LjOOQle 478 §4. Terzo maggio del Vespucci. Il Vespucci fece il suo terzo viaggio al servizio del Por¬ togallo, allorquando progettava ritornare alla terra delle perle (Paria). Soggiornando a Siviglia di ritorno dal suo secondo viaggio, ricevette invito da parte del re Don Emanuele di Portogallo di recarsi a Lisbona e di entrare al suo servizio. Questo invito venne rinnovato dalle istanze del suo compatriota Giuliano Bartolomeo Giocondo, nego¬ ziante di questa città, e che venne appositamente a Si¬ viglia per condurlo seco. Pedro Alvarez Cabrai, andando alle Indie Orientali con una gran flotta, si era allontanato dalle coste occi¬ dentali deir Africa per fuggire le grandi calme che re¬ gnano in quelle acque, ed aveva scoperto alPoccidente, verso la latitudine di 16 gradi al sud, nel mese d'a¬ prile 1500, una terra, e ne aveva immediatamente in¬ viata la notizia a Lisbona, ove si preparava una piccola flotta destinata ad esplorarla; tanto più che si trovava compresa nella parte assegnata al Portogallo dalla con¬ venzione di Tordesillas, il 7 giugno 1494. Cabrai aveva dato a questo paese il nome di Veror Crux; ma nel Portogallo, a quanto pare, lo dissero dap¬ prima, se dobbiamo prestar fede ad alcune linee scritte da Lorenzo eretico, ambasciatore della Signoria Veneta a Lisbona, Terra dei papagalli (Terra dos papagaios), per l’ammirazione generalmente destatasi alla vista di alcuni uccelli del genere delle Are, stati inviati da Cabrai (Humboldt, Ex. crii., t. V, p. 78). La si credeva ancora un’isola, ma si dovette pensare in Portogallo che il nuovo paese, trovandosi nella stessa zona delle Indie occidentali già visitate dalle navi spagnuole, sarebbe stata cosa vantaggiosa mandare colla flotta d’esplora¬ zione alcuni individui pratici di quelle regioni. Ecco, secondo noi, rorigine delle istanze fatte per indurre il I Digitized by LjOOqIc 179 Vespucci a venire in Portogallo, insieme probabilmente a qualcun altro de’suoi compagni. Il fatto sta che il Vespucci si decise finalmente di pas¬ sare al servizio di questo regno, senza però Pappro- vazione degli amici che conoscevano i riguardi che si avevano per lui in Ispagna e la stima di cui lo stesso re l'onorava. Al suo arrivo a Lisbona seppe che si erano equipag- ' giate tre caravelle destinate aU’esplorazione della terra trovata dal Cabrai molto al di là della linea equinoziale. Non possediamo ancora dati abbastanza sicuri per de¬ cidere chi fosse il capo della piccola flotta, ma alcuni pretendono fosse Confalo Coelho. L’ammettiamo, purché ci si accordi ch’egli fosse anche il capo della flotta di esplorazione, partita più tardi, della quale fece ancora parte il Vespucci. Le tre caravelle partirono da Lisbona il 14 (nella let¬ tera al Sederini si legge 10) e presero il rombo verso le Canarie, senza toccarle, e si diressero ai bassi fondi di Pargos, che si trovano presso la costa d’Africa, ove fecero provvigioni di pesce per il loro viaggio, secondo l’abitudine dei legni portoghesi viaggianti alla scoperta di nuove terre. Tre giorni dopo le barche continuarono il loro cammino, andando prima al porto di Bezeguiche 0 Besenègue, un po’al sud-est del Capo Verde, ove trovasi attualmente la colonia francese di Corèa, per prendervi acqua e legna di cui avevano bisogno. Questa operazione li trattenne qualche tempo, forse gli undici giorni che il traduttore della Cosmographiae Introductio ha letto neH’ultima edizione della lettera al Sederini, poiché nel seguente viaggio si fermarono tre¬ dici giorni ad una delle isole del Capo Verde. Cosi, benché abbiamo creduto leggere nell’antico testo un due, propendiamo a credere che vi si fermassero undici giorni. Partirono finalmente dal porto di Bezenègue pren¬ dendo la direzione di S. 0. Vi S. (per el libeccio pigliando um quarta del mezzodì), e dopo una navigazione di ses- Digitized by LjOOQle 480 santasette giorni, dorante quarantaquattro de’quali eb¬ bero un tempo molto cattivo, incontrarono finalmente terra, sotto la latitudine di 5 gradi al sud della linea equinoziale. Gettarono l’àncora il 17 agosto, a quanto ci dice il Ve- spucci; ma probabilmente avevano visto terra fin dalla vigilia, giorno della festa di S. Rocco, il cui nome venne dato evidentemente allora al Capo, che lo conserva an¬ cora ai giorni nostri. Si può domandare perchè questa flotta sia andata a cercar terra alla latitudine di 5 gradi al di là della linea e non più al sud, ove l’aveva trovata Cabrai, la cui scoperta aveva provocata la spedizione. Da parte nostra la risposta è semplicissima. Noi vi scorgiamo rinfluenza che il Vespucci deve avere esercitata nella direzione della fiotta. Egli la condusse nelle acque ove le correnti gli avevano impedito di giungere nel viaggio precedente. Di là verso il nord aveva già un’idea della costa: desiderava conoscere il resto. Così fece Colombo nel suo quarto viaggio; si diresse verso il Capo Higue- ras, e di là continuò verso il sud, atteso che la costa nord era stata esplorata dai compagni del primo viaggio del Vespucci. E in quel modo che questo punto di par¬ tenza del Colombo fu per noi un argomento in favore del racconto del Vespucci riguardo al primo viaggio, cosi il punto di partenza di quest’ultimo nel viaggio di cui ci occupiamo ci dà un nuovo argomento in favore del suo sbarco a 5 gradi sud nel viaggio precedente. Press’a poco le caravelle gettarono le àncore davanti al Capo San Rocco il 17 agosto (si legge 7 per errore nella lettera a Lorenzo); ed in nome del Re {per questo Setenissimo Re) presero possesso della terra, che pareva vestita di vegetazione, e parve loro abitata. Il giorno dopo (18 agosto) sbarcarono di nuovo per rinnovare le provvigioni d’acqua. Si vide un gran nu¬ mero d’abitanti sulla cima di una vicina montagna, dalla quale non osavano discendere; ma siccome era già tardi, i navigatori si accontentarono di lasciare sulla spiaggia Digitized by LjOOQle 48f dei sonagli e dei piccoli specchi, e ritornando a bordo videro grindigeni scendere e prendere con grande am¬ mirazione tutto ciò che si era loro lasciato. Il dopo domani (19 agosto) si osservarono colonne di fumo di tratto in tratto. I marinai credendo essere chia¬ mati, vennero a terra e videro grindiani che facevano dei segni, ma senza avvicinarsi. Allora due della flotta s’oflfrirono d’andare da loro con alcuni piccoli oggetti di scambio. 11 capitano dietro le loro istanze vi accon¬ senti, a condizione che sarebbero di ritorno dopo cinque giorni. Sette giorni passarono senza che ritornassero; ma tutti i giorni pochi indigeni dal contegno cupo e sinistro erano comparsi sulla riva. Finalmente al settimo giorno (26 agosto) si prese la risoluzione di sbarcare di nuovo, e gVIndiani manda¬ rono le loro donne fra i marinai. Uno d’essi osò avvi¬ cinarsi ad esse, e subito quelle donne lo circondarono, e una d’esse avanzandosi con un gran bastone con un solo colpo gli ruppe la testa. Altre lo presero subito e lo trasportarono verso la montagna, dalla quale scendevano ostilmente gl’indiani, lanciando gran quantità di freccio. I marinai in mezzo a tanta confusione ebbero diflìcoltà a rientrare nelle barche per cercarvi le armi. Per for¬ tuna poterono tirare quattro colpi di cannone, che spa¬ ventarono gl’indiani e li fecero ritirare verso la mon¬ tagna, dove tagliarono in pezzi il cadavere della vittima, e si posero ad arrostirlo. Ciò vedendo i marinai indovinarono quale fosse stata la sorte dei due primi. L’equipaggio domandava vendetta di questi barbari fatti, ma il capo della flotta, giudi¬ cando che ciò nonr avrebbe servito a nulla, prosegui il viaggio. Fiancheggiarono la costa verso Test-sud-est, cioè nella direzione che ella segue fino al Capo di Santo Agostinho, al quale diedero questo nome onde celebrarvi il giorno in cui crasi fatta la scoperta (il 28 agosto). Digitized by LjOOQle 482 Avendo varcato il Capo Santo Agostinho, la piccola flotta segui la costa fino al sud-ovest, toccando spesso la terra e comunicando con un gran numero d’abitanti {infinita gente). Certamente scoprissi allora rimboccatura del fiume San Francisco il 4 ottobre, ed il porto di Bahia (di Tutti i Santi) il 1” novembre. A nostro avviso è di questo porto o ancora più probabilmente di quello di Rio de Caravellas, di cui il Vespucci dice: «Navigando » scorgemmo sulla spiaggia della gente che osservava » con meraviglia le nostre navi; ci avvicinammo, e dopo » avere gettate le ancore in luogo conveniente, scen- » demmo a terra e trovammo gli abitanti in miglior » condizione dei precedenti... Rimanemmo cinque giorni. » Convenimmo di prendere con noi due uomini che ci >» servissero d’interpreti, e tre di loro vollero seguirci » volontariamente». La flotta seguì la costa verso il sud, e probabilmente fu allora che scopri il Capo di San Tome il 21 dicembre, il porto di Rio Janeiro il l'’ gennaio (1502), poi il porto A'Angra dos Reis (Baia dei Re) il 6, risola San Seba^ stiano il 20 ed il fiume San Vincenzo il 22 dello stesso mese. Navigando ancora versp il sud, la flotta visitò il porto di Cananea^ ove venne lasciato un esigliato por¬ toghese, il quale trentanni dopo viveva ancora in quei paesi. Si fiancheggiò ancora la costa approdando final¬ mente in un altro porto meridionale, ove la Grande Orsa si presentava molto bassa e quasi sull’orizzonte. Le tre caravelle lasciarono questo porto il 15 feb¬ braio 1502 e navigarono all’azzardo verso il sud-est, dietro consiglio del Vespucci, del quale copieremo le parole : « Procedemmo tanto oltre in questa direzione, » cosi dice, che il 3 aprile ci trovammo già sotto un’alta » latitudine, al di là del 52' grado sud e ad una distanza » di 500 leghe sud-est dal porto donde eravamo partiti. » In quel giorno scoppiò una tempesta, ed il mare » era cosi grosso che fummo obbligati di piegare tutte » le nostre vele e di correre all’albero secco con un » vento sud-ovest molto gagliardo ed una ondata spaven- Digitized by Google 183 » tosa; era tale 1*uragano che noi ne avemmo gran » paura. Le notti divenivano molto lunghe; quella del 7 » aprile fu di quindici ore.... » Questo stesso giorno, durante l’uragano, scorgemmo » una nuova terra; ne seguimmo la costa per più di » venti leghe (di 15 al grado) e la trovammo selvaggia » affatto. Non vi vedemmo abitanti, nè alcun porto, e » ciò, a quel che credo, perchè il freddo era sì grande » che nessuno di noi poteva sopportarlo. Oppressi da si » gran pericolo e dalla nebbia tanto fìtta che da una » nave si poteva a stento distinguere l’altra, risolvemmo » dare il segnale alla flotta, onde metterci col vento, » e ritornare in Portogallo. E questo fu buon consiglio, » poiché se fossimo rimasti saremmo probabilmente pe- » riti tutti. Durante la notte ed il giorno seguente » l’uragano fu sì terribile che noi ad ogni istante ci cre- » devamo perduti. Facemmo voti di pellegrinaggi ed altre » cerimonie secondo l’uso dei marinai in simili occa- » sioni, ecc. » Qual è questa terra sì orribile? Bougainville credette che fosse la costa delle isole Mainine (o Falkland). Il sapiente Trigoso, dell’Accademia di scienze a Lisbona, ha immaginato che fossero le coste della terra di Ma¬ gellano. Il dotto Navarrete questionava se fosse il gruppo di Tristam da Ctinha o l’isola Diego Aharez. Humboldt, osservando che le venti leghe di coste escludono l’isola Columbus, vista dal capitano Long, e VIsla Grande^ sempre dubbiosa, dice: « Nella storia della geografia^ sic¬ come in altre, è prudenza il non volere spiegare ogni cosa». {Ex. crii., t. V, p. 23). Per altro credette a proposito ri¬ tornare tosto su questo argomento (t. V, p. 116), e tentò rischiararlo, dicendo che la flotta, «dopo aver abban¬ donato il littorale del Brasile, sarebbe ritornata, senza saperlo, spinta dalle correnti o dal vento, verso il Nuovo continente, cioè verso la costa orientale patagonica». La semplice ispezione della carta ci dice invece che la terra in questione non può essere che la Georgia Au¬ strale, così nominata da Cook, il quale credette averla Digitized by LjOOqIc 484 scoperta per il primo nel gennaio 1775. Se il 3 aprile infatti la (lotta si trovava, a una latitudine di più di 52” gradi, bisogna ammettere che, avendo navigato verso il sud-est con venti forti per quattro giorni, deve es¬ sersi trovata il 7 aprile verso il 54® grado. Le coste della Georgia si stendono precisamente nella direzione percorsa dalla flotta, per la lunghezza di trent’una lega marittima, e basta aver sotto gli occhi la descrizione del capitano Gook per convincersi che la terra visitata dal Vespucci non può essere altro che la Georgia del sud, la cui costa è tanto selvaggia, e dove sono tanto frequenti i mari grossi e tanto dense le nebbie. Tale è pure ropinione di un illustre marinaio francese, il Duperrey. Lasciando questi luoghi tanto pericolosi, dove la den¬ sità della nebbia doveva fare sembrare la giornata del 7 aprile più lunga di quello che si computa dai calcoli astronomici, le tre caravelle seguirono il rombo di nord- nord-est, e quindi si diressero verso il porto di Serra Leon (Sierra Leona), ove arrivarono il 10 maggio. Quivi incendiarono una delle caravelle, diventata inetta alla navigazione, e dopo una sosta di quindici giorni partirono per le Azorre. Vi arrivarono verso la fine di luglio e, dopo altri quindici giorni di riposo, fecero vela per Lisbona, ove entrarono il 7-settembre (1502) dopo un’assenza di quasi sedici mesi (per errore si legge 15 nelle due lettere del Vespucci), avendo navigato per quindici giorni nelle alte latitudini meridionali senza vedere la stella polare nè alcun’altra della Grande o Piccola Orsa. Come sappiamo dalle osservazioni del capitano Cook, la Georgia Australe giace fra i paralleli di 53®5T e 54®57’. Or siccome il Vespucci deve averla percorsa quasi fino alla estremità, si può assicurare senza timore di errare, che partito da Lisbona, posta a 38® 43*, navigasse un arco di longitudine di più di 93® gradi e per conse¬ guenza maggiore del quarto di cerchio ; del che si vanta egli stesso. Digitized by LjOOQle 485 Al suo arrivo in Portogallo, il Vespucci s'affrettò a pre¬ sentare al re Don Emanuele il Giornale del viaggio, e scrisse al suo antico patrono Lorenzo di Francesco una lettera, nella quale lo rende avvertito del suo ritorno, promettendo di mandargli entro pochi giorni i parti¬ colari della navigazione. Vi sono scrittori i quali credono che tale lettera (il Vespucci pare facéia allusione a più d'una) non si sia perduta e sia anzi la stessa che Bartolozzi ha pubbli¬ cato per la prima volta nel 1789. Senza dichiararla apocrifa, diremo soltanto che se la lettera data al Capo Verde fosse stata inventata, quando già si sapeva dal portolano del piloto di Cabrai che la flotta su cui era il Vespucci vi era stata incontrata, non sarebbe possibile che uno speculatore maligno avesse fabbricato anche la lettera che il Vespucci stesso con¬ fessa di avere scritto, dichiarandone anche il contenuto. Passarono alcuni mesi prima che il Vespucci potesse effettuare la promessa di render conto del suo viaggio. Non osava scrivere senza aver sotto gli occhi il Giornale del suo terzo viaggio, che chiamava « Terza Giornata», e ' che era ancora presso il re Manuele. Vedendo tuttavia avvicinarsi il momento di ripartire,poiché si armavano a quest’ uopo due navi, il Vespucci si risolse di scri¬ vergli la relazione di questo viaggio, anche prima che il Giornale gli venisse restituito dal re. Il risultato di questa risoluzione fu la lettera, che poco tempo dopo tradotta in latino, e in molte lingue, im¬ mediatamente si sparse in tutta Europa come già ab¬ biamo detto. Questa lettera contiene minori particolari sulla navigazione che non l’altra indirizzata al Sode- rini il 4 settembre 1504, quando era già di ritorno dal quarto viaggio, per la ragione semplicissima che quella al Soderini deve essere stata scritta quando aveva di¬ nanzi il suddetto Giornale statogli restituito probabil¬ mente dal re prima che intraprendesse il quarto viaggio. In questa lettera il Vespucci « fa delle osservazioni ge¬ nerali sui costumi degl’indigeni, la bellezza dei pae- Digitized by LjOOQle 486 saggi, i fenomeni atmosferici, e Taspetto del cielo au¬ strale ». Annuncia che nel prossimo viaggio contava passare « al levante per il sud » (versus Meridiem a latere Orienlis,.,. per venlum qui Africus dicitur): cioè cercare il cammino che fu più tardi percorso da Magellano. Ma ciò che in questa lettera è ancora più importante è l’esordio, cioè l’audace e profetica rivelazione fatta dal Vespucci che egli aveva percorso delle regioni che si potevano chiamare Nuovo Mondo (illis regionibus...,. quas... Novum Mundum appellare licei). E non ci si dica col dotto Humboldt che il Vespucci morì credendo, come il Colombo, di non aver visitato che terre appartenenti all’Asia. In questa stessa lettera il Vespucci chiarisce i posteri da ogni dubbio possibile, aggiun¬ gendo: « Gli antichi dicono generalmente che al di là » della linea equinoziale, verso il sud, non havvi conti- » nente, ma soltanto il mare, che nominano Atlantico; » e quelli che opinarono esservi terra ferma, negarono » potesse essere abitata. Ma la mia ultima navigazione » prova la fallacia di questa opinione, poiché io ho tro- » vato quel continente più abitato di popoli e d’ani- » mali che non sia la nostra Europa, l’Asia, o TAfrica ». È dunque chiarissimo che il Vespucci svelò al mondo la vera importanza della grande scoperta di Colombo, mentre questo grand’uomo instava nel dire di non aver fatto altro che mostrare che bisognava andare per mare alle spiaggie più orientali dell’Asia. ss. Quarto maggio del Vespucci. Le informazioni date a Lisbona intorno le coste del Brasile da’ suoi primi esploratori non erano abbastanza lusinghiere da rivolgere verso l’occidente l’attenzione del Governo portoghese che forse maturava già il gran progetto della conquista dell’India. « La diflìcoltà stessa che offriva questa impresa, sia Digitized by LjOOQle 187 per Tantica civiltà deirAsia, sia per la popolazione con¬ centrata sul littorale, tenevano fissa Tattenzione del Go¬ verno portoghese airindia molto più che alle orde bar¬ bare del Brasile, povere di metalli preziosi, e facili a soggiogarsi. Quest’ultimo paese non inspirava interesse se non perchè si sperava per esso trovare qualche pas¬ saggio verso l’ovest... », o perchè avrebbe potuto ser¬ vire di punto di riposo ai navigli che facevano la navi¬ gazione dell’India, fosse anche per la via del Capo di Buona Speranza. . Pochi giorni dopo l’arrivo delle nostre due caravelle a Lisbona vi entrò la flotta di loam da Nova, reduce dall’India con ricco carico di spezierie; e la Corte ftl allora meglio informata che quelle spezierie non erano un prodotto dell’India, ma d’altri paesi più all’orienìe, ai quali si sarebbe potuto arrivare più facilmente, fa¬ cendo il giro del globo dalla parte d’ occidente. Era un ritornare al primo pensiero di Colombo, messo in opera più tardi (1520) da Fernando Magellano. Le informazioni ottenute allora a Calicut e a Cochim raccomandavano anzitutto l’importante porto di Malaca, posto presso al 3“ grado al sud dell'equatore. Risolvet¬ tero dunque a Lisbona di mandarvi una piccola flotta, ed offrirono al Vespucci il comando di una nave. Dapprima, forse, pensarono mandare due sole navi, e il Vespucci cosi credette; ma verso la metà dell’anno 1503 se ne trovarono'equipaggiate sei, alcune delle quali senza dubbio a spese di privati armatori, che generalmente si associavano alla Corona nelle intraprese che avevano uno scopo commerciale. * Il giorno della partenza non si fece aspettare. Il Ve¬ spucci asserisce che fu il 10 maggio 1503; ma se con¬ sideriamo che l’arrivo all’isola Fernam de Noronha av¬ venne il 10 agosto, crederemo piuttosto che la partenza avesse luogo il 10 giugno, data segnata da Damiano de Goes alla partenza della flotta di Gonzalo Coelho, che secondo tutte le probabilità è la stessa di cui il Ve¬ spucci faceva parte. Digitized by LjOOQle 188 Dopo una fermata di tredici giorni ad una delle isole del Capo Verde, il capo della spedizione navigò verso il sud-est, cercando vedere terrà a Serra-Leona ; proba¬ bilmente per essere più certo di potere doppiare il Capo Santo Agostinho, come si fece più tardi da molti pi¬ loti della rotta del Brasile, e non già, come disse il Ves- pucci, per potere ostentare in quel misero luogo «d’es¬ sere capitano d’una flotta di sei navi ». Il capo voleva arrestarvisi, ma dopo quattro giorni di inutili tentativi dovette continuare la sua strada verso il sud-ovest. At¬ traversarono la linea, ed il 10 agosto, trovandosi a 3 gradi di latitudine sud (dovevano aver navigato almeno 500 leghe, e non 300, come senza dubbio per errore leg- gesi nella lettera al Sederini), videro distintamente sul- rórizzonte un’isola che non può essere altra che quella chiamata attualmente Fernando de Noronha. Sopra uno scoglio vicino a quest’isola il vascello ammiraglio di 300tonnellate naufragò; ma per fortuna tutto l’equipag¬ gio fu salvo. Il Vespucci trovavasi allora a quattro leghe dall’isola, è ricevette l’ordine di recarvisi colla sua nave per cercare un porto. Obbedì, ma tosto più non vide le altre navi. Non fu che dopo otto giorni che scorse lontano una vela, e prese la risoluzione d’andarle in¬ contro pel timore che la sua non fosse stata vista. Al¬ lora le due navi ritornarono al risola, caricarono acqua fresca e legna da fuoco, e risolvettero partire verso il porto di Bahia che era stato scoperto nel viaggio pre¬ cedente, ed in cui, secondo le preventive istruzioni, do¬ vevano riunirsi in caso di separazione. Arrivarono assieme a Bahia, dopo un viaggio di di¬ ciassette giorni, e vi restarono due mesi e quattro giorni attendendovi inutilmente le tre altre navi. Annoiati da tanto ritardo, il Vespucci e l’altro comandante presero la risoluzione di seguire piii innanzi la costa, e continuando verso il sud, dopo aver parlato più volte cogl’indigeni, si fermarono a un porto, il quale (malgrado gli errori incorsi nelle cifre colle quali il Vespucci ha voluto de¬ signarlo) fu, secondo noi, quello del Capo Frio. Digitized by LjOOqIc 489 Si trovò in questo porto gran quantità di legno da tingere (brasile), del quale si caricarono le due navi, che vi rimasero cinque mesi. Prima di partire, il Vespucci ed il suo compagno con¬ vennero di fondarvi una piccola fattoria, lasciandovi ventiquattro uomini armati ed una fortezza fornita di dodici cannoni. Dopo una traversata di settantasette giorni, le due navi arrivarono a Lisbona il 18 giugno 1503. Non erasi avuta di loro la minima nuova, e nulla sapevasi neanche delle altre navi. Queste ultime non erano ancora ri¬ tornate il 4dicembre; per lo che a queU’epoca il Vespucci le credeva tutto perdute. Il Vespucci dopo il suo ritorno al servìzio di Spagna. Possibilità d'un quinto viaggio. « Il soggiorno del navigatore fiorentino in Portogallo dopo il suo quarto viaggio non fu che di qualche mese. Tre anni e mezzo prima il Re Don Manuele, inviando i suoi agenti a Siviglia, era riuscito a sedurlo con delle belle promesse. Ora Ferdinando-il-Cattolico,alla sua volta, lo rapi al Portogallo e gli apri una brillante carriera. L’esperienza acquistata in tante navigazioni lo rendevano prezioso a due monarchi potenti e rivali... ». Amerigo Vespucci, che aveva allora 53 anni, era an¬ cora povero, e « questo stato d’indigenza deve aver con¬ tribuito in gran parte a fargli accettare le proposizioni della Spagna. Egli andava volentieri colà dove si vole¬ vano mettere alla prova i suoi talenti... ». Cosi avea fatto Colombo, lasciando il servizio del Portogallo per quello di Castiglia, e cosi fecero dopo di lui Solis Fernando di Magellano, Giovanni di Lisboa, e molti altri, che alter¬ narono il servizio d’un principe con quello d’un altro. La loro lealtà consisteva nell’ abbracciare con ardore gl’interessi del paese al quale preferivano consacrarsi. Digitized by LjOOqIc 490 Il Vespucci accettò di nuovo le offerte che gli venivano fatte dai sovrani cattolici, ed era di ritorno neirAnda- lusia verso il principio del 1505. La Corte si trovava allora a Toro, ove erano state convocate le Cortes di Ca- stiglia. Il Vespucci, chiamatovi immediatamente, vi si recò nel mese di febbraio e dalle conferenze avute col Governo risultò che la Corte farebbe preparare una spe¬ dizione di tre navi per andare a scoprire nell’Asia il paese delle Spezierie. Si voleva ritentare Tesecuzione del pro¬ getto già tentato dal Portogallo, ma andato fallito pel naufragio di Coelho su una roccia dell’isola Fernam-de- Noronha. Gli ordini furono dati perchè le tre navi fos¬ sero costrutte nella Biscaglia. Probabilmente crasi stabi¬ lito che dovessero esser nuove. Crediamo fosse a quest’epoca che il Vespucci si am¬ mogliò con una dama spagnuola. Maria Cerezo. A noi non pare verosimile che fosse già ammogliato quando si de¬ cise a partire insalutato ospite per mettersi al servizio del Portogallo, come egli stesso dice. Crediamo che il matrimonio abbia avuto luogo in quest’occasione, poiché rii aprile in un decreto reale, col quale si facevano dare al nostrg Amerigo de Espuche dodici mila mara- vedi per spese di viaggio {ayuda de costa), gli si dava il titolo di vecino di Siviglia, stante che il matrimonio con una persona nata in una data città era il mezzo più facile per ottenere il titolo di vecino della stessa città. Sembra ancora più probabile che il Vespucci abbia ce¬ lebrato il suo matrimonio verso quest’epoca quando si pensa che mediante una patente del 24 dello stesso mese d’aprile fu naturalizzato castigliano, e che da altre con¬ cessioni reali fu designato capitano di nave coll’annuo salario di trenta mila maravedi, ed incaricato con Pinzon di commissioni per Palos, ecc. Le tre navi commesse nella Biscaglia non furono pronte prima dell’agosto delPanno seguente (1506). Il 23 di questo mese il nuovo re di Spagna (Filippo l) ordinava da Tudela {del Dnero) agli ufficiali della Casa de Contro- tacion di Siviglia (Navarrete, tom. Ili, pag. 294) di infor- Digitized by LjOOQle 191 marsi presso il Vespacci ed il Piazon se la stagione fosse favorevole alla partenza e di interrogarli su ciò che loro ancora mancasse. Gli ufficiali risposero il 15 settembre, assicurando il re che la flotta non avrebbe potuto partire prima del febbraio del 1507, ed incaricarono il Vespucci d’essere messaggero di questa risposta. Nello stesso tempo gli affidarono due lettere, una indirizzata al De-Villa, e l’altra per il Grido, incaricando confldenzialmente il la¬ tore di consegnarne solamente una a quello dei due per¬ sonaggi indicati, il quale all’ epoca del suo arrivo alla Corte tenesse il portafogli degli affari delle Indie. Al SUO ritorno neirAndalusia Amerigo Vespucci s’oc¬ cupò degli approvvigionamenti delle navi che dovevano partire per le Indie, ed in questo numero furono com¬ prese quelle fabbricate in Biscaglia; poiché si era do¬ vuto differire l’invio della flotta verso il paese delle Spe- zierip. Lo troviamo ancora assorto nei preparativi degli approvvigionamenti durante i primi mesi dell’anno 1507. Da alcuni dati (Navarrete, tom. Ili, pag. 114), si crede¬ rebbe che vi si sia occupato senza interruzione per tutto l’anno; ma avendo avuto occasione d’esaminare perso¬ nalmente i relativi documenti in Siviglia, possiamo assi¬ curare che dai medesimi non risulta punto che il Vespucci abbia soggiornato effettivamente in Spagna dalla metà del marzo alla metà del novembre. D’altra parte sappiamo che verso il 24 (forse anche un po’ dopo) di questo mese, la Corte lo faceva chiamare a Burgos in compagnia di Giovanni della Cosa, e che ambedue vi si recarono im¬ mediatamente, portando seco un po’d’oro venuto dalle Indie, il cui valore venne stimato a sei mila ducati. Fu¬ rono ricompensati ciascuno colla gratificazione di sei mila maravedi; e ciò fu per ordine reale del 14 marzo 1508. Il Vespucci riscosse la sua parte e ne diede rice¬ vuta il 18 dello stesso mese. Siccome il Cosa ritornava precisamente a quest’epoca dal viaggio fatto nel 1507 con due caravelle al golfo di Darien, dal quale ritornò con un po’d’oro, non è im¬ possibile che avesse avuto per compagno, comandante Digitized by LjOOQle 492 Taltra caravella, il nostro Amerigo, che avrebbe allora avuto occasione di visitare la costa che dal porto ove giunse nel secondo viaggio si estendeva a quello ove sbarcò nel primo. Se la cosa stesse in questo modo, il navigatore fiorentino avrebbe eseguito un quinto viaggio nel 1507; e quando si riescisse a provare che egli fu anche questa volta col Cosa, bisognerebbe ammettere che a questo viaggio e non al primo (1497-1498) si ri¬ ferisce la lettera di Gerolamo Vianello. Crederemmo anche che si potrebbe esaminare criticamente se questo viaggio abbia avuto luogo, e che, a fine di verificare la vera data della lettera deh Vianello, sarebbe da tentare se diligenti ricerche fatte negli archivii di Venezia po¬ tessero condurci a conoscere precisamente Tepoca del soggiorno di questo veneziano a Burgos. Se si trovasse che un tal soggiorno avvenne verso la fine dei 1498, la sua lettera in tal caso dovrebbe riguardare il primo viaggio del Vespucci; ma se al contrario si provasse che egli soggiornò in Burgos verso la fine del 1507, bi¬ sognerebbe allora ammettere questa data come la vera; ed in quest’ultimo caso avremmo la prova evidente che il Vespucci viaggiò col Cosa fino al Darien, in fondo al quale risali per notevole tratto il fiume Atrato, dopo aver costeggiato il continente per seicento leghe ad oriente e per altrettante ad occidente di quel golfo. Una circostanza che ci induce ad ammettere questo viaggio del Cosa col Vespucci, ed a supporre che fu considerato come un gran servigio reso da questi due navigatori allo Stato, è appunto la generosa ricompensa che fu accordata a ciascun d’essi. Si creò a beneficio del Vespucci, per decreto del 22 marzo (1508), la carica di Pilota maggiore del regno, e si assegnò al medesimo, oltre allo stipendio annesso alla carica, una lauta gratifica¬ zione annuale con un altro decreto della stessa data. 11 Cosa poi ricevette il 17 giugno dello stesso anno la sua nomina ad alguacil maggiore d’Urabà, impiego che davagli grandi poteri sugl’indiani e per conseguenza enormi lucri sulle miniere d’oro che sapevasi esistere in quel paese. Digitized by Google 193 Quanto al Vespucci è molto probabile che Timportanza data in Ispagna alla sua dottrina nelle scienze nautiche (che egli conosceva probabilmente soltanto per pratica) derivasse eziandio dalla riputazione che gli fu procac¬ ciata in tutta Europa dalle due edizioni, che nel 1507 si fecero del lavoro d’Hylacomylus, del quala alcuni esemplari debbono essere giunti senza dubbio anche in Ispagna; il qual paese, dopo Tinvenzione della tipografia, commerciava spesso di libri latini colla Francia, TAlle- magna e Tltalia, Siamo d’avviso che la sua riputazione di grande cosmografo in tutti questi paesi debba avere influito non poco a dar vita alla famosa lettera reale indirizzata ad Amerigo Vespucci da Valladolid il 6 agosto di questo stesso anno, e che sarà stata letta e pubblicata {leida e pregonada por pregonero) in tutte le città, villaggi, e cascine del regno. Per essa Ve¬ spucci fu incaricato d’esaminare i piloti, sull’uso del¬ l'astrolabio e del quadrante, di verificare se alla teoria accoppiavano la pratica, di rilasciare loro certificati, d’istruirli dietro rimunerazione, di presiedere alla con¬ fezione d’una Carte-Palron o modello (misura), che ver¬ rebbe chiamata Patron reai, e sarebbe stata successiva¬ mente corretta e migliorata mediante le informazioni fornite dai piloti che reduci dalle Indie sarebbero stati obbligati a fornire schiarimenti alla Casa dei contratti in Siviglia. Vespucci non potè godere a lungo di questa posizione tranquilla ed agiata che gustava forse per la prima volta nel corso della vita. Prima che fossero passati cinque anni nella nuova carica, morì a Siviglia il 22 febbraio 1512, -qualche giorno prima di compire il sessantunesimo anno' Per molto tempo si commise un errore di quattro anni sull’epoca di questo avvenimento: la morte del na¬ vigatore, cui la posterità decretò il pericoloso onore di dare il nome al Nuovo mondo, fu a’giorni nostri lo scopo di una scoperta storica. Vespucci rimase povero; Colombo lo dipinse cosi, allorquando lo vide tornare in Ispagna. La vedova del Piloto maggiore dovette mendicare una 13 Branca, Storia dei Viaggiatwi Italiani. Digitized by LjOOQle 494 piccola pensione di i0,000 maravedi, che rimase a carico dei successori di Vespncci, Piloto maggiore dopo il Vc- spucci fu il Solis (1512-16), poi Sebastiano Cabotto, che successe a Solis nel 1518 e fu costretto da un decreto reale, 16 novembre 1523, a pagare alla vedova Vespucci la pensione che le aveva sempre ricusata. L’uomo che a^veva chiamata Tattenzioné di due re, che era stato alla testa di due grandi case di commercio, socio di intra¬ prese lucrose ai loro capi, e fornitore della flotta nel¬ l’armamento del 1507, fu onorato dalla sua indigenza come la maggior parte dei primi conquistadores, e come non pochi nelle rivoluzioni burrascose dei nostri giorni. La passione diventa molte volte un interesse abbastanza potente nella nostra vita morale per farci dimenticare gli interessi puramente materiali. Amerigo Vespucci non lasciò figli, legò le sue carte al nipote, il pilota Giovanni Vespucci, figlio di suo fra¬ tello maggiore Antonio Vespucci. Il primato italiano d’allora emerge evidente per poco che si esamini attentamente la storia delle scoperte geo¬ grafiche ne/secoli che precedettero il decimosettimo. Con Cristoforo Colombo abbiamo trovato Diego e Barto¬ lomeo suoi fratelli; il secondo dei quali fu eccellente cosmografo ed a quanto pare assai apprezzato dalle corti di Portogallo, Spagna ed Inghilterra. Al re Enrico VII d’Inghilterra presentava egli nel 1480 un mappamondo da lui lavorato, collo scopo di mostrare resistenza degli an¬ tipodi, ossia la sfericità della terra. Bartolomeo Fdeschi, che reduce in patria ebbe soprannome di indiano, viaggiò più volte alle terre transatlantiche e prestò spesso a Colombo l’opera della più devota ed intrepida amicizia. Erano italiani i Berardi che fornivano i denari occor¬ renti alle spedizioni di Colombo e Pietro Martire d’An- ghiera, membro del Consiglio delle Indie. Fra i seguaci del Colombo nel quarto viaggio i documenti spagnuoli pubblicati dal Navarrete nominano dodici italiani, dieci genovesi e due milanesi. Essi erano: Guglielmo, Gre¬ gorio, Andrea, due Battista (senz'altro cognome), Antonio Digitized by LjOOQle Clavarino, Pietro Gentile, Diego Cattaneo, Bartolomeo Fièsco capitano, Giovanni Passano, Pietro Monticelli^ e Francesco di Lovanto, tutti genovesi; poi un Bartolomeo ed un Giovanni Barba, entrambi milanesi. Alcuni di questi facevano parte dell’equipaggio del San Jago de Palos, altri di quello del Biscaino. Nella scoperta del nuovo continente il merito prin¬ cipale fu de’navigatori italiani Colombo, Vespucci, Ve- razzano, e Cabotto; nè fu al-certo opera del caso, dice Humboldt, ma necessaria conseguenza di un primato pel quale le altre nazioni dovevano ricorrere a loro. De’due primi abbiamo detto brevemente quanto più occorre* conoscere; del terzo parleremo trattando del decimosesto secolo; diremo ora de’Cabotto, che per l’importanza e la novità de’loro viaggi appena sono inferiori ai nostri sommi. flia e^ mo Cabotto, veneziano, trova vasi per ragioni di commercio in Inghilterra, quando si sparse la notizia della nuova via tentata dall’ammiraglio genovese per giungere al Cataio ed all’India. Erano con lui tre figli, fra’quali Sebastiano. Pratico di cose nautiche e cosmo- grafiche concepì l’idea di tentare la stessa via, ma te¬ nendo la direzione di maestro, ossia pel settentrione- ponente. Esposto il disegno al re Enrico VII, il quale pose le fondamenta di quella potenza marittima che, accresciutasi sotto Enrico Vili ed Elisabetta, giunse og¬ gigiorno a colossali dimensioni, otteneva il suo assenso, e nel 1496 (5 marzo) lettere patenti, intitolate : Johanni Cahollo cives Venetiarum ac Ludovico, Sebastiano et Sancto ejus filiis; colle quali gli si concedeva facoltà di navi¬ gare e di prendere possesso in nome del re delle terre che scoprisse (1). Del viaggio non rimase relazione, ma ce ne diedero brevi cenni gli scrittori contemporanei che ebbero, notizie de’Cabotto e delle loro imprese, sic¬ come Pietro Martire d’Anghiera, che asserisce averli co¬ nosciuti in Ispagna, un anonimo mantovano che li co¬ nobbe in Siviglia, il Ramusio che ricorda una lettera U (1) Queste lettere si conservano nella raccolta di viaggi antichi del- l’Hackluyt e nel Rymer. Aiti pubblici d'Inghilterra, Digitized by Google 496 di Sebastiano a Ini indiritta, PHerrera e Bacone da Ve- rnlamio nella Storia di Enrico VII re d*Inghilterra. Nel maggio del 1497 Giovanni e Sebastiano Cabotto salpavano colla nave Mattia dal porto di Bristol colla ferma intenzione di navigare sempre a maestro (nord- ovest) finché trovassero le coste del Catai e di Tartaria. Bristol, seconda patria di Cabotto (alcuni credono che Sebastiano nascesse non in Venezia ma in Bristol), aveva frequenti relazioni co’pa'esi settentrionali; è dunque probabilissimo che i navigatori conoscessero le tradi¬ zioni delle scoperte normanne in occidente, e che tenes¬ sero il Winland e l’Helluland de* Normanni per porti delle coste di Tartaria.il Ramusio riferisce d’aver udito dal gentiluomo mantovano che Giovanni' Cabotto mori poco prima di partire, appena giunto ravviso che il Co¬ lombo aveva scoperta la costa deir India, ed opina quindi che la spedizione si facesse sotto il comando di Seba¬ stiano. Parve a molti però assai più probabile che sia incorso errore nella data della morte di Giovanni, tanto più dacché il signor Asher nell’opera Hudson thè navi- gator (London 1860) ha pubblicato una lettera del l’am¬ basciatore veneto Pasqualigo a suo fratello in Venezia (23 agosto 1497); documento che getta luce sull’impresa de’Cabotto. Il MaUia aveva percorso 700 miglia da Bristol quando il 24 giugno 1497 toccò una costa ed un’isoletta ad essa vicina, cui si diede il nome di San Giovanni. Non si videro indigeni, bensì trovarohsi indizii di opere umane, p. es., alberi tagliati, aghi da rete, insidie alle fiere ed altri oggetti che i navigatori punto non dubi¬ tarono dover appartenere « ai sudditi del Gran Kan ». Eretta su quel suolo la croce fra il vessillo inglese e quello dell*alato leone di S. Marco, gli scopritori, a quanto pare, non pensarono che a ripatriaro, e giunsero a Bristol il 10 agosto, dopo tre mesi di assenza (1). L’anno dopo (t) Cooley pone questo viaggio nel 1196 ed amnjelte che i Cabotto possano aver veduta tutta la costa dal 56® lino alla Florida. Non potrebbe hi questo caso porsi in dubbio che FAmerica continentale fu scoperta prima dai Cabotto che da Colombo. Non fa cenno de! viaggio del 1198. Digitized by LjOOqIc <97 (1498) Sebastiano Cabotto, morto già il padre, ripartiva con due navi nella stessa direzione, e raggiunta la costa la fiancheggiò verso nord, trovando con sua gran sor¬ presa che volgeva verso levante anziché verso ponente. Impossibile è il dire fino a qual grado giungesse. Il gen¬ tiluomo mantovano dice fin verso il 56^" (costa del La¬ brador). Bacone e Ramusio suppongono assai più al nord, fin circa al 67®, perchè, a quanto scrisse Pietro Martire d’Anghiera, il giorno alla latitudine ove giunse Seba¬ stiano era quasi continuo. Disperato di trovare il desiato passaggio, il Cabotto volse le prore al mezzodì, e tenen¬ dosi sempre la costa a destra, venne verso la linea equi¬ noziale fin quasi airestremità della Florida (L. N. 25), la quale penisola restò poscia il confine fra le scoperte spagnuole e le inglesi. Mentre adunque il gran Genovese eseguiva il terzo suo viaggio, il veneziano scopriva pel primo tutta la gran costa orientale deirAnierica settentrionale, che si stende con direzione variante dapprima da sud a nord, poscia da sud-ovest a nord-est per circa 30 gradi di latitudine dal canale della Florida fino al Labrador, schiudendo cosi airinghilterra que’lidi ove sorsero numerose le sue co¬ lonie, ed ove contansi oggi le più vaste, belle e civili città del continente americano. Potrebbe anche darsi che ai Cabotto si dovesse la gloria di avere toccato pe’primi le coste del continente americano (gloria che molti vollero di Colombo, pochi di Vespucci), poiché quando anche si voglia rifiutare come dubbio il viaggio di Giovanni e Se* bastiano Cabotto nel 1497, ad ammettere il quale invero non v’ha motivo suflìciente, potrebbe sempre darsi che Sebastiano nel suo viaggio dell’anno successivo toccasse terraferma prima del 3 agosto 1498, giorno in cui Co¬ lombo scopri le coste di Paria. Del resto anche qui nes¬ suno sospettò resistenza di un grande continente fra l’Asia e l’Europa, e quando la cosa fu palese pe’viaggi posteriori, non si cessò di ricercare un passaggio dal¬ l’Atlantico al Pacifico per la via di nord-ovest, massi¬ mamente al tempo di Elisabetta,, quando Davis e Fro- Digitized by LjOOQle bisher ricalcarono, sebbene invano pel loro scopo, le traccie de’Cabottó. ’ Il primo de’viaggi in traccia del passaggio al nord- ovest fu eseguito nel 1517 dallo stesso Sebastiano Ca- botto per ordine del re Enrico Vili d’Inghilterra. Come ci narra il Biddle, Sebastiano parti verso la metà del¬ l’aprile, forse troppo presto per una spedizione artica, raggiunse il lido del Labrador, poi trovò, fra i gradi 61o-64^, uno stretto che si prolungava verso occidente e che ebbe più tardi il nome di Hudson, suo secondo scopritore (1605). Quanto a Frobisher è cosa certa, dice Biddle, che prima di partire (1570) si procacciò le carte del viaggio di Sebastiano Cabotto, cosicché le scoperte de’navigatori inglesi del tempo di Elisabetta hanno per base i viaggi fatti dai veneziani al soldo inglese, almeno mezzo secolo prima. Bisogna ammettere che la fama del grande Sebastiano Cabotto (cosi lo chiama il Peschel) si fosse ben diffusa in Europa, giacché, seguendo l’ano¬ nimo mantovano, il re di Spagna lo chiamò nel suo regno, e volendo giovarsi delle rare sue cognizioni in fatto di nautica, lo propose a tutti li piloti che navigano alV India occidentale e che senza sua licenza non pos¬ sono fare quel!esercizio, e lo chiamano per questo piloto maggiore. I fortunati viaggi di Colombo avevano risvegliato potentemente in Portogallo ed in Ispagna l’amore alle avventurose imprese d'oltre mare e la sete dell’oro. Nel 1500 il portoghese Cortereal, poco dopo i Cabotto, costeggiava TAmerica settentrionale fino a Terranuova. Vespucci con navi portoghesi trovava il tratto di costa posto fra rOrenoco e TAmazzoni; Cabrai, portoghese, era gettato dal capriccio delle onde sulle coste del Brasile, viste poco prima dal Vespucci a più settentrionale lati¬ tudine. Qualche anno dopo Ponce de Leon trovava la penisola della Florida (1512), toccata già dai Cabotto, sulle coste orientali, e Diaz de Solis scopriva (1515) il gran fiume, che da Sebastiano Cabotto ebbe più tardi ri nome di fiume delTargento (rio de la piata). L’espio- Digitized by LjOOQle 199 razione di questo gran fiume, detto sulle prime rio de Solis, fu Toggetto del nuovo viaggio intrapreso da Se¬ bastiano Cabotto con navi spagnuole, per ordine del po¬ tente Carlo V. Correva Tanno 1526; era trascorso un decennio dalla scoperta di Solis, e in quel mezzo gli Spagnuoìi, non solo avevano esplorate le coste del Me¬ diterraneo messicano, ma sbarcati sul continente ne avevano occupato con feroce barbarie i ricchi imperii del Messico e del Perù, sotto gli ordini dei Cortes, degli Almagro e dei Pizarro. Sebastiano Cabotto attraversò TAtlantico, e trovato il largo estuario del Paranà, risalì questo fiume parecchie centinaia di leghe, irovandou(* popolate le rive da infiniti popoli che per ìnerainglia cor¬ revano a vederlo e scoprendo un numero incredibile di affluenti, come dice Tanonimo. Cosi furono scoperti i fiumi Parartà e Paraguay, ed un italiano fu il primo che s’addentrasse nel continente americano, almeno 15 anni prima che lo spagnuolo Orellana risalisse il rio delle Amazzoni (1541). Arrivato alla latitudine di 27"' 27*, colà ove in oggi presso la confluenza del Paraguay e del Paranà sorge la città di Corrientes, vi si fermò circa un mese, amichevolmente trattando cogli indigeni Guarani. Che la navigazione sul Paranà non fosse che una devia¬ zione dalla linea prestabilitagli, si afferma da quelli che opinano aver avuto Sebastiano Tincarico di varcare lo stretto magellanico e di veleggiare alle Molucche ed alle Indie orientali. Di codesto viaggio non consta; pare piuttosto che il veneziano tornasse in Ispagna ancor prima del 1530, e che Carlo V soddisfatto delle sue re¬ lazioni continuasse al navigatore l’alta sua benevolenza. In Ispagna soggiornò a lungo, e se accettiamo l’opi¬ nione dello Zurla, almeno fin verso il 1547, anno della morte di Enrico Vili re d'Inghilterra. Verso quest’epoca Sebastiano tornò agli stipendii dell’Inghilterra, e lo prova una patente del re Edoardo VI del 1549, colla quale vien nominato gran piloto d’Inghilterra collo stipendio di 166 lire sterline, e rango eguale a quello avuto in Ispagna. Un altro decreto, dato da Maria la Cattolica Digitized by LjOOQle 200 il 6 febbraio 1555 (1), nomina il Cabotto governatore perpetuo di una società mercantile, detta del Cataio e della Russia, la quale si era costituita in Londra collo intento di promuovere il commercio colla Russia e la Cina per la via del nord-est, cioè girando al nord l’Eu¬ ropa e risalendo i fiumi di Siberia. Vogliono alcuni, fra’quali il Canale, che Sebastiano comandasse perso¬ nalmente, sebbene già assai avanzato in età, una spedi¬ zione al nord-est, la quale partita da Harwich nel mag¬ gio 1556, sarebbe giunta fino al 70’di lat. boreale; ma per questa congettura non si ha altro fondamento fuor¬ ché alcune vaghissime espressioni, siccome, p. es., questa dell’anonimo mantovano riferita dal Ramùsio : « Che » avendo fallo tante altre navigazioni^ e trovandosi già » vecchio mentre erano cresciuti tanti pratici e valenti >» marinari, aveva voglia di riposare e di godersi il frutto « delle passate fatiche». Pare invece assai più proba¬ bile che egli, come presidente della nuova Società, con¬ sigliasse e dirigesse i primi viaggi al nord-est; come già aveva in persona eseguiti i primi al nord-ovest, e che da lui avessero istruzioni e consigli Ugo Willoughby, Riccardo Chancellor e Stefano Burrough, i quali dal 1553 al 1556 costeggiarono i lidi di Lapponia, girarono il Capo Nord, del quale non si aveva notizia fin dai tempi del normanno Other, scoprirono Tarcipelago dello Spitz- berg, le coste del mar Bianco, l’isola di Nuova Zembla (la Nowaja Sembla o Terra nuova dei Russi) e lo stretto di Waigatz. Intorno ai viaggi di Sebastiano Cabotto regna ancora non poca incertezza, e ne vediamo una prova assai grande in questo fatto, che mentre il Cooley, accurato scrittore delle imprese geografiche, cita un viaggio di S. Cabotto a Portoricco nel 1516 ed ignora quello del 1556, il Ca¬ nale non accenna il viaggio del 1517 (al soldo inglese), che viene citato dal Peschel, e ammette invece il viaggio verso il nord nel 1556, del quale non fe' motto lo Zurla (1) Hackluyt, I^avigations and discorreries, tom. fogl. 267. Digitized by LjOOQle SOI che s’attiene strettamente al Ramusio. Ignoto è perfino se Sebastiano nascesse in Venezia e se ivi realmente^ come vuole Tanonirao mantovano, apprendesse umane lettere e la sfera, diventando abilissimo nel delineare mappe colle navigazioni particolari de’Portoghesi e Ga- stigliani; anzi è pur questione se mai passasse qualche tempo di sua vita in Venezia; la quale, a dir vero, sembra venisse dai Gabotto nella nuova loro patria af¬ fatto dimenticata, come dal Golombo la nativa Genova. Ma ciò che rimane di accertato è più' che sudìciente per assicurare non dirò soltanto la fama, ma la grandezza di Sebastiano Gabotto. Il quale con una carriera marit-^ tima straordinariamente lunga, prospera, e felice, na-| viga i mari per più di mezzo secolo, ricopre per molti i anni la carica eminente di pilota del regno in Ispagna ed Inghilterra, che a vicenda se lo disputano, pel primo scopre gran tratto delle coste americane e penetra al nord-ovest nel mare Glaciale, pel primo naviga od al¬ meno dirige altri verso i lidi dello stesso pericolosis¬ simo mare nell’opposta direzione di nord-est, pel primo s’addentra neiramericano continente meridionale, e pel primo scopre la declinazione dell’ago magnetico od al¬ meno il modo di valersene (1). Meno ingiusta deU’oblivione che avvolge il nome e le gesta di Sebastiano GaJ)otto è quella che pesa sui nomi di Gerolamo Adorno, Gerolamo di Santo Stefano, Giorgio Interiano, e Gassiano Gamilli, viaggiatóri del decimo- quinto secolo, de*quali dobbiamo fare almeno qualche (l ) Così il dotto doge e scrittore veneziano Marco Foscarini opinava che la importante legge fosse scoperta dal Gabotto e ne prometteva la prova nel 2" volume delia sua opera sulla Letteratura veneziana^ che rimase interrotta per la di lui morte avvenuta nel 1763. Anche TAmoretli dice che nei manoscritti di Ettore Ausonio, conservati nel- l’Ambrosiana di Milano, la scoperta si attribuisce al Gabotto.Tiraboschi, Canale, ed altri, la vogliono merito di Colombo. Così anche Peschel, il quale però ammette che Sebastiano Gabotto pel primo concepisse la possibilità di trarre profitto dal fatto delia declinazione dell’ago per determinare le longitudini. Digitized by LjOOqIc 202 T breve menzione per quanto essi possano apparire secom darii dopo i grandi de’quali in questo capitolo si è ' ^ discorso. I due primi, comperata al Cairama una quan- tità di coralli, bottoni, ed altre mercanzie, partirono alla volta dell’India. Passando per Gariz e per parecchi luoghi pieni di antiche rovine, giunsero a Cosir, porto sul Mar Rosso. Imbarcatisi quivi, in capo a venticinque giorni giunsero ad un’isola detta Magna, sulla destra di esso mare, lontana circa un miglio da terra. Vi dimorarono due mesi; indi ripresero la navigazione, incontrandosi in molti legni che pescavano perle. Ad Aden fermaronsi quattro mesi, poi sciolsero per l’India. Dopo venticinque giorni di buon viaggio trovarono molte isole, e dopo altri dieci giorni Caircut, la quale, come osserva il De- gubernatis nella memoria citata nella Bibliografia (vedi pag. 6), è la solita Kalikodu dell’Indostan, e non si deve confondere con Kalikata nel Bengala, la moderna Calcutta. Di là con ventisei giorni di viaggio approda¬ rono a Ceilan, poi alla costa di Coromandel, indi a quella della bassa India o Pegu. Eravi un re che te¬ neva diecimila elefanti e ne allevava 500 ogni anno. Volevano recarsi ad Ava, ma la guerra scoppiata fra il re di Ava e quello del Pegù impediva il viaggio. Il re del Pegù comprò bensì tutte le loro mercanzie per 2000 ducati, ma non ne pagò il preezo, che si dovette aspet¬ tare per un anno e mezzo; nel quale intervallo Gero¬ lamo Adorno, già affranto da un’antica malattia, venne a morte il 27 dicembre 1496.11 Santo Stefano, rimasto solo, passò all’isola di Sumatra, ove il Signore dell’isola gli confiscava gli averi, che potè ricuperare in gran parte grazie all’intervento di uu cadì mollo mio amico, pereiochè egli harem qualche cognilione ed intelligentia della lingua italiana, fatto che lascia intravedere quanto dovessero essere frequenti allora i commerci diretti <^gli Italiani colle Indie. Vendute le mercanzie e con- YOrtitone il prezzo in tanta seta e benzuino, il geno¬ vese s’imbarcò per Calicut. Fermatosi sei mesi alle Maldive, riprese il viaggio ; ma un’orribile procella som- Digitized by LjOOqIc 2^03 merse le navi, ed egli fu salvato a stento dopo avere lottato a lungo colle onde, aggrappato ad un grosso tronco d’albero. Venuto a Cambaia vi trovò alcuni mer¬ canti mori di Alessandria e Damasco che lo aiutarono di danaro. Da Cambaia venne ad Ormuz, e qui, unitosi a mercanti armeni, raggiunse la carovana che va a Siras, Casan, Sultania e Tauris. Viaggiando da quest’ultima città ad Aleppo lo sfortunato viaggiatore era un’altra volta assalito e derubato. In Aleppo si voleva persua¬ derlo a tornare a Tauris per farvi incetta di gioie e di sete cremisine; ma non essendo sicure le vie vi si rifiutò. Questo sgraziato viaggio è narrato dallo stesso Gerolamo in una lettera scritta in portoghese, diretta il i"* settembre 1499 al portoghese Giovanni Giacomo Mainer, del quale fa menzione il Colombo in una sua lettera del 1502 a Nicola Oderico. Si chiude assai divo- tamente colle parole: «Questo è il successo di tutto il » mio infelice viaggio accadutomi per i miei peccati, i » quali se non fossero stati, io mi poteva molto ben » contentare di quello che io haveva guadagnato».Mentre adunque Vasco di Gama co'Portoghesi toccava per la prima volta, venendo per mare, l’India (1497), gli Ita¬ liani, che già moltissime volte l’avevano per la via di terra raggiunta e percorsa per ogni verso fino alle re¬ mote isole delle Spezierie (Molucche), dovevano sentire magnificare* come nuovamente scoperti i paesi ove si erano da lungo tempo diffusi i loro mercanti e con essi le loro monete e la loro lingua. Anzi, come ben osserva il Degubernatis, erano costretti ad impetrare per con¬ cessione di principi que’diritti i quali per lo innanzi liberamente avevano esercitato sui mari e sui lidi d’Asia., Giorgio Interiano genovese, detto dal Poliziano remm - àbditarum investigator expcrientissimus, sullo scorcio del " secolo visitò l’Asia, investigando dovunque la ragione delle cose antiche, e fu amico di parecchi insigni uo¬ mini, fra’quali Aldo Manuzio che stampò una sua breve relazione sui costumi dei Zichi o Circassi, fra’quali l’In- leriano fece lunga dimora. Nella lettera che precede la Digitized by LjOOQle 204 relazione il viaggiatore prega Manuzio di correggere la sua cattiva ortografìa e gli manifesta il disegno di com¬ porre un'opera più voluminosa intorno a'suoi viaggi. L’amico soddisfece l’incarico e pubblicò la lettera nel 1502, e il Ramusio la riprodusse più tardi nel secondo volume della sua raccolta. Cassiano Camilli, genovese, mori in patria durante il contagio del io28i Nulla si saprebbe di lui e de'rari suoi meriti senza relegante lettera che il cardinale Gregorio Cortese dirigeva a Vincenzo Bor- lasca quando gli giungeva l’infausta novella della morte deH’amico. La trasse il Canale dalle opere di G. B. Spo- torno, ed a noi pare opportuno il riprodurla, se non altro per rammentare quanti meriti possano andare af¬ fatto dimenticati o possano essere salvati alla gratitu¬ dine de'posteri dall’afìfetto di un amico. « Benché di tal pestilenza, cosi scrive il Cortese, sieno periti non pochi degli amici miei, pur mi è grave spe¬ cialmente la perdita del nostro Camilli. Perciocché noi debbo io misurare dalla stima che altri ne faccia, si da quella eccellente virtù e dottrina, che soltanto forse a me solo era intimamente conosciuta. Aggiugni il danno incredibile che ne verrà a tutti i sapienti per la per¬ dita delle sue fatiche, stanteclié aveva l’animo rivolto ad illustrare tutte le parti della cosmografia, ed oltre che si confidava di potere descrivere minutissimamente la posizione di tutti i luoghi e antichi e nuovamente trovati, aveva con ogni studio diligentemente investi¬ gato con qual nome una volta, con quale oggidì ciascun luogo si appelli. E in ciò si era già di cotanto inol¬ trato che non i porti soltanto, i promontorii, i seni, le isole, i fiumi, i monti e le città più celebrate, ma ogni picciolo castello sapeva a menadito. Della quale iattura crederei avermi a doler meno, se fior di speranza ci fosse, che altri di pari dottrina ed accuratezza potesse ciò mandare ad effetto. Ma chi fu mai, di grazia, che alla squisita di lui dottrina unisca la cognizione dei luoghi, non ascoltando o leggendo, ma cogli occhi e coi piedi acquistata? Perocché navigato aveva, come ben Digitized by LjOOQle 205 sai, al Tanai ed ai Fasi, e girato pressoché tutte le contrade delTAsia, TEgitto, e PAfrica. Non parlo della Spagna, Inghilterra, Francia, e Germania, le quali cosi egli conosceva come le dita delle sue mani. E ad opera si grande era congiunto quel meraviglioso presidio del- Pessere nato in tal città, i cui abitatori ogni di van navigando a remote e strane nazioni, ed alla quale si tirati da negozii, come dalla vaghezza di vederla, so¬ praggiungono continuamente da tutte le parti del mondo i forestieri». Gol Camini abbiamo toccato una classe di viaggiatori che lo Zurla distingue col titolo di eludili e che meri¬ tano ricordo piuttosto per la loro coltura ed erudizione in fatto di cose geografiche e per gli scritti lasciatici anziché per lunghezza e novità di viaggi. Riserbandoci a parlare più diffusamente di loro nel prossimo capitolo che concerne il decimosesto secolo, ci limiteremo qui a ricordare il nobile veneziano Paolo Trevisano, il quale, per testimonianza di Alessandro Benedetti veronese, fin dai suoi primi anni viaggiò Siria, Egitto, Arabia; trattò la pace fra i Cavalieri di Rodi ed il Soldano d'Egitto; descrisse i costumi dei Siri, il commercio degli Arabi e degli Etiopi, e studiò il fenomeno delle periodiche inondazioni del Nilo, sul quale verso il 1483, essendo nelPisola di Cipro, scrisse Popera: De Nili origine et incremento, de Hethiopum regione et maribus liber singur /am.Questo lavoro andò smarrito, e fu gravissimo danno, poiché é noto che in esso si discorreva a lungo sulla natura delle piante, delle erbe, dei frutti e degli aromi di Cipro, Palestina, ed Egitto, preludendo così fin da quell’epoca a que’lavori esimii di cui va sì ricco e su¬ perbo il nostro secolo, massime per ciò che concerne le contrade nominate. I CARTOGRAFI ITALIANI DEL XV SECOLO. I progressi della cartografia ci mostrano nel modo più evidente e determinato quelli della scienza geografica Digitized by LjOOQle 206 ne’varii secali. Sarà quindi opportuno di chiudere questo, come già il precedente capitolo, con una rapida rivista deMavori cartografici eseguiti dagli Italiani dal 1400 al 1500, consecrando maggior attenzione ai più notevoli, quali sono quelli di Andrea ^Bianco, di Bartolomeo Pa¬ rato e di fra Mauro. Procedendo ordinatamente con cro¬ nologica successione avremo qui un nuovo e grande argomento non solo per convincerci del primato italiano in fatto di carte ed atlanti, ma anche per meravigliare (leir immensa distanza che divideva allora le altre na¬ zioni dalla nostra. Il secolo decimoqiiiqto vide Tinven- zione della stampa, il risorgimento di tutti gli studii, le prime grandi navigazioni attraverso l’Atlantico c l’Oceano Indiano lungo le coste d’Africa, Asia ed Ame¬ rica; e gli Italiani, già primeggianti ne’due secoli an¬ teriori, seppero anche in questo mantenere la loro su¬ periorità sia in fatto di viaggi, sia in fatto di opere e carte geografiche, ove raccoglievano con cura anche le scoperte altrui, per quanto una sciocca gelosia tutto facesse per tenerle ascose. Gli Italiani infatti disegna¬ vano l’Africa con forma peninsulare assai prima che la circumnavigassero i Portoghesi, e ciò malgrado le idee tradizionali di Tolomeo e Marino da Tiro che confon¬ devano TAsia in un sol corpo coll’Africa e facevano del¬ l’Oceano Indiano un mare chiuso. Alfonso di Portogallo incaricava il veneziano fra Mauro di costruirgli un map¬ pamondo, nel quale quell’egregio cosmografo rappresen¬ tava esattamente lo stato delle cognizioni di quel tempo (1459), e forniva così ai Portoghesi un utile indirizzo per le future scoperte. Spagnuoli ed Inglesi, non meno de'Portoghesi, valevansi delle carte di Cristoforo Co¬ lombo, di Bartolomeo Colombo, e d'Americo Vespucci. Insomma, ove anche gli Italiani non erano personal¬ mente scopritori, ci appaiono almeno siccome i maestri degli scopritori. La più antica carta del secolo è quella del genovese Giovanni Battista Ircario, colla data del 1426, che si conserva in Ratisbona. Sebbene non finita, è assai inte- Digitized by LjOOQle 207 ressante, perchè indica le isole Azorre otto anni prima che il portoghese Gonza!ez Velho pretendesse scoprirle (1432) (1). Deiranno stesso 1426 è la carta deirAtlanticy del veneziano Giacomo Giroldi, nella quale si vede chia¬ ramente disegnata la navigazione distinta per rombi alle isole di Madera, Canarie, Azorre. No fa menzione il conte G. R. Carli nel tomo xix delle sue opere, e la dice posseduta dal principe Sigismondo Kerenhiiller in Milano. Più famoso è Tatlante in 10 carte, colla data del 1436, che si conserva nella Marciana di Venezia e porta sulla prima carta T indicazione: Andreas Biancho de Veueciis nie fedi. Il Fornialeoni nel 1782 lo illustrò diffusamente; noi daremo un cenno di ciascuna carta. La prima rap¬ presenta la rosa dei venti ed un’istruzione por calco¬ lare a mente i viaggi di mare; la seconda il Mar Nero; la terza TArcipelago ed il Mediterraneo australe; la quarta il periplo d’Italia, coi corrispondenti lidi d’Africa. La quinta carta è celebre, perchè porta all’ovest di Gibil¬ terra ed alla stessa latitudine di questo punto una grande isola rettangolare a tinta rossa, col nome (VAntilia, che ha sollevato una gran questione fra i dotti. Fra questi infatti vi furono alcuni, siccome il gesuita spagnuolo Andres ed il Formaleoiii, che con pochissima critica e sagacità credettero vedere ncll’Antilia nientemeno che l’America meridionale o quelle isole cui Colombo, in omaggio alla tradizione di una grande isola aH’estremo occidente, intermedia fra Europa ed Asia, diè il nome di Antille. Secondo costoro Colombo non avrebbe sco¬ perto che un paese già noto, ed il suo merito si ridur¬ rebbe quindi a ben poca cosa. Ma uomini assai autore¬ voli, più amanti della critica e meno appassionati del meraviglioso, sorsero e mostrarono che VAntilia di Bianco non doveva la sua esistenza che alFimmaginazione dei primi cartografi; che essa trovasi indicata anche sulle carte ben più antiche dei Pizigani (vedi pag. 83); che (4) Vedi Kunstmann, Die karte des Irchanm, Mùnchner gelehrte auzeigen, 4853. N. 72, pag. 580. Digitized by LjOOQle 208 la voce Anlilia non è americana, ma spagnuola o por¬ toghese, e non significa altro fuorché isola opposta (all’oriente), ossia lontana; che il Colombo ha scoperto molte piccole isole e non una sola vastissima, come la segnano i cartografi a lui anteriori; che questi, dise¬ gnando VAntilia, seguivano la tradizione platonica del- VAtlantide, o la tradizione popolarissima di Spagna, se¬ condo la quale, alTepoca dell’invasione araba (712), al¬ cuni emigrati spagnuoli avevano fondate sette città in un’isola remota verso occidente (1); che insomma l’Antilia può essere al più identificata con una delle Azorre, e che ripugna a tutta la storia della geografia medievale l’idea che si potesse avere pur anche un sospetto dell’esistenza di terre tanto remote dalle nostre coste, quali sono le Antille. Queste idee vennero propugnate dal francese Buache nelle sue Becherches sur Vile Anlilia, Lalande, dal De Murr, neWIllustrazione del globo di Martino Be- haim, cosmografo tedesco, contemporaneo a Colombo, dal cav. L. Bossi nella Vita di Colombo, dal Tiraboschi, dal Baldelli-Boni nella Vita di Polo, dallo Zurla (seb¬ bene veneziano, devoto del Formaleoni e poco rigido in fatto di critica storica), e finalmente dal Canale nella recente sua Storia dèi commercio degli Italiani. La sesta carta del Bianco rappresenta le coste di Spagna, Francia, e Fiandra con parte AeWInghellterra, Schocia e Irllanda. Presso quest'ultima vedesi con circolo dorato l’isola de Berzil, e più a mezzodì, con mezza luna dentata a color rosso, l’isola de Ventura. Il Baltico colle terre circostanti, la Frislanda, l’Islanda, e, secondo l’opinione non molto fondata di alcuni, anche l'isola di Terranova, sotto il nome di \so]a Stokafìxa,sox\o delineate sulla settima carta. Presso la Norvegia sta scritto : Norvegia est regio asperrima et frigidissima et nemorosa cuius incolae potius de pischa- cione et venatione vivunt quam de pane. L’ottava carta ri¬ ti) Gli Spagnuoli, poiché ebbero scoperta TAmerica, andarono per lunga pezza cercando le sette città che la .tradizione diceva essere state fondate nell’isola ad occidente. Digitized by LjOOQle 209 pete in piccola scala alcune delle precedenti. La nona è sotto ogni aspetto (fuor che per la questione dell’Antilia) la più interessante, giacché rappresenta tutto il mondo allora conosciuto (1). Il Mediterraneo e l’Oceano Indiano pieno di isole si succedono con larghezza quasi uguale nella direzione oriente-occidente, e dividono il mondo in due metà disuguali. L’Àfrica si stende nella stessa direzione parallelamente all’Europa ed all’Asia col regno del prete Gianni all’estremo suo oriente. Del gran golfo di Guinea non si vede traccia. La configurazione data all’Asia è parimente affatto erronea, perchè la costa me¬ ridionale si fa correre in linea retta da oriente ad occi¬ dente, senza il minimo indizio della gran penisola in¬ diana e de’ golfi estesissimi dell’Arabia e del Bengala. Le coste orientali d’Asia formano due grandi promontorii che racchiudono un golfo immenso. Sul promontorio settentrionale si vede il re del Gog e Magog, nel meridio¬ nale si vede il Paradiso co’suoi quattro gran fiumi, due de’quali vanno nel Caspio, uno al Mediterraneo, ed uno airÓceano Indiano. Si vedono anche Adamo ed Èva presso il fatai pomo. All’occidente del Gog e Magog vi è il regno del Cataio, quindi la città di Samarcanda, e più a mezzodì le due Indie. L’Europa, sebbene troppo rac¬ corciata in longitudine, è disegnata meglio che non dal Sanudo e porta i nomi delle nazioni in cui si divide. La Tartaria ne occupa l’oriente, la Russia il setten- Irione. Un gran monte divide quest’ultima dalla Nor¬ vegia. Quantunque il progresso mostrato da questa carta confrontata colle più antiche, a dir vero, non sia gran¬ dissimo, tanto più che vi si vedono servilmente copiati errori in parte già rettificati, ed adottate le strambe idee di Cosma Indopleuste, grande amante delle mira¬ bilia munii, pure essa resta sempre un notevole monu¬ mento d’antica cartografia, e specialmente di quel genere tutto pittorico che tanto si amava a quei tempi. È piena infatti di tende, animali, casette e simboli d’ogni specie. (4) Vedasi la cartina 2* alla fine del volarne. i4 Bianca, Storia dei Viaggiatori Italiani, Digitized by LjOOqIc 2<0 L’arca di Neè sta ferma suU’Ararat; nell’isola presso il Catai torreggia la figura di un idolo; nella zona del maximus frigus passeggiano figure grottesche coperte di pelli, come usano gli Esquimali; presso Gerusalemme vedesi il battesimo di Gesù nel Giordano e la scena dell’adorazione de’Magi; il vecchio della'montagna, verso le sorgenti del Nilo; gli elefanti colle torri, nel regno di Babilonia; i camelli sdraiati, nel deserto; i delfini alati infine, nel golfo aperto formato dall’Oceano sulla costa africana. La decima ed ultima carta dà il mappa¬ mondo secondo Tolomeo, colle linee matematiche di¬ pinte a colori, ma non una delle molte rettificazioni che qualsiasi geografo del xv secolo era in grado di fare alla carta del geografo greco del ii secolo. Cosi si chiude il portolano del Bianco, interessante per gli stessi suoi errori, per le strane figure, non meno che per le favo¬ lose terre d’Antilia e Stokaflxa, per i disegni della bussola, e per le carte nautiche che gettano qualche luce sulle teorie marittime del suo tempo. Una mappa del genovese Beccare, conservata nella Biblioteca di Parma, porta l'istessa data del portolano del Bianco, cioè l’anno 1436. Anch’essa porta le isole d’Antilia e Satanasso. L’Ambrosiana di Milano, per te¬ stimonianza del cav. avv. Desimoni, conserva due atlanti; l’uno dei quali, proveniente dal monastero di S. Faustino di Brescia, ha la data del 1443 ed il nome di Jacofus de Zireldis ; e l’altro, proveniente, a quanto si crede, dalla bi¬ blioteca di G. Vincenzo Pinelli, non ha nè data, nè nome di autore. Il Canale opina col Desimoni che Jacopm de Zireldis sia quello stesso Giacomo de’Giroldi, del quale' abbiamo già citato Jl lavoro, e che il secondo atlante, diviso come il primo in sei membrane, e pe’modi d’ese¬ cuzione assai somigliante al primo, sia opera dello stesso Giroldi 0 almeno d’altro veneziano. Del 1447 è una carta genovese esistente a Firenze nei palazzo Pitti, e notevole perchè per la prima tien conto de’risultati guadagnati da Nicolò Conti nelle sue lon¬ tane peregrinazioni asiatiche, e per la prima dà una Digitized by LjOOQle 2H forma assai più vicina al vero, sia alle coste orientali d’Asia, sia alle orientali d’Africa che si fanno dirette al mezzodì e non ricurve ad oriente, come da Sanuto, da Bianco, e da tanti altri cartografi anteriori. Colla data del 1448 si hanno due lavori. Uno è la carta di Andrea Bianco, conservata neirAmbrosiana di Milano, T altro un planisfero di Giovanni Zeardo, custodito nel civico museo di Vicenza. La carta del Bianco è interessante perchè mostra che nel 1448 si conosceva già la costa occidentale africana fino al Capo Rosso, il che confer¬ merebbe la notizia già accreditata da altri indizii, che il genovese Antonio Noli fin dal 1446 avesse raggiunto almeno l’altezza del Capo Verde. Abbiamo già veduto che l’Arcipelago vicino al Capo Verde, secondo l’opinione più generalmente accettata, fu scoperto dal veneziano Cadamosto col genovese Uso- dimare nel 1456. Il primo di questi ha lasciato un por¬ tolano che secondo il Canale offre in bella misura i lidi e porti d’Europa e, ciò che più importa, parte dei lidi africani. Lasciò anche una caUa da navegar, che andò perduta. Contemporanea, cioè del 1455, è la carta del genovese Bartolomeo Parato, accolito del papa Nicolò V anch’egli di Genova. Porta l’iscrizione: Presbyter Barlholonieus de Parato civis lanme, acolitus sanctissimi nostri Papae, composuit hanc cartam mcccclv, lanua. La magnificenza delle figure e degli ornati fe’ supporre che venisse co¬ strutta per incarico di qualche alto personaggio. Rap¬ presenta il periplo del Mediterraneo e del mar Nero, distinguendo colla bandiera genovese i porti di Gaffa, Soldaja, Cembalo, Tana, Samastro, Cimino, ed altri, che per la espugnazione allora recente di Costantinopoli fatta dai Turchi (1453) trovavansi ùel maggior pericolo. Nota a preferenza i centri commerciali e marittimi, lasciando in bianco l’interno delle regioni. Nelle coste occiden¬ tali d'Africa la carta si arresta al Capo Bojador; nè è chiaro perchè il Parato non segnasse il Capo Rosso e le isole del Capo Verde già scoperte da’suoi concittadini. Digitized by LjOOQle 212 e già segnate sulle carte anteriori dal veneziano Bianco. Presso una delle Canarie vedesi la croce di Genova e l’iscrizione: * Lanzeroto Maroxello januensi ». Il gesuita Giovanni Andres, possessore ed illustratore della carta del Parato (1), stupì di questo fatto; ma il Canale os¬ serva che la croce genovese presso le Canarie trovasi già nel portolano mediceo del 1351 e nella carta dei fratelli Pizigani del 1367; e che Lanzerotto Marocello, membro di nobilissima famiglia ligure già padrona del luogo di Varazze nella riviera occidentale, fu, secondo tutti gli indizii, lo scopritore delle Canarie fra il 1318 ed il 1351. Che sia avvenuto della carta del Parato non è noto. Primeggia fra i nostri cartografi del decimoquinto secolo il camaldolese fra Mauro, autore di un mappa¬ mondo, pel quale esso fu chiamato fin da’suoi giorni, in una medaglia coniata in suo onore, cosmographus incom- parabilis. Era nella biblioteca di S. Michele di Murano, e nel 1811 fu portato nella Marciana. Levandolo dalla parete si scopri sulla cornice l’iscrizione: Hcccaxodt xxvi avosto fo complido questo lavar. Alla grande ampiezza della mappa membranacea corrisponde la copia delle nozioni e la bontà del disegno veramente grande se pa¬ ragonata agli altri lavori di quel tempo. Il Bitter lo dice il lavoro cartografico più insigne del medio evo (2), ed il Peschel opina che fra Mauro nel farlo si sia giovato non soltanto di carte anteriori italiane, ma anche di carte portoghesi per le coste occidentali africane, di la¬ vori arabi per le coste orientali africane, del libro di Marco Polo per l’Asia, del libro di Conti, e di altre sor¬ genti a noi ignote per le terre al sud-est dell’Asia. La membrana ha circa 7 piedi d’altezza ed altrettanti di larghezza, ed è scritta co*n varii colori e con oro. Ha la forma elittica, e porta ne’quattro angoli i quattro sistemi del mondo secondo gli antichi. L’Europa è di- fi) Negli atti dell’Accademia Ercolanense di Napoli. (2) Des merkimrdigste kartographische werk des mittelaltert, Gesch. der erdk. Berlin 1861, pag. 236. Digitized by LjOOqIc $13 segnata con molta approssimazione e comprende anche risola di Ixilandia, terminan&o al settentrione col paese di Parmia; l’Africa ha la sua vera forma peninsulare e stende la sua punta meridionale alquanto ricurva verso oriente, assai più al mezzodì delPAsia. Quest’ultima porta i nomi noti pel viaggio di Polo, e lungo le coste meridionali le grandi isole di Ceylan e Sumatra. Nel 1459 re Alfonso V di Portogallo ottenne, per mezzo del Tre¬ visano ambasciatore veneziano a Lisbona, che si facesse per lui una copia del mappamondo di fra Mauro; nè v' ha alcun dubbio che codesto lavoro servisse di potente incentivo tanto ai viaggi eseguiti dai Portoghesi nella seconda metà del secolo (fra'’quali quello memorabilis¬ simo di Vasco de Gama, che girando l’Africa giunse pel primo alle Indie), quanto ai viaggi degli Spagnuoli verso occidente, giacché nel mappamondo vedesi il mare che ■circonda d’ogni lato la terra e lascia quindi supporre possibilità di navigazione in ogni senso. Questo mirabile lavoro fu illustrato dallo Zurla con apposito lavoro pub¬ blicato in Venezia nel 1806 (1). Grazioso Benincasa di Ancona fece in Venezia parec¬ chie carte le quali portano varie date fra il 1463 ed il 1489. Si conservano parte a Venezia, parte in Parigi, Vienna, e Bologna. Contengono i soliti peripli del Me¬ diterraneo e mar Nero, sicché più interessante è quella che rappresenta le coste occidentali africane fino al Capo Cortese circa il 6° grado di lat. boreale, punto estremo raggiunto da’Portoghesi (Pedro de Cintra) nel 1462. Nel 1479 ponevasi nel ducal palazzo in Venezia un mappamondo, opera del prete veneziano Antonio Leo¬ nardi. Fu distrutto dall* incendio del 1483 con gran rammarico di tutti, giacché il lodatissimo lavoro distin- (i) Fra le carte aggiunte dallo Zurla al secondo volume della sua Storia di Marco Polo e di altri viaggiatori veneziani, trovasene una che dà il facsimile del mappamondo di Fra Mauro; ma siccome la scala è assai minore non contiene moltissime particolarità delFori- ginale. Ancora assai più piccola, ma por fedele e efficiente per dare un’idea diel bel lavoro, è la cartina da nm aggiunta alla fine del volume. Digitized by LjOOqIc su gnevasi specialmente per la parte concernente l’Italia. Il governo della Repubblica aveva compensato l’autore con annuo stipendio, come si deduce dalle memorie di que’tempi. Verso il 1483 il veneziano Bartolomeo da li- Sonetti disegnava un Isolano dell'Egeo, ma non è opera superiore a tante altre che non giunsero fino a noi. Al secolo XV, per tacere d’una carta dell’India assai lodata dal De Gubernatis malgrado tutti i difetti che egli stesso a lungo enumera, appartiene una bella colle¬ zione di 35 carte marine in cartapecora manoscritte e mi¬ niate. L’eleganza delle forme gareggia coll’abbondanza delle materie in questa raccolta che pare si facesse verso il 1490. Vi si vede registrato tutto quanto era noto a quell’epoca in fatto di terre e mari. Alcune sono ano¬ nime, c altre portano l’uno 0 l’altro de’nomi seguenti ; Pietro Roseli, Zuan de Napoli, Grazioso Benincasa, Fran¬ cesco Becaro, Nicolò Fiorin, Francesco Cexano, Zuan Soligo, Alvise Cexano, Domenico de Zane, Nicolò Pa- squalin. Benedetto Pesina, Ponente Boscaino,eCristofóro Soligo. Rappresentano minutamente i lidi e le isole del¬ l’Adriatico, dell’Egeo, del mar Nero, dell’Asia minore, e del Mediterraneo orientale ed occidentale. Quattro sol¬ tanto (28“, 29“, 30*, 31*) danno i lidi dell’Atlantico, e sono quindi più importanti. La 28" porta il nome di Cristo- foro Soligo e mostra le coste d’Africa fino al Capo Verde. Una delle Azorre, con forma rettangolare corrispondente a quella data dal Bianco all’Antilia, porta il nome di insula de sete zitadi, e presso una delle Canarie vi è il nome di Maroxelo e la croce genovese. La 29® offre la Ginea portoghese, cioè le coste dal Capo Verde alle isole Besegi (Bissagos), compreso l’Arcipelago del Capo Verde; la 30® contiene le coste fin quasi all’equatore, registrando la grande curva del golfo di Guinea al Capo Palmas, il Capo Mesurado, il Capo Fremoxo, Angra verde. Rio d’Angre, e le isole scoperte nel golfo da Pedro d’Esco- bar nel 1471. Presso il 6“ grado sta scritto hic non apar poius. La 31® carta contiene le precedenti, rappresen¬ tando la costa africana fin circa al 13® di lat. merid., Digitized by LjOOQle 215 cioè pel tratto scoperto nel 1484 da Alfonso d'Aveiro e da Martino Behaim; ed è evidentemente copia di un la¬ voro portoghese. Contiene eziandio un periplo del mare di Bacu 0 d’Abacucco (Caspio), delineato con tanta esat¬ tezza di linee ed abbondanza d’indicazioni, che nulla di meglio si fece da’posteriori geografi fino ai grandi la¬ vori intrapresi intorno a quel mare dai Russi, per ordine di Pietro il Grande, nello scorso secolo. Questo prezio¬ sissimo atlante idrografico, già proprietà della famiglia Cornare, passò nelle mani di un lord inglese, poi nel ricchissimo British musetm di Londra. Fu illustrato dallo Zurla, dal d’Avezac, e dal Canale, i quali s'accordano nel proclamarlo importantissimo documento geografico anche (e forse principalmente) per i numerosi commenti manoscritti che accompagnano la carta e che trattano delle raxon del nuirtologio, de’calcoli da usarsi dai ma¬ rinai per dirigere le navi, delle spese per le galee di¬ rette in Fiandra, del ragguaglio fra i pesi e le misure veneziane e quelle d'altre piazze, delle varie merci, delle gabelle cui erano soggette, e di altri argomenti che gettano viva luce sulla vita marittima de’nostri antenati / Digitized by LjOOQle VIAGGI DEGLI ITALIANI NEL SECOLO NTI. Primo viaggio intorno al mondo del vicentino Pigafetta con Magellano. — Navigazione di Giovanni da Verazzano alle coste d'America, per conto della Francia. — Viaggi in Asia di Giovanni da Empoli, Lodovico Bartbema, Andrea Corsali, Lnigi Roncinotti, Cesare de* Fedrici, Gaspero Balbi, Filippo Bassetti, ed altri. — Viaggi in America di Gerolamo Benzoni e Marco da Nizza. — Gian Battista Ramnsio raccoglitore di viaggi. -- Scrittori di co^e geogralicbe. — 1 cartografi. Nel corso del secolo decimosesto nel novero de’po¬ poli navigatori s’aggiungono ai Portoghesi, agli Italiani, ed agli Spagnuoli, i Francesi, gli Inglesi, e gli Olandesi. Le grandi scoperte fatte sul finire del secolo precedente da Colombo e Vasco de Gama avevano atterrato tutto il sistema geografico degli antichi, stabilendo in modo inconcusso la sfericità della terra e resistenza di vastis¬ simi spazii dapprima neppure sognati. Contemporanea¬ mente ai navigatori illustri, astronomi e geografi d’ogni paese, siccome Galileo Galilei, Copernico, Ticone Brahe, Sebastiano Miinster, Martino Behaim, e Gerardo Hanf- mann, soprannominato Mercatore, ampliando e determi¬ nando sempre meglio le basi astronomiche della geo¬ grafia e stabilendo in modo certo le teorie delle longi¬ tudini e delle latitudini, vanno meritamente celebri per avere resa possibile l’esatta fissazione di ogni punto della terrestre superficié e quindi anche la costruzione di Digitized by GooQle 2»7 qaelle carte di cui ora ci gioviamo e che sono giunte ornai alla perfezione per i grandi progressi dell’arte cartografica. Una rapida enumerazione delle imprese compite nel corso di questo secolo dai popoli stranieri, non sarà al certo inopportuna; che anzi ci tornerà utilissitno quel termine di confronto per stabilire il posto che prese la nostra nazione nella gran gara delle scoperte. Gli Spa- gnuoli, calcando la via aperta loro dal grande geno¬ vese, verso occidente scoprirono nel l’America le coste della Florida (Fona de Leon 1512), quelle del Messico (Grijalva 1518 e Gonzales Avila 1522), le foci del Mis- sissipi (Alvarado 1542), il lido fra l’Òrenoco e l’Amaz- zoni (Vasco Nufiez 1504), le foci della Piata (Diaz de Solis 1515), indi a poco a poco tutta l’immensa costa occidentale dell’America (Cabrillo 1542 e Vizcaino 1596). Spingevansi anche nell’ interno del continente, vedevano dalle alture di Panama il Grande Oceano (Balboa 1513), acquistavano con inaudita ferocia il Messico, il Perù, il Chili (Gortez, Pizarro, Almagro 1520-1536), risalivano in tutta la sua lunghezza il gran fiume dell’Amazzoni (Orellana 1541). I Portoghesi seguivano intanto la via tracciata da Vasco de Gama, e trovavano nell’Asia un immenso campo di gloria e ricchezze. È la pagina can¬ tata da Camoens, la più splendida negli annali lusitani. Condotti da Alfonso Albuquerqne ne’primi anni del se¬ colo, scoprivano ed occupavano Zanzibar sulla costa orientale d’Africa, Goa e Malabar nell’India, Ormuz, emporio mercantile, all’ingresso del golfo Persico, ed Aden, chiave del mar Rosso. Vinti in ripetuti scontri i Musulmani d’Africa ed India, i Portoghesi erigevano ovunque i loro baluardi e rendevano temuta la loro bandiera che ben presto protesse un lucroso commercio fra i porti asiatici, gli africani, e gli europei. Per opera de’Portoghesi divennero note quasi ad un tratto le coste d’Ajan, l’isola di Socotora (Pedro d’Annaja 1506), le isole dell’Ascensione, Madagascar, e Tristano d’Acunha (Tri¬ stano d’Acunha 1508), le lontane Molucche e le Filip- Digitized by LjOOqIc 218 pine (Abren e Serrano 1512), le coste del Bengala (Sii- veira 1514), le isole Lin-Kiu e le coste cinesi (Pedro Andrada 1516), la vasta isola di Borneo (Vasco Lau- renz 1526), risola di Mindanao(Francesco de Castro 1638), le coste del Giappone (De Mota 1542), e le isole Caroline (Lopez de Villelobas 1545). Ed un portoghese, il cui nome merita di essere posto a “fianco di quelli di Colombo, Vasco de Gama, e Cook, vogliamo dire Fernando de Ma- galhaens (Magellano), capitanava quella flotta spagnuola che fece per la prima il giro del globo (1519-21). Gli Inglesi, come si è detto altrove parlando di Cabotto, esploravano in traccia del sognato passaggio a nord-est rOceano glaciale artico al nord d’Europa (Willoughby, Chancellor, Burrough 1553-56, e Cornei ison 1596), ed in traccia del passaggio a nord-ovest esploravano per la prima volta lo stesso Oceano al nord deU’America, sco¬ prendo baie, stretti, isole e canali che fanno parte del¬ l’artico ghiacciato labirinto (Frobisher 1567-78, Davis 1585-87). Esaminavano eziandio con maggior cura parte della costa orientale dell’America settentrionale, già scoperta dagli italiani Cabotto e Verazzano, e le impo¬ nevano il nome di Virginia in onore di Elisabetta, la gran regina pulcella che pose le fondamenta della ma¬ rittima possanza inglese (Raleigh 1585), e mandò Draka (1577-80) e Cavendish (1586-88) ad effettuare un secondo c terzo viaggio intorno al mondo. Gli Olandesi, mentre lottavano per la libertà religiosa e politica contro la potente Spagna, e si allestivano a conseguire quel pri¬ mato marittimo che niuno potè contrastar loro nel se¬ colo successivo, esploravano le terre gelate dello Spilg- berg e della Nuova Semlia nell’estremo settentrione (Barentz 1594 ed Heemskerke 1596). 1 francesi, condotti da Giovanni Verazzano (1524) e più tardi da Cartier (1634), scoprirono e colonizzarono il Canadà. In mezzo a questo improvviso ed enorme progresso nella via delle scoperte geografiche, torna doppiamente glorioso per noi il potere citare la testimonianza di au¬ torevolissimi geografi stranieri, in niun modo sospetti di Digitized by LjOOQle 219 parzialità, colla quale alla nostra nazione si assegna non soltanto un onorifico posto, ma il primato anche pel oorso di questo secolo che vide pur troppo il tramonto di nostra gloria, ed un tramonto che non fu ancora susseguito da nuovo crepuscolo (1). Ed infatti fu il vicentino Pigafetta che accompagnato Magellano nel suo giro intorno al globo, ci diede una dilfusa descrizione di questa impresa senza alcun dubbio la più importante del secolo; fu il Giovanni da Verazzano che pel primo guidò i francesi oltre TAtlantico; furono i toscani Gio¬ vanni da Empoli, Andrea Corsali, Filippo Sassetti, ed i veneziani Roncinotta, Federici, Balbi, per tacere d’altri minori, che viaggiarono l’Asia in varie direzioni; fu il veneziano Ramusio che pel primo diè l’esempio di una gran raccolta di viaggi; e finalmente fu in Italia ove sorsero ancora assai più numerosi che altrove e gli eru¬ diti scrittori di cose geografiche ed i cartografi. E quando anche gli Italiani non vantino qui il maggior numero di scopritori, debbesi loro ancora il vanto d’essere stati i maestri degli scopritori stranieri. Antonio Pigafetta vicentino, uomo sufiìcientemente istrutto nelle dottrine cosmografiche de’suoi tempi, tro- vavasi in Roma mentre sedeva sulla scranna di S. Pietro il magnifico Leone X, il papa mecenate. Nel 1519, come dice egli stesso nella dedica della sua relazione a Fi¬ lippo di Villers Tisle Adam, gran maestro dell’Ordine di Rodi, trovavasi egli in Ispagna presso la corte di Carlo V come membro del seguito di monsignor Chiericato, spe¬ dito oratore del pontefice a quel sovrano. La viva smania che sempre aveva nutrito di vedere cose meravigliose e più ancora di farsi un nome che passasse ai posteri, s?accresceva per i discorsi che teneva coi dotti che fre¬ quentavano la casa del prelato, finché offertasi oppor¬ tuna occasione non esitò ad approfittarne. Don Ferdinando Magalhaens, gentiluomo portoghese, già noto per fortunate imprese marittime e per non (1) Vedansi le parole di Pesehel a pag. 85. Digitized by LjOOQle 220 comuni cognizioni (1), crasi condotto al servizio di Spa¬ gna, ed avendo offerto a Ximenes, il celebre ministro di Carlo V, di passare alle isole Molucche, le quali a suo avviso giacevano aU'ovest della linea di demarcazione, ed erano quindi di ragione della Spagna, Tofferta era stata accettata. Quando il Pigafetta seppe che si stava equipaggiando a Siviglia una squadra destinata appunto alla impresa delle Molucche, corse a Barcellona per chie¬ dere al re spagnuolo il permesso di far parte della spe¬ dizione, ed avutolo, passò a Malaga, indi a Siviglia, ove aspettò tre mesi prima che la squadra potesse far vela. Il 20 settembre 1519 partiva da S. Lucar la piccola flot¬ tiglia composta di o navi con 237 persone di equipaggio, delle quali soltanto 18 tornarono in Ispagna su una delle cinque navi, essendo state perdute in vario modo tutte le altre.^Durante il memorando viaggio, che durò tre anni, il vicentino, favorito da fortuna e da egregia sa¬ lute, tenne con mirabile diligenza un esatto diario di tutto ciò che accadeva e di tutte le notizie d'ogni specie che gli veniva fatto raccorrà, sicché reduce in Ispagna poteva offrire a Carlo V una relazione circostanziata? ricca di buon senso e di accuratezza se non di critica (2). Carlo V incaricò Pietro Martire d’Anghiera, nativo del Milanese e da lunga pezza membro del Consiglio delle Indie, di scrivere minutamente la storia di quel primo viaggio intorno al globo, valendosi delle notizie recate da Pigafetta e delle verbali esposizioni de'pochi superstiti. Papa Adriano VI uni le sue alle istanze di re Carlo, del quale era stato il precettore, ed il D’Anghiera mandò infatti il suo manoscritto a Roma poco tempo prima che la morte colpisse il virtuoso Adriano. Non è noto (4) Di lui così scrive il Pigafetta : EgU più gùistamente che homo fossi al mondo caricava et navigava. (2) c Partendome da Seviglia andai a Vagliadolid ove apresentai a > la Sacra Maiestà de Don Carlo, non oro nè argento, ma cose da essere » assai apreciate da nn simil signore, fra le altre cose li detti uno libro > scritto de mia maho de tutte le cose passate de giorno in giorno nel » viaggio nostro >. Digitized by Google 22< che avvenisse di codesto lavoro, che secondo il Ramasio andò perduto nel 1527> quando Roma fu ferocemente saccheggiata dalle bande del fiorane e del Frundsberg. Altre copie furono donate dal viaggiatore ad illustri personaggi, fra le quali una a Luigia di Savoia, regina di Francia, che incaricò certo Fabre di eseguirne una versione francese, come quegli fece infatti sebbene assai negligentemente. Il dottore Carlo Amoretti, dottore del¬ l’Ambrosiana, scopri in questa nostra insigne biblioteca un prezioso manoscritto contenente non il diario, ma una relazione circostanziata del viaggio, scritta se non da Pigafetta, da un contemporaneo e probabilmente co¬ piata dalla relazione stesa dallo stesso viaggiatore sulle sue note originali, e da lui donata a papa Clemente VII, che di questo dono lo aveva richiesto a Monterosi. L’Amoretti lo pubblicò colle stampe in doppia edi¬ zione, l’una italiana, l’altra francese (Milano e Parigi 1800), e noi ce ne serviamo per dare una breve traccia della grande impresa e dell’unico prezioso ragguaglio che ce ne venne per diligenza del celebre nostro com¬ paesano. Il 10 agosto 1519 la squadra, composta delle navi la Trinità, la Vittoria, la Concezione, il Sant’Antonio ed il Santiago, avendo compiti i preparativi e gli approvigio- namenti, parti da Siviglia accompagnata dal saluto delle artiglierie. Il 20 settembre salpò dal porto di San Lucar spingendosi nell’Oceano. Toccò le Canarie, le isole del Capo Verde, le coste di Guinea (Sierra Leena), poi get- tossi attraverso l’Atlantico e toccò le coste del Verzino (Brasile) verso il 23" di lat. meridionale. Proseguendo lentamente il viaggio a mezzogiorno, arrivò nel dicembre ad un ampio seno a quasi 35 gradi di lat. merid. Era la gran bocca del Rio de Solis (oggidì Rio de la Piata), scoperto cinque anni prima (1515) da quell’infelice navigatore che vi era caduto con sessanta compagni preda de’cannibali, mentre moveva in traccia di un passaggio verso occidente. Lo stesso scopo aveva Magel¬ lano, poiché la corte di Spagna non aveva dimenticata Digitized by LjOOqIc 222 la grande idea che propugnò pel primo il Vespucci; Si dovesse cercare la via alle isole delle Spezierie, navi¬ gando verso occidente, cioè costeggiando e girando possi¬ bilmente le nuove terre scoperte ad occidente. Movendo sem¬ pre innanzi verso il sud, la squadra arrivò ad un porto cui si diede il nome di S. Giuliano. Essendo giunto già il maggio (1520), che segna in quelle regioni il princi¬ piare del verno, il capitano generale'fissò che quivi si svernasse. I disagi, la stretta economia ch'egli osservava nella distribuzione de’viveri, ma più di ogni altra cosa Tavversione che i capitani delle singole navi portavano a Magellano che, come portoghese, consideravano stra¬ niero, fecero si che si tramasse contro di lui una fiera cospirazione. Scopertala, il capitano generale la sventò con rapida energia, ponendo a morte Luigi de Mendoza capitano della \ittoria e Gasparo de Quesada capitano della Concezione, ed abbandonando a terra Giovanni da Cartagena capitano del Sant*Antonio. La flotta era già da due mesi a porto S. Giuliano, nè s’era pur veduto un solo nativo. Un giorno, quando meno lo si aspettava, comparve sul lido un uomo di statura gigantesca. Can¬ tava e danzava con movimenti da forsennato e nello stesso tempo si gettava polvere sul capo. Si strinse con lui amicizia, e ben tosto accorsero d'ogni lato altri in¬ digeni tutti di statura molto alta. Si meravigliavano di vedere navi cosi grosse-e uomini cosi piccoli. Il ca¬ pitano impose a quel popolo il nome di Patagones, che significa in ispagnuolo, dai piedi mal formati, perchè infatti portano scarpe di pelle di guanaco, fatte così grossolanamente che i loro piedi somigliano a quelli del guanaco, specie di lama che conducevano con esso loro. Nell’agosto 1520 si lasciò Porto San Giuliano, movendo sempre verso il sud. Dopo varie fermate qua e là lungo la costa fredda e deserta ma non priva di seni, si giunse nell’ottobre a quello stretto che porta ora il nome del glorioso scopritore. Pi gaietta narra che Magellano ne aveva contezza per averlo visto disegnato su una carta Digitized by LjOOQle ^23 di Martino di Behaim (i); la qual cosa è a torto am¬ messa come possibile dalì’Amoretti, ed è a ragione negata dal De Mùrz che pure scrisse la vita e le doti di cotesto eccellente cosmografo. Anche Peschel osserva che non era possibile che Martino avesse cognizione di quel pas¬ saggio 5 e che in realtà la scoperta parve sì straordi¬ naria che gli stessi marinari di Magellano ne dubita¬ rono, finché al capo Desiderato si apri loro innanzi il grande Oceano e trovarono necessario supporre avere già avuto il capitano contezza di quel canale sì tortuoso, angusto e nascosto da alti promontorii. Il capo che na¬ sconde lo stretto dal lato di settentrione fu varcato il 21 ottobre, giorno sacro a S. Orsola, onde fu detto delle undicimila vergini. L’ingresso del canale ha Taspetto di una baia. Le due navi che vi entrarono per esaminarlo, sbattute dalla burrasca, cercarono un piccolo seno ove ricoverarsi e trovarono che codesto seno non era che la continuazione della baia. Attraversatolo, scorsero un’ altra baia, indi un altro seno, e cosi una successione di bracci di mare che, avvallati fra alti monti, carichi di neve, costruiscono un sol canale di variante larghezza, profondissimo, lungo circa cento miglia. Le due navi percorsero il canale per un tratto, poi ritornarono verso la Vittoria che stava ancorata all’ingresso di esso e che da due giorni aspettava ansiosamente l’esito dell’esplo¬ razione. « Due giorni (così narra Pigafetta ) erano trascorsi senza che si vedessero comparire i due legni mandati ad esplorare la baia, sicché noi li credevamo perduti in quella stessa burrasca che ci aveva poco prima grandemente minacciati. Ad un tratto li vedemmo venire verso di noi a piene vele, colle bandiere spiegate, e giunti a breve distanza tirare colpi d'artiglieria, e man¬ dare urli di gioia. Quando sentimmo che la baia s’apriva in un’altra e che tutto indicava uno stretto, ci mettemmo (l) « 11 capitano generale che sapeva de dover fare la sua naviga- > zione per uno streto motto ascoso, come vide ne la thesoraria del re » de Portugal in una carta fata per quello excellentissimo huomo > Martin de Boemia, mandò due navi, ecc. ». Digitized by LjOOqIc 224 tutti di conserva per continuare la nostra via in quella direzione ». Dodici giorni durò la navigazione nello stretto pieno di scogli e d’isolette e con rive frasta- gliate da innumerevoli baie, parecchie delle quali viste da lungi hanno apparenza di canali. Il 27 novembre con gioia universale si raggiunse il capo (che si disse Deseado o Desiderato) che chiude il canale verso occi¬ dente e dal quale può dominarsi collo sguardo il grande Oceano. Delle cinque navi tre sole restarono a Magellano, giacché il Santiago aveva fatto naufragio sulle coste di Patagonia, ed il Sant*Antonio aveva approfittato della lontananza in cui si trovava per disertare e ritornarsene in Spagna, dopo aver gettato in ceppi Alvaro de Meschita, nominato da Magellano al comando del legno in occa¬ sione della sedizione di porto S. Giuliano (1). Il 28 novembre la piccola flottiglia usci dallo stretto e non atterrita da tante contrarietà e pericoli si spinse a piene vele neirimmenso ed ignoto Oceano che le stava innanzi. Della gran costa occidentale americana non si scoprì la menoma parte, giacché la flottiglia, raggiunta rimboccatura del canale, se ne allontanò tosto. Presa la direzione di maestro (nord-ovest) per lo spazio di tre mesi e venti giorni navigò nelle immense acque, senza trovare alcuno dei molti arcipelaghi disseminati nel Grande Oceano, ad eccezione di due isolette deserte che si dissero Desventuradas e fanno parte di quel gruppo che da’navigatori posteriori ebbe il nome di Isole della Società. Varcata la linea equinoziale all’incirca sotto (f) Che Magellano non avesse alcuna idea dell’esistenza del canale da lui scoperto provasi specialmente da dne fatti. 11 primo, che par¬ lando del suo piano coi vescovo Fonseca aveva manifestato la speranza di trovare un passaggio immediatamente al sud del Capo S. Maria (venti gradi più ai nord del canale scoperto); il secondo che, a quanto narra Pigafetta, aveva manifestato ai capitani l’intenzione di navigare a mezzodì fino al 75^ (venti gradi più al sud del canale scoperto) in cerca dei passaggio, e quando noi trovasse volgere le prore ad Oriente ^e recarsi alle Molucche per la via già seguita da altri navigatori por¬ toghesi. Digitized by Google 2S5 il i24° meridiano alV ovest dell’isola del Ferro, Magel¬ lano prese la direzione di occidente e giunse alle isole Filippine il 16 marzo 1521. Diede al mare attraversato l’epiteto di Pacifico^ perchè non vi soffri la menoma tempesta. Il re dell’isola di Zebù, una delle Filippine, lo accolse con tanta cortesia che si riconobbe vassallo del re di Spagna e consenti ad abbracciare il cristianesimo. Un nativo di Malacca, che aveva accompagnato la spe¬ dizione spagnuola, serviva d’interprete cogli indigeni, i quali, confidando nella protezione dei nuovi arrivati, chiesero ed ottennero il loro aiuto in una guerra con un re della vicina isola di Mattam. Lo stesso capitano generale guidò gli assalti, ma circondato da numerose moltitudini dovette cedere e trovò la morte, mentre combattendo si ritirava. Cosi peri il grand’uomo, il cui nome va inseparabilmente congiunto alla più ardimen¬ tosa fra le navigazioni (27 aprile 1521). Ucciso il Magellano , divenuto ostile il re di Zebù, morti non pochi fra gli sbarcati, gli Spagnuoli trovan¬ dosi troppo scemati in numero per governare tre navi posero fuoco alla Cowccziowe e colle altre due fecero vela per le Molucche. Toccarono rarcipelago delle Cagayan, l’isola di Palawan, la costa settentrionale di Borneo, e poi, reduci alle Filippine, passarono fra le coste di Min- danao e Basilan, d’onde, veleggiando verso il mezzodì e passando presso le isole Sangir, giunsero alle tanto deside¬ rate isole Molucche, che sulle stranissime carte unite alla relazione di Pigafetta sono segnate col nome di Malucco. « Rendemmo grazie al Signore ( scrive Pigafetta ) ed in segno di riconoscenza scaricammo tutte le artiglierie. Ninno si faccia meraviglia della sì gran gioia da noi provata vedendo coteste isole, poiché erano ornai quasi ventisette mesi che noi correvamo i mari in traccia di esse ». Il sultano di Tidore, una delle Molucche, ricevette con gioia gli Spagnuoli, massimamente quando li seppe ostili ai Portoghesi, che avevano preso a proteggere il re di Ternate suo personale nemico. In quest’isola Pi- i5 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani, Digitized by LjOOQle m gafetta trovò il portoghese Alfonso di Lorosa il quale^ non poco maravigliato deir improvvisa appariz one di navi spagnuole venute per via affatto opposta a quella battuta lino allora dai suoi compatrioti, gli disse che già da dieci anni trovavasi alle Molucche, e che da un ga¬ leone portoghese venuto a Tidore un anno prima aveva avuto notizia della spedizione di Magellano e deirallarme ch’essa aveva suscitato in Portogallo. Il 21 dicembre 1521 la nave Vittoria carica di garofani salpò da Tidore per la Spagna, ma la Trinità era in istato cosi cattivo che la si dovette abbandonare e di¬ venne preda dei Portoghesi. Molti dell’equipaggio non volendo esporsi alla fame, allo scorbuto, ed ai rischi infinita del lungo viaggio che ancora restava a fare, preferirono fermarsi nell’ isola, pienamente confidando nelle cortesissime parole del re indigeno. Il comando della Vittoria fu allìdato a Sebastiano del Cano, degno luogotenente del grande Magellano. Egli condusse con rara abilità la sua nave, sebbene sdruscita ed assai ca¬ rica, attraverso il labirinto della Sunda alle isole di Amboina, Buru, e Timor. L’il febbraio del 1522 abbandonate quest’isole si spinse arditamente nel grande Oceano Indiano, e, lasciando a destra Sumatra e tutte le terre asiatiche, navigò diretta- mente al Capo di Buona Speranza che varcò il 6 maggio. Il 9 luglio approdò alle isole del Capo Verde dopo aver perduto per fame e disagi metà del l’equipaggio. Qui Piga- fetta si accorse d’aver perduto un giorno, e ne fu sulle prime sorpreso'; ma riflettendo poscia che la aveva girato il globo da levante a ponente cioè nella direzione del moto diurno del sole, capi che questo astro doveva necessariamente aver fatto, rispetto alla nave, una rivolu¬ zione di meno in paragone di quelle fatte relativamente a qualunque punto fisso della superficie del globo. Il suo giornale infatti tenuto con molta accuratezza giorno per giorno segnava mercoledì mentre alle isole del Capo Verde era un giovedì. Una scialuppa con 13 uomini spedita terra per fare provvista di viveri fu dai Portoghesi arre- Digitized by LjOOQle m stata perchè un marinaio ebbe Timprudenza di dire che la Vittoria faceva parte, anzi era runico avanzo della fah mosa spedizione di Magellano. Il 6 settembre 1522 la nave rientrò nel porto di San Lucar con soli 18 uomini a bordo, essendo tutti gli altri 0 disertati, o morti per malattie, o uccisi in guerra. 1 pochi superstiti, sciogliendo un antico voto, sbarcati a Siviglia, anelarono in camicia ed a piedi nudi con un cero in mano a visitare la chiesa di Santa Maria d’An¬ tigua. La Vittoria fu tratta a terra e conservata a lungo come monumento del gran viaggio e memoria deiri- narrivabile Magellano che con tanta fermezza ed avve¬ dutezza avea condotta l'impresa fin là ove, per gli ante¬ riori viaggi dei portoghesi, più facile diveniva il condurlo a buon termine. Pigafetta presentossi a Carlo V in Vaglià-» dolid, e mentre il d’Anghiera scriveva per incarico di quel potente quella ufficiale relazione che andò smarrita, il nostro vicentino recavasi alle corti di Portogallo e Francia e lasciava quel racconto, che, giunto fino a noi, valse a salvare dalfobblio la grande impresa del primo viaggio intorno alla terra. Pigafetta è un po' troppo credulo; ma la sua diligenza e buona fede è fuor di ogni sospetto, ed è comprovata anche dai brevi vocabolari delle lingue ìbra- siliatia, patagona, e molucchese che inserisce in vari punti del suo racconto. ^ Il maraviglioso viaggio di Magellano non fu fatto senza il concorso degli Italiani. Nei documenti relativi pubbli¬ cati dal Navarrete fra i nomi dei marinai il Canale trovò registrati ventisei Italiani, dei quali ventuno genovesi. Undici erano imbarcati sulla Trinità, due sul S. Antonio^ tre sulla Concezione, sei sulla Vittoria, quattro sul S. Gia¬ como, evi figurano coi diversi ufficii di maestri, car^ pentieri, calafatti, tonnellieri, timonieri, e marinai. Dopo il Pigafetta, il quale occupava un posto distinto presso il capitano generale, merita menzione il savonese Leon Pancaldo, uno dei diciotto superstiti della Vittoria. Lo storico savonese Verzellino racconta che Leone, tornato in patria, si facesse dipingere sulla facciata della su4 Digitized by Google S28 casa con in mano Tastrolabio, colle isole scoperte a lui dintorno, e coiriscrizione : Io son Leon Pancaldo savonese Che il mondo tutto rivoltai a tondo, Le grand'isole incognite e il paese D'antipodi già vidi, e ancor giocondo Pensava rivederlo: ma comprese L’invitto re di Portogai che al mondo Di ciò lume daria: però con patti Ch’io non torni mi dièduemil ducatti. Secondo il medesimo storico questa non sarebbe una fiaba; giacché il re portoghese avrebbe in realtà fatto sborsare una somma ai Pancaìdo colla condizione di non somministrare a chicchessia carte o dati che servissero di norma per rifare il viaggio. Aggiunge il Canale che Leon Pancaldo nel 1535 veleggiò sopra una sua nave verso 10 stretto magellanico di conserva con un galeone di Pietro Vivaldi genovese, ma che, annegatosi nel golfo dèlia Piata, la spedizione venne ricondotta in patria dal Vivaldi. Anche il Pancaldo, se dobbiamo credere al Ver¬ zellino , scrisse una relazione del viaggio che andò smarrita. Appena la Vittoria ebbe recato in Europa la notizia dello stretto magellanico alPestremità meridionale del- TAmerica, si suppose tosto che se la natura aveva os¬ servata una tal quale simmetria nel costruire il nuovo mondo e se il Creatore aveva avuto qualche riguardo ai comodi del commercio europeo, avrebbe dovuto esi¬ stere anche a settentrione un analogo passaggio dal- rOceano Atlantico al Pacifico. Adescato da tale speranza, 11 cavalleresco re di Francia Francesco I spedi nel 1524 quattro vele verso occidente, e ne diede il comando al fiorentino Giovanni da Verazzano, coirincarico di esplo¬ rare attentamente la costa americana dalla Florida verso settentrione. La vita ed il viaggio di questo nostro na¬ vigatore sarebbe rimasta completamente avvolta nel- Voscurità senza una lettera da lui diretta da Dieppe P8 luglio 1524 al re Francesco; la quale, pubblicata la prima Digitized by LjOOQle 229 volta dal Rarausio nel 3° voi. della sua Raccolta, venne ripubblicata nel 1841 dal sig. Giorgio Greene negli Atti della Società storica di New York, e nel 1853 dal signor Giuseppe Arcangeli nel 9'’ volume deirAppendice alla prima serie deWArchivio storico italiano. Tanto il Greene che r Arcangeli fra i commenti alla lettera inserirono ^ altra lettera di Ferdinando Carli, mercante fiorentino \!<. residente a Lione, scritta al padre che era a Firenze; ma essa non contribuisce gran fatto a schiarire Firn- presa del Verazzano. Le memorie del navigatore pare bensì che si conservassero negli archivi di sua famiglia, , ma che andassero perdute in occasione del memorando assedio di Firenze nel 1530. Tale almeno è T opinione del Ramusio e del padre camaldolese Cateni, che nel 1767 pubblicò Felogio del Verazzano insieme a quelli d’altri illustri toscani. Giovandoci adunque della lettera citata (1) daremo qualche cenno su questo viaggio cui non può negarsi molta importanza, massimamente se uno ne considera il tempo, e fra le circostanze questa, che fu il primo viaggio, fatto da Francesi a lontani lidi. Partì con quattro navi; ma due di esse furono ben presto ridotte a mal partito dalle burrasche. Colle altre due, la Normanda cioè e la Delfina^ si ricoverò in un porto della Bretagna; poi prese a trascor¬ rere ostilmente i lidi di Spagna, paese col quale Francesco aveva guerra. Colla Delfina (non è noto che avvenisse del¬ l’altra nave)salpò il 17 gennaio 1523 da un «deserto sco¬ pulo propinquo a Madera » contando cinquanta uomini d’equipaggio, armi in gran copia, e vettovaglie per otto mesi. Prospero vento lo trasportò rapidamente verso occi¬ dente per più di 800 leghe nello spazio di 25 giorni. Il 24 febbraio si ebbe a lottare con una furiosa procella, supe- (1) Incomincia così: « Da poi la fortuna passata nelle piagge set¬ tentrionali, serenissimo re, non scrissi a vostra serenissima e cristia¬ nissima maestà quello che era seguito dclli quattro legni che quella mandò per lo Oceano a discoprire nuove terre, pensando di tutto sia stata certificata, come dalla impetuosa forza dì v«nti fummo consU^etti con solo U nave N&rmanda e la Delfina afflitte^ rù^^orrere in Bretagna, eeej^> Digitized by LjOOqIc 230 rata la quale, si continui nella direzione di maestro o nord-ovest per altre 400 leghe. Qui si trovò « una nuova terra mai da alcuno antico o moderno vista (1) la quale correva verso austro ed era abitata ». La co¬ steggiò per 50 leghe verso il Sud senza trovare un porto, onde volse a settentrione. A circa 34 gradi di latitu¬ dine (airincirca ove è oggi Wilmington nella Carolina settentrionale) sbarcò, e trovò un paese di clima tem¬ perato, con rare pioggie, e brine poco fitte e tosto di¬ sperse dai raggi solari. Gli indigeni erano di bello aspetto, e d’indole dolce e svegliata. Cinquanta leghe più al nord, rasentando sempre il lido che volge a nord-est o greco si vide un altro tratto di costa molto ameno e pieno di vastissime selve. Il passaggio al Calai (Cina di Marco Polo) non si trovava; la costa anziché volgere a ponente, vol¬ geva a levante. Gli abitanti erano di carnagione più bianca, coprivansi di foglie di albero e cibavansi di legumi dei quali abbondano, oppure di pesci e di uccelli che pi¬ gliano con lacci o cogli archi. Il suolo era smaltato di fiori e ricoperto di erbe rigogliose. Dopo tre giorni di fermata si continuò il viaggio nella stessa direzione ed in capo a 100 leghe si trovò un luogo molto deli¬ zioso ove fra colli piuttosto alti vedesi sboccare in mare un gran fiume (Hudson?). Levate le àncore, anche da questo punto si navigò verso est (che cosi la costa tornava) per 80 leghe sempre a vista di terra, e si scopri un’isola triangolare lontana IO leghe dal continente, grande aH’incirca come l’isola di Ròdi, piena di colli e popolata. Le si impose il nome di Luigia di Savoia, madre del re Francesco « in onore della vostra clarissima genitrice* come dice il testo. Non potendo approdarvi pel tempo contrario, si passò ad tin altro punto distante 15 leghe, ove si apre un bellissimo porto. Questa terra è situata sullo stesso parallelo di Roma, a gradi 41 e due terzi, ma è alquanto più fredda.' > (1) Il Vcramno phctmbllmeiite non aveva notizia dèi viaggio ese^' ipiito da S^mstiaiur Gaùotto hmgo le stésse coste ^ anni priina. Digitized by LjOOqIc 234 Il porto s’apre verso austro, ha Tingresso largo mezza lega, e si interna per i2 leghe descrivendo un circolo di forse venti leghe di giro. Contiene cinque isolette, e potrebbe servire di ricetto per qualsiasi tlotta. Air in¬ gresso del porto vi sono ameni colli, ed in mezzo alle acque uno scoglio facilmente fortificato (i). Essendo ol¬ tremodo amichevole r accoglienza degli indigeni e dei loro capi « fummo più volte infra terra cinque o sei leghe, quale trovammo tanto amena quanto narrare sia possibile, atta ad ogni genere di coltura: frumento, vino, olio; imperocché vi sono campagne lunghe da 25 a 30 leghe aperte et nude d'ogni impedimento d’arbori, e di tanta fertilità che qualsivoglia seme vi produrrebbe ot¬ timo frutto ». Il 6 maggio si lasciò il porto e si costeg¬ giò per leghe 150 un lido molto uniforme, che per altre leghe 50 volge poi quasi in diretta linea verso Toriente. hi capo a questo spazio si vide una terra alta, piena di selve, popolata da gente rozza oltremodo, vestita di pelli di orsi e lupi. Vive di caccia e pesca, essendo il suolo quasi affatto sterile. Si sbarcò, ma Taccoglienza ostile di costoro persuase a riprendere il largo. Per oltre 50 leghe più innanzi il lido corre fra oriente e settentrione, ed ha un aspetto grandioso, e spoglio di selve, ma pieno di monti che scendono gradatamente al mare. Qui si discoprirono 32 isole tutte vicine alla costa, piccole e di grazioso aspetto, molto somiglianti a quelle che sono nel seno Adriatico ed appartengono ali’llliria ed alla Dalmazia^ Navigando (Quindi fra subsolano (oriente) ed aquilone (nord) per lo spazio di leghe 150, e già man¬ cando le vettovaglie, vedendo di avere scoperto almeno 700 leghe di nuove terre^ fu deciso di far provvista d'a¬ rci) Di rado avviene che si possano con certezza indicare i nomi moderni corrispondenti ai luoghi con tanta incertezza di espressione citati dagli antichi viaggiatori. Qui però ci è di gran soccorso Tindi- eazione della latitudine, sicché pare che Pisola Luisa fosse quellà che dicesi oggigiorno Block all’ingresso dello stretto di Long Island, e la baia quella che adesso si dice di Narsagansett o di Newport nello Stufò 4L Rbode Istand.. Digitized by LjOOQle 232 equa e legna e di far ritoruo in Francia. Nei primi di luglio del 1524, circa sei mesi dopo la partenza da Ma¬ dera, il Verazzano rientrava in Dieppe e scriveva la sua lettera al re Francesco, dandogli notizia del felice viaggio* Questa si chiude con una esposizione affatto tecnica del viaggio, la quale ci ricorda un’opera maggiore scritta dal Verazzano sul sistema nautico in genere, e che andò sfortunatamente smarrita. Un mese dopo il Carli scriveva da Lione la lettera già accennata, dalla quale risulta Taltissima opinione che si aveva in Francia del navigatore fiorentino. Dande contezza al padre del viaggio testé compito dal Veraz¬ zano, scopritore di una Nuova Francia, lo si paragona a Vespucci ed a Magellano, poi si esprime la speranza che ripartendo egli con navi migliori avrebbe « scoperto qualche profittoso traffico, e, prestandogli vita nostro Si¬ gnore Dio, avrebbe fatto onore alla nostra patria da acquistarne immortale fama ed onore ». La più fìtta oscurità copre il secondo viaggio e la fine del naviga¬ tore. Alcuni vogliono che dopo la sgraziata battaglia di Pavia (1525) passasse al soldo inglese, ed adducono in prova una carta della costa "americana offerta dal Ve¬ razzano ad Enrico Vili; altri che cadesse in mano dei Baschi e fosse posto a morte in Ispagna; altri finalmente che fosse con alcuni compagni ucciso e divorato in uno sbarco fatto nelle nuove terre. Quest’ultima opinione, espressa e stampata dal Ramusio in Venezia verso la metà del secolo e quindi qualche decennio dopo il fatto, pare fosse in allora generalmente accettata, e pare quindi la più probabile. Ella è cosa assai gloriosa per l’Italia « cosi notano gli autori della Raccolta dei Viaggi » che le tre potenze fra le quali dividesi oggi quasi tutta l’America, deb¬ bano agli Italiani le loro prime conquiste, i Castigliani ad un genovese, il Colombo; gli Inglesi a due veneziani, i Cabotto ; ed i Francesi ad un fiorentino, il Verazzano ». E poco diversamente un celebre geologo contemporaneo tedesco, il signor Enrico Berghaus, cosi si esprime:. Digitized by LjOOQle 833 « Quando si consideri che la Spagna si giovò dell'opera di Colombo, l’Inghilterra di quella dei Cabotto, la Francia i di quella del Verazzano, il Portogallo di quella del Ca- damosto, bisogna ammettere che in fatto di cose marit¬ time gli Italiani superavano allora tutte le altre na¬ zioni, sebbene i frutti dei loro viaggi servissero soltanto ad arricchire altrui, nè restasse all’Italia un palmo solo dei tanti territorii scoperti ». Questa fu pur troppo la conseguenza del nostro sminuzzamento territoriale, delle nostre gare, e della mancanza di un unico e forte centro direttivo. Volgiamoci ora ai viaggi d’Asia. Mentre i Portoghesi.! per le vie di mare toccavano in questo secolo la maggior ^ parte delle coste asiatiche, gli Italiani continuarono a " visitar l’Asia per la via di terra, più breve, ma assai più difficile, e più ricca di utili risultati per i fatti che promettea raccogliere circa gli usi dei popoli che sten- donsi dall’Egeo alle isole della Sunda. Ninno percorse le orme di Polo e degli altri viaggiatori del secolo xiii andando pel centro alla Cina. Quasi tutti videro in¬ vece la Persia, l’India, ed alcuni anche Malacca e le isole dell’estremo Oriente. Il primo che ci si presenti nell’or¬ dine cronologico è il toscano Giovanni da Empoli, il quale accompagnò le grandi spedizioni de’ Portoghesi verso Oriente, nel modo stesso che il Pigafetta poco dopo accompagnò la grande spedizione degli Spagnnoli sotto Magellano verso Occidente. Partiva da Lisbona per Cal¬ cutta il 6 aprile 1S03 colla armata del celebre Alfonso di Albuquerque composta di quattro navi: il S. Giacomo, il S. Spirilo, il S. Cristoforo e la Catterina Dies. Costeggiata la terra del Brasile « altra volta discoperta per Amerigo Ye- apucct»,come dice la relazione pubblicata nel 1° voi,del Ramusio, varcarono il Capo di Buona Speranza. Assaliti da furiosa tempesta, la Catterina Dies andò sommersa, e le altre navi si ricoverarono nel porto di S. Biagio. Da questo movendo, attraversarono l’Oceano Indiano e ap¬ prodarono a Cananpr, sulle coste del Malabar, da dove passarono a Cochin, posto più a mezzodì. Quivi nacqup Digitized by LjOOqIc 434 qiléstione pér il carico^ la divisione delle spéziérie'; laonde Giovanni con alcnni altri si staccò dalla spedi* zione e recossi 280 miglia più innanzi nel reame di Gulom 0 Cnlong « nel quale non era snto giamai persona a dis¬ coprirla». Accolti assai bene e provvedutisi delle mer¬ canzie che desideravano, tornarono a Lisbona nel set¬ tembre del 4504 (1). Si fecero loro molte allegrezze; ma, dice Giovanni: « per molte allegrezze eh’ havessino, sono certo che la nostra fu molto maggiore». Poco dopo pre¬ sentava al re la relazione del viaggio. Percorsa la Fiandra, la Francia, e l’Italia, Giovanni restituivasi a Lisbona, donde salpava una seconda volta nel marzo 4809 sulle navi comandate da Diego di Vasconcellos, il quale aveva ordine di navigare al paese di Malacca e doveva agire indipendentemente dall’Albuquerque, capitano generale dei Portoghesi neU’Asia. Erano con Giovanni anche il fio¬ rentino Leonardo Nardi. Girata l'Africa non senza grandi pericoli, presentarono lettere reali al sovrano di Melinda; poi attraversato il mare della Mecca (golfo Arabico) ven¬ nero a Goa. Qui abboccatisi con Albuquerque, si accor¬ sero quanto lo sdegnasse IMndipendenza accordata lóro dal re. Il generale finse di rispettare l’ordine, ma in¬ tanto fece ogni sforzo per impedire il viaggio a Malacca, e volle che le navi dèi Vasconcellos lo accompagnas¬ sero a Cananor, poi all’assedio di Goa. Espugnata questa città, l’Albuquerque fece imprigionare il Vasconcellos, e mosse egli stesso verso Malacca. A Pidir nel regno di Achim (Sumatra) ed in altri punti Giovanni ebbe l’in¬ carico di scendere a terra per negoziare con quei capì barbari a nome del re di Portogallo e trattare con essi d’ogni cosa relativa alle mercanzie. Non sempre si poteva ottenere l’intento con modi amichevoli, onde la città di Malacca dovette èssere occupata à viva forza. Da Malacca èi tornò a Coccin, neirindia, ma poco dopo il lorn arrivo f . ’ .C ' ' ‘ ' ■ ■ — v (1) Verso questo tempo (15Ó5) il rapitane genovese Emanuele da lassano difcmdeVa valorosamente la rocca che 1 Portoghesi avevano nelUe isole ÀQcheelié. ^ ^ H ^ Digitized by LjOOQle 235 il òàpitano géneralé ingiunse all’itàliano di tornare a Malacca per riCondui^re le tre navi che vi erano rimaste. Rintuzzato un attacco di genti venute da Giava per ri¬ porre in trono l’espulso re malese, Giovanni salpò colle tre navi, ed attraversato il golfo bengalico fra mille stenti, per il pessimo stato dei legni e l’ammutinamento dei Mori prigionieri, raggiunse il capitano generale a Goa. Questi voleva mandarlo governatore a Malacca, ma, non sentendovisi disposto, il nostro Giovanni si mise se¬ gretamente in via per l’Europa, e toccò a Lisbòna nel¬ l’agosto 15Ì4. Il re lo accolse bene e gli diede incarico di fondare una fattoria in Sumatra, coll’autorizzazione di navigar oltre fino alla Cina se l'impresa non attec¬ chisse. Giovanni parti adunque per la terza volta nell’a¬ prile 1515 in compagnia di un Benedetto Pucci, fioren¬ tino, e di un Alessandro Galli, detto Torello di Casen¬ tino. Il fuoco appiccatosi alle navi ed altre contrarietà persuasero Giovanni a desistere dall’impresa divisata e a far vela da Sumatra alla Cina. Qui approdò a Sin- gam-hìen presso Macao, ove un contagio tolse di vita Ini co’suoi due compagni fiorentini e moltissimi altri dell* equipaggio (1518). Le relazioni del primo viaggio furono pubblicate dal Ramusio; quelle dei posteriori nel¬ l’Appendice dell’.i4rfAtPto borico italiano dal Canestrini e dal Graberg de Hemsò. Sono interessanti per le molte notizie sui paesi littorali d’Africa ed Asia, e per la luce non troppo favorevole che gettano suU’Albuqnerque e le prime conquiste asiatiche dei Portoghesi. Contemporaneamente ai viaggi dell’ Empoli avveni¬ vano quelli del bolognese Lodovico Barthema, del quale il Ramusio pubblicò l’itinerario diviso in sette libri. Viaggiò tutta l’Asia meridionale negli anni 1505, 1506, 1507, e dedicò la narrazione ricchissima di minuti par¬ ticolari, di avventure, di scherzi umoristici, a madama Agnetina, moglie-di Fabrizio Colonna. Nel primo libro tratta dei Cairo, di Barutti (Ba!mt),di Aleppo,di Damasco, della Mecca e di altri luoghi dell’Arabia; nel secondo dell’Arabia felice, e quindi dei coOtumi dei Becluh)i,‘9ella Digitized. by LjOOqIc 236 città di Aden (ove era un sultano, la cui moglie si inna* morò neramente del nostro autore), del porto di Zeila, e di altri di Etiopia. Il terzo libro è consacrato alla Persia. Vi si discorre di Ormus, di Siras, e di Sciaul. Il quarto parla dell’India. Visitata Gambata alla foce dell’Indo, poi Dabuli, Goa, venne all’isola Ancediva ed a Baticala, poi a Sintacor, Gnor, Mangalor, e Cananor. Da questi luoghi tutti marittimi mosse verso l’interno del Decan e vide Biggianagar, città.dotata « di tutte le gentilezze possibili ad essere, ed in bellezza e sito molto simile a Milano ». Vi ridede il re di Narfinga, il cui paese si stende dall’uno all’altro mare, come è, per esempio, di Napoli. Ritenuto alla costa del mare arabico, visitò Tromapatan, Pandaran, Capogatto, ed infine Calicut. Qui incomincia il quinto libro. Vi si discorre del modo di vivere, di combattere, di mangiare, delle cerimonie in uso a Calicut^ delle navi e modo di navigare, dei pa> lazzi e tesori del re, del pepe, gengiovo ed altri prodotti, de’medici, de’banchieri, e cambiatori.il sesto libro de¬ dicato come il quinto all’India incomincia colla defini¬ zione di Culong. Da questa città, seguendo la relazione, l’autore'varca il Capo Comorino, vede Colmandel dirim¬ petto all’isola di Ceilan, poi quest’isola ricca di pietre preziose, indi Polikate e Ternassari sulla costa del Coro- mandel. A Ternassari gli occorse una graziosa avventura, che avrà fatto certamente qualche senso a madama Agne- sina. Undici giornate di mare lo portarono a Bengalla, lontana 700 miglia. Di quivi, attraversando un golfo verso mezzodi, venne al Pegu, lontano mille miglia da Ben¬ galla. Il re riluceva come il sole per le tante gioie che lo coprivano. Dal Pegu, in otto giorni di navigazione, venne a Malacca, poi alle grandi isole di Sumatra, Bandan, Borneo, Giara, e Maluc. Da Giara, per Malacca, tornò il Barthema a Calicut. < Qui trovammo duoi christiani, li quali erano milanesi; uno si chiamava Giovanni Maria, l’altro Pietro Antonio, et erano venuti di Portogallo colla nave di Portoghesi per comprar gioje ad istanza del re. £. quando furqnn. giunti in Goccio, se ne fuggii Digitized by LjOOqIc 237 rono a Càlicot: vedendo questi duci christiarìi, vera¬ mente non ebbi mai la maggiore allegrezza. Andavano nudi, alVusanza del paese. Io li dimandai s’erano cliri- stiani; rispose Giovan Maria: si sem ben noi; et poi Pietro Antonio dimandò a me s'io era chrisliano, gli risposi di si. Laudato sia Dio! allora mi prese per la mano et menommi in casa sua, dove giunti cominciammo ad ab¬ bracciarci l’un Taltro, et baciarci et piangere. Veramente io non poteva parlar christianoet mi parca averla lingua grossa ed impedita, perchè io era stato quattro anni che non aveva parlato con christiani. Quella notte stetti con loro, nè mai alcun di noi potè mangiare et manco dor¬ mire solamente per la tanta allegrezza che havevamo, pensate che noi haressemo voluto che quella notte ha- vesse durato un anno per ragionare ciascuno di tante cose ». I due Milanesi raccontarono come, postisi al ser¬ vizio del re di Calicut, gli avevano insegnata l’arte di fondere e di adoprare le artiglierie; che sarebbero ben volentieri tornati in patria, giacché ripugnava loro ser¬ vire gli Infedeli, ma che troppo temevano di essere presi dai Portoghesi, che li avrebbero puniti della di¬ serzione e del grave danno loro arrecato. Staccatosi dai compatriotti, il Barthema trovò modo di venire a Ca- nanor e di rifuggirsi nel forte costrutto dai Portoghesi. Descrive qui la feroce guerra fra questi e gli indigeni, durante la quale fu dai primi mandato fattore a Cananor, dove riseppe la fine miseranda dei due Milanesi,che erano stati uccisi, dopo valorosissima resistenza, per sospettata# connivenza coi Portoghesi. Il settimo ed ultimo libro, consacrato alfEtiopia, parla dei possedimenti portoghesi sulla costa orientale africana e nelle isole di Socotora e Mozambico fino al Capo-di Buona Speranza. A Li¬ sbona il re accolse cortesemente il Barthema e gli con¬ fermò col reai sigillo la « charta di cavalleria » che già era stata concessa al nostro viaggiatore da’ suoi luogo- tenenti nell’India. Diremo brevemente di altri nostri viaggiatori, contem¬ poranei 0 di poco posteriori a Giovanni da Empoli ed Digitized by LjOOQle 338 a Barthenra, xam perchè i loro viaggi oflErano grai^è novità ed interesse, ma perchè nessuno sia affatto di¬ menticato e perchè risulti evidentemente la frequenza con cui in quel secolo gl’italiani percorrevarro le re¬ gioni asiatiche, che ora vedono si di rado malgrado le comunicazioni rese infinitamente più facili dalle ferrovie e dalle grandi linee di navigazione a* vapore. Verso il 1510 un anonimo mercante veneziano che par¬ lava correntemente l’arabo, vi turco, ed il persiano, soggiornò otto anni in Persia e ci lasciò una descrizione delle sue peregrinazioni da Aleppo ad Orfa, a Caramid, a Mirdin (posta sur un monte che domina la pianura fra Orfa e Bagadet), a Gizira (in un’isola del Set affluente del- l’Eufrate), ad Asanchif (capitale popolatissima del Diar- bekir), a Totovan (castello sur un monte che si avanza nel gran lago di Van, lungo 300 e largo 150 miglia), a Van, a Coi, a Sophian, e a Tauris, che gira 24 miglia ed è ricca di edilicii, l>agni, acquedotti, moschee, e palazzi magnifici, fra i quali quello oltre ogni dire sontuosissimo di Ussun-Cassan. La seconda parte della narrazione è affatto storica e descrive le guerre di Ussun-Cassan (PAssan-bei dei Veneziani) e Caloianni, signore di Trebi- sonda, contro il soldano di Persia, fermandosi a preferenza sulle guerre di Sceik Ismael, secondo successore di Ussun-Cassan, alle quali prese parte personalmente. Andrea Corsali fiorentino, che viaggiò l’Asia meridio¬ nale verso il 1515-18 e fu spedito dai Portoghesi nel- TAbissinia per accompagnare l’ ambasciadore (abissino) incaricato di combinare alleanza fra quel paese ed il Portogallo ai danni del soldano d’Egitto, vien detto da Giovanni' da Empoli « uomo d’ogni fede degno, litterato che ha cognizione assai quanto fa di bisogno dell’astro- logia e cosmografia, il quale assai tempo ha consumato utilmente in ricercare questi mari e terre et insule, e datone di tutto perfettamente buon conto ». Abbiamo di lui due lettere l’una da Coccin 6 gennaio 1515 diretti^ a Giuliano de’Medici duca di Nemours, l’altra del 1517 diretta al duca^ Lorenzo; ma leggendole, l’elogio riferito. Digitized by LjOOqIc 239 appare un po'esagerato ; giacché, sebbene il Corsali ci annunci Tintenzione di attenti studi e confronti fra le- notizie ed i nomi lasciati da Tolomeo coi moderni y e si proponga nientemeno che di riscontrare i luoghi -con Valtura dei gradii finisce col dare pedestramente una su¬ perficialissima descrizione d'un tratto della costa in¬ diana, e precisamente della costa malabarica, già assai ben nota per molti viaggi anteriori. La prima lettera incomincia col descrivere la mirabile croce di cinque stelle osservate presso il Capo di Buona Speranza nella parte del cielo opposta alla nostra tramontana, delle quali si dice: «et s'io non me inganno credo che sia questo il erosero di che Dante parlò nel principio del Purgatorio con spirito profetico (lo mi volsi a man destra ecc.) » . Passa poi a parlare dell'isola Mozambico, o di S. Lorenzo, e delle cause por le quali il mare verso l’India assume diversi colori. Notato il fenomeno dell'alternarsi dei venti neU’Oceano Indiano, scende a terra eparladiGoa e delle fortificazioni erette dai Portoghesi. Dice che una fortezza venne da questi costrutta nell’isola Dinari, dove si trovano molte antichità, e precisamente sulle rovine di una pagoda bellissima appositamente diroccata. Parla poi di Batticala e di Gnor, lodando l’energia dei Porto¬ ghesi i quali « tutti uniti insieme, parziali del loro re, ed animosi, si mettono in ogni impresa senza alcun ri¬ spetto di vita ed hanno ingenerato tanto tremore in queste parti che mi par dilBcile che in alcun tempo habbino ad essere dannificati ». Del regno di Paleacete, e del paese de’ Malabari, dà come sempre notizie assai vaghe, e meno accurate che non siano quelle degli altri nostri viag¬ giatori; ma ciò non gli impedisce di fare la critica a Tolomeo: a Quest’isola (Paleacete) non pose Tolomeo, il quale trovo in molte cose diminuito, nè pose ancora dodicimila isole che sono dalla costa di Mozambico andando verso le bande di Malaca di sotto dell’equino¬ ziale; et vedesi per la navigazione dei Portoghesi molto diminuito et falso nelle sue longitudini, cominciando dalle regioni Sinare fino alle isole che chiama di buona Digitized by LjOOQle S40 fortnna. Sitnò male la Taprobana, come per la carta del navigare che don Michele di Selva oratore del re portò a Roma, potrà V. S. comprendere ». Con alcuni cenni su Malacca e sulla Cina, non privi di abbagli che po¬ tevano dirsi anche a quel tempo grossi strafalcioni, il Corsali chiude la lettera promettendo ancor più accurati studi per Tavvenire, giacché, come egli dice: « questi Portoghesi non si curano dello intendere le cose di terra¬ ferma perchè il profitto loro è al mare». I dur* anni trascorsi fra la prima e la seconda lettera (Coccin 18 settembre 1517) non pare che fossero fecondi di grandi frutti pel Corsali, ma lo resero accorto che Tolomeo per Taprobana aveva inteso indicare Ceylan e non Sumatra come egli aveva mostrato di credere nella prima lettera. Incomincia col lodare e magnificare la sempre crescente potenza dei Portoghesi cosi non curanti delle cose di lerraferma; poi descrive il camaleonte che varia di colore secondo gli oggetti che ha innanzi; poi le città di Aden, Zidem, Zeila, Mascate, Ormuz, le isole Dalacia e Baharem (Bahrein), Diu,Balsera (Bassora^, Ma¬ scate, tutti porti del mare arabico e* del golfo Persico, che il Corsali più volte visitò su navi portoghesi, sia per ragioni di traffico sia per ragioni di guerra. Lo Ziirla narra minutamente le lunghissime peregri¬ nazioni di Luigi Roncinotto. veneziano, e prestandovi pienissima fede lo proclama di poco inferiore a Polo, aggiungendo che gli è anzi superiore se non per la novità, per Testensione delle linee percorse. Ma la cir¬ costanza che il Ramusio non ne fa il menomo cenno e la stessa stranezza delle peregrinazioni ammoniscono di andare assai cauti nelPaccettare con poca critica tutto quanto ci dà la relazione stampata dal figlio di Aldo Manuzio. Incomincia colle seguenti parole: « L'anno 1529 ritrovandomi io, Luigi Roncinotto veneziano, in Ales¬ sandria con la nave Bernarda, fattura del magnifico mes¬ sere Domenico Priuli, sazio dei molti viaggi fatti in Levante, ne'quali ho consacrata quasi la vita, avendo sentito ragionare più fiate, in Calicut, delle maravigliose Digitized by LjOOQle 'foccénde degK animosi Portogailesi, inventori di detta navigazione, tolsi licenza da Sna Signoria, e con un mercante moro andai alla Rida, ove vengono le caravelle d’india con le spezie, c montati sopra una nave ci av* viammo alla volta di Colocut, nel qual viaggio io vidi tutta l’Arabia felice e deserta, sempre navigando per la costa dell’Africa perfino nel seno Persico ed in Colocut, ove il tutto a'Iuogo per luogo distintamente, con quel miglior modo potrò, farò noto, descrivendo tutte le cose da me vedute ed udite dell’isola Taprobana, ora detta Sumatra(l),(feirindia, della Persia, di Babilonia, del mar Caspio detto Ircano, della potenza del Sofi de’Tartari, e de’confini suoi, perii quali sono passato volendo tornare a casa, ed i pericoli continui per me corsi. E siccome giunto in Polonia fui costretto da quel serenissimo re a tornare indietro per accompagnare in Persia un am¬ basciatore, posso vantarmi d’avere veduto tutto il mondo, dalla parte settentrionale e sottoposta alla fredda tra¬ montana in fuori». Passando poscia alla narrazione di¬ stesa e particolareggiata, comincia a parlare del Cairo, quattro fiate più grande di Venezia, poi di Tebe tutta rovinata, indi di Pelusio ove 20,000 guastatori stavano scavando un canale, il quale dicevasi essere già stato fatto dai gloriosi Romani, fra il mar Rosso, il Nilo, ed Alessandria. Già i re Tolomei l’avevano incominciato, ma avevano desistito- per timore che il mar Rosso non sommergesse l’Egitto. Che gli antichi abbiano scavato 0 tentassero scavare una via acquea fra il mar Rosso ed il Mediterraneo, non attraverso l’istmo, ma per il Nilo, è fatto ornai certo, ed alcuni lo fanno risalire ai tempi dei re Necao, sei secoli av. Cristo; ma ninna traccia si ha che il Gran Turco abbia ordinata nel xvi secolo si filan¬ tropica impresa, affinchè, come dice il Roncinotto, le caravelle cariche di spezie provenienti dall’India potes¬ sero andare direttamente a Costantinopoli, e cosi si rime- fi) Ai tempi di Roncinotto si sapeva che Tolomeo per Taprobana aveva designato l’isola di Ceylan e non quella di Snmatra. 16 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani. Digitized by Google 34 ) d lasse in parte al danno arrecato dalle scoperte de’Por¬ toghesi al traffico europeo. Ed è gran cosa che oggidì il Gran Turco abbia permesso che si eseguisse il taglio dell’istmo. Al mezzodì dell’Egitto trovasi l’Etiopia, abi¬ tata in gran parte da Cristiani e signoreggiata dal po¬ tente imperatore Davide (Prete Gianni). Sava sul Nilo ed Acson (Axum) sono le principali sue città. È una regione montuosa, circondata da immensi deserti che si stendono fino al Capo di Buona Speranza. Sulla costa arabica trovansi il porto di Zidem o Rida, grande em¬ porio commerciale, e la Mecca, non più grafide dì Mestre. Da Rida navigò pel golfo Persico fino a Balsera, posta alla foce del Tigri; vide Ormus, Cambaja, poi per terra raggiunse la famosa ma rovinata Susa e Bagdad. Della Persia enumera a lungo le primarie città e loro pregi; e la possanza del Sofi, innanzi al quale sì inchinavano legati venuti da tutte le zone, compresi quelli tdel nostro imperatore Carlo V ». Dalla Persia venuto in Polonia dovette ricalcare le proprie orme per accompagnare un legato dell’imperatore. Giunto a Derbent, uh mercante venuto dal Catajo (Cina) gli disse che un re dipendente dal Gran Can e confinante col Perii faceva gran gente per andare contro agli Spagnuoli, li quali erano venuti in quei mari ed avevano depredato un suo paese. Questo passo sembra oltremodo importante allo Zurla, che in¬ vita i dotti (meglio si direbbe i sofisti) a farne argo¬ mento di acute congetture; a me pare nulla più che una insipida invenzione partorita da una mente ignorante ad edificazione di lettori ignoranti. Del ritorno in patria nulla ci vien detto. Il secondò viaggio incomincia come segue: « L’anno 1533 trovan¬ domi alle galee di Fiandra, io, Roncinottò, desideroso dì tornare in Colecut, rimasi in Lisbona, città del re di Portogallo, ed acconciatomi con un messere Andrea Colombo, nipote di quel tanto onorato ed animoso ca¬ pitano Cristoforo Colombo, primo inventore della navi¬ gazione delle Indie occidentali dagli antichi in mòdo alcuno non conosciute, alli 17 marzo, l’anno soprascritto Digitized by LjOOqIc 343 ci partimmo per Colecnt con nna caravella » . Viste le Ca> narie,il Capo Bianco, le coste del Senegai, il Capo Verde, e la costa del regno di Melli, giunse al Capo-di Buona Speranza, ore si fermò otto giorni. Fu poi assalito da una gran burrasca che durò i7 giorni c lo spinse all’isola di Madagascar che ha un circuito di 4000 miglia ed ab* bonda di elefanti. Vi dimorò tre mesi. Prosperi venti lo condussero a Melinda, città marittima soggetta al ré Davide di Etiopia, poi a Ceilan. Di qui girò la marina verso Babel e si fermò un mese a Dulia. Proseguendo venne al fiume Nilo e di là al mar Rosso. Presso il porto di Tor si lavorava a quel canale di cui già si disse. Ca* rateando lungo il mare giunse al monte Sinai, e quindi^ passato con grave pericolo il mare del Sabbione, pervenne al monte Cassio nell’Arabia deserta ed alla Mecca. Dalla Mecca parrebbe che avesse viaggiato per terra lungo le coste arabiche toccando Rida, Aden, ed alcuni altri luoghi che non si sanno bene spiegare. Alla riva del golfo Persico montò sur un piccolo legno e navigò al porto di Balsora; Vi ancoravano 300 caravelle cariche di spezie dirette in Soria, mentre appena mezzo secolo prima dirigevansi alla Tana nella Tauride, ove caricavansi da Genovesi e Veneziani. Da Balsora costeggiò sempre la Caramania e la Gedrosia, e vide le bocche dell’Indo presso cui è Cam- baja, indi Arsinga dove abita un re indiano che domina 200 altri re, poi Anbegiba, Cananor, Colicut, c la mer¬ cantesca Nugarissa. Da Colicut in 45 giorni venne a Su¬ matra, isola abbondantissima di oro, gioie, benzoina e lacca. È posta sotto la linea equinoziale ed è dominata da 4 re maomettani. Trattenutovisi 15 giorni s’imbarcò di nuovo per Colicut, ma i venti lo spinsero a Palecarii Chat dove è il corpo di S. Tommaso. Passò poscia a Co.: licut da dove fece vela pel Portogallo. Una furiosa bur¬ rasca lo costrinse a far vela verso Aden e gli fe’perdere due navi. Superata la burrasca, ecco che si incontrano quattro galee turche, e bisogna appiccare la zuffa. Si vince, e con prospero vento si raggiunge il Capo di Buona Speranza. Qui si racconcia l’armata, poi si va at Lisbona Digitized by LjOOqIc 214 fgr tèrra, cioè lungo la tosta, menda le navi troppo male conéÌ 2 nonate. kWidesL di un viaggio terrestre lungo tutta kt costa oecidentale africana in pieno secolo xvi lo Zurla pesta attonito e meravigliato; ma a me pare evidente che quel per terra voglia significare un viaggio marita timo rasente il lido e non un viaggio pedestre lungo il mare. E come mai ammettere che il Roncinotto vo-!^ lesse cosi modestamente alludere ad un viaggio diffici- lissimo che nessuno forse potrebbe compire anche ai nostri giorni? Ma la relazione contiene altri punti assai più oscuri, e nel suo complesso fa nascere il sospetto che sia in parte o forse anche in tutto un parto della fantasia. Come si spiega infatti la gita dalla costa ara* bica a Bassura per riedere poi ad Ormuz? Come quei¬ rimmenso giro da Ceilan per Dulia al Nilo, annunciato con tanta laconicità e modestia? Come è credibile che si potesse allora girare a piedi tutta la costa deil’ara- bica penisola, viaggio spaventoso al solo pensarlo, come dice lo stesso Zurla, e che non fu mai tentato da alcuno? Dove mai si pescarono quegli strani nomi di Pologanda, Murapanta, Pinoi, Jupiter, e Priapidis? Ed a chi appar* teneva, di grazia, la flotta che perdute due navi è ancora in grado di vincere quattro galee turche,e, girata l'Africa, viene a Lisbona e vi sbarca il glorioso esploratore? Facciamo tosto ritorno nel campo delPaccertato. Un anonimo veneziano trovavasi in Alessandria d’Egitto colle galee di Antonio Barbnrigo, quando.Solimano nel 1538 mosse guerra contemporaneamente ai Portoghesi ed ai Veneziani. Il bascià egiziano avendo posto V e^nbargo ^lle navi venete e costretti i marinai a servire sulla flotta destinata contro i Portoghesi, il nostro anonimo si propose di tenere conto esatto di tutto ciò che avrebbe veduto nella malaugurata campagna che gli toccava di fare. Era il vero modo di cangiare un male in un bene. Il Ramusio ci tramandò la relazione che può. dirsi uu buon portolam) del mar Rósso e del mare Arabico. Si indica scrupolosamente, e giorno per giorno, notte per flotte^ la clirezioue seguita, la distanza percorsa, la pro- Digitized by LjOOqIc u% fondftà déirarqiia,'g!i scogli, le isoVè, tdtti ì pOftf e !è cpadeli fazioni de’Turchi contro le popolazioni dèi lif- torafe. Si citano i porti di Tor, Zidem, Soridan, Aden- ed altri secondariiw 11 4 agosto la flotta giunse sotto Din, ma i Portoghesi la difesero eroicamente, ed appena giunse la notizia che una loro armata si appressava, gli Ottomani levarono Tassedio e tornarono a Suez nel In* glio 1539. r^’anonimo, descritto Tassedio, prese a règì^ strare tutto ciò che osservava nel viaggio di ritorno, inserendo qua e là aiToccasione qualche osservazione sui costumi degli Orientali, sul loro commercio, e sul diffondersi della potenza portoghese nelTAsia. A propo* sito della quale egli cita, come colonie fondale dai Por* toghesi in Africa, Mazabic (Mozambico) e Zufala, in Asia Diu, Basnaza, Bassim nel paese di Cambaia, Chiau o Sciaul, Goa, Canano (Cananor), Golocut (Galicut), Gochin, Seilam (Geylan), Policate, Malacca, è Maluco (Molncche)> ove nascono i garofani, «lo non vi sono stato » aggiunge con molta schiettezza « tamen ne ho avuto informazione da quelli che vi sono stati, e tutte codeste città sono alla marina e sono la chiave del tutto ». Gì resta memoria dei viaggi fatti in Africa da due Veneziani quasi contemporaneamente, qualche decennio dopo quelli deir anonimo che assistette alT assedio di Diu. Fra il 1563 ed il 1588 Gesare de’ Federici e Ga¬ spare Balbi per far incetta di pietre preziose e per smania di vedere cose nuove visitarono non solo il Decan c Geylan come i loro predecessori, ma anche buona parte del Pegu e dell’India transgangetica. Vuole giustizia che anche di queste peregrinazioni si faccia almeno una succinta menzione, ma vuole anche che minore sia il merito di coloro che poterono giovarsi delTeSperienza de’precedenti esploratori e che visitarono le coste asia* lidie dopoché le navigazioni e le fortezze dei Porto¬ ghesi le avevano assicurate al commercio dei cristiani. La relazione del Federici fu pubblicata la prima volta in Venezia da Andrea Muschio nel 1587 e fu riprodotti dal Giunti nella quinta impressione del Ranùisio. Reea^ Digitized by Google Si» tosi alla nave Gradeniga a Cipro, poi a Tripoli di Soria,. si uni ad una carovana che per Aleppo e Rio raggiunse Bagdad sul Tigri. Nelle vicinanze vide la torre di Nem- brodt fabbricata a strati di mattoni cotti al sole; ma già in gran parte rovinata. A Bassora sul golfo persico yide le foste arabe con poppa coperta e senza sentina. Navigando sul golfo venne ad Ormuz, il cui principe non era più che un suddito dei Portoghesi. Cita poscia (non sempre può ben distinguersi la città visitata per¬ sonalmente da quelle che descrive per notizie avute) Piu in un’isola del regno di Cambaja, lontana due giorni da Amadavar, capitale del regno stesso, Damann, Bas- saim e Sciaul. Otto giornate entro terra si trova Abde- genar (Amednagar). Qui crescono i palmieri, il cui legno serve a far navigli, le foglie a far vele, le scorze a compor gomene, e il frutto, a trarne un liquore del quale quei navigli si caricano. Avanzandosi lungo la costa occiden¬ tale del Decan verso mezzodì egli si recò a Goa la capitale dei possedimenti lusitani. Da questo punto fece un’escur¬ sione (1566) verso il centro della penisola fino a Saggio- nagar capoluogo del regno di Narsinga, distante otto giorni dalla costa. Dice che l’anHb dopo la città, messa a sacco da quattro potenti re mori, si spopolò affatto, e sebbene avesse il circuito di 24 miglia non restò abi¬ tata che da fiere. Ripreso a Goa il viaggio di mare, vide Onor, Mangalor, Cananor, e Coccin, tutti dei Portoghesi. Da Coccin andò a Ceylan (Culong) lontana 70miglia; poi volgendo il Capo Comorino vide fra le coste indiane e quelle di Ceylan que’ bassifondi che tutti i viaggiatori, non escluso Marco Polo, magnificano per l’abbondanza e la bellezza delle perle. Narrato distesamente il modo della pesca di questo prodotto ricercatissimo dai mercanti ver neziani, passa a dire della ricchezza di Ceylan,e cita fra i luoghi che sono sulle vicine coste la città di Negapatam. Da S. Tommaso posto 150 miglia verso levante da Negapatam pare che il Federici ritornasse a Goa e che D si imbarcasse per Malacca sopra un galeone porto¬ ghese. In qioest’occasioue attraversato il golfo di Segala Digitized by LjOOqIc S47 giunse in regioni meno note e vide le isole Nicobar e l’arcipelago delle Andaman che si stende, a suo avviso, dalle Nicobar Ano al Pegn. È abitato da antropofaghi. A Malacca si fa prodigioso traffico, perchè è lo scalo di tutti i luoghi del levante. Di Sumatra dice che viene domi¬ nata da parecchi re, dei quali quello d’Assi (Acin) andò ad assalire gli stabilimenti portoghesi di Malacca. Non andò più oltre di Sumatra; ma sui paesi del remoto oriente asiatico riferisce ciò che aveva udito, come, per esempio, che la navigazione alla Cin^ è libera a tutti, ma non quella verso levante (alle Molucche), giacché questa il re di Portogallo non la concede che per ^jfraziVi «i swot gentiluomini. Ogni anno quel principe mandava galeoni alle Molucche ed a Banda per caricarvi muschio, macis, noci moscate, droghe di ogni specie, e metalli, non esclusi i più nobili. Da Malacca alla Cina sono 1800 miglia. Sulla costa cinese ricorda la colonia di Macao e non dimentica le navigazioni dei Portoghesi a Timor ed alla Cocincina. Difficile, 0, per dir meglio, impossibile cosa è l’ordi¬ nare cronologicamente i viaggi del Federici, il quale si trattenne senza dubbio molti anni nell’Asia, ma non si curò troppo di distinguere nel suo racconto le successive peregrinazioni. Nel 15567 trovavasi nel Pegu ed as'sistè al trionfo del re che carico di bottino veniva dall’aver espugnata Siam. Ritornando da Malacca alla costa del Coromandel venti impetuosi gettarono la nave a tra¬ montana Ano ai lidi del regno di Orissa,il cui re risiede in Catheca, città che è sei giorni entro terra e che fa gran commercio di panni di erba, cioè di stoffe fatte con una seta che nasce nei boschi e senza fatica si raccoglie quando le taccole sono grosse come un arancio. Da Orissa, smesso il primitivo disegno di raggiungere la penisola indostanica, volse al Bengala posto ancora più a setten¬ trione, e sbarcò al porto Picheno non lungi dalle foci del Gange. Risalendo, col favore della marea, in barche a remi questo Anme, le cui acque sono in grande ve¬ nerazione, giunse a Satagan città honestamente bella per città dei mori. Ha. Satagan tornò a Cochin, da Cochin di Digitized by LjOOqIc bel nuovo a Malacca, « da Malacca al Pegn. Qui toccò Tenassari (Tenasserim?) posta fra terra so un fioae che viene dal regno di Siam j alla cui foce ò il porto di Mergi (Mergui) ove si carica Teccellente vino detto mtta assai confortevole allo stomaco e celebre per la virtò gentilissima di guarire dal male francese. Vedute le città di Tavai e Martaban venne a Pegn capitale del regno, sede della corte, e ripiena di mercanti. Le strade sono rette e spaziose, le case di un sol piano, le piazze abbellite da piantagioni di noci d’india, la reggia colle sue torri piramidali ammirabile, ricchissimo il tesoro del re. Un apposito palazzo è destinato ad un gran nn* mero di elefanti bianchi. Il re, secondo il Federici, è il più potente del globo, perchè comanda a SO principi, ha un milione e mezz^o d’armati, e 4000 elefanti addestrati a battaglia. Da Pegu risali il fiume lino a Cosmin; poi, avendo fatta buona fortuna, cioè ricchi guadagni, parti nell’agosto del 1369 pel Bengala. L’orribile vento detto iurfon o tifone gettò la nave all’isola Sondiva spettante al Bengala. Dall’isola passò al porto di Chitigan lontano 120 miglia, indi a Cochin donde deliberò tornare a Ve* nezia per la, via di Ormuz. infermatosi aGoa, e vedendo che Andava crescendo il prezzo delle gioie di cui era ben fornito, le vendè, e fece, a quanto pare, una nuova gita al Pegu, reduce dalla quale si pose definitivamente in via per l’Italia. Ad Ormuz trovò un compagno, Francesco Beretin, negoziante veneziano. Con lui per Bassura, Ba¬ bilonia, Gerusalemme (ove venerò i luoghi santi del Cristianesimo), Aleppo e Tripoli ripatriò nel novembre 1381. La parte più interessante del racconto, che è ricco di cenni utili al mercatante cui anzitutto si indirizza, è quella che concerne il Pegn. Gaspare Balbi, di professione gioielliere, viaggiò le Indie dal 1380 al 1390, nel quale anno stampò in Ve¬ nezia (Borgominieri) la sua relazione poi titolo Viaggia delle Indie orientali. Si divide in 47 capitoli ed è de¬ dicala a Teodoro Balbi gentiluomo, cui il viaggiatore si professa debitore di aiuti. Partito da AI^PPO noi di- Digitized by LjOOQle 249 cémbre e venuto a Bir suU’Enfratc, discese questo fiume fino a Bassora sul golfo Persico ove arrivava nel marzo 1580. Nomina i luoghi pi^ cospicui, gli affluenti del fiume, fa menzione delle rovine di Babilonia, di quelle della torre di Nembrot poco lungi, della nuova Babilonia (Bagdad), e da vero mercante, lascia in disparte volenr tieri gli studi archeologici ed i grandiosi avanzi delle sparite antichissime monarchie , asiatiche per enumerare e ragguagliare i pesi e le monete in uso nella Meso* potamia. Veleggiando sul golfo verso Ormuz vide molte miserabili popolazioni, le cui uniche risorse erano il riso e la pesca. Giunto ad Ormuz, che disse essere sei miglia dalla costa persiana e trovarsi sotto il 2o"di latitudine, dà un esatto ragguaglio delle monete, dei pesi, e delle spese di nolo per le navi dirette a Sciaul, Goa, e Goccio nel¬ l’India. Nel viaggio da Ormuz a Goa ciò che più lo sor¬ prende è un certo pesce colle corna, e l’uso delle donne di tingersi in nero i denti per sembrare più belle. La nave portoghese sulla quale si trovava, toccò, come era costume, Diu, Daman, Bassain, poi il capo Bombalo, dove sorge oggi quella città anglo-indiana di Bombay, che intermediaria fra l’Africa, l’Asia e l’Europa è di¬ venuta uno dei grandi centri del commercio mondiale. Presso il capo visitò il famoso tempio Alefanta (Elefanta) scavato nella pietra, pieno di pilastri istoriati. «Questo tempio, dice, degli antichi Romani, fu fatto fabbricare da Alessandro Magno ». A Daman trovò un veneziano famoso artefice costruttore di galee, maestro Domenico da Cossello. Proseguendo il viaggio verso sud lungo le coste toccò Sciaul, Dada, Safardon, Dabul, Goa, illustre per immenso tralTico, l’isola Ancediva, Baticala, Gnor, Cananor, Calicut, e Coccin. Girando poscia intorno al¬ l’isola di Ceylan, ricca di gemme e di cannella, venne a S. Tommaso.. Vi è una pagoda con una statua di rame gigantesca, ad adorare la quale accorrono pellegrini da remote regioni. A proposito di nha simile pagoda vista nell’isola Vacca dà un cenno non privo d'interesse sulle sénticbe navigazioni dei Cinesi nell’Oceano Indiano eoa Digitized by Google 2&0 qneste parole: « All’isola di Vacca t’ è una pagoda dei Chini i quali anticamente navigavano questi mari con certi vascelli detti giunche, colle vele di canna e due timoni a poppa. Con queste i Chini veleggiavano fra grandi pericoli al Giappone, alle Molucche, alla Chiava (Giava), portando garofoli e noci moscate Ano alle Indie, ove sulle terre basse erigevano i loro pagodi fatti di pietre nere trasportate dai Chini stessi ne’suoi giunchi da lontani paesi ». Tutta la costa di Negapatam, cosi dice, ed è il vero, è tanto bassa che le navi non possono acco¬ starvi e si scaricano delle loro mercanzie mediante zat¬ tere. In ossequio dei loro Dei, che sono vacche, serpenti, e statue, là si commettono suicidi, prostituzioni, ed or¬ rori d’ogni fatta. Nel 1583, attraversato il golfo benga- lico, venne al Pegu, del quale dà una descrizione somi¬ gliante a quella data dal Federici. Discorre dell’acco¬ glienza fattagli dal re, delle caccie, degli elefanti, dei sacerdoti peguani, ma anzitutto dei pesi e delle misure in uso. Pare che vi dimorasse a lungo, poiché non fu che nel gennaio 1586 che si diresse a Martaban, da dove passò nel febbraio a Coccin e nell’ottobre ad Ormuz, rimpa¬ triando per la solita via dell’Enfrate e di Tripoli. La parte più importante della relazione sta nelle notizie sul commercio, sulle merci, sul loro valore, sui modi di na¬ vigazione nelle varie stagioni, e sui venti monsoni. Sul finire del secolo decimosesto molti altri Italiani penetrarono e soggiornarono nell’India. Fra questi pa¬ recchi furono Fiorentini mandati dai granduchi Cosimo e Francesco dei Medici, o a far incetta di pietre pre¬ ziose per le magnifiche loro cappelle, o a promuovere e sorvegliare la diretta spedizione dei prodotti asiatici dall’India alla Toscana. Il più celebro fu Filippo Sassetti, uomo peritissimo nelle matematiche non meno che nelle lettere greche e latine. Più volte passò da Firenze a Lisbona ed all’India, e mori a Goa, colpito prematura¬ mente da morbo letale nel 1588. Il Ragionamento mi/ commercio ordinato dal granduca Cosimo I fra'suoi sud¬ diti e le nazioni levantine, diretto a Bongioanni Giatsf^ Digitized by LjOOqIc «51 gliazzi (colla data del settembre 1577) e pabblicato dal sìg. Filippo Polidori neirAppendice AeWArchmo borico HaliànOf è un monumento che onora tanto queir erudi¬ tissimo principe che fu Cosimo, quanto lo scrittore che per di lui incarico viaggiava e scriveva. Abbiamo del Sassetti eziandio una collezione di lettere scritte dal¬ l’India ai suoi amici d’Italia negli anni 1583-1588. Troppo a torto obbliate fin oggi, esse chiamarono recentemente ^attenzione dei dotti che, sebbene non vi abbiano trovato gran cosa per la geografia, le ammirano e stimano gran* demente per la copia stragrande di notizie sui prodotti naturali, il clima, gli usi, le armi, le cerimonie, le lingue e le istituzioni di quel paese, che, culla di anti¬ chissima civiltà, fu adeguatamente studiato appena negli ultimi tempi, quando sorse in onore presso le nostre alte scuole quello studio dì filologia comparata fra il san¬ scrito e le lingue europee, che forse fu per la prima volta presentito dal Sassetti, come bene osserva il De- gubernatis. Le lettere del colto e spiritoso patrizio fio¬ rentino contengono maggior copia d’informazioni sul¬ l’India che non tutte le relazioni dei mercanti veneziani già citati; sicché dopo aver letto queste ultime, cresce l'ammirazione nel vedere con quanto acume e con quanta critica l’agente granducale osservasse tutto ciò che di più caratteristico ha V India e mescesse alle sue os¬ servazioni sulla civiltà braminica profondi commenti tratti dalle scienze esatte. Francesco Carletti, fiorentino, viaggiò anch'egli du¬ rante il secolo xvi in gran parte dell’Asia continentale, nelle isole del Giappone, e nelle Filippine, e ne lasciò una bella relazione, che fu riveduta dal Magalotti, e citata dall’Accademia della Crusca. Di Lorenzo e Piero Strozzi, di Orazio Neretti, di Gio- ' vanni Buondelmonte, di Filippo Mazzera, milanese, che Sassetti trovò nell lndia, nulla possiamo dare oltre il nome, e ben più grande deve essere il numero di quelli di cui neppure il nome ci è restato. Copiosi brani, fram¬ menti di relazioni, lettere, ed altri simili documenti Digitized by LjOOQle sparsi nei ricchi àreltivn di Venezia, (SmiovA^ e Firenzè^^ ci appaiono qiiali gloriosi acanzi di un tempo in (mi la nostra nazione nòn aveva ad invidiare le altre in fattà di esplorazioni geografiche e d'iniziativa commerciaiei Ed è buon sintomo che in questi ultimi tempi, cresciuta rammirazione per que^ nostri antenati chi sentiamo st vivo il bisogno d’imitare, non pòchi di quei documenti venissero tratti alla luce, ed onorevolmente pubblicati con diligenti commenti. Cosi fecero il Canestrini, 1 ^Ar¬ cangeli, il Gar, il Pplidori neir^lrcAirio Étorico^ il Mar- cucci colle lettere del Sassetti, e il Degubernatis con parecchie carte pubblicate in forma di Appendice alle sue Memorie linguistiche intorno agli italiani che visita¬ rono l’India fino a tutto il xvi secolo. L’America, il bellissimo continente che fu per la prima volta toccato dai navigatori italiani cosi nelle sue parti settentrionali, come nelle centrali e meridionali, venne a poco a poco scoperta nel decimosestò secolo dagli Spagnuoli. Contribuirono però alla vasta impresa due Italiani, dei quali faremo un breve cenno, Gerolamo Ben- gohi da Milano e Fra Marco da Nizza. Il Bengoni nacque da umile famiglia verso il 4820. Aveva già fatto pa¬ recchi viaggi in Francia, Spagna ed Alemagna, quando s’invaghi di visitare i paesi nuovamente scoperti al di là dell’Oceano, e, partito verso il 1840 in età di venti anni, fermossi neirAmerica fino al 1836. Reduce, de¬ dicava a Papa Pio IV, suo concittadino, la descrizione delle regioni vedute in un’opera che porta il titolo.: La Historia del Mondo Novo, la quale tratta delle isùle e mari nuovamente ritrovati e delle nuove città da Im proprio vedute per acqua e per terra, libri tre. È un libro interessante non solo per le notizie che contiene ed il tempo in cui fu scritto, ma anche perchè serve a chiarire in molti punti la tristissima storia delle conquiste spagnuole nel Mcs^ sico e nel Perù per opera dei sanguinari conqUistadorès Fizarro, Almagro, e Cortez. Infatti gli autori AeWHistoire générale des voyages, dopo avere narrato il tradiiuentò di Pkarrd verso Atahualipa, e l’infame strage dei poveri Digitized by LjOOQle 253 Indiani (1531), ed esaminate le diverse narrazioni del fatto, credono opportuno ricorrere al Bengoni come a quello che trovossi nel Perù pochi anni dopo il fatto, e che, es¬ sendo italiano, può considerarsi siccome neutro ed impar¬ ziale narratore. Ne citano un lungo brano tratto dalla ver¬ sione francese fatta dal Chauveton, ed è invero un commo¬ vente quadro delPestrema semplicità del re e del popolo peruviano, e delTestrema avarizia e del fanatismo reli¬ gioso stupidamente ignorante dei conquistatori spagnuoli. Fra Marco da Nizza, francescano, visitò le provincie della Nuova Spagna (come chiaraossi per qualche tempo il Messico) in un tempo meno rimoto, cioè sul finire del XVI secolo. Per questa circostanza la breve relazione che ce ne tramandò il Ramusio, già per sè vuota di fatti e senza interesse, perde quasi affatto di valore. Vi si legge che nel 1393 parti da Calnacan per incarico del viceré spagnuolo Don Antonio de Mendoza, e che, la¬ sciandosi guidare dallo Spjrito Santo, attraversò i paesi di Petatlan e Vacapa sempre accolto nel modo più cor¬ diale e festoso da poveri indigeni che lo prendevano per un divino messaggero. In realtà il frate si conside¬ rava anzitutto interprete ed apportatore della divina parola, ma ciò non gl’impediva di avere altri scopi, quali erano il prendere formale possesso di tutti i paesi che vedeva in nome del re di Spagna, e lo scoprire il famoso regno delle sette città, che secondo una vecchia tradizione spagnuola doveva esistere al di là dell’Atlan¬ tico. Viste parecchie provincie e raccolte notizie su quelle più lontane, di Marata, Usacus, e Totonteac, il buon frate non dimenticò S. Francesco, per Iddio o pel re di Spagna, ed eresse solennemente i paesi veduti in un sol regno cui impose il nome di Nuovo Regno di S. Francesco. Fatta poi una piramide di pietre, ed in¬ fissavi una piccola croce in nome deirillustre viceré per r imperadore nostro signore (era questa la cerimonia impostagli nelle istruzioni dategli), Tapostolo incominciò il viaggio di ritorno con molta più paura indosso che non vettovaglie, come ci lasciò scritto egli stesso. Digitized by Google tu Ricca miniera di notizie sui primi viaggi eseguiti sia dagli Italiani,sìa dagli stranieri, sia dagli antichi, sia dai moderni, è la Collezione delle navigationi et de viaggi che Giovan Battista Ramusìo pubblicava in Venezia nel 1560 in tre grossi volumi coi tipi dei Giunti. È scio¬ gliere un debito di gratitudine il dare qui qualche no¬ tizia di queirerudito e benemerito geografo, giacché, non badando a spese ed a fatiche, egli pubblicò colla maggior cura e critica possibile gran numero di preziose memorie che senza di lui sarebbero andate perdute o cadute nelTobblivione. Pel primo diede T esempio dì quelle voluminose raccolte di viaggi che piene di istru¬ zione e d’interesse si sono moltiplicate in Francia, Ger¬ mania, Inghilterra ed Italia (1), e delle quali a giu¬ dizio di un dotto geografo francese, il signor Eyriès, ninna finora ha superato il modello. Nella stessa sen¬ tenza acordossi un altro dotto francese, il Camus, scrì¬ vendo; « Cesi une colleclioy. précieuse regardée encore aujourdliui par les géographes comme un des recueils plus importants. Ramusio atmt,soit à raison des voyages quHl avait faits lui-méme, soit à raison de ses connaissances dans VMsloire, la géographie, les langues, soit à raison des correspondances multipliées avec lespersonnes qui pouvaient étre d*utilité à son entreprise, toutes les facilités nécessaires pour former une excellente collectionT», Nato in Treviso (1485)da Tomasa Macachiò e da Paolo Ramusio, di famiglia originaria da Riminì stabilitasi nel Veneto, Gian Battista studiò in Venezia, percorse la car¬ riera cancelleresca, ed, entrato al servizio della repub¬ blica, fu onorato di missioni politiche a Roma, in Isviz- zera, ed in Francia. Era erudito nelle lettere classiche non meno che nelle lingue moderne, conosceva la cosmografia,' ed era al fatto di tutto ciò che a’suoi giorni si cono¬ sceva in fatto di scoperte geografiche. Nel 1524 sposò (1) Per es. quelle del Kerr (Londra 1820), del Laharpe (Parigi 1820), del Mac Carthy (Parigi 4822), del Montemont (Parigi 4833), del Marmocchi (Prato 4840), del Vivien de Saint-Martin (Parigi 4845), del Gharton (Parigi 4857), del Taylor (Parigi 4857), eccJ. Digitized by Google 355 Franceschina Navagero, sua parente, dalla qnale ebbe runico tìglio Paolo. Verso quest'epoca assisteva il Bembo nella Marciana mentre si registravano i libri lasciati dal Bessarione, ed ideava la Raccolta cui deve la sua fama. Dieci anni più tardi era segretario deH’influentissimo Consiglio dei Dieci. Bembo, Fracastoro, ed altri illustri soccorsero il Ranausio nel suo lavoro che vide la luce nell’oflìcina delVamico Tommaso Giunti, nome ben noto nei gloriosi annali della tipografia. Postosi in carteggio col nunzio pontificio e con altri in Ispagna, con Ferdi¬ nando d’Oviedo (lo storico di Carlo V) che era a S. Do¬ mingo, con Sebastiano Cabotto, e con molti altri, raccolse memorie dimenticate, ne disseppellì parecchie fra le antiche, ne accattò da nocchieri veneziani, spagnuoli,e portoghesi, le emendò, le corresse, le tradusse dal fran¬ cese e dal portoghese, le munì di introduzioni, di note illustrative sui punti più dubbii, e, sebbene non poche inesattezze gli sfuggissero nel colossale lavoro, può dirsi senza tema di errare che il suo lavoro fu per quei tempi cosa insigne e che è fra i pochi che conservano ancora oggidì quasi intero il primitivovalorp.il primo volume registra, fra gli altri, i viaggi di Cadamosto, Vespucci, Barthema, Corsali, Conti, Pigafetta; il secondo quelli di Marco Polo, di Barbaro, Contarini, e Quirini; il terzo quelli di Marco da Nizza, Federici, e Giovanni da Veraz- zano. Fra gli antichi troviamo Annone cartaginese, e Nearco; fra i moderni stranieri Cartier e Magellano. Ritiratosi a vita tranquilla nella sua villa detta la Bai- musia, vi passò gli ultimi anni e mori più che settua¬ genario in Padova nel 1557. Con Ramusio Venezia ci ap¬ pare ancora il gran centro delle geografiche informa¬ zioni, ma anche questo vanto svanì il giorno in cui l’in- stancabile scrittore fu seppellito in quella città nella chiesa di S. Maria deirOrto. Assai minori del Ramusio, ma pur degni di ricordo, sono in quel secolo altri Italiani, più che per lunghe pe¬ regrinazioni, per opere pregevoli sopra argomenti di geo¬ grafia e scienze affini. Il sig. Giovanni Scopoli neirAp; Digitized by LjOOQle «56 pendice dito AreHm(^ storico ibUiano pubblicò la relazione del veneziano Leonardo da Cò da Masser alla Signoria per informarla intorno al commercio dei Portoghesi coll’India dopo la scoperta del Capo di Buona Speranza (i486). Leonardo giunse in Lisbona nell’ottobre del 1694 coll’espresso incarico « di vedere ed intendere il successo di questo mare d’india nuovanaente da' Portoghesi trovato e navegato » e malgrado minacele, raggiri ostili, pericoli d’ogni sorta, riusci a vincere la diffidenza de’ Portoghesi che punivano perfin di morte chi divulgava la cartadelle isole trovate, e spedi ripetute volte a Venezia la rela¬ zione delle flotte che partivano da Lisbona, delle mer¬ canzie , del modo di farne incetta e di esportarle dal- Plndia, della loro vendita in Lisbona, e delle leggi reali che governavano il commercio dei coloniali. Nell’anno 1503 Leonardo accenna quella spedizione di dodici navi portoghesi comandate da Alfonso Albuquerque, della quale fece parte Giovanni da Empoli. Nell’anno 1504 annuncia l'arrivo dall’India di Bonavito d’Albano, veneziano, il quale aveva per isposa una malese, e godeva di ricco ap- panaggio dal serenìssimo re di Portogallo, perchè avendo dimorato ventidue anni nell’ India ed avendo. « visto molto in quelle partL aveva dato a Sua Altezza bòna in¬ formazione delle cose dell’India>.AVenezia dovevano far male questi ragguagli, non solo perchè vedeva caduto in mano altrui il lucroso commercio orientale, ma anche perchè i suoi figli già addomesticati coll’ India molto tempo prima che i Portoghesi vi giungessero per la via di mare, servivano di guida ai suoi fortunati rivali. Come a Venezia il Cà da Masser, così a Francesco I dei Medici, granduca di Toscana, mandavano relazioni sul commercio portoghese coll’Asia Antonio Vecchietti, fon¬ datore in Lisbona d’nna compagnia commerciale fioren¬ tina (1575) e Francesco Gìraldi, che re Sebastiano di Portogallo mandò più volte ambasciatore a Corti europee e con poteri vicereali al Vergine o Brasile (1). (t) Vedasi la Memoria di Canestrini sulle relazioni commereiali disi Fiorentini coi Portoghesi. Digitized by LjOOQle Ne’ primi anni del secolo un genovese, Paolo Centu- t rioni, viaggiò buona parte dell’Asia, e, desideroso di bi¬ lanciare il commercio portoghese col riaprire le antiche vie di Egitto e di Persia, o col trovarne altra alTatto nuova, proponeva a Basilio, granduca di Russia, di gio¬ varsi della navigazione dell’Indo, e di far condurre le merci dall’Indo attraverso la catena del Paropamiso al fiume Oxo (l’odierno Amu-Daria), poi per il Caspio e per il Volga a Mosca. Questo progetto, per quei giorni forse troppo grandioso, potrà forse attuarsi oggidì che gl’inglesi hanno stabilito la navigazione a vapore sul¬ l’Indo, e che i Russi, postala sul Volga, sul Caspio, sul- l’Aral, stanno per introdurla anche sui fiumi che dal- l’Hindu-Kuh corrono all’ultimo de’mari nominati. Ed è sempre di conforto per noi il vedere che non sempre gl’italiani vissero, come oggi, lontani ed indifferenti quasi alle grandi imprese destinate a ravvicinare i po¬ poli, a creare nuovi lucri, e beneficare romanità. Giovanni Bembo, veneziano, erudito nelle lettere greche e latine che insegnò in Pesaro, percorse con una galea mercantile tutte le coste del Mediterraneo, e, sbarcato sui lidi d’Africa, raccolse iscrizioni antiche dai ruderi di Cartagine e da altri luoghi di Nomidia. Mori nel 1547, lasciando un’opera latina sulle raccolte epigrafi. Le an¬ tichità dell’Egitto, le piramidi, le mummie, le colonne pompeiane erano misurate e descritte verso la metà del secolo da Pellegrino Brocardi e da Marco Grimani; i luoghi dì Terrasanta erano illustrati da Marino Grade- nigo (1533), ed il campo S. Stefano in Venezia adornato di un obelisco comprato da Antonio Priuli a Costanti¬ nopoli, intanto che Benedetto Dandolo raccoglieva me. daglie in Sorià, e mentre Carlo Maggi delineava in un prezioso codice (1578) i porti e le castella del Levante, ili tre secoli adunque precedettero gl’italiani gli studi degli eruditi stranieri su quell’oriente, che è si ricco di memorie, di rovine, di tesori d’ogni fatta. 17 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani. Digitized by Google 258 I CARTOGRAFI ITALIANI DEL XVI SECOLO. Abbiamo già detto altrove quanta e quale sia l’im¬ portanza dei lavori cartografici a comprovare i succes¬ sivi progressi della geografia. Sebbene le carte del se¬ dicesimo secolo abbiano un valore assai minore delle più antiche, non sono ancora tali che si possano affatto dimenticare. Tolomeo, per lunga pezza l’oracolo univer¬ sale in fatto di geografia, perdette di autorità dopo i grandi viaggi del decimoquinto secolo, e le carte di molto modificate e migliorate che si aggiunsero alle molte edizioni del celebre geografo, offrono ai cono¬ scitori non poco interesse. L’edizione latina di Venezia Ibll (per Giacomo da Lonato, pubblicata da Rernardo Sil¬ vano) offre le 27 tavole spettanti a Tolomeo, ed un map¬ pamondo, che è notevolissimo per due motivi, e perchè registra pel primo, sebbene imperfettamente, le scoperte relativamente recenti dei Portoghesi e degli Spagnuoli, e perchè per il primo si stacca dalla forma a ventaglio immaginata da Tolomeo, introducendo la forma sferica colle linee dei meridiani e de’paralleli suddivisi ad ogni distanza per gradi. Vi si vedono chiare traccie dei viaggi dei Polo e degli Zeno, vi è segnata la Terra IMora {La- brador scoperta da Cortereal nel 1501), VHispania insula, oggidì San Domingo o Haiti, la terra de Cuba, iì paese de’cannibali presso l’equatore, e tutte le. coste meri¬ dionali del nuovo continente col nome assai generico di Terra Sanctae Crucis. Verso settentrione si vede l’En- gronelant ed il mare congelato degli Zeno. All’est del¬ l’Africa è segnata l’isola Comonbina (Ms^dagasear?). Le coste d’Asia al di là dell’ fndostan sono delineate ip modo assai grossolano e non portano che nomi tolti da Polo. Al nord-est finiscono colla GroentlatU, stranissima confusione per noi che almeno in questo ramo del sa¬ pere possiamo vantare un progresso tanto grande quanto indiscutibile. Il Maltebrun attribuisce il merito di avere la prima Digitized by LjOOQle 2&9 volta segnato le scoperte oltremarine degli Spagnuoli ai fratelli Appiano. Questi, quasi contemporaneamente al Silvano (1513) lavoravano a Venezia un mappamondo, a quanto pare, destinato a servire dì corredo a Solino 0 a qualche altro autore. Non differisce da quello del Silvano, ma l’Àmerica vi è rappresentata un po’ meglio, anche con qualche tratto delle coste occidentali. Fa sulle prime qualche meraviglia il vedere che in Italia per la prima volta si disegnassero i lidi nuovamente ritrovati da altri popoli ; ma cessa quando si considera l’avidità con cui gli agenti veneziani e genovesi e fiorentini rac¬ coglievano notìzie all'estero e le spedivano in Italia, ove viveva tradizionalmente l’arte cartografica, mal co¬ nosciuta altrove. Angelo Trevisano, segretari» di Do¬ menico Pisani, ambasciatore veneto in Ispagna, nel 1501 scrisse più volte al patrizio Domenico Malipiero intorno alla navigazione di Colombo, e per meglio istruirlo gli spedi i libri scritti in proposito da Pietro Martire d’An- ghiera. Nelle prime lettere scritte da Granata il 21 agosto 1501 si legge anzi questo brano, dal quale risulta che il veneziano si pose tosto in relazione personale col ce¬ lebre genovese. < lo ho tenuto tanto mezo che ho preso pratica e grande amicizia cum el Colombo, el qual al presente se attrova qui in gran disdita, mal in grazia di questo re et cum pochi denari. Per suo mezo ho mandato a far fare a Palos, che è un loco dove non habita salvo che marenari et homini pratichi de quel viago del Colombo, una carta ad istanza della Magnificentia Vostra, la qual-sarà benissimo fata et copiosa et particular di quanto paese è stato scoperto. Qui non ce n’è salvo una de ditto Colombo, nè v’è homo che nesapia far. Biso¬ gnerà tardar qualche zorno ad avere questa, perchè Palos dove la se fà è lontano de qua 700. milia, et poi come la sarà facta non so come la potrò mandar, ecc... Circa el tratato de viago de ditto Colombo uno. valentuomo l’ha composto et è una dizeria molto longa. L’ho copiato et ho la copia appresso de mi, ma è si grande che non ho modo de mandarla se no a pocho a pocho. Mando al Digitized by LjOOqIc S60 presente el primo libro quale ho translatato in vuìgarc per mazor sua comodità, ecc... V. M. avrà molto piazer ée la carta perchè V ho vista et bone preso gran con¬ tento con quella pocha inteììigentia ch'io ho. El Co-, lombo me ha promesso darme commodità de copiar tutte le lettere Tha scritto a questo serenissimo re deli soi viagi che sarà molto copiosa. Voglio in ogni modo tuor questa faticha per amor dela M. V. Ulterius aspetamo de zomo in zorno de Lysbona el nostro dottore, che lassò li ei magnifico ambassadore, el qual a mia instanzia ha fatto un’opera del viago de Calicut de la qual ne farò copia alla M. V., dela carta del qual viago non è possibile haverne che’l re ha messo pena la vita a chi le dà fora». Benedetto Bordonediede nel 1526 in Venezia un isolario composto di varie tavole. Quella del mappamondo dà ancora in modo affatto grossolano ed erroneo tutta l’Asia all’oriente del Sieìio magna d\ Tolomeo (golfo del Bengala), ma meglio che non in quello del Silvano trovasi segnato il settentrione europeo, e col nome generico di Novo Mondo il mezzogiorno deU’America. Due anni dopo Ago¬ stino Bindoni pubblicava in Venezia un portolano di pic¬ colissima forma, al quale vanno unite sette carte geo¬ grafiche intagliate in legno per opera di Pietro Coppo, nativo deiristria. Il primo che facesse uso dei due emisferi per rappre¬ sentare le terre fu Iacopo Castaldo, piemontese, in una delle quattro carte da lui aggiunte air edizione di To¬ lomeo che porta la data del 1543. Questa innovazione, apparentemente di poco significato, era felicissima e bi¬ sognava venirvi di necessità per potere riprodurre colle debite proporzioni la superficie sferica del globo sul piano della carta. Nelle quattro carte che portano il titolo di India TercarUy Nuova Spagna, Universale novo, e Carta marina, vedesi l’America disegnata colle sue doppie coste, ma l’Asia orientale è rappresentata, come sempre, nel modo più grossolano. Della prim^ metà del secolo sono anche gli atlanti Digitized by LjOOQle ' 261 del gpnovei^e Agnese, citati dal Zurla, dal naie, e dal Baldelli Boni, e che si trovano in parte nel British mumm^ in parte nelle bibliot<^che fiorentine ed anche in mani private. Uno di cotesti atlanti, che se¬ condo il Baldelli Boni si conserva nella Medicea-Palatina di Firenze, ha la data 1343 e segna tutto il maraviglioso viaggiodi Magellano ed il continente americano col solito nome di Mundus nom$. Un altro, che è nella Magliabec- chiana, si divide in nove carte rappresentanti i diversi mari e relativa coste. Un terzo, già posseduto daU'abate Celotti, porta la data 1534, e consta di 13 tavole mem¬ branacee. La prima dà la sfera armillare, la seconda il sistema di Tolomeo, la terza le coste orientali d'Asia, le Molucche e le coste occidentali d’America, per quanto erano note, cioè dallo stretto di Magellano al Messico, la quarta l’Atlantico, ossia le coste orientali d’America e le occidentali d'Africa ed Europa, e la quinta l’Asia, ma con disegno imperfettissimo. Le sei susseguenti tavole danno i soliti peripli dei mari europei, e l’ultima dà un mappamondo analogo a quello del Bordone. Di altri genovesi col nome di Maggiolo sono, come ci dimostrò il Canale, parecchie carte e portolani colle date 1512, 1522, 1587 esistenti nella Biblioteca Ambrosiana in Mi¬ lano, ed una colla data 1533 conservata nei Regii Ar- chivii di Torino. La teoria matematica della proiezione delle carte fece i suoi maggiori progressi nel secolo decimosesto per opera di geometri italiani e stranieri, che convinti sempre piu della sfericità della terra, studiarono attentamente tutti i modi possibili di rappresentarne la sferica su¬ perficie senza alterarne le forme. Parecchi cartografi, e fra essi il nostro Gerolamo Ruscelli (1), come nota il Peschel, non osavano staccarsi dall’erroneo sistema di Tolomeo, ma ad assicurare un grande avanzamento nelle scienze bastò il genio perspicace di pochi ; fra i quali (4) E$positioni di Gerolamo BuecelU con XXXV! nuove tavole* Venezia, 4564. Digitized by LjOOQle 362 un bel posto deve assegnarsi al nostro Magini (1), illu¬ stratore di un’edizione di Tolomeo comparsa a Venezia nel 1596. Il Cowley opina che la prima carta, nella quale si vede segnata quella gran terra australe che si disse Nuova Olanda, ed in oggi si dice Australia, sia quella di Fernando Bartoli (1671) che pone al mezzodì delle Molucche un gran continente colle parole Terra inco¬ gnita discuoperta di nuovo. A me però resta misterioso come il Bartoli potesse segnare quella terra quaranta anni prima che la toccassero i navigatori olandesi. Forse nel suo incerto disegno egli non voleva esprimere più d’una congettura. Sul finire del secolo pare che godesse di qualche fama il geografo milanese Urbano Monti, più volte citato dal- l’Amoretti nell’opera Vogage de la mer Atlanlique à TOcean Pacifigue par Laurent Ferrer Maldonado (Plaisance, Del Majno 1812), colla quale quell’erudito, jna troppo cre¬ dulo scienziato, prese a sostenere un preteso viaggio fatto dall’uno all’altro Oceano, girando a settentrione l’America. Del Monti conservasi nell’Ambrosiana di Mi¬ lano, secondo l’Amoretti che ne era bibliotecario, un grosso manoscritto colla data 1590, ed il titolo: Tratr tato universale, descrizione e silo di tutta la terra sin qui conosciuta descritta da Urbano Monti è dallo stesso dise¬ gnata in 62 tavole graduate in lunghezza e larghezza con¬ forme alla geografia di molti veridici sì antichi che mo¬ derni autori. Le tavole sono fatte in maniera che si possono unire assieme in un solo grandissimo planisfero. Parlando di molti cartografi del decimoqnarto secolo, abbiamo detto qualche parola sull’ antica carta che si, vede a Venezia nel palazzo ducale (sala dello Scudo) e che rappresenta i viaggi dei Polo. Verso la metà del se¬ dicesimo secolo, essendo doge Francesco Donato, il Ra- musio ebbe incarico di farne il restauro, e pare che in U) ANTomusMAGiNusPATAvmDS,iVooa 0 geographieae tabvdae. Ve- oetiis 4596. Digitized by LjOOqIc 263 questa occasione aggiungesse o almeno rifacesse le tre altre tavole che abbelliscono la sala. Queste ultime, che concordemente venivano appunto chiamate Ramusiane, rappresentano TAsia occidentale, il Mediterraneo e TI- talia. Come le tavole minori che adornano la stessa sala esse sono munite d’iscrizioni ricordanti i nomi e le gesta dei viaggiatori veneziani quando Venezia era ancora la città del mare. Digitized by LjOOQle VI. VIAGGI DEGLI ITALIANI NEI SECOLI XVII E XVIII. Progressi dei popoli stranieri dorante questo periodo. — Viaggio di Pietro della Valle in Asia. — Baratti neirAbis- sinia. — Viaggio pedestre di Gemelli Carrerl intorno al globo. — I missionaril italiani nella Gina, nel Tibet e nel Congo. — Navigaz oni di Molaspina con navi spagnnole. — Viaggiatori minori e scrittori di cose geografiche. — Pro¬ gressi della cartografia per opdira dei nostri matematici, specialmente del Cassini. Il periodo che siano per esaminare è periodo di de¬ cadenza. Il signor Oscar Peschel, l’uomo più autorevole che in oggi possegga la Germania in fatto di storia della geografia, dopo avere con parole tanto giuste quanto cortesi dimostrato il primato dell’Italia nelle cose marittime e geografiche dal xiit a tutto il xvi se¬ colo, aggiunge che ne’tempi successivi il nostro nome sparisce quasi affatto dalla storia della scienza (1). Quanto ci possa essere di troppo assoluto in questa se¬ conda parte del suo giudizio, dimostreranno il presente ed il susseguente capitolo, i quali varranno forse a far nascere il sospetto che qualche ignoranza delle cose nostre abbia contribuito a far concepire a quel dottis- , simo un giudizio troppo sfavorevole sul nostro concorso ne’tempi moderni alla grand’opera delle geografiche scoperte. E perchè non ci si accusi di attribuire troppa importanza alle imprese de’nostri moderni viaggiatori (1) Vedi a pag. 85. Digitized by LjOOqIc ^265 relatìTamente al moltissimo cli^ si fece da*quelli d'altre nazioni, ci affrettiamo a ripetere che siamo per en¬ trare in nn periodo di decadenza, e che questa appare più sensibile appunto per il rapido progresso fatto negli ultimi secoli dagli altri popoli europei, del quale re¬ putiamo utilissima cosa dare un succinto ragguaglio, sia come termine di confronto, sia a dimostrare che non è nostra intenzione .dissimulare scientemente i me¬ riti altrui. Gli Oland'^si, scosso ornai il giogo della potente Spa¬ gna e divenuti nel tempo stesso formidabili sui mari, mossero felici guerre agli stabilimenti portoghesi d’Asia, considerati da loro, dopo l’incorporazione del Porto^ gallo alla Spagna per opera di Filippo II (1580), sic¬ come colonie spagnuole. La battaglia navale vinta da loro presso Bantam sulla costa settentrionale di Giava nel primo anno del decimosettimo secolo (1604), segna la decadenza de’Portoghesi ed il sorgere dell’Olanda a potenza coloniale. La quale, occupate in gran parte quelle fertili isole della Sunda che oggi ancora formano la maggiore sua ricchezza, spedi i suoi navigatori ad esplorare gli ignoti mari australi. Un nuovo e vasto continente fu scoperto per opera loro, cosicché i geo¬ grafi aggiunsero una quinta parte del mondo alle già note. Alcuni decenni! più tardi, Abele Tasman trovò le vaste isole di Tasmania, Nuova Zelanda, e parecchi ar¬ cipelaghi nel Pacifico. Ed intanto il primato marittimo degli Olandesi nel secolo decimosettimo era assicurato da quattro viaggi intorno al globo (Van Noort, Schouten, Spilbergen, e THermite), da frequenti navigazioni anche ne’freddi oceani settentrionali, da banche, e da compa¬ gnie commerciali mirabilmente dirette. Gl’Inglesi, sulle orme di Davis, rinnovarono i tentatici per rintracciare il famoso passaggio a nord-ovest, e senza raggiungere lo scopo principale scoprirono il vasto mediterraneo di Baffin, lo stretto di Lancaster, lo stretto e la baia di Hudson, e le coste di Groenlandia. Ài viaggi intorno al globo fatti da Drake e da Cavendish, immediati suoces- Digitized by LjOOQle 366 seri di Magellano nel precedente secolo, essi aggiun¬ sero quello di Dampier (1699-1700). I conquistatori spa¬ gnooli nel secolo decimosettimo si affaccendarono nel percorrere le magnifiche regioni dell’America centrale e dèlia meridionale, ed occupando i paesi, le cui coste atlantiche erano state toccate da Colombo e da altri, si allargarono fino al Pacifico scoprendo gli opposti lidi. Da questi poi, sciogliendo le vele verso occidente, Alvaro Mondana ed Hernandez de Quiros mossero alla scoperta degli arcipelaghi di Salomone, delle Marchese, di Otahiti, della Società, e dello Spirito Santo. . Nel córso del secolo decimottavo i viaggi si andarono talmente moltiplicando che difficile cosa sarebbe il dire in quale direzione principalmente si volgessero. Più che la forma esterna de’paesi è l’interna, più che le coste è il centro delle grandi terre che atteae l’attenzione e lo spirito intraprendente degli Europei. Ai viaggi ma¬ rittimi s’aggiunse sempre maggior copia di viaggi pe¬ destri in tutte le parti del mondo, in tutte le zone, attraverso i paludosi pampas dell’America, le steppe gelate della Siberia,! cocenti deserti dell’Africa, le fredde ed umide regioni del settentrione americano, ed i sab¬ biosi altipiani dell’Asia. NeH’America boreale le regioni lacuali, dalla baia d’Hudson ai Monti Rocciosi, da questi al Pacifico, dai grandi laghi all’Oceano Artico, furono percorse da viaggiatori inglesi, mentre navigatori della stessa regione, ovvero spagnuoli, completavano la sco¬ perta della costa occidentale fin là ove il nuovo conti¬ nente sembra toccare l’antico. Esploratori francesi per¬ corsero la gran valle del Mississipi; e gli spagnuoli Agarra, Ayoba, Miranda esaminarono in tutti i versi quelle delle Amazzoni, dell’Orenoco, c della Piata. .L’Africa, rimasta quasi affatto incognita a Inrevi di¬ stanze. dalla costa, fu esplorata nelle sue valli del Nilo, del Senegai, del Cambia, del Niger, e negli ampli de¬ serti, da viaggiatori inglesi spediti successivamente e riccamente forniti di mezzi dalla Società africana fon- data in Londra (i788) coll’espresso proposito di facili- Digitized by LjOOqIc 867 tare l’esplorazione di quel difficile continente. L’Asia, sebbene posta per la massima parte nella zona tempe¬ rata, ricca di prodotti ed attraente per mille aspetti, era nota nel 1600 poco più che ai tempi di Marco Polo, eccettuate le coste meridionali ed orientali, la penisola indostanica, e la Malesia più volte toccate e percorse dai Portoghesi e dai nostri viaggiatori. Nel secolo pas¬ sato la esplorarono e descrissero nelle sue parti fredde e boreali numerosi viaggiatori russi, nelle meridionali 0 calde gl’inglesi. Questi due popoli ponevano fin d’al- lora in Asia le fondamenta di quella potenza che ora vi giganteggia sempre più quasiché volesse estendersi su tutto il continente. Cosi nel settentrione svelavasi dai Russi il corso de’grandi fiumi tributarii dell’Oceano Glaciale, lo stretto che separa l’Asia daH’America, tutta la gelata costa boreale, la esatta forma del Caspio e di altri grandi laghi centrali, la configurazione de’mari interni formati dal Pacifico sulle coste nord-est del con¬ tinente, e quella delle penisole che li determinano e li dividono. Nel mezzodì facevansi note al geografo da viaggiatori britanni le ricche e miti regioni del Tibet, e di Birma, le valli del Gange, e quella gran catena del- l’Himalaja che separa l’India dal grande altipiano cen¬ trale. 1 governi più civili d’Europa, cui non isfuggiva l’ìntimo nesso che lega i progressi della scienza geo¬ grafica a quelli del commercio e della potenza marittima e coloniale, per la prima volta nello scorso secolo al¬ lestirono apposite spedizioni scientifiche incaricate di raccogliere osservazioni su qualsiasi delle condizioni naturali od etnografiche dei paesi ancora malnoti, dei quali veniva loro affidato lo studio. Fra codeste spedi¬ zioni restarono celeberrime quelle degl’inglesi sotto il comando di Cook nell’Oceania. In tre successivi viaggi (4768-79) l’intrepido navigatore, accompagnato da Green, Banks, Salander ed altri scienziati, trovò gran parte delle terre disseminate nel Pacifico, e, vero scopritore della Polinesia, rivisitò, esaminò, descrisse gran numero di arcipelaghi ancora mal noti malgrado i viaggi ante- Digitized by LjOOqIc 268 Fiori. A Cook «loTottoro i geografi esatte nozioni sbI le coste orientali dell’Anstralia, sulla Nuova Zelanda, la Nuova Caledonia, le isole degli Amici, l’arcipelago delle Sandwich, e su moltissimi altri arcipelaghi. A collegare tante disparate scoperte, a riempire le lacune rimaste fra il noto, l’ignoto, ed il malnoto, gran¬ demente contribuirono i viaggi di circumnavigazione. Ed anche qui troviamo beH’argomento di gloria per le nazioni marittime europee riverane dell’Atlantico, mas¬ simamente se si consideri che parecchi di que’viaggi intorno al globo per i mezzi, i modi, e le persone con cui furono eseguiti e pubblicati, assumono l’aspetto di grandi spedizioni scientifiche, di trionfi dell’uomo sulla natura. Di codesti viaggi, senza dubbio d’importanza assai diversa quanto ai risultati raggiunti, uno fu ese¬ guito dagli Olandesi (sotto il comando di Roggeween), uno dagli Spagnuoli (sotto la direzione dell’italiano Ma- laspina, del quale diremo più diffusamente in seguito^ sei dai Francesi (Fré/.ier, Le Barbinais, Bougainville, La Pérouse, Marchand, D’Antrecasteaux), c undici dagli Inglesi (Junnel, Rogers, Clipperton, Shelvock'e, Anson, Byron, Wallis, Carteret, Wilson, Dixon, e Vancouver), non contando quelli di Cook. Quale immensa ricchezza di nuove sperienze, d» osservazioni, di studii su tutti i rami dello scibile, ed in ispecial modo delle scienze naturali I Ora che abbiamo scorso collo sguardo tutto il campo delle scoperte, ed ammirato lo spirito intraprendente degli stranieri, è nostro debito tenere stretto conto di quello che si fece dagl’italiani, e ricordare (se pur la nostra voce è da tanto) alla gratitudine de’contempo¬ ranei e dei posteri quei pochi che, in un tempo di son¬ nolenza e di schiavitù generale per la nostra nazione, portarono la loro pietra aH’edifìcio delle scoperte, cui si attivamente dedicavansi gli alfri. Sono uomini a dop¬ pio titolo benemeriti, nè noi dobbiamo permettere che la gratitudine loro professata dallo straniero superi la nostra. Digitized by LjOOqIc 969 Nel 1843 resimio nostro bibliografo G. Gancia, già risiedente in Brighton d’Ingliilterra, faceva stampare a Torino i viaggi di Pietro Della Valle, il Pellegrino, e li dedicava ai chiarissimo signor Enrico Wellesley, che, versatissimo nelle lettere italiane, l’avea esortato a far riprodurre colle stampe le lettere dal viaggiatore dirette all’erudito suo amico Mario Schipano, professore di me¬ dicina in Napoli. Sommano queste a 54; dividonsi in tre parti, intitolate: Turchia, Persia, ed India, e sono precedute dalla vita del Pellegrino, scritta in Roma nel 1662 da Pietro Bellori, dietro invito del signor Pa- risot, consigliere del cristianissimo Luigi XIV. Ce ne gioveremo per dare un breve cenno sul Della Valle, che fu senza dubbio uno de’più insigni viaggiatori del secolo decimosettimo. Nacque nell’aprile 1586 in Roma da famiglia patrizia ricchissima ed illustrata dalla porpora di due cardinali. L’educazione corrispose alla nascita e l’ingegno agli stndii, cosicché divenne poeta, scrittore, erudito, senza per questo obbliare le amorose avventure e la spada che adoperò più volte contro i Barbareschi. Un amore infelicissimo per una fanciulla che fu accordata ad altro amatore gli fe’ nascere in petto il proposito di cercare remote solitudini, e risolse di visitare l’Oriente, ove bramava anzitutto visitare i luoghi resi santi dalle orme del Redentore. Il suo amico Schipano s’addossò l’inca¬ rico (che non potè poi mettere in atto) di formare una storica e 1>en seguita relazione colle lettere che Della Valle gli avrebbe regolarmente inviato dalle regioni che fosse per vedere. Cantata una messa alla prosperità del viaggio, fece benedire una tonaca ed il bordoncino d’oro che si cinse al collo, e s’intitolò fin d’allora il Pellegrino. Parti da Venezia nel 1614 sul galeone veneto il Grò» Delfino e venne a Costantinopoli, da dove scrisse la prima lettera il 24 agosto. Con uno stile facile, disinvolto, famigliare, talvolta umoristico, sempre zeppo di cita¬ zioni, massime Aé\yEneide e del Tasso, egli descrive gli incomodi ed i pericoli del tragitto, osservando che fu. Digitized by i^ooQle •ilo salvo dalle sorprese de’corsari per quarantacinque pezzi di cui era munita la nave veneta. Continuando nello stesso stile le altre lettere (che egli non intendeva pub¬ blicare senza la revisione dello Schipano), aggruppa, come il Sassetti, infinite osservazioni appartenenti tanto alla cosmograQa quanto alla storia, ai costumi, alla po¬ litica, alle cose naturali, alle leggi, ai giuochi, ai traffici, ai riti religiosi, alle superstizioni e alle credenze. Così viaggiando e scrivendo venne da Costantinopoli ad Aleppp, Damasco, e Bagdad. Qui nuovi e più felici amori furono efficace farmaco agli antichi, e fe’sua sposa una cospicua dama del paese, Sitti Maani Gioerida. Con essa attraver¬ sati i paesi de’Curdi giunse al Caspio, a Ferhabad, ed alla persiana metropoli Ispahan. Da questa per Schiraz volle dirigersi alle rovine famose di Persepoli, fra mezzo alle quali gli mori la dilettissima sposa. Dal porto di Combru sul golfo Persico fece vela per Surat nell’India, e trascorse tutta la costa malabarica toccando Goa, Ca- nara, e Calicut, da dove si volse ancora alle patrie tem¬ perate regioni. Viaggiando con inaudito fasto, e spen¬ dendo tutto il suo avere in procacciarsi ricco seguito e corredo di servi, camelli, e padiglioni, il Della Valle si attirava l’attenzione de’regoli asiatici e di altre persone cospicue. In Costantinopoli strinse amicizia col sire di Sansy, ambasciatore di Francia, intervenne alle caval¬ cate del bailo di Venezia, e fu introdotto dal Gran Si¬ gnore. In Persia accompagnò l’ambasciadore di Spagna, ed, ammesso più volte ai banchetti del savi9 re Àbbas, col quale entrò in intimità, vi spiegò insolita pompa di livree e corteggio. In Goa fu onorato dai favori del governatore generalo delle Indie portoghesi e conversò colla celebre regina Olala. Ritornato a Roma nel marzo 1626, seco conducendo parecchi servi orientali ed una collezione di oggetti curiosi, si sparse la fama de’ suoi viaggi e del suo nome. Dodici anni di peregrinazione in buona parte dell’Asia avevano concesso a lui, facoltoso ed erudito, di racco¬ gliere non piccola copia d’informazioni sulle condizioni Digitized by LjOOQle 27 < fisiche, politiche e religiose di estese contrade, verso le ({iiaìi per interessi commerciali tenevano diretto lo sguardo i principi ed i popoli d’Italia, per interessi religiosi il papa, il clero, e gli ordini monastici, e per interessi scientifici tutti i dotti. Papa Urbano Vili lo accolse con benignità, lo fece suo cameriere di spada e cappa, e volle che in tutte le risoluzioni concernenti le cose di oltremare la Congregazione de propaganda fide si valesse del valido consiglio del Pellegrino. Le romane accademie, massime quella degli Umoristi che lo aveva avuto ad alunno, echeggiarono di ornati encomii, ed il Della Valle rispondeva leggendo, tradotti in volgare, dei brani del poeta persiano Chogia Hafiz, ed istituendo confronti fra questo e Virgilio. La musica, il disegno, e gli studi sulle lingue araba, turca, e persiana, che gli erano famigliari, non bastando a fare tacere in lui il bisogno di affetti domestici, sposò una fanciulla gior- giana per nome Maria Tinatin da Ziba, che, amica e compagna della defunta moglie* gli era stata da questa raccomandata e seco aveva condotta a Roma. Colla nuova sposa adempì largamente il debito di procreare la prole, circondandosi d’una fiorente famiglia di quattordici figli. Un triste caso interruppe il corso de’ giorni tranquilli. Assisteva un giorno ad una processione sulla piazza di Monte Cavallo, quando s’appiccò zuffa fra i famigli pon¬ tifici ed alcuni de' suoi servi indiani. Tosto prese le parti di questi ultimi e lasciatosi trasportare dall’ira passò da lato a lato colla spada uno dei pontifici. Il delitto commesso quasi sotto gli occhi del papa era gravissimo, cosicché dovette esiliarsi a Paliano castello dei Colonna, poi a Napoli. L’intercessione del cardinale Francesco Bar¬ berini, nipote di Urbano Vili, gli ottenne più tardi l'im- pune rimpatrio. Gontinnò allora a vivere in gran fami¬ gliarità colle muse, visitato spasso dai dotti forestieri che venivano alla città eterna, ed occupato sia nel pub¬ blicare almeno in parte i suoi viaggi, sia in altri lavori che restarono inediti o videro la luce co’tipi di Biagio Diversino, libraio francese. Fra i lavori minori i più Digitized by LjOOQle * 7 * notevoli, sono Vinfwmaziom iella Georgia dedicata al papa, una dissertazione latina sui principi soggetti alia Persia, uno scritto sulle condizioni di Abbas re di Persia, l’orazione funebre della prima, e la biografia della se¬ conda moglie. Aveva il Della Valle bizzarro ingegno che non andò affatto esente dalla mania del meraviglioso, e però più volte di troppa credulità; tuttavia ci appare osservatore spregiudicato ed imparziale. Soleva dire che i vizi e le virtù erano in ogni luogo; e che i beni e i mali per tutto si trovavano seminati; non avere conosciuta cosa migliore e peggiore dell’uomo; potentissimi essere l’uso e l’opinione; moltissime essere le disgrazie, poche le prosperità; quelle star sempre apparecchiate, queste suc¬ cedere troppo raramente. La natura palesarsi in ogni terra comune madre, distribuendo a tutti i suoi doni; e dove manca di alcuni beni, supplire con altri; ma pic¬ cola parte dei mortali sapersene servire; e quasi tutti abusarli al proprio danno. Diceva infine, che fra le tante cose che aveva vedute, una sola gli restava a vedere, cercata invano in tanti viaggi di tanti anni, in tanti luoghi, e non meno nell’umile, che nell’alta e nella regia fortuna; e questa era, di non aver mai incontrato un uomo intieramente felice, laddove moltissimi, e senza numero, ne aveva trovati d’infelicissimi. Morto il 21 aprile 1632, il nostro viaggiatore venne sepolto nella chiesa di Aracoeli’ presso le spoglie de’ maggiori e quelle della prima consorte. A dare un’idea del suo stile valga il brano seguente nel quale si parla per la prima volta delle antichissime iscrizioni cuneiformi persiane che alcuni vollero scoperte nel nostro secolo, e che, interpretate da Racalinson, hanno gettata tanta luce sulla storia delle antiche monarchie asiatiche. « Che cosa rappresentsese la proftessione delle figure scolpite non saprei determinare ; dirò ben che o è pompa di sagrifleio, massimamente se la fabbrica era tempio, il che più mi persuade, o era trionfo, o accompagna¬ mento del re che comparisce in maestà, in quel modo Digitized by LjOOqIc 273 dw kk dfisertve Senofonte, ({«andò' usciva Giro, ovvero era pompa di presente che-si portasse al re, narrando Eìliano nella sua grande istoria, essere stato costume antico in Persia, anzi legge, che ovunque andavano i re ciascuno a gara gli onorava con presenti, secondo il suo potere, nel modo ette oggidì ancora si fà, conforme ho scrìtto più volte. Checché si fosse, l’ordine della scol- tura, tanto da una parte della scala quanto dall’altra, è di questa sorte. Negli ultimi cantoni a levante ed a ponente, per fine di tutta la facciata, sta prima scolpito, tanto di qua quanto di là, un leone grande che piglia ed uccide un altro animale, se mal non mi ricordo da una banda un unicorno, dall’altra unia capra silvestre. Appresso il leone, più addentro sta una grande iscri¬ zione che occupa da alto a basso tutta l’altezza del muro, tanto neH’ordine superiore quante nell’inferiore dove sono scolpite le figure. E queste iscrizioni in che lingua e lettere sieno non si sa, perchè è carattere oggi ignoto. Io solo potei notare che è carattere molto grande e che i caratteri non sono congiunti ma divisi e distip|i, cia¬ scuno da sé solo come gii ebrei, se pur quello che io giudicava un solo carattere non fosse stato a sorte una intiera parola,'il che neanche si può comprendere. Io ne copiai cinque che vidi e riconobbi in più luoghi della scrittura. Ma perchè i versi delle iscrizioni erano intieri non potei conoseere se questo carattere si scriva dalla destra a sinistra al modo degli Orientali, ovvero al con¬ trario, dalla sinistra a’Ia destra nel modo nostro. Mi dà indizio che possa scriversi dalla sinistra alla destra al modo nostro il secondo de’ cinque caratteri copiati, com¬ posto di quattro figure simili piramidali, tre di- ^ _ ritte con la punta in giù, ed una sopra cal- 1 f T cata. Perchè delle figure piramidali, il capo di III questa scrittura, come si vede in tutti i caratteri, é la parte che sempre sta di sopra quando sta diritta. Ora in quella figura piramidale calcata sopra le tre che stanno in piedi, essendo il suo capo, che è la parte larga, alla sinistra, e la coda, che è la punta alla destra, mostra 18 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani. Digitized by Google S74 che il principio della scrittora è dalla parte sinistra verso la destra, tottavia non raffermo per sicaro. Notai di più che tatti i caratteri di qaesta scrittara sono com¬ posti delle medesime flgnre piramidali, e di qaelle altre più sottili angolari, variamente disposte fra di loro fa¬ cendosi differenti i caratteri l’un dall’altro, solo nel no¬ merò e nella disposizione delle già dette figure «.(Parte seconda; Persia, lettera lo* da Schiraz, data il 21 ot¬ tobre 1621). Un prezioso e rarissinto libretto stampato a Londra in lingua inglese, da Beniamino Billingsiey nel 1670, col titolo : I recenti viaggi del signor Giacomo Baratti, gentiluomo italiano, n^le remote contrade delVAbissinia ed Etiopia interna (1), tradotto, a quanto pare, dall’italiano, ci dà qualche cenno del viaggio pressoché dimenticato di un nostro concittadino che visitò minatamente l’A- bissinia assai prima che quel singolare paese venisse svelato alla scienza dalle numerose moderne esplorazióni, e ne diede una relazione che conserva ancor oggi gran' parte*del suo interesse. Nella breve lettera di dedica che il traduttore G. D. indirizza al signor Tommaso Win- ' dham si fa l’elogio del libro e per mostrarne la veri¬ dicità si aggiungono queste parole, le quali ci mostrano che le relazioni fra l’Italia e l’Àbissinia erano allora fre¬ quenti e che questo fatto era ben noto agli stranieri. « Il nostro gentiluomo non avrebbe potato pubblicare » cose mal accertate intorno a quel regno, che è cosi » ben noto in quasi tutte le parti dell’Italia grazie alle > continue relazioni che i principi italiani mantengono » per mezzo dei loro agenti col Gran Neguz. Se questo » libro contenesse cose esagerate o non vere, non avrebbe » trovato applauso nel paese ove venne stampato e ri- » stampato ». La rarità del libro c’induce a tradurne il {vimo brano, (4) The late travels of S. Giacomo Baratti an italian gentleman into thè remote (mntries of thè Abissins or ofEthiopia interior, wherein you shalì find an exact account of thè lacos govemment, religion etc. of thè Christian people that do itdmbit there. Digitized by LjOOQle 875 OTe troveremo sufficienti cenni snl tempo e sulle cir¬ costanze del viaggio, e nello stesso tempo un’ idea del modo con cui è scritta la relazione. • L’impero d’Etiopia non è inferiore ai più vasti del globo se consideriamo l’ampiezza degli antichi suoi li¬ miti e de’ conflni che dovrebbe avere anche oggi quando fosse raccolto sotto lo scettro del suo legittimo domi¬ natore. Conteneva circa trenta vasti reami, oltre parec¬ chie provincie fertili, popolose, provviste d’ogni agia¬ tezza; ma le recenti ed infelici guerre colle potenze limttrofe lo hanno grandemente indebolito, riducendolo a moderata superficie. I Turchi, i Gialas (Gallas), il re di Mozambico, i Mori, ed altri popoli circondanti il princi¬ pato cristiano, hanno assoggettato alla loro dominazione regni e provincie che una volta formavano parte di esso. I Mori si sono estesi lungo il littorale; i Turchi hanno occupate le provincie più fertili che confinano coll’Egitto; i Gialas, popolo bellicoso dell’Africa (centrale), dominano ornai vasti paesi che spetterebbero alla imperiale corona abissina. Il re di Mozambico ed altri lo hanno spogliato ddle sue gemme più preziose, sicché oggidì non è cosi ampio nè considerevole come era anticamente. Le cause di queste grandi perdite voglionsi cercare nell’inespe¬ rienza e nella dappocaggine delle popolazioni inclinate alla superstizione piuttosto che alla guerra, ed anche nella diversità di religione, essendo sotto questo aspetto ben diversi gli Abissini dai lofo vicini.l Turchi ed i Mori crescono nelle dottrine di Maometto, laddove i Gialas e quelli di Mozambico sono dati all’idolatria; credenze af¬ fatto incompatibili colle cristiane. I Maomettani hanno tale avversione pei Cristiani che quasi si direbbe non voler essi avere di comune con questi ultimi neppure l’aria che respirano. L’odio, nndrito per queste diverse maniere di venerare l’Essere Supremo, spinse alle guerre che per diversi secoli hanno scosso l’impero abissino staccandone le provincie migliori, sicché oramai è ridotto ad un confine assai angusto al paragone di quello che aveva un tempo. L’imperatore però mantiene l’antica pompa e Digitized by LjOOQle S76 non iib rinnnnato ir j^noirdiritti mmi perdatH-l isnoi dominii attuali non sèrpassano 800/idiglia i« lun¬ ghezza e 600 in ìarghez^ e èonprendono i ireanii' di Amara/ Tigremahon, Angot, €hoa, Gotama^ Bagamidrì, Damat, Pategar, Barnagatz/Bai-u, Tigrai e Vangoe; sic¬ ché confinano al nord eolia Nubia e colle sabbiose catene ohe li separano dall’Egitto^ all’est coi regni di Zangne- bara, Aiana> ed Adel, che giacciono sol Mar Rosso al sud colle provineie dei Cafóti e dei Fungi, é all’orest Col Congo, il Medra, ed il paese dei Neri. Questa ricca con¬ trada continentale venne da me scoperta ne’miei viaggi, ed ora che dopo tanti e si pericolosi viaggi ho potuto rivedere felicemente il patrio suolo sento il dovere éi dare al mio paese la narrazione delle cose vedute, le fuali, credo poterlo dire, sono tali e tante die il lettore in proposito non ne troverà in 'maggior copia in siasi altro libro. , « NeU’anno 1656 alcuni mercanti di Firenze si accin¬ gevano a salpare per Aìessandria .ed io mi. decisi ad accompagnarli sia per l’ardente voto di visitare la Terra Santa, sia per la smania di vedere lontani paesL Alcuid dispiaceri avuti in patria mi facevano desiderare .altro cielo; onde, provvistemi largamente: dì denaro, e di un servo, m’imbarcai con quei mercanti sur nn legno olan¬ dese ed in due settimane sbarcammo alla fiamosa ciUà costrutta dal grande Alessandro. La stagione era caldis¬ sima, sicché risolvemmo di non trattenerci a lungo. Cedi mercanti francesi partivano pei Cairo, ed ì miei com¬ pagni mi persuasero ad unirmi con loro per fare il viaggio assieme e visitare le singolarità di quella celebre capi¬ tale. Io avrei preferito di non intraprendere si tosto quel viaggio e di fare prima le mie devozioni al Se- pnlm*o del nostro Redentore; ma gli amici mi persuasero « diiferire il viaggio di Palestina fino al ritorno dal Cairo, perchè pel momento non c’era occasione di recarsi in quel paese. Recatomi coi mercanti francesi al Cairo, vidi lungo la strada ed in quella grande città pai%ccbie cose singolari ed antiehità; ma non ne faccio parola. Digitized by LjOOQle ^vtw perchè sono*^inai ibenMiote a tatto ii mondo. Un mése alKincìrca dòpo il mio arétvò al Cairo una carovana si dUpone^a a partire pei Mar Rosso. Il console francese, presso del quale era alloggiato, mi incoraggiava ad ap- profittare dell* occasione per visitare paesi ove ben di raldò s" addentrano Cristiani di qualche distinzione, e mi ripeteva che sarebbe stata una bella impresa lo il¬ lustrare que’ luoghi remoti, svelandoli ai popoli più ci¬ vili. Intanto che io stava meditando su questo viaggio, un Abuna, o sommo sacerdote degli Abissini, giunse da Gerusalemme, ed essendo diretto verso TEtiopia, inten¬ deva percorrere la via stessa della carovana, essendo di tutte la più sicura. Questa combinazione mi parve quasi un invito della Provvidenza a recarmi fra quei Cristiani d*Africa si malnoti ne’ nostri climi, e quindi, fornitomi di denaro e di cambiali pel lungo viaggio, cercai prima di partire di fare la conoscenza dell’Abuna. La cosa non fu dilficile, perchè conosceva bene la lingua italiana e perchè pratico de’costumi dei Franchi (Europei). Era uomo sulla sessantina, di carattere grave e lieto ad un tempo, d’alta statura e di colorito bruno. Esiguo era il suo seguito, perchè non voleva palesarsi ai Turchi, che non avreb¬ bero mancato di abusarne, costringendolo a sborsare somme superiori alle sue facoltà. Ben deciso di accom¬ pagnarlo e di visitare con lui la Corte del gran Neguz, tanto famoso in tutto Torbe, mi associai alla carovana in qualità di pellegrino ilaliano^ carattere assai rispettato dagli stessi pagani, e quindi meno esposto agli insulti ed affronti degii stranieri. L*Abuna, seco recando poche merci, si spacciava per mercatante; e cosi, postici in cammino nel mese di marzo, dopo varii accidenti poco piacevoli, arrivammo ad un porto del Mar Rosso, chia¬ mato emporio commerciale assai importante, essendo luogo di passaggio per TArahia, TIndia, ed altre parti delTÀsia. Vi è una grande compagnia di mercanti di varie nazioni che forma la ricchezza dei luogo, il quale sarebbe senz’essa insignificante. È città fortificata con un castello sol molo, ed ha un forte grande come la città Digitized by LjOOQle S78 . di Pisa. Gli ediftcii sono vasti, ma più adatti a mercanti che non a gentilnomini, ed alcuni vagamente adorni di marmi bianchi e neri. Vi è una sinagoga di Ebrei molto frequentata il sabbato, ed un tempio idolatra dei gen> tili; ma i poveri Cristiani non hanno alcun sito pmr farvi le loro divozioni se non le loro case e stanze. L’A- bona fu ricevuto cortesemente ed onorificamente da aU cuni mercanti abissini che vollero partecipassi anch’io alla stessa ospitalità. Accettai con grato animo l’offerta, perchè il mio disegno era di non separarmi dall’Abuna, col quale sperava arrivare alia Corte deU’imperatore. Avendo sentito che un esercito di Mori e Turchi aveva invaso i territorii abissini, ci trattenemmo parecchi mesi in Suez, aspettando che ritornasse; altrimenti ci saremmo esposti ad incontrarli per via e ad essere fatti prigio* nieri e ricondotti. Non volendo porre a repentaglio una cosa tanto preziosa come è la libertà, ci arrestammo a lungo in questo luogo, attendendo occasione propizia alla partenza. Quest’ultima non si fece aspettare troppo a lungo e ci fu favorevolissima. Il pascià turco d’Egitto mandava un ambasciatqre al prete Giovanni (precious John), e siccome doveva passare per Suez, noi pensammo che sarebbe stata una ventura per noi l’essere ammessi a far parte del corteo. Trovammo qualche diffióoltà per ottenere il favore; ma, offerte duecento corone, la do¬ manda venne tosto esaudita. «L’ambasciatore col numeroso suo seguito lasciò la città, e noi lo accompagnammo sui muli attraversando diversi territorii, alcuni fertili specialmente di datteri, altri af¬ fatto stèrili. La via generalmente ci condnceva per sas¬ sose colline, ove nulla ci si offriva allo sguardo ad ec¬ cezione di belve molto diverse da quelle che aveva vèdutp in Europa. Attraversammo diversi territorii abi¬ tati dai Mori e sparsi di forti castella. Oltre i Mori, che sono sparsi in tutto questo paese, trovammo le tende di pochi Arabi erranti ; ma in realtà nulla vedemmo d’in¬ teressante. La povertà e la miseria sembrano avere fis¬ sato stabilmente la loro sede in questa parte della terra. Digitized by LjOOqIc 879 Gli alimenti sono tali qnali possono essere fomiti da Inogbi tanto squallidi ; una radice serve loro di pane, e si cibano delle carni delle bestie selvaggie che riescono ad uccidere. Anche l’abbigliamento fa testimonianza di loro estrema indigenza, componendosi di una gran foglia che cresce nei boschi, e non basta a coprire il dorso. S’accontentano di nascondere le pudenda homxnis; al quale effetto legano una cordicella sui fianchi c vi appen¬ dono le foglie, le quali ricadendo coprono ciò che na¬ tura insegna di coprire. Sotto un certo aspetto sono più ricchi che non siano gli abitanti delle nostre contrade, giacché non portano a lungo il vestito, ma Io cangiano quasi tutti i giorni. I popoli infelicissimi che natura al¬ leva in questi monti ci sembravano affatto selvaggi, evi¬ tando sempre la nostra compagnia, nè mostrando alcuna inclinazione a cercare luoghi meglio favoriti. Hanno la pelle bruna e membra grosse; parlano un arabo corrotto, che non si capisce facilmente da chi non conosce i varii dialetti di tale lingua. Quelli che vivono nelle città forti sono molto più socievoli, avendo essi scelto le sedi più opportune, ove parte del suolo che abitano si presta alla seminagione ed aU’allevamento dei bestiami. Essendo noi stati introdotti in uno di tali castelli, costrutto in una gola di monti ed in sito assai conveniente per arrestare la marcia di un esercito nemico, trovammo che il coman¬ dante in capo era un Moro. Ci accolse con parole assai cortesi; ma quando fummo al momento di partire ci fece pagare le sue gentilezze 10 talleri per testa, essendo questa moneta nota e corrente per tutto il globo. L’am¬ basciatore e tutte le persone del suo seguito non paga- ronodl tributo ; tutti gli altri dovettero pagarlo sotto pena di dovere ricalcare le proprie orme. 11 tirannetto si era circondato di alcuni cagnotti, che in quell’arduo propugnacolo vivevano alle spalle dei viaggiatori da cui si facevano pagare per passare la vita nell’ozio. Anche in altri punti vi sono delle genti che opprimono di an¬ gherie gli stranieri ; ma il governatore turco chiude gli occhi gra^e a certe borse piene d’oro ed argento che Digitized by Google 28 tt gli s’inTiano tutti gli annijè ppr dolore delle quali egli permette che siano derPbati e spogliati i riaggiatori e i mercanti. Inoltratici ancora alcune giornate di cam¬ mino, incontrammo l’esercito turco che ritornava dal- l’avere saccheggiato i Cristiani, e trascinava seco molti schiavi e gran bottino. Marciavano contatta la solleci¬ tudine, perchè il prete Giovanni, raccolto il suo eser¬ cito, li inseguiva. Da Suez noi eravamo passati nel paese detto dai suoi abitanti Ganflia, e poi a Darroa;.indi, attraversando Bar- nagasso. Lacca, e parte di Dangali, giungemmo al confine {upon thè berders). L’esercito turco, quando lo incon¬ trammo, era accampato sulle rive di un vasto lago ab¬ bondantissimo di pesce eccellente. La gente di questo paese non conosce alcun’arte, neppure la pesca, vive di uccelli ed altri animali che uccide colle freccie, e riconosce, quantunque con riluttanza, il dominio del Turco. Il suddetto lago giace nel regno di Bamagasso, che fu tolto recentemente al Gran Neguz. Il popolo conserva tuttora alcune credenze cristiane, ma cosi commiste alle idolatre, che a stento si distingue dai p»-- ganì, dai quali si distingue soltanto di nome. Qua e là si veggono sparse alcune miserabili casuccie adatte piut¬ tosto alle bestie che non agli nomini. Le mura sono di sasso e di fango; il tetto di canne e giunchi, che cre¬ scono nelle bassure in riva all’acqua; il centro dell’e- diflcio è sostenuto da un palo che ne è Tnnico sostegno, poiché questa povera gente non ha la minima idea di architettura. Le città non sono che agglomerati di si¬ mili capanne, sono poco numerose, e di solito si tro¬ vano ne’luoghi più favoriti, specialmente sulle rive dei laghi, perchè, se togliamo la stagione delle pioggie, il terreno è quasi dovunque secco e fesso da crepacci. Nell’Egitto non piove mai; ma nell’Etiopia cadono pioggie abbondantissime intorno ai mesi di gennaio è di febbraio. Si violenti sono gli acquazzoni che non è possibile sfi¬ darli senza avere qualche riparo. Il grosso dell’esercito», turco era sulle rive del la^ Gueresh, ma parecchi di- Digitized by LjOOqIc m staccimei^ti iscorraztavano lìei dintorni. Constava fra ca- valim e fanti di forse 6000 uomini, e quindi, non senn tendost in grado dlldar battaglia agli Abissini, ad altro non pensavano fuorché alla ritirata. Saccheggiati i po¬ poli soggetti al prete Giovanni, trascinavano seco uo^ mini, donne, e bambini nella schiavitù. Era per noi ben triste la vista di que'nostri fratelli maltrattati dalTim- placabile nemico del nome cristiano. L’Abuna non po^ tcva frenare le lagrime, ed andava confortandoli nella loro sventura, cercando di incoraggiarli ; ma per la paura di compromettersi non osava trattarli con troppa tene¬ rezza e manifestare troppo dolore. La presenza delTam- basciatore ci protesse dagrinsulti durante i giorni pasr sati nel campo turco. In quel' tempo si aspettavano di ritorno alcune truppe mandate a saccheggiare. È co¬ stume de’popoli conflnanti coll’Abissinia di invaderla tutti gli anni colla certezza di farvi ricco bottino senza alcun rischio. Gli Abissini, una volta famosi per il loro valore, sono ora viglia chi al punto da permettere a qualsiasi popolo limitrofo di violare i loro conQni; della qual cosa sono principilraente da incolparsi i reggitori che,avendo tante ricchezze e tante miniere d’oro ed altri vantaggi, dovrebbero assoldar truppe valorose frale più bellicose popolazioni, e giovarsene contro i turbolenti nemici. Oramai hanno scarsissime relazioni co’popoli della loro stessa religione, che potrebbero essere loro di grande aiuto. Quando un piccolo drappello di Por¬ toghesi penetrò in questi paesi, l’imperatore abissino trovò in essi soccorso validissimo, e per ben due volte i nemici disordinati fuggirono, cedendo il campo al va¬ lore cristiano. Fra i prigionieri dei Turchi si trovavano diversi giovani di cospicua prosapia, dal nobile e gar¬ bato contegno. Queste povere creature venivano con¬ dotte ai mercati di Turchia per esservi venduti come bestie, e quello che è peggio, costretti a rinunciate alla loro religione. Qual dolore avranno, provato gli in¬ felici parenti avendo i tigli e le figlie fra grinfedeliì Tali mali si eviterebbero facilmente quando questi Cri-; Digitized by LjOOQle S89 stiani continentali facessero buona guardia alla frontiera; 0 respingessero con ferma risoluzione gli invasori, o si vendicassero portando la guerra ne’ loro paesi, occupando le coste marittime ed i varchi de’monti, ove potrebbero edificare delle castella come fanno Turchi e Mori.Quando però avremo trattato diffusamente dell’Abassia od Etiopia superiore, ed avremo parlato dell’imperatore e del suo governo, comprenderemo meglio le cause dei disordini che tutti gli anni funestano questo o quel tratto di paese. Spesi alcuni giorni nel triste spettacolo dei nostri correligionarii trascinati in ischiavitù, ci congedammo da essi e dall’esercito turco per continuare il viaggio verso la grande città di Bascio nel regno di Tigre- mahon, la quale giace di là da un gran fiume che at¬ traversa l’Africa, raccogliendo in sè molti piccoli corsi d’acqua, inaffiando molti paesi, e scaricandosi poscia net Nilo. Grindigeni lo dicono. Togassi (Tacazzie) ed altri Gnecraoc. Se non fosse questo fiume, il paese non sa¬ rebbe abitabile; ma la rete delle sue acque è si distesa che non vi è porzione del vasto imperò che non ne ri¬ senta i benefici effetti. Tutto il paese circostante por¬ tava le traccie della rabbia nemica, le città incendiate, il popolo fuggiasco 0 caduto nelle mani dei . predoni, e gli stessi alberi distrutti, perchè in certi punti se ne atterrarono in gran copia a fine di agevolar il passaggio de’ fiumi. Entrammo quindi in un paese assai piò fertile di qualsiasi altro da me yeduto neH’Africa; e se gli abi^ tanti fossero altrettanto solerti e industriosi quanto è fertile il loro suolo, ne potrebbero ritrarre grande vantaggio e cavarne frutti non meno squisiti di quelli che si ritraggono in tanti altri paesi del globo. L’ar¬ dore del clima affretta la riproduzione dei vegetali di ogni specie ; sicché gode i vantaggi di due prima¬ vere e fa almeno due raccolte all’anno, tranne che il distretto non sia affatto privo di acqua. Incontrammo alcuni drappelli turchi che velocemente si ritraevano verso il grosso deH’esercito inseguito dagli Abissini. Codesti ladroni, senza trovare resistenza, si erano avan- Digitized by LjOOQle Ui zati fino .alle tende imperiali ed nn ricco bottino li aveva compensati dell’ardimento. Due leghe più in¬ nanzi trovammo gl’indigeni del paese, ed i primi fu¬ rono alcuni cavalieri assai ben montati ed armati che inseguivano il nemico. Fortemente lagnandosi con noi delle prepotenze dei Turchi, tememmo per un istante che non violassero il diritto delle genti offendendo l’am¬ basciatore; ma l’Abuna calmò il loro risentimento ed impedì che recassero offesa ad alcuno, anzi ottenne che alcuni retrocedessero per scortare con maggiore sicu¬ rezza l’ambasciatore. Gli altri cavalieri continuando il viaggio, raggiunsero i Turchi mentre erano affaccendati a fare passare nn pìccolo fiume ai prigionieri, ed assali¬ tili con grande impeto, tolsero loro gran parte del bot¬ tino, uccidendo gran numero di nemici. Reduci dalla scorrerìa, furono accolti festevolmente per il valore che avevano dimostrato. Intanto noi continuavamo il viaggio alla volta della sede dell’imperatore, il quale, udendo l’arrivo dell’Abuna, mandò alcuni di sua corte a com¬ plimentarlo ed a dargli il benvenuto. Dovunque noi pas¬ savamo, il clero ed il popolo venivano ad incontrarlo con grande dimostrazione di affetto; all’ingresso della città la gente gli veniva incontro in processione, e quando fummo arrivati in vista delle tende imperiali, tutta la corte venne ad accoglierlo, ed io ebbi agio di osservare minutamente la cerimonia del ricevimento. L’Abuna, ap¬ pena giunto alla tenda, andò a baciare la cintola del¬ l’imperatore. Questi era in una bella tenda nel centro del campo, dinanzi alla quale si apriva una piazza si¬ mile ad un mercato, ove si trattenevano i cortigiani. Un’altra bella tenda a destra conteneva le donne e le concubine del principe. Alia sommità delle tende si ve¬ deva una croce d'oro, con un angelo che brandiva nella destra una spada. Seguendo il corame abissino, l'Abuna cangiò il suo vestito con nn’altrà .. sò.che egli solo ha diritto d’indossare e lo distingue uàgli altri jnipa o vescovi del paese. Ci trovavamo nel regno di Beleguaze, non lungi da una città molto popolosa, in una pianura Digitized by LjOOqIc mt- aìbenitsiiaa detta di /troa, a loirca sd :)e^hé dal'^fluiia Tacaazie. L’Abona essendo 'pèrsoaa contese e gentHev- grarè e dolce ad .nn tejnpo e dlartiabilissima com^gnta,' mi fu permesse accompagnarlo qnando ii maestro deHe cerimonie lo condusse nella saia interna ore l’imperatore se ne giaceva su nn letto di bianchi lini con frangio) d’oro, circondato dai consiglieri e dai signori del regno. Una spada onda stava appesa dietro il letto. Un baldac¬ chino di stoffa d’oro mista a seta verde stava sopra il letto, le pareti della stanza erano tappezzate dellp me-, decima stoffa. L’Abuna, appena entrato, si prostrò a' terra tre volte, poi sali i gradini del letto, e rinrpera- tore alzatosi a metà, lo abbracciò augurandogli tutti i. beni. Dopo avere parlato assieme per qualche tempo, l’imperatore volle essere informato delle persone ohe formavano parte del seguito deirAbuna, ed in particolar modo di me che fui ammesso a baciare la cintola, di¬ stinzione riservata soltanto ai principi. L’Abuna volle poscia che io alloggiassi nella sua stessa casa, dicendo che finché era in quel paese non avrebbe permesso che dimorassi altrove. Ora che ho introdotto il lettore nella tenda imperiale, converrà che ci arrestiamo e che con¬ templiamo, come da luogo eminente, le varie istitu¬ zioni, dell’Abissinia, i vari suoi ceti, ed altre cose che gli possono interessare ». Dopo questa introduzione seguono 4 capitoli, e con¬ cernono il primo l’imperatore, il secondo la corte impe¬ riate, il terzo il governo, il quarto i varii costumi degli Abissini. - La seconda parte del libretto, cominciante a pag. dS, porta il titolo: « Descrizione di varii regni soggetti al Neguz», e si suddivide ne'seguenti capitoli: 1® Regno di Bamagasso; 2" Regno di Tigremahon; 3" Regno di Angote; kt Di Beleguanze; Amara; 6® Religione degli Abissini, loro riti, e discipU a. A pag. 175 una nota del traduttore dice essere la relaSlòne dei Baratti confermata da quella scritta da Damiano de Goez, portoghese, sulle indicazioni di Zaga Zabo, ambasciatore abissino spedito dal Negus « Digitized by LjOOqIc 286 iBe filevanni di Portogallo nei 1SS6. Qni cita un ta'afio'di eioteiria relaeione portog^iese. A pag. 200 continua la nar¬ razione dei Baratti col capitolo: • Progrestiedagialéiza deH’Abmmia », ed a pag. 217 comincia l’altimo capitolo, intitolato : « Breve relaxime di alcuni sovrani deirAèis- «tnta tratta da un antico manoscritto etiopico, portato dal Baratti in Italia». Sai principiare del decimosettimo secolo avvenne il viaggio del romano Della Valle; intorno alla metà quello del Baratti ; e sol (inire dello stesso secolo quello del napo¬ letano Gemelli Carreri. Anche questi fu spinto a lontana peregrinazione da sventare e disgusti. Avendo studiato leggi, non era nomo privo di coltura, ma era privo di mezzi; il che rende ancora più meraviglioso il ano viaggio intorno al globo, compito in gran parte a piedi, e fra mille stenti nello spazio di cinque anni, dal 1693 al 1698w La relazione del viaggio si divide in sette parti (Torchia, Persia, India, Cina, Isole Filippine, Messico, e ritorno in Europa), ciascuna delle quali si suddivide in tre libri. Venne stampata a Napoli nel 1700 ed a Venezia nel 1719; e fu tradotta in inglese nel 1704, ed in francese nel 1719.. Abbreviata nelle parti meno importanti, quali sono le prime tre e l’ultima, fu pubblicata nella gran Raccolta di viaggi del Laharpe (Parigi 1820) e nella €ot- lezione di viaggi intorno al mondo, edita in dodici volumi dal Brancarei che gli dedica interamente il terzo tomo. Questi fatti provano già eloquentemente l’importanza della relazione del Gemelli Correvi, che alcuni accusa¬ rono a torto di grossolana credulità, ed altri più a torto ancora di finzione e menzogna. Questi ultimi furono già confutati or fa un secolo dagli autóri della IfwtoMV diw voyag^ftìao hanno riprodotto nel grandioso lavoro lunghi brani del Gemelli, e recentemente dal signor Ignazio Ciampi in uno scritto inserito nella collana e Ai- viste; sebbene a parer mio il fatto solo delle edizioni e versioni ripetutesi sul principiare dello scorso secolo valga meglio che qualsiasi confutazione. Daremo del viaggio un breve sunto; ma per renderlo più interes- Digitized by LjOOqIc 286 sante e per tenerci nei tempo stesso entro gli angusti limiti che ci siamo prefissi, toccheremo ^i volo de’luoghi su' quali abbondano le notizie date da anteriori viag¬ giatori, e ci tratterremo invece a preferenza su quelli visitati più di rado e quindi meno noti. Sulla Gina, le Filippine, e la Nuova Spagna (Messico) la relazione forni una quantità di notizie preziose, massime per quel tempo; ma noi, secondo il solito costume, ci occuperemo anzi¬ tutto di quelle che più hanno interessato e possono in- tm'essare il geografo, ed in genere chiunque ami cono¬ scere i progressi fatti dalla geografia nel senso detto spati». Imbarcatosi a Napoli sur una feluca il 13 giugno 1693, arrivò, costeggiando Amalfi, Paola, e Pizzo, a Mes¬ sina. Di quivi sur una tartana passò a Siracusa e a Malta. Visitata questa città ed ammirato lo splendido cerimoniale con cui il Gran Maestro dell’ordine maltese assisteva alla messa nella chiesa di S. Giovanni, riparti per l’Egitto. Sbarcato in Alessandria, descrive i bazar, i carovanserragli, e le colonne pompeiane. Aggirandosi pel labirinto de' canali che formano il delta del Nilo, visitò Rosetta e le rovine di Canopo, Bnlak, e la vastis¬ sima Cairo. Le rovine delle antiche costruzioni egiziane, ma in ispecial modo le piramidi, attrassero quivi la sua attenzione. A Damietta riprese il mare e per Giafifa passò in Palestina. Qui si dilunga nel descrivere Gerusalemme, Betlemme, ed i tanti luoghi venerati dai cristiani. Per Acri e Giaffa tornato in Alessandria, s’imbarcò quivi nell’ottobre per Costantinopoli. Lungo il tragitto vide e descrisse la moderna Grecia, ricca soltanto di rovine. Smime sulla costa asiatica. Rodi, Chio, Lesbo, Te- nedo, ed altre isole dell’Arcipelago. Nella capitale del¬ l’impero osmano, le moschee, gli avanzi antichi, il pa¬ lazzo del Gran Signore, Scutari, Galata, e tutti gli altri ridentissimi luoghi del Bosforo formano diffuso argo¬ mento del racconto, interrotto continuamente da la¬ gnanze sulle ladrerie e le prepotenze degli ufficiali otto¬ mani. Da Costantinopoli fece una escursione per mare a Smirne, e di là per Magnesia passò a Bmssa. Da questa Digitized by LjOOQle *91 eittà parti il 10 marzo 16§4, facendo ritorno a Costan¬ tinopoli, malgrado la paura che gli averano messa in¬ dosso le minacele dei giannizzeri. Nuovi pericoli e nuove persecuzioni da parte de’Turchi, che lo avevano sor¬ preso mentre esaminava certe navi destinate a guerreg¬ giare sul Danubio contro gli Imperiali, gli fecero af¬ frettare la partenza. Prese posto sur un piccolo legno che salpava per i porti del Mar Nero, e che trasportava a Trebisonda quattro padri gesuiti ed un domenicano. Trattenutosi breve tempo in Trebisonda, parti co’suoi nuovi compagni pel confine persiano, ove giunse dopo avere visitato Erzemm, Kars, ed Erivan neirArmenia. Ad Erzerum fermossi uno dei padri gesuiti, che si era addossato Tincarico di fare una carta dell’Asia in lingua turca. Con gioia passò il confine persiano, sperando che pur sarebbero scemate le ladronerie e le minacce con¬ tinue, a cui era stato esposto sul territorio turco. Non fu che una lusinga, giacché anche colà, sotto pretesto di pedaggi e di altri diritti, tutti s’affaccendavano ad estorcere denaro e donativi. Varcato il fiume Arasse» e lasciatosi dietro le spalle il monte Ararat, per Nae- sivan e Zuffa andò a Tauris, città persiana nelTAder- bigian, sulla gran via commerciale dall’India al Mar Nero. Le moschee di Osmanin, i palazzi dei ricchi, i co¬ stumi delle donne, gli diedero molto ad osservare; poi riprese il viaggio, ed attraversando paesi ora sterili, or fertili, ora in mezzo a pericoli, ora in amena e lieta so¬ cietà, viaggiò per Sultania e Kom fino alla capitale pei*- siana Ispahan. Quivi i ricchissimi mercati e gli splendidi edificii altemantisi coi miseri casolari e le immondis¬ sime vie, i giardini, i ponti, fornirono ampia materia di studi al Gemelli, il quale dalla descrizione del capo- luogo passa a parlare in generale delle cose concernenti la Persia, siccome le leggi, i riti, i prodotti d'ogni specie, le feste, le cerimonie funebri, il commercio. In Ispahan visitò l’agente commerciale olandese, che la faceva da principe, ed i padri agostiniani portoghesi, dai quali volle imparare il portoghese che sapeva necessario per Digitized by LjOOQle viaj^gilire oell’ilndia.-Nel sèttPtnbre del 1094-laeeiè i»- pahan, e,'T(»lgen(ìe6i pdr deserti à 'inezEOdi, si reeò a Scbiraz «< pòco;lungi d»q«esta«ittà esaminò le rovine di Persepoli. Oaindi continuò la'sua ria, e per Lar rag¬ giunse il porto di Behder sul golfo Persico. Qui la nar¬ razione si distende sulta profìcua pesca delle perle nel- Parcipelagò delle Balirein; poi passa a deseri vere il viaggio airisola di Ormòz, e iridio attraverso l’Oceano Indiano, quello da Ormuz a Daman ueirindostan. - CólPairivo a Damati incomincia la terza parte del rac¬ conto concernente l’India. Passa da' Dainan aSnrat che Jé è a settentrione, e poi mnova a mezzodì per Bassaim a Salsetta. In quest’ isola ammirò le pagode sotterranee, ricche di colonne e scnitnre, che descrive minutamente. 'Procedendo quindi sempre versói I snd e toccando Bombay, Bahul, e le islas guetmiai ùn Portoghesi, giunse a 6oa, la capitale dei possedimenti lusitanii nell’Asia. Inti^es- TaQo: noiose pic chè le l’slese. pianoro « le paludi che non si potevano attraversare senza impiegarvi molto tempo. Il tratto da Canton a Peking, città lontana pvù di cinquemila h cinesi, fu percorso dal Gemelli in dtm mesi ed ondici giorni, durante i quali vide unno^ mero di città secondarie, i cui nomi, quali vengono dati dair originale, non si possono sempre riscontrare nelle carte moderne. La folla sempre crescente sulla pubblica via ed il numero ingente di veicoli annunciava ravvi¬ cinarsi della gran capitale del celeste impero. Appeim arrivatovi, il viaggiatore si fe' condurre al collegio dei Gesuiti e presentare al padre Grimaldi, superiore pro¬ vinciale delle missioni e presidente delle matematiche, nella speranza che per suo mezzo avrebbe potuto otte¬ nere d'esserO ammesso ne' difficili penetrali dell’ impe-. rialè palazzo. 1 missionarii lo accolsero con istupore misto a diffidenza, consigliandolo a procurarsi un al¬ loggio fuori del collegio. Superate le prime difficoltà e visitaia infanto la sterminata città, il Gemelli venne in<- trodotto nel palazzo imperiale dal padre Grimaldi, e se¬ condo la relazione che ci lasciò fu ammesso all’udienza, tìnesto punto' fU' impugnato dai missionarii, i quali as¬ serirono non essere stato ammesso il Gemelli alla pre¬ senza del figlie del cielo. Stancatosi deU’intermidabile cerimoniale e del freddo eccessivo, decise di partire ed affrettò la visita alle cose più notevoli sia nel quartiere cinése, sia nel tartaro. Il padre Grimaldi, assai influente presso la corte, gii diede un passaporto che doveva sal¬ varlo dtogtii persecuzione durante il ritorno. Avvenne questo in parte per la medesima via preced'entementè bottata, onde la relazione, benché interessante per chi la confronti GOll e carte, non è però^ anche laddove no¬ mina paesi non prima attraversati, se non renamera>- zioue^dei luoghi toccati, interrotta qua e là da osser¬ vazioni su qualche costume, o da qualche incidente, dei viaggio. Passato l’Hoang*ho e Su-ciu, viaggiò per là provincia di NaU-king, che abbandonò a Pong-hiang-i, -onde entrare in quella di- Hu-quang. Quest’ultima è di- Digitized by LjOOqIc m Visa éa quella detta Kiang-si por meazo* del geanilume Kiang'iio, valicato il quale, il viaggio non offite nuovi particolari fino a Ganton, esclusa forse una bella deseri* zione della festa delle lanterne vista in questa citU. Compito il gran viaggio dalle provincie piu meridionali dell’impero alle più settentrionali, e da queste a quelle, il Gemelliraggiunse Macao e s’accordò con certi mercanti spagnuoli .provenienti dalle isole Filippine per fare as¬ sieme il tragitto dalla Gina a Manilla. Cosi nell’aprile dell’anno 1696 abbandonava egli quel grande e singo* larissimo paese, che per tanti aspetti attira l’attmizioBe del colto Occidente e si cattiva il rispetto de’moderni, come seppe cattivarsi l’animo di tutti quelli che lo visita¬ rono nei tempi passati. Un brano estratto per sommi capi dall’originale varrà a dare un’idea de’costumi cinesi e dell’ammirazione con cui ne parla il nostro viaggiatore: « L’impero si divide in quindici provincie, ed ha pa¬ recchi paesi suoi tributarli, siccome le isole di Formosa ed Hainan, e la penisola e il regno di Cor^. Le città, mu¬ rate e non murate, le fortezze, i, borghi vi sono in su¬ mero stragrande. La popolazione è densissima, e non somma a meno di 200 milioni d’anime. A migliaia si anno¬ verano le persone per virtù,scienza e coraggio; enorme il numero dei templi innalzato in loro onore, e quello delle pagode sacre alle diverse deità. Le torri, gli archi trionfali, i ponti d’ardita costruzione, i pubblici odi- fiici vi s’incontrano da per tutto in gran numero. I Ci¬ nesi fanno risalire la fondazione dell’impero a trenta secoli avanti Cristo, e lo credono tanto esteso che tutte , le altre regioni del globo non fanno che una stretta zona intorno ad esso. Rappresentano l’Europa come una piccola isola in mezzo al. mare. Vivono in .Cina circa duecento mila (Cristiani che con deni spontanei mantengono i missionarii. Fra questi i più possenti sono i Gesuiti, i quali sono giunti a tanta influenza presso la Corte imperiale, che si possono dire i protettori di tutti. Essi maatengonsi influenti pei loro studii mate¬ matici, componendo calendarìi in wie lingue, oasm^ Digitized by LjOOqIc 393r rando gH cccìissK fabbrieatidb strumenti fisici é mec¬ canici, accomodando e costruendo oriiioli, distillando liquori, ecc. I mandarini o magistrati supremi sono di nove categorie reciprocamente subordinate. Dalla prima si tolgono i consiglieri imperiali. Dai mandarini lette¬ rati, che ascendono a 13,000 e più, si tolgono i govep naturi delle città e prorincie, ed i membri de’supremi tribunali. Quando un mandarino ha governato con 3ag-> geaza il suo distretto, ed è passato il triennio fissato dalla legge, tutti r accompagnano per gran tratto fuoi* delle mura e gli offrono regali, chiedendo in ricambio qualche pegno che custodiscono con grato animo, come memoria del loro buon padre. Nessuno pnò essere fatto governatore colà ove è nato e neppure condurvi i suoi domestici. Bisogna che egli accetti quelli che gli ven* gono assegnati e che tenga gelosamente in casa perfino i proprii figli. Qualsiasi magistrato si lascia corrompere, viene condannato a pene severe. Per esprimere i loro pensieri i Cinesi si servono di un numero stragrande di segni ed immagini semplici o composte, corrispondenti ad un suono monosillabo. Ciascun suono può avere uri senso diverso, secondo l’accento con cui viene pronuni ciato. Hanno fatto maggior progresso nelle arti meccà'^ niche che non nelle sciente. Le stoffe sono bellissime e svariate, l’architettura bizzarra ed alquanto uniforme, la pittura monotona, la musica ancora affatto bambinai Hanno scoperto la bussola, ma non sanno farne un grande uso; scrivono da sinistra a destra in colonne che vanno dall’alto al basso; stampano, ma non con caratteri mobili, bensì con tavole incise. Tutti sono industriosissimi. A Peking migliaia di famiglie vivono del commercio dei zolfanelli, oppure raccogliendo e rivendendo i cenci sparsi per le vie. Dividono la notte in cinque parti, e le am numciano col suono del tamburo, mentre certe torce; oonsumandosi, indicano la quantità di {tempo che 6 trascorsa. Non hanno vascelli, bensì un numero prodU giosO di barche sui fiumi e sui lunghissimi canali. Ve n’ika gran numero soltanto pel servizio'dellà Corte. Le Digitized by LjOOqIc SM cerimonie che si usano per tutte le aeioni piti comuni della vita sono tante, si complicate e stucchevoli, che ben-si può dire che nulla si lascia fare al cuore. Hanno una quantità di titoli onorifici e ne fanno continuo uso. Tutti vogliono essere creduti ricchi e grandi; la mo* destia ed il pudore sono determinati da regole, dalle quali non è lecito staccarsi. La morale si fa consistere nell’etichetta. Se si tratta di personaggio di qualche importanza, si fermano a venti passi di distanza, portano le mani alla fronte ed abbassano la testa fin.presso H suolo. Non si fa mai una visita senza farsi annunciare; chi non ne vuol ricevere, fa mettere uno scritto sulla porta. Una visita è un combattimento. S’incomincia cogli inchini, poi si disputa per porre la sedia più o meno vicino al moro, poi si affrettano ad alzarsi, mostrando voler pulire la sedia, ed intanto il padrone di casa non cessa di dire che è confuso dell'onore che gli si rende. Sotto pena di passare per un barbaro, dovete mangiare e bere tutte le volte che vi sono offerti cibi e bevande. Quando si parte, nuove smorfie;ed il momento dell’addio è intollerabilmente noioso. 11 padrone prega l’ospite di salire a cavallo, ma l’ospite dichiara che cadrà prima il mondo anziché egli commetta tanta villania; l’altro in¬ siste, ed intanto si nasconde ; questi cede, e sale ; l’altro ricompare, ed ecco che si fanno scuse, inchini, e com¬ plimenti tediosissimi, finché finalmente si separano. Se si vuole invitare ad un pranzo, bisogna farlo parecchi giorni prima, e farlo per tre volte consecutive sempre in iscritto. A tavola servono in piatti d’oro o di porcel¬ lana finissima, ma non usano né forchette, né cucchiai, né tovagliuoli. Due bastoncini servono a tutto. La mag. gior bel lezza delle donne sta nel piede piccolissimo, e per sformarselo se lo storpiano fino dalle fasce. Vivono separate dagli uomini in appartamenti che danno sui cortili, né escono se non in lettighe ben chiuse. I ma¬ trimoni si combinano senza che gli sposi si conoscano; i pòveri si comperano le mogli per pochi scudi. Delle sepolture hanno gran cuora» perché non credono di po- Digitized by LjOOQle 3»S tare trovarsi bene aH’altro mondo se non sono ben sep^ peniti in questo. Grandissima è la venerazione con cni nelle famiglie si ricordano e mantengono i nomi dei padri e degli avi ». La traversata da Canton a Manilla nelle Isole Filip¬ pine, circa 600 miglia, si fece senza alcun grave incon* veniente. Il governatore spagnuolo accolse il Gemelli con tutta cortesia, offrendogli i suoi servigi. 1 singolari viaggi fatti dal nostro compatriotta, ma specialmente quello in Gina, gli procacciavano stima ed importanza presso tutti coloro che per propria sperienza saper- vano valutare le difficoltà da lui superate. Giovandosi dell’amicizia del governatore e dei padri gesuiti, il nostro viaggiatore recossi tosto a visitare la bella città di Manilla, e le chiese e gli edificii eretti e dotati dal governo spagnuolo; poi risali il fiumicello Pasig, per vedere il lago Bahi, del quale il Pasig è l’emissario. L’e¬ leganza de’ pubblici edificii e la straordinaria mistione delle razze furono le circostanze che più lo sorpresero. Passa poi a parlare in generale del grande arcipelago di cui Manilla è il centro. 11 numero delle Filippine è assai grande. Magellano diede loro il nome di Arcipe¬ lago di S. Lazzaro; gli Spagnuoli gli diedero più tardi quello di isole de los lucones o dei mortai, e più tardi quello di Filippine in onore di re Filippo II. Lozon e Mindanao sono le più vaste e presentano colle minori, a chi venga dall’America, un grande semicerchio che ha duecento leghe di lunghezza. Sono poste fra l’equatore ed il tropico e vanno soggette a frequenti terremoti. Sono abitate da Malesi lungo le coste, da legali, che sembrano affini ai Malesi, e da Negri selvaggi, che vi¬ vono nella più profonda barbarie e non si trovano che nelle parti più centrali. Molte isole sono affatto deserte. Gli Spagnuoli hanno estesa la loro dominazione soltanto sulle coste, e non sopra tutte le isole, perchè trovano forte opposizione nei Negri. L’isola più ampia è Luzon o Ma¬ nilla, che varia in larghezza da dieci a quaranta leghe, e ne conta centosessanta in lunghezza. Si div^dé in parecchie Digitized by LjOOQle 296 provincie. In quella di Camarines vi è la baia di Albay, presso la qnale si erge Un vulcano che si scorge a gran distanza. In quella di Paracaie vi sono ricche miniere di oro. Quella di Gagayan ha per capoluogo Nuova Se> govia. Il suolo è quasi sempre fertile. L’isola Mesbate ha trenta leghe di giro e buoni porti. Ha eziandio mi¬ niere aurifere, ma gli Indiani, contenti di ciò che hanno, non se ne curano, e gli Spagnuoli trovano guadagno più facile nel commercio. Mindoro ha sessanta leghe di pe¬ riferia, è montuosa, abbonda di datteri ed altri frutti, ma non di riso. Panay è l’isola più fertile, essendo ric¬ chissima di corsi d’acqua. Leyto è un’isola che gode di un clima più mite di quello di Manilla, sebbene sia più meridionale. Bahol ha sedici leghe di circuito, non ha riso, ma palme e patate e pesci in abbondanza. Zebù, la prima ove gli Spagnuoli guidati da Magellano alzassero il loro vessillo, ha cotone e tabacco in gran copia. In quest’isola fu ucciso il prode Magellano. L’isola dei Negri (Negros) è montuosa e viene disperatamente difesa dai suoi negri abitatori. Il numero degli Spagnuoli in tutto l’arcipelago non sorpassa i 250,000 abitanti. ÀI’ mezzodì delle Filippine trovasi l’arcipelago delle Molucche, ed il Gemelli ne' indica partitamente le isole ed i prodotti, seconde notizie da lui raccolte a Manilla. Da questa città parti sul galeone spagnuolo, che in date stagioni passava dalle Filippine al Messico, attraversando il Grande Oceano. Tempeste, malattie, fame accompagna¬ rono i lunghi mesi'di navigazione attraverso l’Oceano, che il Gemelli dice meritare piuttosto l’epiteto di lur- balenio che non quello di pacifico. Poche e piccole terre si videro nell’immenso pelago. Le prime furono alcune isolette del gruppo delle Marianne, che fin d’allora erano occupate dai soldati e dai Gesuiti spagnuoli. Il galeone si spinse dalla bassa latitudine delle Filip¬ pine sempre più al nord fino al 39° grado, e poiché per la mancanza di terra il viaggiatore non ha ponto di appoggio cui coordinare gli incidenti del viaggio, cita più volte il grado di latitudine, cui il vascello si Digitized by LjOOqIc m trova?a qnando avvenne questo o qnel caso. Dal 39* la nave volse il corso a mezzodì-levante, finché si ebbe in vista il Capo S. Lneas, che è la punta più meridionale della penisola di California neH’Àmerica centrale. Questa parte del bel continente colombiano portava allora il nome di Nuova Spagna, impostogli dai conquistatori^ e Nuova Galizia dicevasi quel tratto di paese lungo l’O¬ ceano, ove fra gli altri porti minori trovasi Acapulco. Qui approdò il galeone. Sebbene ancor oggidì il princi>« pale porto del Messico sul Pacifico sia Acapulco, non¬ dimeno è ancora, come ce lo descrive il Gemelli, un povero villaggio in terreno basso e malsano ai piedi delle Ande. Non essendovi alberghi, il Gemelli trovò ricovero in un convento. Cantato il Te Deum nella chiesa parrocchiale pel felice viaggio, egli si diede a percor¬ rere i dintorni, e poi noleggiò due mule per valicarci monti dell’istmo. Il martedì grasso del 1697 trovavasi ad Attaxo, villaggio nelle Ande. Per monti e valli, spesso fra le nevi, malgrado la bassa latitudine, il Gemelli giunse a Cuemavaca e poscia a MeSsico. Questa città, che gl’indigeni, comunemente detti Indiani, chiamano Te- nochtUlan, giace in una pianura assai elevata sul mare, tutta circondata da monti altissimi, ed avente poco lungi dalla città due laghi che occupano le parti più depresse del bacino. Può gareggiare colle città d’Italia per la rego¬ larità delle vie e la ricchezza degli edifici!, eie supera, se¬ condo il nostro viaggiatore, per la bellezzadellesnedonne. Il clero è molto numeroso e riccamente dotato. Il clima è mitissimo, fecondo oltremodo il suolo, abbondanti i frutti ed i fiori. Vi sì trova ciò che sì vuole quando si cerca; ma oggidì, dice il Gemelli, non vi si cerca più nulla. La relazione continua, parlando dei geroglifici usati dagli indigeni, dei templi, delle cerimonie religiose, de’ pro¬ gressi fatti dal cattolicismo per opera dei missionari spagnuoli, e delle strane processioni, o per dir meglio delle commedie religiose inventate dai missionari a svo¬ gliare la devozione nelle ingenue menti degli Indiani^ I 4a{^i'nelle vicinaane di Messico» i grandi lavori (atti Digitized by LjOOqIc 296 pér' é^siccarli^, le ville di Moat^uma e Ckapaltep^e, -la passeggiata di Xamaria -, che è il Posilipo di Messico, le miniere di Pachaca, e la fattoria de’Gesuiti a Santa Lucia, furono gli oggetti delle escursioni fatte dal Ge¬ melli nelle vicinanze della capitale. La via, che va dal Messico a Vera-Cruz, che era allora, come oggi, il primo porto del Messico sull’Atlantico, lo condusse per i luoghi di Chelco, Uascela, Puebla^ e Gholula, disgiunti da grandi pianure e da catene di monti. Trovò le vie pessime, e non pochi i pericoli e gli incomodi, specialmente nel pas¬ sare i fiumi. Yera>Gruz giace in riva al mare in un suolo sabbioso e tanto sterile, che le provvigioni non si possono avere che da luoghi lontani. Si stende da levante a ponente e consta di case a metà seppellite nella sabbia. Il porto è ben difeso, non già dai piccoli forti costrutti dagli Spagnuoli, ma bensì dagli scogli che ne rendono difficile l’ingresso. Non lungi vi è un’isp- letta detta dei Sacrificiii Tutta la popolazione ascende a poche migliaia fra Neri, Mulatti, e Spagnuoli, e la guar¬ nigione consta di due compagnie. In questo luogo tri¬ stissimo fermossi pochi giorni, cacciando nei dintorni ; poi fece vela sopra una nave spagnuola detta Seviilan per r Avana, capoluogo dell'isola di Cuba. Qui visitò ' le fortificazioni del Morro e l’eremitaggio dì S. Giacomo. Ebbe anche occasione di vedere parecchi selvaggi indi¬ geni della Florida, venuti all’Avana.per vendervi squame di tartaruga. Un capitano gli offri un posto gratuito sul suo galeone, che formava parte della flotta che stava per salpare verso i lidi d'Europa. 11 Gemelli accettò. Il galeone passò felicemente fra ì’banchi delle Bahama, ma trovossi isolato, giacché ì venti dispersero i legni- La fiera tempesta che divìse i legni che navigavano di conserva pose in pericolo anche i manoscritti del viag¬ giatore. Dice che impiegò un giorno intiero per asciu¬ garli. Una tempesta ancor più fiera scoppiò mentre le navi erano già in vista di Flores e Cuervo, le più occi¬ dentali del grullo delie Azorre. Si calmò, ma per far luogo a nuovi pericoli sicuome quello dei pirati «del- Digitized by LjOOqIc m rincontro con legni Oi petense nemiche a Spagna. Scorta finalmente da Inngi la costa di qnesto paese, fa un’ah legrezisa generale. Con salve di artiglieria si salutò l’im¬ magine miracolosa di Nostra Signora della Regola, e poco dopo sì sbarcò in Cadice. La città aspettava da molto tempo e con impazienza la squadra che ora ac¬ colse con feste ed applausi. Dopo l’arrivo in Cadice, la relazione del Gemelli attraverso Spagna, Francia, ed Italia per raggiungere la bella città natale ai piedi del Vesuvio, va scemaudo d’importanza. Egli toccò Siviglia^ Madrid, Pamplona, Tolosa, Marsiglia, Genova, Milano, e Firenze, sempre annotando ciò che gli sembrava più notevole. Dello Stato di Milano dice che incomincia a Serravano e che obbedisce felicemente ai re di Spagna : della sua capitale ammira il duomo, l'ospedale, il lazr zarétto, il castello, l’Ambrosiana, le numerose chiese, ma anzitutto l’affabilità e la magnificenza dei suoi amici spagnuoli, fra’ quali Don Francesco Fprnandez de Cor¬ dova, governatore, e Don Ferdinando Valdez, castellano. Giunse a Napoli nei 1698, pubblicò qualche anno dopo i suoi viaggi, e visse ancora a lungo. Quest’ultima cir¬ costanza si deduce in parte dal fatto che egli stesso vegliò alla edizione dei suoi viaggi stampata in Venezia dal Malachin nel 1719, alla quale pose per epigrafe le parole; Satius est mundum peragrare quota ipsimmet pos- tidere, e fece precedere un’interessantissima istruzione sulle vie più facili a percorrersi in Asia e sulle merci che più conveniva provvedere, per lo scambio ne’varii paesi. Si diffonde anche sui modi a tenersi per viag¬ giare utilmente, e parla di sè ne’termini più modesti. Di nove volumi gli ultimi tre sono consacrati ai viaggi fatti dal Gemelli in Europa verso il 1683 ed alla cam¬ pagna da lui fatta intorno a quel tempo nell’Ungheria contro i Turchi sotto il comando del principe Eugenio di Savoia. Nella relazione del viaggio di Gemelli Careri intorno al globo trovammo più fiate ricordati missionari italiani sparsi nell’India, nella Gina, in tutti gli angoli. pih.i$- Digitized by LjOOqIc 30 » nàtcrìite in varii idiomi furono da lui donate al veneto Senato, e furono consultate dal Catron ed altri nella Marciana; ma andarono smarrite, secondo lo Zurla, nelle turbo¬ lenze che produssero la morte della repubblica sul finire dello scorso secolo. Parecchi italiani furono dalla Spagna rivestiti di in¬ signi cariche nelle armi e nelle magistrature, anche quando il dominio spagnuolo era da lungo tempo ces¬ sato nella penisola. Alessandro Malaspfna, rampollo della celebre famiglia di Lunigiana,di cui ci ha dato sì ampie notizie, come di tante altre, lo storico Pompeo Litta, gio- . vandosi del potente suo prozio Fogliani, viceré di Sicilia, entrò’come ufficiale nella flotta spagnuola, verso Tanno 1775. Talento, cognizioni non comuni nelle scienze esatte, seducente aspetto, cospicuo casato, potenti relazioni, tutto contribuì a procacciargli carriera luminosa. Nel 1786 contando trentadue anni di età, gli fu allìdato il comando di due navi, la Descubiertae VAtraviday coll'in¬ carico di rinnovare l’esplorazione delle immense coste americane, di determinare astronomicamente con tutta esattezza i punti salienti ed importanti per la naviga¬ zione, e di esaminare se realmente esìstesse un pas- Digitized by LjOOQle Sii saggio dal Pacifico all'Atlantico presso il 60® di latitu¬ dine settentrionale. Quest’ultima parte della missione era occasionata da un supposto viaggio che pretende- vasi eseguito nel 1588 da Ferrer Maldonado fra i ghiacci impenetrabili dell’Oceano Artico, passando dall’un nel¬ l'altro dei grandi mari che racchiudono TAmerica. Il Malaspina salpò da Cadice il 30 luglio 1789, e diè prin¬ cipio a’suoi lavori. Esplorò attentamente la costa nord- ovest del continente, ricercandone tutte le insenature, esplorò la baia di Behring(L. N. 59" 34’) senza trovare alcuna traccia del canale, nel quale, a dir vero, avevano pochissima fede, e coloro che avevano date le istruzioni, e gli equipaggi, e lo stesso Malaspina; giacché la sup¬ posizione non si fondava sopra alcun fatto bene accer¬ tato, ma soltanto su relazioni da tutti giudicate apocrife, fuorché dal duca d’Almadouer, il quale, quando senti che il canale non esisteva, preferì crederlo chiuso da un cataclisma, anziché sospettare della veridicità del Maldonado. Dalle coste americane Malaspina si volse alle Marianne, alle Filippine, all’Australia, ed alla Nuova Zelanda, scoprendo qualche piccolo gruppo ancora ignoto, ed istituendo ovunque osservazioni sui varii rami delle scienze naturali. 11 21 settembre 1794 rientrava in Ca¬ dice, seco portando collezioni botaniche, carte idro¬ grafiche, ed altre suppellettili scientifiche, nel racco¬ gliere le quali l’avevano coadiuvato Galeano, Valdcz, ed il naturalista tedesco Teodoro Hànke, le cui raccolte conservansi ancora oggidì nel museo di Praga. Cresciuto in fama il Malaspina, diventò assai inlluente a Madrid; ma la predilezione che gli mostrò la regina Luigia, ed i tentativi fatti con essa per atterrare il Godoy, prin¬ cipe della Pace, lo esposero alla vendetta di questo po¬ tente ministro di re Carlo IV. Fu dipinto al re come eretico, franco muratore, giacobino, ed ardente fautore delle idee rivoluzionarie che allora dalla Francia agitata invadevano i limitrofi paesi. Ciò bastò perchè venisse rin¬ chiuso nelle carceri del forte di Corugna, ove languì sei anni. Melzi d’EriI, vicepresidente della repubblica italiana. Digitized by LjOOQle 312 valendosi delle sue strette relazioni colle famiglie spa- gnuole degli Eril e dei Palafox, chiese ed ottenne nel 1802 la liberazione delTamico che egli aveva conosciuto in Madrid e del quale divideva le opinioni. Venuto a MilanoMalaspina rifiutò il postodi ministro della guerra offertogli da Melzi, e ritirossi nelle avite terre di Pon- tremoli, ove morì nel l’aprile 1809. Ancor prima che l’Amoretti pubblicasse il libro nel quale si sforza di provare l’autenticità e la veridicità del viaggio di Maldonado (1), il celebre Humboldt nel suo Voyage aux régions equinoxiales du nouveau conlinevU l’aveva dichiarato una finzione; ed infatti per poco che si conosca la terribile natura dei luoghi, gli scarsi mezzi dei navigatori del sedicesimo secolo, gf inutili sforzi fatti da molti navigatori inglesi ai nostri giorni, mal¬ grado i potenti mezzi del vapore e dei perfezionati strumenti, dovrà convenire che Maldonado non poteva eseguire nel 1588 ciò che esegui unico e solo l’intre¬ pido Mac dure nel 1855, in mezzo a mille pericoli e sagrifici, fra’quali la perdita della sua nave rimasta fra i ghiacci. Vogliamo riferire le parole di Humboldt, non già per quanto concernono quest’argomento, a noi se¬ condario, ma per il bellissimo elogio che fanno del nostro Malaspina. « En 1789 la Cour de Madrid fixa de nouveau son attention sur un objet qui avait éié débattu au commenceraent du xvu® siede, sur le prétendu détroit par lequel Lorenzo Ferrer Maldonado disait étre passò en 1588 des cótes du Labrador au grand Océan. Les cor- vettes La Descubierta et VAlravida eurent ordre de s’é- lever à des hautes latitudes sur la còte nord-ovest de VAmérique et d'examiner toutes les passes et entrées (li Voyage de la mer Atlantique à VOcéan Pacifiqne par le nordiocesi dans la mer Glaciale par le capitaine Laurent' Ferrer Maldonado, Van 15S8, traduit d'un manuscrit espagnol et suivi d'un discours qui en démontre V autenticité et la véracité par Charles Amoretti, bibliothécaire dans V Ambrosienne de Milan* Plaisance, Del M^qno, 1812. Avec pUnches. Digitized by LjOOQle ^ 313 qni interrompaient la continuité du litoral entre 58® et 60® de latitiide. Après avoir cherché inutilement ledétroit indiqué dans la citation de Maldonado et avoir séjourné aa port Mulgrave dans la baie de Behring, Maìaspina fit route vers le sud.Les travaux de M. de Maìaspina sont restés ensevelis dans les arcliives, parce que le nom de cet intrèpide navigateur devoit étre livré à un oubli étemcl. Heureusement la Direction hydrographique a fait jouir le public des principaux résultats des obser- vations astronoraiques faites pendant le coiirs de Texpé- dition de Maìaspina. Les cartes marines qui ont para à Madrid, depuis 1799, se fondent en grande partie sur ces résultats importants, mais au lieudu nom du chef, on y trouve seulement celui des corvettes que Maìaspina a commandées ». Abbiamo chiusi i precedenti capitoli con un cenho sui cartografi. Quantunque le carte eseguite nei due secoli trascorsi non conservino ornai alcun merito di novità e di rarità, noi le vediamo gradatamente perfezionarsi, e dobbiamo una parola a quei benemeriti che resero pos¬ sibile tale progresso. Gli studi astronomici applicati alla navigazione ed alla misurazione degli spazii in terra ed in mare, i calcoli delle longitudini e delle latitudini furono gloria esclusiva degli Italiani fino a tutto il quindicesimo secolo. Le più antiche carte geografiche fu¬ rono fatte in Italia. Le prime raccolte di carte furono quelle a corredo delle edizioni di Tolomeo, e le prime cinque edizioni dell’opera di Tolomeo comparvero tutte in Italia nel quindicesimo secolo. Nel secolo decimo- sesto, malgrado i progressi fatti in codesti difficili studi dai Tedeschi e dagli Olandesi, noi contribuimmo di molto all’ incremento della geografia matematica, grazie alle opere fisiche di quel multiforme e vastissimo ingegno che fu Leonardo da Vinci, grazie alle Effemeridi di An¬ tonio Magi ni, stampate a Venezia nel 1582, ed alle carte di Sebastiano Cabotto, il quale si valse della proiezione elittica immaginata da Pietro Bienewitz in Germania. Per quanto è noto ai dotti dei giorni nostri, il primo Digitized by LjOOqIc che calcolasse la longitudine astronomica fra due parti del nuovo continente fu Colombo, e il primo che la cal¬ colasse per mezzo delle distanze lunari fra due punti, Tono in Europa, l’altro in America, fu Vespucci. Ambedue sì giovarono delle effemeridi di Giovanni Miiller di Konigsberg (Begiomons, e per ciò detto ordinariamente il Begiomontano), le quali valsero a Colombo anche per predire agli Indiani Teclisse lunare del 29 febbraio 1^4. Nè mancano altri fatti a provare il primato italiano in materia di studi nautici. Sebastiano Cabotto fu il primo che concepisse la possibilità di calcolare le longitudini per mezzo delle deviazioni delTago magnetico. Quando nel io22 l'equipaggio della ViUoria, reduce in Ispagna dal maraviglioso viaggio di circumnavigazione sotto Magellano, si accorgeva con ispavento di avere perduto un giorno e di non aver quindi digiunato nei giorni prescritti, ninno fuvvi che sapesse spiegare quel fatto semplicissimo, ad eccezione del veneto ambasciatore Centanni, il quale fattosi innanzi della turba cortigiana circondante il trono, mostrò che cosi doveva necessa¬ riamente accadere a chiunque movendo sempre verso occidente girasse intorno al globo. Il graduato mutarsi della vegetazione sui fianchi dell’Etna fu per la prima volta osservato dal cardinale Bembo, il quale non fu lungi dall’ immaginare la gran legge cosmica recentemente scoperta da Humboldt: modificarsi la vegetazione in stretto rapporto col crescere delle altezze, siccome col crescere delle latitudini. L’esempio di raccogliere no¬ tizie e cifre sulle popolazioni, le forze militari, le en¬ trate e le spese degli Stati esteri, primo vagito di quel ramo della scienza geografica che ora sotto il nome di geografìa slatistica è cresciuto gigante, fu dato dai geo¬ grafi italiani fin dal secolo decimosesto. Nel secolo decimosettimo e decimottavo gli stranieri ébbero invero insigni cosmografi, e bastino i nomi di Keplero, di.Snellius, di Ticone Brahe, di Newton, di Edmondo Halley, di Dalrymple, di Delisle, e d'Anville; ma anche a noi è concesso vantare un Galilei e quel Digitized by LjOOQle 315 Gian Domenico Cassini, insigne matematico, che fa padre di una intiera stirpe di astronomi e di cartografi. Im¬ mensurabile fu rimpulso che venne da Galilei agli studi esatti, specialmente alla fisica ed alle scienze naturali. Galilei fu il padre della fìsica moderna. Egli scoprì nuove leggi di natura e le sostenne contro tutti i pregiudizi del suo secolo, sfidando la taccia di eresia e combat¬ tendo la stramba filosofìa di molti, che alf ignoranza univano, come spesso avviene, la più ostinata intolle¬ ranza. I suoi studi sui sistemi mondiali di Tolomeo e di Copernico (Nicolò Kòppernik da Thorn), sul magnete, sul pendolo, sui trabanti di Giove ed il modo di usarne per determinare la longitudine, segnavano una nuova fase nella scienza astronomica e tutte le sue ramifica¬ zioni se ne avvantaggiarono. Gli Olandesi mandarono Hortensius e Blaeiiw a Firenze perchè studiassero alle scuole del cosmografo fiorentino. La famosa Accademia del Cimento, favorita e protetta da principi tradizional¬ mente mecenati quali furono i Medici, diventò un gran centro di luce e di moto intellettuale; ed il signor Andres Poey, leggendo recentemente al l’Accademia delle Scienze di Parigi una memoria sulle osservazioni me¬ teorologiche da Galileo in poi, dimostrò che fin dal prin¬ cipio del decimosettimo secolo Borelli in Pisa, Raineri in Firenze, Riccioli e Cavalieri in Lombardia, sotto la dire¬ zione di quell’illiistre scientifico consorzio avevano prepa¬ rato un vasto sistema di osservazioni meteorologiche, rac¬ cogliendo tutti i dati possibili sul variare della tempe¬ ratura, dei venti, delle pioggie, e di tutti i fenomeni naturali che sono subordinati a leggi cosmiche, cui non è dato aH’uomo scoprire senza ripetute ed attente os¬ servazioni. In allora questi studi tanto necessarii erano appena noti fuor d’Italia; ma oggidì tutte le colte nazioni dell’occidente europeo possiedono osservatorii e specole sia lunghesso le coste marittime, sia nelle numerose colonie che a foggia di catena stendonsi intorno all’in¬ tiero globo. Così si spingono con grande attività quelle imprese che suggerite ed aiutate dalle scienze fisiche Digitized by LjOOQle 316 sono per tornare di maggiore incremento alle mede¬ sime in non lontano avvenire. Di poco posteriore a Galileo è il gesuita Riccioli, autore di una Geographia reformala che comparve in Venezia nel 1672 e che merita un posto onorifico tra i buoni lavori di quel secolo. Il Riccioli insieme ad un certo Grimaldi, nell’anno 16oi, misurò un arco terrestre fra Modena e Ravenna, e sebbene nqn riuscisse a ri¬ sultati molto esatti nella difficile operazione, merita lode, perchè coltivò fra noi gli studi, che ornai per opera di Blaeuw, Snellius, ed altri, progredirono con rapido passo presso gli stranieri. Riccioli fu anche il primo che dalla larghezza media, profondità, e velocità di un fiume prendesse a calcolarne il volume delle acque, e fece in proposito molte sperienze sulle rive del nostro mag¬ gior fiume. Gian Domenico Cassini di Perinaldo presso Nizza si può dire, sotto un certo aspetto, il continuatore di Ga¬ lileo, ed infatti finché Cassini non ebbe pubblicato le sue effemeridi dei trabanti di Giove (1668), nulla si seppe di accurato intorno alle rivoluzioni ed agli ecclissi dei satelliti di quel grande astro. Allevato dai Gesuiti in Genova, il Cassini fece tali progressi nelfastronomia, che nel 1650, in età di soÌi venticinque anni, il Senato bolognese gli affidava la cattedra di quelle discipline presso rUniversità. Nel 1669 chiamato a Parigi dal ce¬ lebre Colbert, ministro di re Luigi XIV, lavorò tanto indefessamente a migliorare la geografia, strettamente collegandola colTastronomia, che si può dire avere egli iniziato nella scienza una nuova fase di progresso. Scio¬ gliendo Tantico arduo problema delle longitudini, e co¬ stringendo i cartografi a modellare i lóro disegni sui risultati delle osservazioni astronomiche, Cassini fu il creatore della geografia matematica. Grande fu l’impulso che da lui venne agli studi esatti ed in ispecial modo ai geografici. Dietro le sue istanze l’Accademia francese (fondata nel 1666) spediva nella Guiana a raccogliervi os-^ servazioni di astronomia e di fisica quel Giovanni Richer, Digitized by LjOOQle 317 che pel primo scopri non essere la terra affatto sferica, «a bensì depressa ai poli, e rigonlia aU’eqnatore. Per istimolo pare del Cassini spediva Chazelles nel Levante per correggervi le carte del Mediterraneo; Picard al ce¬ lebre Osservatorio di Ticone Brahe presso Uranienburg in Danimarca; Piton de Tournefort neirArmenia e nel- t’Asia minore; Luigi Feuillée nelle Antille c nelTistmo di Panama. Intanto Cassini rispondeva aironorifìco in¬ vito che gli era stato fatto, stabilendosi per sempre nella nuova patria, e circondando di vera gloria per mezzo di immortali lavori il trono delTambizioso e vano Luigi XIV. Per quaranta e più anni egli non solo diresse gli studii de’ matematici francesi, ma fu instancabile nel perfezio¬ nare i proprii. Pubblicò le utilissime Tavole di rifra¬ zione, dalle quali si può desumere con esattezza il vero posto di un astro dal suo posto apparente. Spiegò le librazioni lunari, costrusse planisferi, e copri la Francia di una rete di triangoli, determinandone esattamente le figure e le dimensioni. Cassini morendo (1712) lasciò dopo di sè già valentissimo astronomo il figlio Giacomo. Questi compose parecchie dissertazioni sull’elettricità, sul barometro, inventato da Evangelista Torricelli verso il 1648, sugli specchi ustorii, e sull’inclinazione delle or¬ bite de’satelliti di Saturno. Per ordine di Luigi XV diresse nel 1733 la misurazione della Francia, pel verso della longitudine, da Brest a Strasburgo. Giacomo Cas¬ sini mori nel 1786, mentre trovavasi nella sua villa di Thury; ma già il di lui figlio Cesare Francesco era cre¬ sciuto in fama nelle dottrine maestrevolmente insegnate dal padre e dal nonno (1). (1) A venlidue anni era membro deirAccademia e proponeva il ri¬ lievo topografico di tutta la Francia. 11 governo accordò sussidii per la grande impresa, e quando per lo stremo delle finanze li sospese, una società fornì all’illustre matematico i mezzi occorrenti a condurle a termine, rimborsandosi colla vendita delie carte. Per la prima volta un paese venne ritratto nelle sue più minute particolarità, in vastis¬ sima scala, ed i^ gran numero di fogli; ma fu esempio proficuo, giacché oggidì non v’ha stato europeo che non l’abbia eseguito e che non pos- Digitized by LjOOQle 318 Gian Domenico Cassini fu adunque il fondatore di una scuola di geografi. Suo amico e scolaro fu Guglielmo Delisle, che verso il 1700 pubblicò un atlante in cui, scostandosi arditamente dagli esempii de’predecessori, fa libero uso de’materiali che i progressi dell’astronomia accordavano. Fu il primo cartografo che apertamente osasse ripudiare i tradizionali errori e fare trionfare la ragione sulfautorità di Tolomeo fin allora troppo ser¬ vilmente seguita, e soltanto da pochi timidamente e par¬ zialmente assalita. Quando Delisle mori (nel 1726) era già cresciuto in fama il suo discepolo 6. B. d'Anville, a ventidue anni geografo del re, ingegno perspicace e diligente, autore di una serie di carte, ove raccertato si sposa con sano criterio al congetturato. Ardito per¬ fezionatore delle opere di Delisle, egli fe’trionfare com¬ pletamente la ragione sul pregiudizio, e fu l’astro più risplendente in quella pleiade d’illustri scienziati che, spediti in varie parti del globo dal re Luigi XV, diedero qualche gloria al governo, per altri lati infelicissimo, di questo sovrano. sieda grandi carte eseguite dai suoi ufliciali. Cesare Francesco Cassini de Thury fu padre di Gian Domenico, il quale continuando le tradi¬ zioni di sua famiglia e giovato da un nome illustre, diventò direttore delfosservatorio. Nel 1789 presentò alfassemblea nazionale costituente la Carte topographiqm de la France in 180 fogli, e fanno dopo prese parte alla nuova divisione del regno in dipartimenti ordinata dalfassemblea e consentita dall’ottimo Luigi XVf. Digitized by LjOOqIc VII. VIAGGI DEGLI ITALIANI NEL NOSTRO SECOLO. Grandi progressi degli stranieri nella via delle imprese geo¬ grafiche. — Viaggi degli italiani nelle Americhe : Beltrami alle fonti del Mississipi ; Codazzi nella Venezuela ; ed Oscu¬ lati lungo il Napo. — Viaggi neirAfrica settentrionale : Pa¬ nanti e della Cella nella Barberia; Belzoni e Forni neU’E- gitto. — Viaggi nelle regioni delPalto I^ilo: Sapeto e Stella nelPAbisslnia; Castelbolognesi ed Antinori al fluine delle Gazzelle ; De Bono, Beltrami e Miani al Nilo bianco; Piaggia fra i Niam-Niam. — Viaggi neirAfrica occidentale: Omboni neirAngola; Scala nella Guinea; Borghero alla Costa degli Schiavi. — Viaggi in diverse parti deirAsia: Brocchi nella Siria e nelVEgitto ; Osculati e De Vecchi in Persia ; Dandolo nella Palestina e nel Sudan ; De Bianchi nel Curdistan ; Botta scopre le rovine di Ninive ; La missione italiana in Persia nel 1862; Gavazzi a Bucara; Guarmanl nell*Arabia; gli italiani in Terra Santa; Salerio alle isole Muju; viaggi del conte Vidua. I grandi viaggi eseguiti ne’ secoli trascorsi non la¬ sciarono al nostro altra eredità, fuorché quella di con¬ durre a termine le più difficili esplorazioni negli Oceani glaciali polari e nel centro de’ maggiori continenti. Sete di guadagno era il principale sprone degli antichi viag¬ giatori; ora vi si è aggiunto più nobile incitamento: Tamore della scienza.*! governi, i parlamenti coloniali, le società geografiche sorte in molte capitali d'Europa e d’America (!) si fecero a patrocinare buon numero di spe- (1) Il signor Beimi nel suo prezioso Annuario geografico (Gotha, seconda annata 18G8) ci dà la seguente lista delle società geografiche oggidì esistenti: Parigi (fondata nel 1821); Berlino (1828); Londra Digitized by Google 320 dizioni scientifiche, di cui bene spesso lo scopo primiero non fu il vantaggio pecuniario e Taprire nuove vie ai traf¬ fico , bensì la nobile smania di conoscere con certezza le forme e le fisiche condizioni di quelle regioni che èrano rimaste avvolte neiroscurità o troppo debolmenle chiarite dai viaggi anteriori. Alla nobile gara di au¬ mentare il tesoro delle scienze prendono diversa parte, secondo la geografica postura e V ampiezza dei mezzi, non soltanto tutti i popoli più colti d’Europa, ma anche* le vigorose popolazioni del nuovo continente, che, ven¬ dicatesi a libertà, dovevano sentire potentissimo lo sti¬ molo di esplorare con diligenza le varie regioni in grembo alle quali stanno riposte tante occulte ricchezze ed un avvenire pieno di promesse. Un potentissimo al¬ leato furono in questo secolo per l’uomo le scienze fisiche tanto progredite. Esse gl’ insegnarono .a giovarsi del vapore.acqueo come di un’immensa forza motrice, gli svelarono le leggi che regolano le correnti marine e le atmosferiche, gli mostrarono all’evidenza le leggi che regolano il corso degli astri, gli indicarono il modo di valersi di quella forza misteriosa che è Telettricità, gli spiegarono l’alternarsi delle stagioni nelle varie zone de’climi, la varia distribuzione degli animali, i fenomeni vulcanici, il moto de’ghiacci, il graduato mutarsi della vegetazione colle latitudini e colle al¬ titudini, i misteriosi movimenti dell’ago magnetico ed i poli delle linee d’eguale declinazione, e finalmente lo posero in grado di perfezionare grandemente le carte idrografiche e geografiche, e tutti gli strumenti nautici* Questi mezzi potentissimi fornitici dalia scienza l’uomo riconoscente rivolse al servizio della scienza e trovù facile ciò che, or fanno pochi secoli, più che difficile (1830); Bombay (1831); Francoforte (1836); Rio de Janeiro (1838); Messico (1839); Pietroburgo (1845); Darmstadt (1845); Tiflis (1850); Irkutsk (1851); Delft (1851); New-York (1852); Vienna (1856); Buenos Ayres (1856) ; Ginevra (1858); Lipsia (1861); Dresda (1863); Rie! (t867); Vilna (1867); Firenze (1867); Orenburgo (1868). Digitized by LjOOQle 321 sembrava impossibile. Spesse volte a prezzo di enormi sagriflci e senza speranza del più piccolo compenso (1) si eseguirono costose spedizioni ne’mari ghiacciati che circondano i poli, attraverso le temute torride arene del Sahara africano, dall’uno all’altro degli opposti lidi au- stralici, fra le umide e fredde regioni lacuali del set¬ tentrione americano, fra le immense steppe dell’Asia centrale, fra le aspre catene dell’Himalaya e de’Monti Rocciosi, fra i pampas sterminati delle Amazzoni, le pestifere paludi delle coste equatoriali, le regioni af¬ fatto barbare dell’Africa centrale, i pruneti impenetra¬ bili e le selve dell’Indocina, di Romeo, di Sumatra e del Madagascar. Ed a spese dei varii governi, aggiungeremo, si eseguivano già nel nostro secolo trentadue viaggi in¬ torno al globo, che potentemente contribuirono ad ar¬ ricchire il patrimonio di tutte le scienze naturali ed esatte, ad illustrare con tutta certezza la forma de’mari e delle terre in essi contenute, gettando gran luce su molti punti non ancor bene accertati della fisica, della geografia, e della nautica. Le imprese geografiche costituiscono senza dubbio una delle più vere, delle più legittime glorie del nostro se¬ colo, tanto più se ben si considera che ad esse stret¬ tamente si collegano i grandi interessi della colonizza¬ zione, dell’incivilimento, de’progressi del Cristianesimo. Fu vera gloria per gli Europei, e specialmente pe’Russi e per gli Inglesi, l’avere non soltanto svelato alla scienza tante parti del nostro globo, ma di averle rigate con gigantesche linee di ferrovie e telegrafi, munite di città, assicurate contro le invasioni de’ predoni, e liberate dal¬ l’orrido giogo de’cruenti sacrifici. Dopo avere da per tutto scavate miniere, navigato fiumi e laghi giganteschi con comodi piroscafi, eseguito esatti rilievi di coste (1) Dal 4818 al 1860 gl’inglesi spesero trenta milioni di franchi, eseguendo quaranta spedizioni nel gelato arcipelago al nord dell’Anie- rica. Unico loro scopo fu quello di chiarirne la forma, giacché da quello spaventoso labirinto d’isole desolate non sarà mai a trarsi il menomo lucro. SI Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani. Digitized by LjOOQle 322 lunghissime, introdotta Tagricòltura, protetta la pa&tor rizia, fondati porti, condotte a termine fra mille stenti grandiose ed esattissime carte geograQche, vasti paesi, affatto barbari ancora sul principiare del secolo, sorsero a nuova vita, entrarono nel consesso degli Stati inci¬ viliti, e furono cosi conqlllistati alla scienza, all’umanità. Qual parte prese l’ Italia a queste grandi opere? Ri¬ sorse essa da quel decadimento che abbiamo osservato nel passato periodo? Rinchiusa nel Mediterraneo che oggidì non è più che un gran lago, divisa in piccoli Stati, occupata dal vitale interesse di sua unità, Titalia non potè fare quello che bastasse a rivendicarle un pri¬ mato oramai lontano, e neppure ad assegnarle un posto assai cospicuo fra le nazioni europee; ma fece quanto basta perchè si possa dire ingiusta la totale dimenti¬ canza in cui vollero lasciarla alcuni esimii scrittori stra¬ nieri dei quali abbiamo già citate le parole (1). Non vo¬ gliamo esagerare l’importanza de’ viaggi fatti da parecchi italiani nel nostro secolo. À tutti è noto che i mezzi e le opportunità del viaggiare si sono grandemente modi¬ ficati , cosicché non vuoisi misurare il merito degli odierni col metro istesso che si deve adoperare per gli antichi. Oggidì i fili telegrafici girano per più versi tutto il globo, varcando mari e continenti ; comodissimi pi¬ roscafi trasportano con mediocre dispendio ed in breve tempo ai lidi più lontani; forti e numerose colonie of- fronsi dovunque al viaggiatore come saldi punti d’ap¬ poggio; e qnell’lndostan, che i viaggiatori veneziani del decimosesto secolo viaggiavano fra mille pericoli per mesi ed anni, $i può attraversare oggi per ogni verso ed in pochi giorni, sedendo ne’ comodi carrozzoni che per¬ corrono le ferrovie. Ma tutte queste agevolezze, come non scemano il merito di tante difficili esplorazioni eseguite dagli stranieri, cosi non devono scemare quello delle es¬ plorazioni eseguite dai nostri ogniqualvolta furono ac¬ compagnate da serii ostacoli e tornarono di privata utilità (t) Vedi a pag. 264. Digitized by LjOOQle 323 alla scienza. Senza parzialità adunque e senza esagera^ zinne diremo dei viaggi fatti dagli Italiani nelle Amo* riche, nell’Africa, nell’Asia, nell’Oceania, e, per togliere ogni diffidenza al lettore, cui vogliamo anzi dare V op* portunità del confronto, aggiungeremo per sommi capi le più notevoli imprese condotte a termine dagli stra¬ nieri in ciascun continente. a) Viaggi nelle Americhe. — Beltrami alle fonti del Mississipi. — Codazzi nella Venezuela. — Oscniati lungo il Napo. Grazie alla sua forma prolungata, al clima general¬ mente mite anche nelle regioni equatoriali, ed al lungo corso de’fiumi che facilitano l’esplorazione, il bel con¬ tinente scoperto da Colombo, or fanno quasi quattro se¬ coli, è più noto degli altri a noi più vicini. La freddis¬ sima regione lacuale verso le sponde antiche del con-> tinente e tutto il gran tratto che dai grandi laghi del San Lorenzo si stende ai Monti Rocciosi e da questi al Pa¬ cifico, furono esplorati in varie direzioni sia dai viaggia¬ tori spediti dairinghilterra, perchè dal lato di terra coa- diuvasseró le spedizioni marittime nell’arcipelago polare, sia dai viaggiatori stipendiati dal Parlamento coloniale del Canadà. il tratto colonizzato dai Russi fu percorso da Wrangel, Ustingow, e da altri, per conto del governo di Pietroburgo; risola di Vancouver, il territorio di Stakin, ed altri lungo il Pacifico, fra il confine russo ed il fiume Oregon, furono visitati da parecchi Inglesi sia per inca¬ rico ufficiale, sia per privato impulso. Tutta la parte più mite e fertile dell’America settentrionale fra il Pacifico e l'Atlantico, fra i cinque grandi laghi del San Lorenzo ed il golfo messicano, appartiene alla potente Confedera¬ zione degli Stati Uniti. Qui poco resta a fare alla scienza pel paese che dai lidi atlantici stendesi fino al Missis- sipl, popolatissimo, ricco di città, ed intersecato dalla più gigantesca rete di ferrovie che al mondo esista. Ma non si può dire altrettanto de’vasti territori! che dal Mississipi s’allargano fino ai piedi orientali della gran Digitized by Google 324 catena de’Monti Rocciosi, e dal piede occidentale di questi alle Coste del PaciAco. Le immense e spopolate regióni del far west, o lontano occidente, come col¬ lettivamente le dicono gli Americani, offrono una suc¬ cessione di selve, di praterie, di deserti, di fertili ed ampissime valli che ancora attendono l’industre colono. Esse costituirebbero un campo ancora sconosciuto alla scienza se non avessero limitrofo quel popolo che va ce¬ lebre per l'ardire e la costanza con cui non lasciò inten¬ tato alcun campo dell’umana attività. Per ordine del governo di Washington si succedettero infatti già nume¬ rose le spedizioni che sotto varie latitudini esplorarono tutta la zona accennata, attraversando in varii punti la catena de’Monti Rocciosi ed indagando i bacini di tutti i Rumi che da essi scorrono al Grande Oceano od al gran fiume tributario del golfo messicano. Raddoppia¬ tasi d’attività nel 1848, quando perla felice guerra contro il Messico gli Stati Uniti diventavano padroni dei vasti territorii d’Arizona, Nuovo Messico, California, Utah, che vennero topograAcamente delineati e descritti dagli ufA- ciali dell’esercito americano. Fra i viaggiatori che per¬ corsero le parti occidentali del settentrione americano e che studiarono a fondò le condizioni de’popoli indi¬ geni vaganti nelle solitudini non ancora invase dai bian¬ chi, va illustre Enrico Rowe Schoolcraft, cui si attribuì la scoperta delle regioni lacuali, ove ha le sue sorgenti il grande Mississipi, la principale arteria dell’Unione. Ma pHma che lo Schoolcraft la calcasse, era già stata veduta da un europeo, il nostro Costantino Bel trami da Bergamo. Nato sul Anire dello scorso secolo (1779) da Gio. Battista Beltrami, doganiere della Veneta re¬ pubblica, acconciossi a stento, per l’indole ardita ed ir¬ requieta, alla tranquilla carriera degl’ impieghi. Tut¬ tavia servi il primo cosidetto regno d’Italia ad Udine, Macerata, ed altre città. Caduto senza gloria il regno al cadere delTimpero napoleonico, prese parte alle trame dei Carbonari e trovossi tanto compromesso nei moti del 1821, che dovette prendere la via dell’esilio. Andò Digitized by LjOOqIc 325 pellegrinando per TEuropa, p 9 i passò VAtlantico, e trovò ospitalità negli Stati Uniti. Correva Tanno 1823, e le città da Ini toccate in quel paese erano ben lungi dall’avere raggiunto l’incremento straordinario che le agguaglia oggi sotto ogni aspetto alle capitali europee. La colo¬ nizzazione non si era ancora ben addentrata al di là degli Allegany ed il Mississipi, come oggi il Missouri, non era noto superiormente alle cascate di S. Antonio. Giunto per la via di Pittsburg e di Cincinnati a S. Luigi, il Beltrami aveva intenzione di scendere il Mississipi e toccare la Nuova Orleans, ma alcuni ufliciali americani lo consigliarono a muovere invece verso il nord, risa¬ lendo il fiume. L’idea di spingersi in paesi ancor ver¬ gini d’orma europea e di studiare dappresso i costumi degli indigeni che vivono in grembo alla genuina pri¬ mitiva libertà, dovette sorridere a quell’anima bizzarra ed indomita. Accettò, e sebbene accolto con qualche dil^- denza, accompagnossi alla spedizione scientifica che, ca¬ pitanata dal maggiore Long, giungeva appunto da Fila¬ delfia ed aveva incarico di risalire il Mississipi verso le sorgenti, d’esaminare poscia il corso del Red River (o fiume rosso), tributario dell'opposto defluvio della baia d’Hudson, e di far ritorno per la via de'cinque grandi laghi del San Lorenzo. Parecchi naturalisti facevano parte della comitiva, che era scortata da un manipolo di soldati. Il tratto del Mississipi fra S. Luigi e le ca¬ scate di S. Antonio misura 925 miglia inglesi (da 1609 metri ciascuno) e fu percorso senza gravi difficoltà, es¬ sendo già suilicientemente noto pe’viaggi anteriori. Alla cascata S. Antonio, estremo limite della colonizzazione, la compagnia partiva il 7 luglio 1823, non già risalendo ulteriormente il Mississipi, ma un suo affluente di de¬ stra, detto il S. Pietro e dagli indigeni Watpa Meni, sotha (1). La decimasettima lettera scritta dal Beltrami (l) Questo fiume, noto generalmente sotto i*appellazione di Minnes- sota, dà il proprio nome a quella regione degli Stati Uniti che sta pià t nord-ovest, e fa in parte il limite divisorio fra la medesima ed il territorio Daeota. Digitized by LjOOQle dS6 alla contessa Compagnoni, nata Passeri, per la qnàte, a quanto pare, areva grande devozione, porta la data 26 luglio 1823 e descrive il viaggio dalla cascata di S. Antonio al lago Traversa, tratto di 280 miglia inglesi. Codesto lago è poco lontano dalle sorgenti del S. Pietro, ma appartiene già al bacino della baia d’Hudson, giao chè forma il serbatoio di un iìamicello che si unisce all’Ottertail, affluente di sinistra del Red River (fiume Rosso). La lettera susseguente porta la data del 16 ag(H sto ed è scritta dallo stabilimento fondato da lord Sei* kirk nelle praterie del 50^ parallelo. Essa ci descrive gli stenti, le caccie, le avventure toccate sia alla comitiva, sia all’autore in particolare nel tratto fra il lago Tra^ versa e la colonia Selkirk. Ancora più interessante è la diciannovesima lettera scritta o almeno ideata presso la sorgente Giulia del Mississipi il 31 d’agosto. In essa ci narra il Bel trami come abbandonasse a Penbenar (co* Ionia Selkrik) la spedizione di Long, diretta verso il nord, e, accompagnato soltanto da due selvaggi della tribù dei Gipoweh, volgesse al sud*est colla ferma spe* ranza di riuscire a qualche insigne scoperta che recasse onore al suo nome ed a quello d’Italia. Poiché questo è il tratto veramente importante del suo viaggio, se¬ guiamolo con maggiore attenzione. Accommiatatosi il 9 agosto dalla comitiva di Long, prese la direzione di sud-est, attraverso grandi pra¬ terie, interrotte qua e là da paludi. Giunse cosi al Bloody river (fiume sanguigno) che prese a risalire. Incontrava mille difflcoltà, ma ciò che più lo teneva in pena era il non potere fidare intieramente ne’suoi compagni, i quali infatti spaventatisi per un assalto della tribù nemica dei Siù, lo abbandonarono nella più spaventosa solitudine. Per quattro giorni continuò da solo il viag¬ gio, costretto più volte a camminare nel fiume trasci¬ nandosi dietro il canotto, o a lottare colla corrente che talvolta lo trasportava seco. Nuovo e vero Robinson Grosuè potè assaporare in tutta la sua estensione l’in¬ dipendenza più illimitata; ma il sentimento della soli- Digitized by LjOOqIc 327 tndine lo oppresse. A trarlo dalla dora sitnazione ginn- sero in buon ponto altri indigeni, co’quali strinse ben presto amicizia uniformandosi ai loro costumi, e nel tempo stesso chiudendosi in un maestoso riserbo ed aste- ■endosi da qualsiasi atto potesse venire interpretato come effetto di paura. Col loro aiuto raggiunse ben presto il Red lake o Bloody lake (lago sanguigno), ampio serba¬ toio del fiume omonimo, afRuente del lago Winipeg. Presso la sponda meridionale del lago trovò un meticcio de’ cosi detti Bois brulé, il quale gli fu di grande aiuto accompagnandolo per buon tratto nel difficile viaggio. Il Red lake riceve parecchi affluenti, ed ha a mezzodì una serie di laghetti comunicanti tra loro, che in esso si scaricano per mezzo del Gravel. il 26 agosto ed il giorno successivo furono impiegati a percorrere codesto tratto fin al lago Puposky, il più meridionale e più alto serbatoio del Bloody river. Il 28 fu il giorno più memo¬ rando del viaggio. A mezzodì del lago Puposky il Bel- trami scorse un altipiano che evidentemente formava lo spartiacque fra gli opposti defluvii del golfo messicano e dell’Oceano Glaciale. Vi sali e trovò un laghetto cir¬ colare di due miglia di diametro, il quale notevolmente più alto delle circostanti pianure, nutre colle sue filtra¬ zioni dal lato settentrionale il Bloody river, dal lato meridionale i primi serbatoi del Mississipi. Impose al laghetto il nome di GiuUa, in onore di una persona veneratissima morta poco prima ch’egli intraprendesse il viaggio; e Sorgenti Giulie (Julian sonrces of thè Mis¬ sissipi) disse le sorgenti del gran padre delle acque, alle falde australi dell’altipiano. La ventesima lettera scritta dal lago Sandy il 20 sèttembre ci dà la continuazione delle scoperte. A pochissima distanza dal laghetto Giulia s’apre un lago pieno di isole che gira non meno di cento miglia, non mai visto da alcuno prima del Bel- trami. Gli indigeni lo dicono Mikinakosa guay-amen, il che significa lago della Tartaruga (Tnrtle lake). Il Mis¬ sissipi esce dalla costa sud-est di codesto lago, ed è già tanto grosso che potrebbe essere navigato anche da Digitized by LjOOQle 3^8 grandi navi. Scorrendo verso sciìocco esso si spande m due punti in modo da forruare laghetti di qualche esteu-^ sione. Al primo d’essi il Beltrami diede il nome di Ge¬ ronima in onore della amica contessa cui dirigeva le lettere descriventi V ampia peregrinazione ; al secondo impose il nome di Monteleone, in memoria di un amico. Buon tratto dopo questo secondo laghetto il Mississipl riceve a destra un affluente che i Cipowe distinguono col nome di Scisaja-guaysibL Beltrami lasciò il Missis^ sipl e risali questo fiume, chiamando Torrigiani il \dr ghetto da cui esce. Una foresta divide il lago Torrigiani da un altro laghetto che disse AnfoweWi e che è vicinis¬ simo a quel punto del lago della Tartaruga, dove esce il Mississipl. Accortosi così di avere descritto un cer¬ chio, Beltrami discese T affluente e riprese la naviga¬ zione sul gran fiume. Procede questo nella direzione di mezzodì in mezzo alla pianura, fra rive basse e coperte di riso selvatico. Prima di giungere al gran lago del Cedro rosso (Red Cedar lake) forma quattro spandimenti 0 paduli che Beltrami disse laghetti della J^ovvidenza. Al lago del Cedro Rosso Unisce il tratto affatto inesplo¬ rato, giacché questo lago quattro anni prima (1819) era stato raggiunto dalla spedizione guidata da Cass, gover¬ natore del Michigan, e proclamato con poco senno primo serbatoio del gran fiume, senza che alcuno potesse o vo¬ lesse esaminarne gli affluenti e risalire per essi alle prime fonti. Il Mississipl, uscendo dal lago del Cedro Rosso, scorre all’est per un tratto e forma poscia un altro lago iv circa cinquanta miglia di circonferenza, detto Winnipec. Un breve istmo o partage (come diconsi in quel paese pieno d’acque gli angusti tratti di terra ove più si avvicinano due laghi, due fiumi, ovvero un fiume ed un lago), divide la sponda boreale del Winnipec dal fiume Hawk, che essendo tributario del Rain river, e quindi del gran Lago dei Boschi (Lake of thè Woods), appartiene, come il Bloody river, non già al bacino del Misissipì, ma a quello dell’Oceano Artico. Dal lago Winnipec il gran fiume descrive un semicerchio concavo Digitized by LjOOQle 329 vem occidente e riceTe poscia a destra il fiume Leech^ emissario del lago dello stesso nome. Il Bel trami lasciò una seconda volta il Mississipl e l’S settembre risali il Leech, cui si unisce il Bagatwa. Oltrepassato il lago Muddy, arrivò al lago Leech, i cui affluenti risalgono fino a brevis¬ sima distanza dal la sponda meridionale del Lago del Cedro Rosso. Il lago Leech era stato già visto da Pike fin dal- Tanno iSOo, e da lui creduto il primo serbatoio del Mis¬ sissipl, sebbene, come abbiamo già detto, fra il lago Leech e le sorgenti Giulie sieno tre altri grandi laghi (il Winnipec, il Red Cedar, ed il Turtle), e la distanza di almeno 2S0 miglia inglesi. Risalendo il Leech fino al Red Cedar, il Beltrami aveva descritto un cerchio più grande; ma nella disposizione de* laghi e deMuoghi af¬ fatto analogo a quello descritto rimontando il Scisaja- guaysibi fino al lago della Tartaruga. Discese quindi pel Leech e riprese la navigazione del Mississipl sul fragil suo canotto. Rapide cascate interrompono il corso del fiume che scorre maestoso fra silenziose pianure, ma non scor- gesi traccia di mano umana. Or a destra, or a sinistra accoglie fiumi minori, provenienti da regioni affatto ignote ai tempi del Beltrami, e che attendevano ancora un nome, se non dagli indigeni, dai geografi del mondo incivilito. A circa 400 miglia inglesi dalle sorgenti Giulie, ed a cento miglia circa inferiormente alla confluenza del Leech col Mississipl trovasi il lago Sandy, poco lungi dalla sinistra riva del gran fiume ed a buona distanza dal Savanna, tributario del S. Luigi, e quindi subaf¬ fluente del lago Superiore, il più vasto dei Cinque laghi del S. Lorenzo e di tutto il globo. La lettera ventunesima colla data di S. Carlo del Missouri, il 24•ottobre 1823, ci descrive la navigazione sul Mississipl dal lago Sandy a quella città; ma non offre grande interesse, fuorché pel primo tratto del lago Sandy a quel forte di S. Pietro, presso la cascata di S. Antonio, che il Beltrami aveva lasciata tre mesi prima, e dove compivasi il gran ciclo della sua esplorazione. Questo forte dista miglia dalle sorgenti Giulie, e circa 580 dal lago Sandy. Lungò Digitized by LjOOQle 330 qóest’ ultimo tratto il fiunie offre scene ora graziose, Ora imponenti; si divide talvolta in bracci, formando amene isole, e viene continuamente ingrossato da af> fluenti. Uno di questi, detto il Crovo feather river dagli Anglo-Americani, risale colle sue sorgenti fin presso al Iago Ottertail, serbatoio del fiume omonimo (il Negui- gnanosibi dei Cipowe), affluente del Bloody river, e per conseguenza spettante al bacino nordico. Colla coscienza di avere pel primo sciolto uno dei più grandi quesiti della scienza geografica, il Beltrami rivide con gioia il forte S. Pietro e la sua piccola guarnigione negli ul¬ timi giorni di settembre. Tutti lo credevano perduto, e perciò non fu poca la sorpresa, la gioia, l’ammirazione che tutti gli dimostrarono. L’acconciamento del viaggia¬ tore eraoltremodo grottesco: il cappello era di corteccia di betulla, e le scarpe di pelli d’animali selvatici. Fon- tava seco armi, strumenti musicali, vesti ed attrezzi usati dagli Indiani, i quali oggetti (donati in parte dalla bella Woascita, pietosa figlia dì un feroce capo indi¬ geno) passarono in proprietà degli eredi Beltrami che nel 1855 (l’anno susseguente a quello della morte del viaggiatore) ne fecero dono alla biblioteca di Bergamo, ove tuttora sì conservano. Dalie cascate S. Antonio alle foci del Mississipl presso New Orleans intercedono pa¬ recchie migliaia di chilometri ed almeno tre quarti del corso totale del fiume; ma siccome questo tratto era già ben noto e fu dal nostro viaggiatore percorso in un comodo keel-boat ed in buona compagnia, non offre per noi alcun interesse. A New Orleans nel 18S4 pubblicò la sua scoperta in un libro intìrtolato : La déeouverte des sources du Afistis^ sipi, che fu accolto con gran favore dal gran pubblico, ma con qualche diffidenza dal mondo scientifico, ossia da coloro che erano bastantemente colti per esercitare la critica, e per non accettare senza beneficio d’inven¬ tàrio una scoperta che dall'antore veniva enunciata pom¬ pòsamente, ma senza corredo di osservazioni e di esatte determinazioni scientifiche. Il governatore, il Senato, il Digitized by LjOOqIc 334 Congresso dello Stato di Louisiana, il maire di Nuora Orleans gli diressero lettere cortesi ed il facile suf* firagio de’ giornali gli fu tutto favorerole. Il Courrier Lóuisianais lamentava soltanto che la gloria d'avere sco* perte le sorgenti del Mississipl fosse toccata ad uno straniero (regrelting Ihat thè glory of thè enterprise do noi belong lo one of our citizens). Dall'altro lato dell’Atlan¬ tico gli faceva eco il Monthly Review, giornale di Londra, il quale nel febbraio 1828 stampava che il Beltrami, senza alcun soccorso, aveva fatto ciò che non avevano saputo fare spedizioni numerose e riccamente fornite d’ogni mezzo {Ihus thè glory of having aceomplished a work which mriotts expedilions had failed to execute though mpported byunlimited funds and comprehending thè labours of many was won by thè enterprise of m unpatronised in¬ dividuai). Ninno pose o potrebbe mettere in dubbio il viaggio dei Beltrami, e gli stessi suoi avversarli ne fanno testi¬ monianza, ma l’assoluta mancanza di dati astronomici sui punti toccati tolse credito alle sue parole ed impedì ai dotti di registrare siccome indiscutibili i risultati di un'impresa, a cui invero non erano mancate avvedu¬ tezza e coraggio, ma solo quella suppellettile di cogni¬ zioni positive e quel corredo di dati esatti, senza dei quali, qualsiasi esplorazione, per quanto nuova ed ar¬ dita, non può essere di gran frutto alla scienza. Quasi contemporaneamente alla pubblicazione della sua prima relazione stampata in Nuova Orleans il professore Kea- ting di Filadelfia lo accusava di finzioni ed ésagerazioni [ficlions et misrepresentations) (1); ma, ciò che è ben più grave, il viaggio cadeva sempre più in dimenticanza, mentre cresceva gigante la fama di Schoolerast, cui tutti oggi assegnano il merito di aver scoperte le sor¬ genti del Mississipl nel lago Itasca sotto il 47° 10’ di latitudine settentrionale. Più che pel Beltrami, ci duole pel nostro paese che sia andata perduta la sua fatica, (4) Vedi ì’Antologia di Firenze, anno 4825, tomo XVIll, pag. 474. Digitized by LjOOQle 33 * mentre nulla gli mancò fuorché la cura di determinare con esattezza le regioni che percorreva. Ed infatti leg¬ gendo la diffusa relazione del viaggio stampata dal Bel- trami in Londra nel 1828 (1) fa gran meraviglia di tro¬ varvi pochi e fuggevoli cenni di tutto ciò che più im¬ porta, ed invece lunghe digressioni sui costumi dei sel¬ vaggi, sulla bellezza de' paesaggi, e quel che è peggio, sui Greci, i Romani, i Gesuiti, le tirannie, le repub¬ bliche, e mille altri lontani argomenti. Mentre gli sembra che le ombre di Polo, Colombo, e Vespucci lo accompa¬ gnino, e quasi dimostra il desiderio d’essere posto in compagnia di que’grandi, mentre adunque ha la piena coscienza della gloria che egli poteva acquistarsi, poco 0 nulla si occupa di ciò che può occorrere a riconoscere il gran fatto, e se qualche volta lo fa, pare che tosto se ne penta, ed esclama : Oh quanto mi è costato, cara con- tessa, il darvi questi particolari (2)! Deride il maggiore Long perchè altro non vede che i suoi strumenti, come se unico suo scopo fosse il poter dire: sono stato tó(3); de¬ rìde le spedizioni scientifiche che ad altro non servono fuorché a scoprir^pochepiante che forse sono note a tutti, meno che ai loro membri; ma nel tempo stesso sente che senza osservazioni esatte gli scienziati non potranno apprezzare le sue fatiche (4), e nel tempo stesso si con¬ traddice lamentandosi di non poter dire precisamente la situazione di questo o quel punto, e, parlando delle famose sorgenti Giulie, si lagna dicendo: non posso dirvi la precisa latitudine e longitudine di quest*importante luogo, perché non ho meco gli strumenti necessarii a der (1) Beltrami, a Pilgrimage in America leading to thè discou- very of thè Mississipi. London, Hont e Ciarke, 1828, 2 voi. con carie. (2) How much has it cosi me, my dear countess, to write you these details ! (3) The major was inlent on making an expedition, and consulted nothing but bis compass, it was sufficìent for him to say: / have been there. (4) I am a poor unconnected pilgrim on whom savants would disdain lo look eyen with an eye of pity. Digitized by LjOOQle 333 terminarle, e perché, per parlarvi candidamente, anche se li avessi, non potrei valermene, non avendo avuto istruzione in fatto di astronomia, ed in ispecialità in ninne scienze, per un gran difetto generale del nostro paese, quello cioè di non fare convergere ad un dato scopo l'educazione di ciascuno (1), Gli stessi argomenti adopera contro gli avversarii, protestando di avere sempre confessata candidamente la sna ignoranza in fatto di geografia matematica, e pur assicurando che l’immaginazione non aveva avuto la benché menoma parte in tutto ciò che aveva scritto (2). A chi gli.additava Humboldt, rispondeva che quel grande naturalista non percorse paesi affatto ignoti e selvaggi, e che malgrado tutte le sue cognizioni, e i molteplici* mezzi, e le efficaci protezioni, non si sarebbe forse stac¬ cato di un passo dalla spedizione di Long, per gettarsi solo in paesi quasi sconosciuti, pieni di difficoltò, e per¬ corsi da feroci orde in guerra le une contro le altre. Bel- trami si manifesta nel suo libro nomo pieno di corag¬ gio, fornito di coltura abbastanza estesa, sebbene super¬ ficiale, ma pieno di idee preconcette, cui sostiene con tutta Tacrimonia di un carattere intollerante, da lunga pezza avvezzo a trovarsi nell’isolamento. «Le sue antipatie» cosi dice il Rosa nella biografia del Beltrami, «eccitate da vivacità di carattere ed ali- » meniate dalla vita d’awenturiere, si manifestano ad > ogni tratto nelle sue opere piene di declamazioni contro » le ipocrisie, contro il gesuitismo, contro le borie let- » terarie.... Affettante superiorità di spirito e fierezza > selvaggia, non s’avvede che le allusioni alla vanità » dottrinale svelano in lui Tambizione di partecipare alla ' (t) I eannot informe yoa of thè precise latitude or longitude of Ibis interesting spot for I bave no instrnments with me by wbich I conld aseertain them, and to speak candidly even if 1 had, 1 could noi - perbaps avail myseif ot them, astronomy was but siigbtiy touched in my education, which was generai, but had not an appointed object, Ohe of thè faolts of onr country, etc. (2) Imagination has had nothing to do with my statements. Digitized by LjOOqIc 334 « gloria degli scienziati, d’onde la smania di rigonfiare > le sue lettere schiccherando di tatto, e sciorinando » artatamente tutto che poteva dar colore alle sue gesta ». Questa digressione critica, non molto indulgente del Beltrami, vuol essere la più eloquente prova deirim* portanza che vuoisi attribuire al singolare suo viaggio, e nel tempo stesso un amichevole avviso a chiunque da questa nostra penisola, sia per proprio impulso, sia sotto gli auspicii della Società geografica recentemente nata e già robustamente cresciuta, volesse accingersi a viaggi di esplorazione. Facciamo tesoro delle tristi sperienze, e più quando toccarono a noi. Da New Orleans il Beltrami, nel corso dell’anno stesso (1824), passò al Messico. Scampato miracolosamente alla febbre, gialla, sali gli scaglioni dell’altopiano, dalla calda zona littorale alle fredde regioni delle Ande. Vagando senza uno scopo ben determinato, raccolse notizie sugli indigeni, sui loro costumi, le loro origini, la loro storia prima, durante e dopo la conquista spagnuola. Impreca alla tirannia, all’avarizia, all’ignoranza dei conquistatori europei, inneggia alla grandezza passata e futura del popolo messicano, ed in mezzo ai suoi entusiasmi serba bastante calma per lodare Don Antonio de Mendoza, uno dei primi viceré spagnnoli, per encomiare que’padri Francescani che senza burbanza militare o saccente ini¬ ziarono la nuova civiltà messicana, ed anzi giunge a tanto da ammettere che ai tempi di Cortez il Messico gemeva sotto il peso di un fastoso dispotismo teocratico. La relazione del viaggio, stampata in Parigi, avrebbe avuto fama ed importanza se l’autore vi avesse descritte le malnote provinole messicane da lui attraversate, fino alla lontana Sonora; ma invece di nna descrizione lim¬ pida e precisa de’ luoghi, troviamo in quest’opéra, come nell’altra già citata, una raccolta delle teorie politiche, religiose, e scientifiche dell’autore più che altro. Ed il' maggiore interesse non è certo come doveva sperarsi pel geografo, ma per chi volesse notizie sulla guerra, d’indipendenza fatta da’Messicani contro la Spagna dopo Digitized by LjOOqIc 33S il . 1808, sai capobanda Mina, e su altri argomenti, per trattare de’quali non era invero indispensabile di attra¬ versare dall’ano all’altro Oceano le Cordigliere. È un libro che si legge con diletto ed anche con profitto, ma che non torna molto utile al geografo per la scarsezza di quelle notizie, a raccogliere le quali sono appunto indispensabili i viaggi di arditi esploratori. Una sco¬ perta felicissima fatta dal Beltrami, il punto saliente del suo viaggio messicano, fu quella deH’evangeliario scritto su foglie d’agave, in lingua azteca, da Bernardino Ri- beira, monaco spagnuolo, nativo di Sahagun nella pro¬ vincia di Leon. 11 Ribeira giunse nel Messico verso il 1529, ed insegnò dottrine religiose nel Collegio di Tla- tlolco, fondato dal viceré don Antonio de Mendoza a prò degli indigeni. Coadiuvato da questi, e, a quanto pare, da alcuni neofiti di reai stirpe, Ribeira fece in breve tempo progressi si rapidi nell’azteco che nel 1532 tra- duceva in questa lingua gli Evangeli. Questo codice assai prezioso, perchè unico documento che si possegga sulla lingua parlata nel Messico al tempo della conquista spa- gnuola, può gettare qualche luce sulla gran questione delle origini americane, e fu ventura che il Beltrami po¬ tesse portarlo fra noi, ove trovava chi diligentemente lo pubblicava con glossarii, commenti, e colla versione latina a fronte (1). Dal Messico il Beltrami ritornò negli Stati Uniti, dai quali nel 1827, varcando l’Atlantico, venne a Londra. Qui stampò l’opera: A pilgrimage leading to thè ditcovery of thè sourcee of thè Missigsipì, nella quale narra i suoi viaggi d’Europa ed America. Quest’opera, che venne po-‘ scia tradotta in francese ed in tedesco, si divide in ven- tidue lettere, delle quali le ultime sei sono le più in¬ teressanti. Sono dirette alla contessa Compagnoni, e precedute da un discorso di dedica al bel sesso. Nel 18^ poco dopo la rivoluzione del luglio, venne a Parigi. Qui (4) Evangeliarium aztecum, pubblicato dal prof. Bioodeili. Milano, Beruardoni, 185$. Con facsimile. Digitized by LjOOqIc 336 la stampa di un nuovo lavoro, intitolato Le Méxigue, non gli tolse Tagio di occuparsi attivamente di politica e di stringere relazioni con influenti personaggi, siccome il Constant, il Lafìtte, il Lafayette, e Tambasciatore au¬ striaco Appony. L’amicizia de’quali egli forse sperava di volgere in prò di quell’Italia che formava sempre il primo de’suoi pensieri, come si prova anche dall’opu¬ scolo UItalie et VEurope, da lui dedicato al re saggio e cittadino. L'indole irrequieta ed i modi baldanzosi non gli procacciavano quiete ed amici. Per alcuni anni visse in una villa comperata presso Heidelberg in Germania, poi trasferissi a Vienna (1837), indi a Roma, indi in altre città, finché circa il 1850, già vecchio e stanco, si ridusse ne’suoi poderi di Filotrano nelle Romagne, ove mori nel febbraio 1855 poco men che ottuagenario (1). L’America tropicale, o equatoriale che dire si voglia, comprendente il Messico e le cinque repubbliche cen¬ trali, fu percorsa in questo secolo da viaggiatori d’ogni paese die hanno illustrato quasi ogni parte dell'istmo. Fra le opere illustrative che essi ci diedero primeggia quella di Alessandro Humboldt che, visitata Cuba e le Ande di Granata assieme al francese Bonpland, raccolse i suoi importantissimi studii nel Voyage aux régions eguinoxiales du nouveau continent. Nell’America meri¬ dionale la Guiana era esplorata dal tedesco Schomburgk, il Perù dallo Ychudi, il Chili dal Filippi, i paesi della (4) Sono ben lieto di potere addurre un fatto recente che ci provai qual concetto si abbia tuttora dei Beitrami negli Stati Uniti. Il signor Alfredo Hill membro della Società storica di Minnesota, scriveva il 30 novembre 1863 da Washington al municipio di Bergamo chiedendo notizie sulla vita del Beitrami, e così si esprimeva : c 1 wish to do full justice to his claim as a discover and lo restore tha name given by bim to thè various lakes he visited before thè advancing tide of settlement shall bave caused to be substituted. » Nel 1865 il muni¬ cipio di Bergamo fece pubblicare in un volume due memorie scritte da G. Rosa e da P. Moroni intorno al Beitrami oltre alcune lettere scrìtte dallo stesso Beitrami. Per decreto poi dello Stato di Minnesota il distretto ove nasce il Mississipì porterà il nome di Beitrami county. Digitized by'VjOOQlC 337 Piata dal De Moussy, il Paraguay dal Drgratz. Neirim- pero del Brasile la Società geografK a di Rio Janeiro, presieduta dallo stesso imperatore Don Pedro II, promosse parecchi viaggi tanto n(*llé parti meno note dell’impero, quali sono tetti i territori! dell’Amazzoni, quanto nelle provincie meridionali e nelle marittime. Molti e note¬ voli viaggi si successero già nel giro di pochi anni, siccome quelli di Castelneiu francese (1843-47), di Avé Lallement della stessa nazione (1859), di Bates, Vallace, Eschwege, flerudons, Langsdorff, ed altri, senza però che essi abbiano bastato a chiarire le condizioni fisiche di iutto queir immenso dominio. Il clima, le distanze, le difficoltà di varcarle, la mancanza dei viveri, oppongono gravi , ostacoli al viaggiatore; cosicché maggior obbligo ci corre di riandare i servigi che nell’esplorazione del- PAmerica meridionale resero due italiani: il colonnello Agostino Codazzi, da Lugo, e Gaetano Osculati, da Monza, i II colonnello Codazzi s^acquistò fama nelle guerre del primo impero. Caduto Napoleone, vicende politiche e yicende domestiche lo costrinsero a riparare neirAme- rica meridionale, ove le sue cognizioni e le sue virtù 10 resero inftuente presso il Governo della Repubblica di Venezuela, che lungo il lido del Mediterraneo ame¬ ricano si stende per parecchie centinaia di leghe fra la Nuova Granata e le Guiane. Esaminato a più riprese il territorio della Repubblica, che con una superficie di pili di un milione di chilometri quadrati si allarga ài mezzodì fino alla Shrra Pararacina ed altre, poco 'meno ignote, che lo separano dalle solitudini brasiliane, 11 Codazzi trovossi in grado di scrivere un’opera molto importante, nella quale prende a descrivere minuta¬ mente la geografia fisica e politica. Discorre anzitutto de’limiti naturali e politici, delle dimensioni e delle superficie, delle co^te e loro seni, delle isole e penisole, de’monti e delle valli, delle sorgenti e dei fiumi princi¬ pali, sia tributarii dell’Orenoco, sia direttamente del mare caraibico, de’laghi e delle lagune, de* climi e de* venti. Distingue poscia la zona agricola dalla boschiva e dalla 22 Branca, Storia dei Viaggiatavi Italiani. Digitized by LjOOQle 338 erbosa, e chiude la prima parte colV enumerazione dèi vegetali, dei minerali, e degli animali. Questi ultimi di¬ vide in mammiferi, uccelli, pesci, rettili, molluschi, in¬ setti, e zoofiti. Alcune tavole sono consacrate a mostrare la proporzione dei terreni coltivati e degli incolti in ciascuna provincia dello Stato ; altre mostrano la tem¬ peratura media di città e villaggi situati sulla costa del mare delle Antille, oppure nei monti e nelle pianure del centro. La seconda parte dell’opera consacrata alla geografia politica tratta anzitutto delle schiatte che co¬ stituiscono la popolazione; passa poscia a dire del culto, del governo, delle finanze, degli ordinamenti giudiziari, ecclesiastici, militari, e chiude con alcuni cenni sulla pubblica educazione, l’industria ed il commercio. La terza ed ultima parte prende ad esaminare singolar¬ mente ciascuna delle tredici provincie in cui lo Stato si divide. In tutto questo lavoro il Codazzi mostrasi esperto e scrupoloso osservatore e spiega in fatto di scienze naturali una dottrina che non è punto comune a tutti gli esploratori. Ed è appunto come diligente e dotto scrittore, più che per novità ed importanza di viaggi, che il Codazzi ci sembra meritevole di un posto cospicuo nella schiera degli Italiani che concorsero ad allargare il campo della geografia. La descrizione della Venezuela, scritta in spagnuolo dal colonnello e tra¬ dotta nel nostro idioma dal sig. 6. Foschini, che per oltre cinque anni gli fu compagno in quelle lontane regioni, non fu il più importante lavoro compito dal nostro compatriotta; che anzi quello appare più che altro un compendio sintetico di studi più parziali e profondi. Lo desumiamo dalla lettera che Alessandro di Humboldt gli indirizzava da Parigi il 20 giugno 1841, luminoso at¬ testato de’meriti del Codazzi e dell’importanza che a’suoi lavori si attribuiva dal più autorevole e dal più dotto fra i moderni scientifici esploratori. La vogliamo ri¬ produrre per intero, e perchè'sia una prova di quanto si è detto, e perchè invano potrebbe cercarsi per lui più onorifico documento. Digitized by LjOOqIc 339 « Monsieur le Colonely «Je ne puis vous voir partir pour ce beau pays qui m*a laissé des souvenirs si chers, sans vous renouveler l’expression de ma haute et affectueuse considération. Vos travaux géographiques entbrassant une si immense étendue de pays, offrant à la fois ìedétail topographique le plus exact, et des mesures de hauteur si importantes pour la distribution des climats, feront époque dans l’histoire de la Science. Il m’est doux d^avoir vécu assez longtemps, pour avoir vu terminer une vaste entreprise qui, en illustrant le nom du colonel Codazzi, contribue à la gioire du gouvernement qui a eu la sagesse de le protéger. Ce que j’ai tenté de faire dans un voyage ra¬ pide , en jettant un réseau de positions astronomiques et hypsométriques sur Vénézuela et la Nouvelle Gre- nade, a trouvé dans vos nobles investigations, monsieur, une confirmation et un agrandissement qui dépassent mes espérances. Membre de TAcadémie des Sciences, i’aurais signé avec plaisir, si j’aurais été en Trance, Texcellent rapport que deux de mes plus intimes amis, MM. Arago et Boussingault, ont fait sur votre carte et sur les ouvrages historiques et géographiques destinés à rillustrer. Agréez, je vous supplie, monsieur, Texpres- sion renoùvelée de ma vive reconnaissance et de mes sentiments les plus affectueux. « Paris, ce 20 juiu 1841. «Alexandre Humboldt». Più al Beltrami che non al Codazzi si accosta Gaetano Osculati, noto per una ardita pellegrinazione eseguita da solo lungo TAmazzoni ed il Rio Napo, suo affluente di sinistra attraverso TAmerica del mezzodì, colà ove questo continente offre maggiore lunghezza. Fin da gio¬ vinetto aveva viaggiato TEgitto e l’Arabia;; poi neU’Ame- rica meridionale aveva percorse le selvaggie pianure dei pampas, salite le Ande (1834-36), e indi col De-Vecchi visitate in Asia l’Armenia, la Persia, e l’India, sempre Digitized by LjOOqIc 840 colUrrpsistibile desio d’avventure, l’ansia di aflFrontare pericolile la smania di coni *mplare i monumenti vagheg¬ giati ne'sogni dell’infanzia (1). Fatto adulto, avvalorata la mente dalTesperienza e da studii, volle che il viaggio non fosse soltanto un vano pascolo all’innata curiosità, ma riusci'ise di qualche vantaggio alla scienza. Non sus¬ sidiato dalla liberalità di alcun Governo, non sorretto dagli eccitamenti e dalle istruzioni di società scienti- iìclie, nell’agosto 1846 lanciossi in una più difficile pe¬ regrinazione, fornito solt. nto di quei pochi mezzi che porge la fortuna di un privato. Sperava, come ci dice egli stesso, che da’suoi sagrifici potesse venire qualche lustro alla terra natale, e qualche vantaggio a que’rami della storia naturale cui dedicavasi con speciale amore. Appena reduce dalle provincie dell’Oriente, imbarcossi col proposito di fare il giro del globo e di visitare ac¬ curatamente quegli arcip tarva ed Ona giunsero all’Ain-Saba che guadarono per la seconda volta. Per mezzo di un’ ampia pianura legger¬ mente ondulata la comitiva giunse a Beita Zabibro, il primo villaggio 'degli Habab. Giace esso sotto il 16° grado di latit. sett. cioè a quasi mezzo grado più al nord di Massauah. Quanto alla regione degli Habab, s’estende essa fino al di là del 17’, e dal fiume Ain-Saba giunge fino al Sambar o lido del mar Rosso. Il capoluogo degli Habab è Af-Abad, che i missionari raggiunsero dopo averne attraversato parecchi fiumicelli affluenti deU’UadiArkab elle si scarica nel Labquaj fiume di confine fra i paesi degli Habab e dei Mensa, e che, per quanto si suppone,, si scarica nel mar Rosso. Tutta la pianura fra Zabibro ed Af-Abad è meno ricca di quella che si allarga sulla destra dell’Ain-Saba, ma abbonda di boschi e cespugli, ed è percorsa da truppe numerosissime di camelli. Vi sono eziandio torme di elefanti che con immenso fra¬ stuono s’aprono la via abbattendo alberi e cespugli e lasciando cosi ampie traccie del loro passaggio. La spor ranaa di trovare avanzi di monumenti cristiani o romani Digitized by LjOOqIc persuase Stella e Sapete a spingersi da Af-Abad nella direzione di nord-ovest opposta a qnellit che avrebbero dovuto percorrere per restituirsi a Massauab. Passati i iumicelli Otza ed Aidab, i quali a quanto pare si uni¬ scono per correre al maar Rosso, e toccato il villaggio di Quaber Gomoh, arrivarono a Quabon, luogo circon¬ dato da ricchissima vegetazione ed oltremodo ridente. È bagnato dal 6aba-Gob, il quale non è altro che il corso superiore del già nominato Wadi Arkab. Lasciato Qua¬ bon, l’ultimo villaggio dei Tfaa-Marian, che sono una delle tribù Habab, e continuando la via per la valle del 6aba-6ob, si giunge a Terakbat in regione piuttosto ele¬ vata, popolata da antilopi. Alcune miglia più a ponente è Dolqna, ove incomincia la montuosa regione di Atti Kles attraversata da catene che portano il generico nome di Bora. È limitata all’ovest dall’Ain-Saba ed offre fre¬ quentissime rovine di tombe e di antiche città cristiane distrutte dal tempo e dal ferro degli Islamiti, che ornai hanno conquistato alle loro credenze tutto il paese degli Habab; Gli abitanti di Dolqua, circa seimila, si sono convertiti all’Islamismo or fanno due p tre decenni!. Bai monti di Bora, le cui sommità offi'ono incantevoli punti di vista dal mar Rosso alle catene abissine, i mis¬ sionari privi ornai de’ mezzi necessari a continuare il viaggio, ritornarono "per la stessa via ad Af-Abad decisi di tornare a Massauab. « Addio! esclama il Sapeto, la¬ sciando il capoluogo degli Habab, addio pianure del- FAin-Saba, gentile dimora dello struzzo e dell’antilopef Addio, monti e colline dei Bogos, co’vostri verdi de- clivii e co’ vostri augelli dalle magnifiche piume ! Addio, 0 valli e rn^ dei Mensa, $1 ricche di leoni e leopardi! Addio 0 Bora dalle stupende vedute ! A’tnoi piedi, deli^ zioso Eldorado, soggiorna^ la morte del deserto, ma essa non 08 a*atterrare le sublimi tue cime. Perfino i tue! abitanti nelle tue arie salubri trovano la forza e l’ela¬ sticità del leopardo, mentre invece l’abitatore del lido è debole e timido come la ^zzella della pianura », Da AAAbad movendo verso mezzodì raggiunsero il fiume Digitized by LjOOqIc 383 Labqaa e ne seguirono la ralle Ano al luogo di MaUo<- nar. Qui abbandonato il fittine che volge al mare, attra¬ versarono il deserto di Sieb, qua e là animato da torme di strozzi. Passato il Wakiro (basso corso dell’Assus) presso Massalit, giunsero dopo penosissima marcia fra le calde sabbie del lido e sotto un raggio cocente al* l’isola Desset formata dall’Agbali, ed il 15 settembre 1851 facevano il loro ingresso in Emkullo, stazione de’mis¬ sionari cattolici a pochi chilometri da Massanah. I monti di Barka e quelli di Bora, estremi limiti del viaggio' di Sapeto ne’ paesi al settentrione dell’Abissinia» fanno lo spartiacque tra il defluvio del mar Rosso e quelle ampie pianure dell’alto Nilo, che furono teatro alle coraggiose esplorazioni di parecchi nostri compaesani. Alcune parole valgono a richiamare le principali carat¬ teristiche di codesta regione e facilitano cosi a me la particolareggiata narrazione dei singoli viaggi, agli altri l’intenderla. Chi dal Cairo, città posta sotto il 30° grado di lati* tndine boreale, risale il fiume Nilo, resta colpito dalla più strana fra le molte sue anomalie, la totale mancanza d’affluenti sia da destra, sia da sinistra pel lunghissimo tratto di 2000 e più chilometri. Soltanto verso il 18° grado trovasi a sinistra di chi risale la corrente la foce dell’Atbara, fiume che sotto il nome di Takazzie scende daU’aitipiano abissino, ed è ingrossato da non pochi tributari, dei quali i più orientali provengono dal paese dei Bogos e da altri posti a settentrione dell’Abissinia. Oltrepassata di due gradi circa la foce dell’Atbara, presse il 16° grado, incontrasi Chartum città fondata dal genio creatore di Mehemet Aly al confluente dei due grandi fiumi, che si disputano il nome di Nilo. È una città affatto africana, popolata da Arabi, Turchi, Negri, ed il cui incremento o decremento è intim.amente connesse con quello deU’orrido commercio degli schiavi, florido tuttavia malgrado gli sforzi dell’Europa e le stesse leggi ieil’Egitto che ha estésa fio qui la sua dominazione. Cbartom^ residenza di alcuni consolati e di una pie- Digitized by LjOOqIc 364 colissima colonia earopea, ò celebre negli annali delle moderne esplorazioni africane, perchè centro e ponto di partenza di tutti i viaggiatori, di tutte le spedizioni. I dde fiumi che unisconsi a Cbartnm portano il nome di Nilo azzurro e di Nilo bianco. Il primo (Babr el Azek degli Arabi) esce dal lago Zana nel cuore del- TAbissinia, descrive sotto il nome di Abai un gran se¬ micerchio che appena di pochi minuti oltrepassa il 10* grado, poi scorre nella direzione di nord-ovest attraverso il Fazogl ed il Sennaar fino a Chartum. II secondo (Bahr el Abìad), che è il vero Nilo, risale per sette gradi neila direzione di mezzogiorno navigando le egizie provincie del Gordofan e del Sennaar, poi fra il Sennaar e le bar¬ bare regioni dei Negri Scilluk. Presso il 9° grado, rice¬ vuto a sinistra di chi sale, il Sobat, grosso affluente proveniente da ignote catene che dall’equatore sten- donsi fin oltre il 6° grado, il Nilo volge bruscamente con angolo retto verso occidente fino alla foce di on altro tributario detto il fiume delle Gazzelle (Bahr el gazali); poi prende la direzione di sud-est e fra le bar¬ bare regioni dei Roer, dei Dinka, e dei Bari giunge circa al 3” grado, ove s’ingrossa per la confluenza degli emissarii di vastissimi laghi, i cui bacini stendonsi per alcuni gradi al mezzodì della linea equatoriale. Il tratto del Nilo bianco fra Chartum e la foce del Sobat fu navigato più volte anche dagli Europei e si può ornai aggregare alle regioni cognite; ma il tratto fra il Sobat ed i laghi equatoriali, difficilissimo per sterminate paludi, pel caldo soffocante, per gl’impenetra¬ bili giuncheti, pel pestifero clima, per mancanza di viveri e per feroci tribù, offre ancora un campo assai vasto al¬ l’esploratore e non si conosce fuorché per gli itinerarii dei pochi Europei che Io hanno in parte attraversato nell’una o nell’altra direzione. Fra questi possiamo esser lieti d'annoverare cinque italiani; Castel bolognesi ed An- tinori, negoziante l’uno e naturalista ornitologo l’altro, noti alla scienza per le loro escursioni lungo il fiume delle Gazzelle, e nel paese dei Giur; De Bono, Beltrame, Digitized by LjOOqIc 365 e Miani cogniti pe’viaggi tango il Nilo bianco fino a brève distanza dai laghi intersecati dalla linea. Riassamiamo brevemente codesti viaggi troppo ignoti' forse anche perchè pubblicati in brevi opuscoli nelle città d’Alessandria d’Egitto e del Cairo, e nei periodici geografici stranieri. Angelo Castelbolognesi, nativo di Ferrara, recossi giovanissimo nell’Egitto e trovò im¬ piego’ in Chartnm, presso il console inglese Petherik, i cui viaggi (1858) ne’ paesi de’ Giur e dei Niam-Niara fino a Mando presso il 4" grado trovarono in Inghil¬ terra un vanto eccessivo. Più tardi fattosi rommerciante di cera d’Abissinia per conto d’una casa del Cairo, strinse amicizia con Lejean, oggidì console francese in Abis- sinia ed autore di grandiosi lavori geografici sontuo¬ samente pubblicati sotto gli auspicii dell’imperatore Na¬ poleone IH. Confortato dai consìgli di Lejean e di altri Europei, tenne scrupolosamente il diario dei viaggi fatti nelle centrali regioni africane, fra i quali il più notevole finora pubblicato è quello lungo il fiume delle Gazzelle. Il 27 novembre 185fi, alle otto dì sera lasciò Chartum su una barca ben carica di merci e scortata da dodici soldati. Risalendo il Nilo bianco giunse il 20 dicembre al lago Noo, punto di continenza del fiume delle Gaz* zelle col Nilo bianco. È un limpidissimo specchio d’ac¬ qua, attraverso il quale il Nilo spinge con forte cor¬ rente le sue acque biancastre. Il profondo silenzio del deserto accresceva la maestà della scena, nè era turbato fuorché dal nuotare degli ippopotami che venivano con stupida sorpresa ad ammirare la barca, per essi nuovo mostro galleggiante. Entrato nel fiume delle Gazzelle, un angusto canale Io condusse in un secondo lago più vasto del primo, ma circondato da sì folta ed intricata vege¬ tazione che difficile riusciva trovarne 1' esito. Scoperto alla fine un angustissimo canale, la barca s’avanzò per tortuosissimi giri finché trovò sulle sponde un villaggio dei Nuer. Qui si rinnovarono le provvigioni ornai scar¬ seggianti, e si comperarono buoi con poche pallottole di vetro, del valore di alcuni franchi. Continuando la Digitized by LjOOqIc 3 «« mvigazione Terso Dividente, sempre fra canneti e gitiii- chi, obbligato spesse Tolte a rimorchiare la barca a fòrza di corde, il Bolognesi giunse ad on terzo lago ancora più ampio dei precedenti, ma non molto pro¬ fóndo. All’jndomani, attraTersato un canale stretto ed ingombro di canne, si Tenne ad una gran palude nella quale era un’ isola. Vi erano ancorate alcune barche appartenenti ai mercanti di Chartnm. FaTorito da un Tento leggero di nord-est passò il giorno 26 in un quinto ed ultimo lago. Qui fece i preparatiTi per una spedi¬ zione pedestre. Comperò TiTcri, assoldò quaranta negri pel loro trasporto, ed accompagnato dai soldati turchi e dai marinai armati si pose in cammina Terso mezzodi. In parecchi punti la carovana fu costretta a guadare le paludi ove talvolta l'acqua giungeva all’altezza del petto. Boschi e foreste ove spesseggiano gli àlberi dal gigan¬ tesco fusto si alternano con piccoli spazii coltivati. Gli abitatori appartengono alla gran famiglia dei Denka òhe popola non soltanto Visola di Cìutrtum (cosi dicesi la gran penisola fra i due Nili verso il punto di loro unione) ma anche il bacino del fiume delle Gazzelle; e si dividono in tribù delle quali il Bolognesi trovò per prima quella dei Rek, poi quella feroce degli Adjak, indi quella dei Giur. Gli Adjak volevano impedire alla carovana di ri¬ posarsi aU’ombra degli alberi che tutelavano le spoglie de’ loro santi, ma il Bolognesi minacciò di far uso delle armi ed allora desistettero dalle pretese. Ad ogni vil¬ laggio si comperavano carni, grani, ed acqua bevibile, e si pagava in conterie, lavori in vetro, usciti in parte dalle fabbriche di Venezia. Bene spesso bisognava inter* rompere la marcia al crepuscolo della sera, perchè dopo il crepuscolo non è possibile negoziare coi Negri. Il 30 dicembre la strada si faceva più tollerabile. Erano ma* gnìfiche forèste di tamarindi, gimese^ cacamnt, ed altri alberi colossali, e qua e là grossi villaggi composti di capanne coperte di paglia e di forma conica dette tvr Atti. Giunto presso un popoloso villaggio degli Awan, questi non soltanto rifiatarono di consegnare i viveri. Digitized by LjOOqIc 3«T m ìDtimaroBO alla carorana di sgMObrare il distretto • se non voleva esservi costretta dalla forza. 11 Bolognesi avrebbe volentieri evitato osa collisione che poteva tornargli fatale per l’esiguo numero delle sue genti; ma pensando che i Negri avrebbero senza dubbio inter* pretata per paura la sua prudenza, preferì lo sfidarli, e lasciati cinque soldati a guardia del carico e de’ fac¬ chini, mosse cogli altri verso il villaggio e fece inti¬ mare dall’interprete la consegna dei viveri contro pa¬ gamento, 0 altrimenti l’incendio delle capanne. Gli A- wan si affrettarono a recargli provvigioni in gran copia, e vi aggiunsero il dono dell’ assida, specie di polenta fatta con gran» finissimo, simile al nostro panico. Poco dopo fra la carovana e gli indigeni eransi stabilite le relazioni più amichevoli, perchè come osserva il Bolo¬ gnesi, gl’indigeni sono di animo mite e si mostrano ostili ai bianchi soltanto perchè i mercanti europei fanno del commercio in quelle regioni un vero brigantaggio, usando i modi più insolenti. 11 T gennaio 1857 si riprese il viaggio attraverso il distretto degli Àdjak. Frequenti pozzi e boschi deliziosi rendevano la marcia poco fati¬ cosa, ma il termometro Reaumur oscillava sempre fra 28 e 31 gradi. All’indomani si raggiunse lo stabilimento del console inglese Petherik nel distretto dei Giur. La gente dello stabilimento esultù di gioia giacché da un anno trovavasi isolata io quella solitudine ed abblso* gnava di rinforzi. Al mezzodì stendesi il paese dei Rool, ove (a dodici giorni di lontananza) trovasi la fattoria di un. francese per nome Malzac, e all’ovest stendesi il paese dei Dor, nazione di razza rossa che si suddivido in 60 e più tribù. Lo stabilimento consiste in un gruppo di capanne racchiuse da una siepe che forma un qua¬ drato di circa 100 passi pm* lato. Dopo un giorno di riposo tutta la gente divisa in grappi s’avviò per di¬ verse direzioni in traccia d’avorio. Bolognesi restò con $oU dodici uomini alla custodia dello stabilimento e prese tutte le precauzioni per rispondere a qualsiasi improvviso assalto, e per evitare querele cogli indigeni. Fortunof Digitized by LjOOqIc 368 tamente il capo di questi mostravasi oltremodò dolce e compiacente, come lo sono in generale i Ginr. Aifatto bellicosi, feroci, e nemicissimi dei Ginr sono i Dor, il cui distretto comincia a due ore all’ovest dello stabi¬ limento. Vivono in continna guerra fra loro e coi vi¬ cini, e raccolgono in macchi presso il tronco di certi alberi le ossa degli nccisi nemici. Sono scene, dice Bo¬ lognesi, che basterebbero a far ammalare chicchessia av¬ vezzo ai nostri costumi, ed alle quali bisogna pur troppo assistere senza potere mettervi ostacolo. I Dor sono ricchi di avorio e di ferro, e, per quanto si racco¬ glie da incerte informazioni, hanno abbondanti miniere di rame a Hofrat-el-Nahass. All’ovest dei Dor vive un po¬ polo affatto selvaggio detto dei Niam-niam, che parla un’altra lingua e differisce dai Dor per diversi aspetti. Brun-RoHct ha detto che hanno la coda, ed infatti hanno il costume di cingersi le reni con pelli d’animali in modo che una coda pende loro fra le gambe. Un’altra fiaba è quella che sieno antropofagi, almeno il Bolognesi sostiene di non avere raccolto in proposito nè fatti, nè indizii. Afferma invece che donne ed nomini vanno affatto nudi o poco meno, e che hanno l’uso del ta¬ tuaggio. Interessantissimo e sommamente caratteristico è il seguente episodio che ci dà un triste quadro dei modi con cui si esercita ancora il commercio degli schiavi. Lasciamo la parola allo stesso Bolognesi. «Trovandomi allo stabilimento dei Ginr mentre il si¬ gnor Petherik erasi recato fra i Dor per fondare una nuova fattoria nel villaggio d’Adjak, mi recavo frequen¬ temente alla caccia in compagnia degli indigeni che diventavano ogni giorno più affezionati e cortesi. Il se¬ guente fatto mi provò a qual grado fosse giunta la loro simpatia verso di noi. Un giorno, di buon mattino, prima di uscire dalla capanna, sentii a qualche distanza al¬ cuni colpi di fucile, e vidi quasi tosto lo stabilimento invaso da una folla di donne e fanciulli chiedendo aita. Afferrate le armi uscii e sentii dal mio interprete che un branco di ottantaquattro soldati turchi al servizio di Digitized by LjOOqIc 369 alcuni negozianti di Chartum, dopo avere devastato il paese dei Rool, era giunto la mattina seco trascinando sessanta infelici destinati ai mercati del Cairo. 1 negri delia vicina borgata, che già da alcuni giorni avevano notizia deirimminente invasione, si erano preparati alla difesa,ma avevano sospettato che io avrei accolto amiche¬ volmente i mercanti e che avrei fatta con loro causa comune nel rapire ai poveri indigeni le mogli e le figlie. Rassicurati dal loro capo sulle mie intenzioni, codeste povere creature venivano in folla allo stabilimento, pen¬ sando con ragione che era Punico rifugio, innanzi alla turba di quegli infami ladroni sbarcati a pochi passi dal villaggio. Informatomi dello stato delle cose lasciai tre uomini a custodire lo stabilimento, che feci chiu¬ dere, dopo avervi inalberata la bandiera inglese, poscia presi meco cinque uomini e mi recai ai tamarindi pro¬ spicienti la fattoria. Chiamato Akondit, capo degli in¬ digeni, gli dissi che secondo la mia opinione i turchi (cosi chiamano i negri anche gli Egiziani ed i mercanti di Chartum) non avrebbero osato attaccare il villaggio in mia presenza, ma che se lo avessero fatto io lo avrei difeso con tutte le mie forze. Per rassicurarli ancora più mandai tosto due messi al signor Petherik perchè Pin- formassero di tutto, avvertendolo che in caso d’attacco intendeva pormi alla testa dei Negri, che, accorsi dai vicini villaggi durante la notte, erano già in buon nu¬ mero, e che in ogni caso avrei fatto ciò che esigeva il nostro dovere e la tutela dei nostri interessi. Poco dopo arrivò uno dei mercanti seguito da alcuni armati, e, fatti i saluti d’uso, mi pregò di medicare uno dei suoi ferito da palla all’avambraccio. Non essendo capace di ciò, lo consigliai di cercare sulle rive del fiume il signor Brun- Rollet, che, più esperto di me, non avrebbe di certo ri¬ fiutato di adoperarsi a prò del ferito. Il mercante mi disse allora che non sapeva comprendere per qual mo¬ tivo avessi proibito ai Negri di vendergli vettovaglie. Gli risposi energicamente che gli indigeni erano adirati della feroce condotta de'suoi uomini verso le popolazioni 24 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani. Digitized by LjOOQle 370 limitrofi, e che la loro diffidenza era ben naturale con¬ seguenza della violenza e della rapacità ond'essi erano mi¬ nacciati* La discussione si faceva viva ed i Negri mi si av¬ vicinavano. Ordinai loro d’allontanarsi, poi conchiusi, sfi¬ dando ogni rischio, con queste parole; che se le mie forze fossero state sufficienti io avrei strappato loro i prigionieri per rimandarli liberi ai loro paesi; che mi riservava di fare rapporto di tutto adii di diritto; che non avrei sofferto alcun sopruso nel villaggio ove tro- vavasi la nostra fattoria; e finalmente che dovessero re¬ stare accampati colà ove erano, e partire nel pomeriggio, giacché in ogni modo non avrei permesso che prolun¬ gassero il soggiorno durante la notte. Aggiunsi che avrei pensato a fare avere i viveri e diedi le opportune dis¬ posizioni ad Akondit. Il mercante mi sembrava poco disposto ad accettare le mie condizioni; tuttavia,vedendo il gran numero di Negri che stavano presso di me, e vedendomi deciso ad aiutarli, si ritirò nel campo co’ suoi seguaci. Vi spedii tosto per mezzo di Akondit e del dra¬ gomanno due buoi, del grano, e dell’acqua. Tutto fu esat¬ tamente pagato questa volta, perchè quei ladroni mer canti non volevano apparire ladri a’ miei occhi. Due ore dopo mezzodì il negoziante venne a salutarmi, ed a pre¬ garmi di non volerlo rovinare facendo rapporto contro di lui. Disse che i Negri Tavevano assalito e che difen¬ dendosi aveva fatto dei prigionieri, ma che per l’avve¬ nire non avrebbe più condotti schiavi gli indigeni. Ri¬ sposi che il miglior consiglio era quello di rinviare al loro paese quegli infelici; ma mi obbiettò che era im¬ possibile, perchè i suoi uomini li consideravano come una'proprietà comune. Gli dichiarai allora che il mio dovere era di fare rapporto alle autorità di Cliartura, e che il mio solo dispiacere era di non poterglieli tórre colla viva forza. Accorgendosi che la sua presenza nli infastidiva si ritirò e parti quasi subito colla sua gente. I poveri schiavi erano legati l’uno all’altro in lunga catena, mediante correggie, ed erano si sucidi, si ab- battuti, da muovere chiunque a pietà. Faceva male il Digitized by LjOOQle p?ftsiero clic se tino dì essi si fosse arrestato un istante affranto dalla stanchezza, sarebbe stato costretto a continuare la marcia dagli inesorabili colpi del Aor- base. L’8 febbraio tornò il signor Petherik dalla sua escursione fra i Dor, seco portando gran quantità di avorio. Si dimostrò contento della fermezza usata fa¬ cendo rispettare il villaggio, ed anche della prudenza, con cui, evitate sanguinose collisioni, aveva ovviato a future rappresaglie. Mi disse che avrebbe riferito mi¬ nutamente il caso al console generale d’Inghilterra ed intanto mi autorizzò a narrarlo al governatore di Char- tum, Arakel-Nubar-bcy. Aggiunse che il giorno seguente, servendomi della daabia (gran barca del Nilo, con 14 remi), scortassi l’avorio a Chartum,da dove avrei potuto continuare pel Cairo onde vendervi codesto articolo, e farvi incetta delle provvigioni necessarie alla futura campagna. » Narrando il ritorno di Castel-Bolognesi, possiamo es¬ sere ancor più brevi. Il 17 febbraio parti con una ca¬ rovana di novanta Negri carichi d’avorio ed armati di picche, ventisei soldati, quattro domestici, e due inter¬ preti. Gli indigeni del villaggio l’accompagnarono per lungo tratto piangendo. Anche il signor Petherik, mal¬ grado lo stato suo malaticcio, lo accompagnò per un tratto e lo salutò commosso,non potendo calcolare quanto tempo avrebbe durato la separazione. Febbri e gonfiezza ai piedi travagliarono il viaggiatore che fu costretto a farsi portare da quattro Negri in una specie di lettiga costrutta con rami d’albero. Tutti i villaggi erano de¬ serti perchè gli abitanti, sapute le violenze esercitate dai Turchi presso i Rool, erano fuggiti dopo avere col- m*ti i pozzi. Poca acqua piovana salvò la carovana dal morire assetata. Anche la fame si fece sentire perchè non si trovarono che scarsissimi viveri. Raggiunto il fiume nel punto ove era la daabia, tutti vi si lancia¬ rono per dissettarvisi gettando nella sabbia le armi ed il carico. Alla muscera (punto d’imbarco) eravi una barca appartenente al maltese Andrea De-Bono, il quale era Digitized by Google 372 • . già partito per l’interno assieme ad alcuni compagni, fra i quali un altro italiano, Filippo Terranova, noto pel suo viaggio lungo il Sobat pubblicato nello Speclateur Egy- ptien. Rispediti allo stabilimento molti Negri, la caro¬ vana s’imbarcò la mattina del 26 febbraio, e due giorni dopo trovò il console sardo Brun-Rollet, reduce da una esplorazione poco -felice tentata verso i paesi dell’ovest. I canneti gli avevano nascosto la foce del Bahr Giur, che fu poi scoperta nel 1859 da due mercanti barba¬ reschi. Il 4 marzo la spedizione attraversò un lago pieno d’elefanti che si diedero tosto alla fuga, facendo nel¬ l’acqua un terribile fracasso. Più pericolosi erano gli ippopotami che venivano ad urtare la barca in modo molto serio. Oltrepassato il lago No, Bolognesi entrò nel Nilo bianco, e giunse tre giorni dopo dinanzi la foce del Sobat. Qui trovò un accampamento di truppe Egi¬ ziane ridotte allo stremo d’ogni cosa, e per di più esposte agli incessanti assalti delle tribù Scilluk. Per non esporre il piccolo equipaggio ad una lotta con questi barbari, dovette più volte tenersi sul fiume ed evitare più che possibile gli sbarchi che pure occorrevano per far viveri. II 10 marzo verso sera, oltrepassato senza toccarlo, De- nab, capoluogo dei Scilluk, si trovò all’àncora la barca dei fratelli Poncet, negozianti savoiardi, avviati alla loro fattoria nel distretto dei Noheri. Le due barche si po¬ sero bordo a bordo, e gli equipaggi passarono una bella serata, che fece dimenticare le passate angoscie. I venti contrarii rallentavano la navigazione, e presso il monte dei Denka, rottasi la gomena dell’ àncora, la barca fu spinta contro la riva. Una folla di Negri Denka stava già attendendo la preda, ma Bolognesi fece far forza di remi, e cogli otto soldati che gli erano rimasti tenne in rispetto quella moltitudine finché potè riprendere il largo del fiume. Il 25 verso sera si incontrò la barca della missione apostolica fondata daH’Àustria a Gondo- coro fra il 4° e 5" grado, cioè all’ingresso dell’Africa inesplorata. Aveva a bordo il padre Knoblecher. Cinque giorni dopo presso Wood-Ghelai i marinai di Bolognesi Digitized by LjOOqIc 373 sbarcarono e si dispersero in traccia di birra detta me- rizza. Non fu possibile raccoglierli senza l’aiuto di sol¬ dati turchi e bastonate, lì 3 aprile, dopo un’assenza di circa quattro mesi, il nostro viaggiatore sbarcò a Char- tum, impazientissimo di trovarvi lettere dell’Europa. La parte minore ma più difficile del viaggio era Unita; restava la maggiore; ma a Chartum cessano i pericoli, nè si ha più bisogno di far uso di tutte le virtù che uomo può avere, come avviene a chi oltrepassa quella città e s’arrischia nei paesi verso il centro. Viaggi di non comune interesse ed importanza furono eseguiti in varie parti dell’Africa centrale dal marchese Orazio Antinori. Valentissimo ornitologo, egli si prefisse anzitutto di raccogliere le varie specie degli uccelli pro- prii della zona centrale africana ; ma le sue escursioni in paesi assai malnoti od affatto ignoti, resero prezio¬ sissime anche al geografo le brevi notizie, eh’ egli, in¬ tento forse a più particolareggiato lavoro, ha comuni¬ cato ai fogli geografici di Gotha e di Parigi. In un paese insalubre, ove la natura e gli uomini cospirano contro l’eùropeo, egli sfidò grandi difficoltà, spese forti somme, e con lodevolissimo sagrificio formò una collezione or¬ nitologica che il governo italiano assai opportunamente comperava nel 1863 per farne parte ai musei del regno. Recatosi in Egitto nel febbraio 1859, Antinori percorse questo paese esplorando particolarmente i laghi del Delta fino al maggio, nel qual mese parti per il Sudan. Attraver¬ sato il deserto di Bajuda, giunse nel luglio a Chartum, che divenne il suo quartiere generale, il punto centrale delle sue quattro escursioni, delle quali le prime due nelle re¬ gioni del Sennaar, bagnate dal Nilo azzurro. (Bahr el azrek); la terza nei Cordofan; la quarta, più difficile e più importante pel geografo, nel bacino del fiume delle Gazzelle e nel paese dei Giur. Riassumiamo brevemente queste escursioni, ponendoci come al solito al punto di vista geografico, e, per scrupolo d’esattezza, giovan¬ doci quando si possa, delle parole stesse adoperate dal viaggiatore. Digitized by Google 374 La prima escursione durò dall’agosto aU’ottobre 1889. Da Chartum, passato a Wadi Medina sul fiume Azzun*o, poi in Antub nella penisola dello stesso nome (Gmr^A- el-Antttb degli Arabi), si spinse al sud-est fino a Karkodgi | sulla destra delFAzzurro, allMncirca sotto il 13^" di la¬ titudine settentrionale, ed alTest fino a Wodbaker sulla destra del Rahat circa 14° 20’ L. N. Le terre racchiuse fra l’Azzurro ed il Rahat sono intersecate dal fiume Dinder e si estendono quasi in perfetta pianura fino a Rosseres presso il ÌT. Abbondano d’acque, di pascoli, di vegetazione lussureggiante.Il clima è umidissimo nella notte; e la temperatura durante il giorno oscilla fra 28° e 30° del termometro Réaumur. È popolata dalla tribù degli Hamdaas e degli Hagalin, che vi pascolano numerosis¬ simi bestiami. La seconda escursione durò dal 4 dicembre 1859 al maggio 1860. Partito da Chartum con un italiano traffi¬ cante di cera e penne di struzzo (1), s’avviò verso l’Abis- sinia; ma il capo o scek di Galabat, tirannetto tribu¬ tario così dell’Egitto, come del re Teodoro d’Abissinia, gli intimò di retrocedere. Abbandonato a malincuore questo distretto che, ubertosissimo, si stende fino alle alte catene abissiniche, ed ofire grandissimo interesse all’ornitologo, il signor AntinorI, per la pittoresca via di Doka, ove vide gran quantità d'aquile ed altri uc¬ celli di rapina, venne ad Assar, indi al Kaderef. È que¬ sto un villaggio che appartiene allo scek Wod-Al- kerim, figliuolo primogenito del vecchio Acmet Wod- Abusin, capo temuto della gran tribù degli Sciucria. Innumerevoli s’incontrano i branchi di cammelli, de’ quali gli Arabi vogliono che più di settantamila appar¬ tengano alla famiglia dello scek. Soffermatosi una set¬ timana presso l’ospitale Wod-Alkerim, Antinori si ac¬ commiatò, e col suo servo Mohamet-Skandereni ^>er Beila si condusse nuovamente a Wodbaker, poi a Da- (1) L’italiano, che l'Antinori non nomina, è appunto quell*Angelo Castelbolognesi del quale or ora facemmo parola. Digitized by LjOOQle 375 bercici sulla destra del Dinder presso il 13® grado. Da questo punto scese a Mekera e poi a Mumi. Qui con gran piacere incontrò i fratelli savoiardi Giulio ed Am¬ brogio Poncet (1), coi quali,venuto a Rosseres, vi rimase dal febbraio al maggio. Mentre i Poncet dedicavano il loro tempo alla faticosa e pericolosa caccia degli ele¬ fanti, oppure agii studi geografici, PAntinori cacciava uccelli, ed approfittava delle tende sulle rive del fiume Azzurro per fare le sue annotazioni scientifiche o per preparare i volatili uccisi. 11 luogo era incantevole, «poi¬ ché, dice VAntinori, alla vita rigogliosa e muta delle piante si aggiungeva quella attiva e clamorosa degli ani¬ mali ». Di giorno si udivano le strida delle scimmie verdi Cercopithecus viridis, quelle dei pappagalli, de’ lampro- torni, dei promeropi e di moltissimi altri ; a sera il pianto fanciullesco delle iene; a notte avanzata il ruggito ter¬ ribile del leone, ed in sull’alba, quasi come rintocco d’orologio, il fievolo Un Un, ripetuto a lunghi intervalli, dal grazioso Galago senegalensis, il Un degli Arabi». Una gita tentata verso il Fazoglu, assieme ai fratelli Poncet, non riuscì, perchè a Famaka, ultimo villaggio del dominio egiziano, il posto militare vietò all’Anti- nori di procedere più oltre. Dovette tornare a Ros¬ seres, lontana all’incirca sessanta miglia, ma in questa occasione, smarrita la via più volte nel folto di una foresta, Antinori ebbe la grave sventura di perdere un album, ricco di più che 50 disegni, ed il manoscritto contenente le osservazioni ornitologiche raccolte in otto mesi, fra mille stenti e pericoli. Sul finire di aprile ac¬ commiatatosi dai Poncet in Wod-Sawuni, venne alla città di Sennaar e di là a Ghartum, ove giunse^il 10 maggio. Nel luglio 1860 risalì per breve tratto, fino a Maden, il Nilo bianco, in compagnia del signor Lejean, celebre nelle scienze per parecchi lavori originali su queste (i) Noli alla scienza per la Carte du cours moyen des deux Nils et de leurs afjìuents Dinder, Sobat, Nam, Bahr-el-Zeraf, Bahr-'Giur, pubblicata in Parigi nel 1860, e per altri lavori geogra¬ fici sui paesi dalPalto Nilo. Digitized by LjOOqIc 376 regioni, ed attualmente console francese nell’Abissinia. Giunto a Wood-Scellai (quello stesso villaggio ove Bo- Jpgnesi non potè raccòrrò i dispersi suoi marinai senza ricorrere al bastone), incontrò una nave carica di fan¬ ciulli schiavi, cui non valsero a sottrarre al triste de¬ stino le proteste energiche del signor Natterer, console austriaco in Chartum. Reduce in questa città, Antinori riparti con Lejean alla volta del Cordofan. Questa terza escursione intrapresa verso il sud-ovest, mentre le prece¬ denti erano state al sud-est, durò dal 7 agosto al 13 ot¬ tobre 1860 (1). I due viaggiatori, scortati da un drago¬ manno e da alcuni camellieri, si spinsero per circa tre gradi di latitudine al sud, e per circa altrettanti di longitudine all’ovest di Chartum, fino al monte Abu-Semun, estremo confine occidentale del Cordofan verso il Darfur. Da Omdurman, miserabile gruppo di capanne sol fiume Bianco, a pochi chilometri a ponente di Chartum, parti la piccola carovana il 7 agosto. Per quattro giorni fian¬ cheggiò la monotona sponda sinistra del fiume fino a Sciad-Scibu, poi presa la via d’occidente ed oltrepassato Abugherat, s’avanzò in una incolta regione percorsa dai nomadi Kababiscb. Ad EbRui incomincia la zona colti¬ vata e popolosa del Cordofan. Trovato il villaggio affatto deserto, la carovana procedette, e per Abu-Sciok, Ferad- sciaba, Chursi, e Ghezbadid, giunse a Lobeida o Obeid, città principale del Cordofan. Conta essa circa 28,000 abitanti, singolare accozzaglia di popolazioni diverse, mi¬ serabile agglomerato di capanne di fango in forma qua¬ drata, e di tuhuì, 0 capanne rotonde, con una sola apertura che serve d’ingresso, e con tetto a cono sormontato da un’asta che porta infilate uova di struzzo, usanza co¬ mune a tutto^ il Cordofan. Le abitazioni sono attorniate da fossi, entro i quali ristagnano acque putride per le molte materie vegetali ed animali che vi marciscono. (t) Lejean la narrò nel Voyage au Cordofan inserlo nel Tour du Monde del 4863. Nell’annata 1862 del medesimo periodico trovasi un altro lavoro di Lejean intorno al suo viaggio al fiume Nam-Aith o delle Gazzelle. Digitized by LjOOqIc 377 Orti, siepi, e ciottoli serpeggianti, fanno della città nn vero labirinto, che per soprassello è traversato da un torrente che si gonfla durante le pioggie e straripando invade la città, separandola dal mercato. Le febbri più micidiali vi regnano tutto l’anno, e ne furono tosto as¬ saliti due membri della spedizione, Lejean ed il drago¬ manno Carletto Evangelisti. Il 28 agosto si riprese il cammino alla volta di Abu-Haras, che dista trenta miglia sud-ovest da Lobeida. Magnifico è il Kor, o letto di fiume essiccato, che si trova a poche miglia da Abu-Haras. Il terreno che lo fiancheggia, bagnato dalle improvvise ma brevi piene, dà vita ad una vegetazione cosi ricca di alberi colossali, di arbusti, e di piante rampicanti, che penetrandovi sembra quasi di percorrere una foresta tro¬ picale. Alla vivacità delle tinte de’fiori, che sbucciano in mezzo alla folta verdura, si crederebbe di essere nel bosco incantato descrittoci nel carme sanscrito della Sakunlala. Dal villaggio di Abu-Haras, ove per qualche giorno i viaggiatori furono arrestati da pioggie tanto dirotte da averne distrutta la capanna, partirono il 7 settembre, dirigendosi verso la collina detta Gebel Mo- raka, poi verso il monte Abu-Senun. Dalla cima di questo videro stendersi verso il ponente le pianure del Darfur, ove invano avrebbero tentato penetrare,dopoché il wokil di Lobeida aveva loro sequestrato i mezzi più necessarii appunto per impedire loro di continuare il viaggio in quella direzione. All’indomani, dopo grave contesa coi camell^eri che rifiutavansi di andare ad Audun, dicendo che ciò era stato vietato loro, Lejean ed Antinori si vi¬ dero costretti a ritornare a Lobeida. Passarono per Kerbab, disegnando cosi colla vìa percorsa dapprima una specie di triangolo isoscele. Da Lobeida a Chnrsi tennero la vìa stessa seguita nell’andata, poscia ne deviarono e pei vil¬ laggi di Tender ed Addé giunsero, il 30 settembre, al Gebel Harasa. Prima di Addé i campi coltivati si alter¬ nano colle foreste gommifere; dopo Addé sono lande monotone sparse di collinette, e ricche soltanto di un arbusto spinosissimo detto Azanite, Al Gebel-Harasa le Digitized by LjOOQle 378 difficoltà si accrebbero, perchè quasi tutti i membri della carovana erano presi' dalle febbri e dall'emorragia. Lo scoraggiamento universale crésceva per l’equivoco con¬ tegno del capo camelliero © kabiri davanti al quale An- tinori'fece caricare i fucili a palla. Pe’villaggi di Beilah e Gebra'si giunse aU’oasi bellissima di Om-Ganatir, poi per alcuni giorni si attraversarono le lande degli ospi¬ tali Assanieb, popoli pastori attendati qua e là^ e va¬ ghissimi delle conterie di Venezia. Il i3 ottobre la ca¬ rovana rivedeva, non senza esultanza, le mura di Chartura. Il quarto ed ultimo viaggio, od escursione che dir si vo¬ glia, condusse il nostro viaggiatore al di là del confine egi¬ ziano, ossiaoltrei limiti di que’paesi che riconoscono più 0 meno direttamente il governo del Cairo. Durò dai primi del dicembre 1860 fino al giugno deiranno susseguente. ; Da Cbartum risali il Fiume Bianco fin circa al nono .grado (1); oltrepassò le foci del Sobat e del fiume delle Gfra/fè(Bahr-el-zeraf),erisàll,comeBolognesi,il finmedelle I Gazzelle, il Naw-Aith di Brnn Rollet. Questo fiume, come abbiamo già veduto, mette! foce nel lago No, il quale è attraversato dal fiume Bianco. Per circa due gradi scorre nella direzione di sud'-sud-ovest, in mezzo a terreni pa¬ lude» e ricchissimi d’erbe, prendendo aspetto ora di ca¬ nale, ora di vasto lago, ora di piccoli bacini di forme assai irregolari, che si succedono gli uni agli altri, ve- . stiti di tutte le specie di piante palustri ed assiepati da -magnifici arbusti. Molte volte, tanto è rigogliosa quella vegetazione tropicale, bisogna aprirsi la via a polpi di scure, e con isforzi incredibili bisogna far progredire la barca con corde, pali, ed uncini. 11 quarto giorno di navigazione sul Bahr-el-GazaI giunse al lago Ryt, pie- fi) Il Nilo è cbiamato dagli Arabi con «loesto nome soltanto infe¬ riormente a Cliartom (fiahr-el-NiI); da Charlam-al fiume delle Giraffe lo dicono fiume bianco (Bahr-el-Abiad), e da questo fiume in su lo dicono/lume della mon tagna (Bahr-el-Gebel. In conseguenza di questa nomenclatura, Antinori fa notare che è molto improprio chiamare Nilo bhinco e Nilo azzurro ciò che gli Arabi chiamano fiume bianco, e fiume azanerOi . ^ ^ Digitized by LjOOqIc 379 colo .porto saturale noto ai mercanti d’aTorio sotto il nome di meschra (porto) Ali Amuri. Da questo punto, posto all’incirca sotto l’S" L. N., visitò per tre giorni l’adiacente contrada lino alla foce del Giur (Bahr-el-Ginr), poi approfittando di alcuni uomini speditigli incontro dal signor di Vayssière, lasciò la barca e s’avanzò al sud-ovest attraverso le paludi. Passato Aflfuk, primo vil¬ laggio del Genghè, venne a Lao, ove assiso sotto di un sicomoro trovò il signor Vayssière, che lo accolse con tutta cordialità. Egli dimostrossi contentissimo di un certo fucile che comperato da Antinori in Ghartum per cento scudi di Maria Teresa, aveva già più volte risar¬ cito il suo prezzo, arrecando la morte a nove elefanti. Pochi giorni di riposo in Lao diedero nuova lena a ri¬ prendere il viaggio. Toccando il villaggio di Tek, indi quello di Rek, posto in un paese che leggermente morda verso ponente, Antinori trovossi in una regione inte¬ ressantissima per l’ornitologo, e che egli, per l’abbon¬ danza della Bassia buthyracea, propone di chiamare la regione del burro vegetabile. Vi si trovano in copia le acacie, le mimose, i tamarindi, ed i sicomori. Non lungi da Halaoincul, villaggio a metà strada fra il lago Kyt e Nguri, Antinori fu sorpreso da gravissima febbre che gli tolse i sensi, ma fu salvato dalle affettuose cure del- l’amico Vayssière. Più innarrzi il clima si fa più mite (28 gradi R.), e quindi più favorevole alla salute. Nei dintorni di Gerovil s’incontrarono foreste sublimi e nel . tempo stesso di tetro e terribile aspetto. Da per tutto vi si scorgono le orme degli elefanti; e del loro passaggio fanno fede anche gli arbusti spezzati ed i rami che rotti dagli alberi cadono penzoloni. Presso una palude for¬ mata dal Kor Mumul (torrente), tributario del Giur,si trovarono molti animali in istato di putrefazione. Il 13 gennaio 1861 la piccola comitiva raggiunse Nguri verso il 6" parallelo (1). Questo-punto, secondo il calcolo d’An- (t) Nella carta deH’Africa di Nord-est, riveduta da Petermand nei 1863 (Bell’edizione in 63 carte dei grande atlante di Stieler porta il nnmero S3) Nguri nei paese dei Giur è segnato phittoalo sotto il 7“ parallelo. Digitized by LjOOQle 380 tinori, dista dal Iago Kyt sette giorni di cammino, equi, valenti a 80 ore, ossia 120 miglia da sessanta al grado. Lo sceik, 0 capo del luogo, dimostrossi cortese, prodi¬ gando sputi, che ne*nostri paesi riuscirebbero assai male' accetti. Principale occupazione degli indigeni è l’indu¬ stria del ferro. Non hanno che capre, vanno affatto nudi, e danno caccia agli antilopi. Sul principiare del¬ l’aprile Vayssière, mancando di conterie e di polveri, congedossi dall’amico per procurarsi queste ed altre cose bisognevoli presso i mercanti del fiume Bianco; ma colto dalle febbri mori nella propria barca mentre navigava il Nilo, poco lungi dalla foce del Sobat. Questa tristis¬ sima circostanza, per qualche tempo rimasta ignota ad Antinori, ebbe per conseguenza ch’egli, trovatosi sprov¬ visto del necessario, senza viveri, senza munizioni, affatto privo di conterie, che è la moneta del luogo, circondato da alcuni servi del defunto infedeli e tu¬ multuanti, ed inoltre minacciato dalle inondazioni, do¬ vette rinunciare al disegnò di penetrare nel paese di Niam- Niam, detto anche Makarakak, e dovette rassegnarsi a raccogliere intorno al medesimo alcune notizie dalla bocca degli indigeni della tribù de’Giur, de’Dor, edal negoziante Cociuk-All, sopra le cui barche l’Antinori fece ritorno in Chartum. Secondo costoro i Niam-Niam dividonsi in tre famiglie, cioè i Bel and a, i Niam-Niam propriamente detti, ed i Banda. I Belanda sono caccia¬ tori d’elefanti, ed hanno la strana usanza di coprirsi le parti sessuali con cenci o con ramoscelli che la¬ sciano pendere a foggia di coda. I Niam-Niam abitano un i»ese affatto sterile, montaoso, privo in tutto di pesci, e povero di quadrupedi; c vivono di rettili, di scimmie, di sorci e di formiche; ma a quanto pare, non sono antropofagi. I Banda, noti per le loro enormi mascelle ed un aspetto stupido e selvaggio, si giudi¬ cano generalmente per antropofagi dalle tribù che po¬ polano le rive del fiume bianco; ma Antinori, che ne vide alcuni presso il Ginr, non lo crede, e meravigliasi soltanto della voracità, con coi essi più volte alIA sna Digitized by LjOOqIc 384 presenza fecero lauto banchetto di sorci vivi e di scimmie arrostite ed imbandite colla pelle e col pelo a metà car¬ bonizzato. Quanto all’opinione che esistano nell’Africa centrale uomini caudati, opinione che fu difesa da molti, tra i quali dall’ italiano Diamanti, medico del viceré d’Egitto, e dall’inglese Clarke, Antinori non «l’am¬ mette, e crede tutto al più che possa trovarsi talvolta, come anomalia, una deviazione dell’apofisi del coccige, volta in fuori, quasi coda rudimentale. Ammette bensì che molto lungi, verso l’equatore, in regioni affatto sconosciute, fra le diverse razze che costituiscono la tribù dei Niam-Niam ve ne sia una dai lunghi capelli e dalla gran barba, la quale viene dipinta come assai intelligente ed industriosa, e che non ha affinità colle tribù negre limitrofe. Alcuni coprono una parte della loro nudità con lembi di stoffa di cotone che procacciansi dai mercanti arabi, dando in cambio Tavorio, ed hanno l’uso crudelissimo di sagriflcare umane vittime sulle tombe dei defunti capi. Al suono del nuggara (specie di tamburo) invadono bene spesso e saccheggiano i villaggi del Fertit,le cui popolazioni fuggono in massa verso i con¬ fini del Darfur. Dopo otto giorni di cammino, l’uUimo dei quali fece intieramente nudo attraverso una palude, Antinori giunse al porto Ali-Amuri, ove una barca di un mercante musulmano, carica di avorio e di schiavi, era in procinto dì far vela per Cbartum. Anche in questo tratto, soltanto in parte coincidente colla linea percorsa nell’ andata a Nguri, trovò foreste e boschetti d’alberi nani, come nella Bajùda (parte della Nubìa), numerosi villaggi circondati da terreni coltivati, e stuoli di giraffe e di bestiami bovini (1). Sul finire del giugno 1861, dopo circa un mese di navigazione, rientrava in Chartnm, e di (1 ) Sopra questo viaggio dell’Antinori nell’iDterno del Gazai e sopra quanto di nuovo egli ci ha (atto conoscere più tardi sui paesi da lui percorsi, e sulla tribù dei Niam-Niam visitata dal Piaggia, si consulti la sua memoria nel 1° numero del Bollettino della Società Geogra¬ fica Italiana, pag. 94 e seg., ove si troveranno introdotte da lui molte ed interessanti modificazioni. Digitized by LjOOqIc e leggéva il 27'd4détóbre di qaeUo stessó artiiorj dna fé- lazione de’suoi viaggi innanzi l’Istituto egiziano. A bassissime latitudini giunsero più volte anche i mis- sionarii delle stazioni cattoliche fondate sotto gli auspici! dell’Austria a Santa fi^oce e Gondocoro in riva al fiume Bianco» Fra di essi troviamo non pochi Italiani. e più di ogni altro degno di menzione Don Giovanni Bei- trame, che rese di pùbblica ragione colle stampe i ri¬ sultati delle osservazioni fatte durante tre viaggi su quel fiume da Chartùm a Gondocoro, cioè da 15" 40’ a 4" 54’ L. N. Egli non penetrò tanto addentro verso l’equatore quanto il Mi ani èd il De-Bono;ma per questo appunto crediamo che li debba precedere in questo racconto, ben convinti che i cenni sul suo viaggio gioveranno a rischiarare quelli dei due connazionali. Partito il 1" di¬ cembre 1859da Chartùm colla Stella rmlMim ed alcune altre barche vuote, Beltrame prese a risalire il fiume Bianco alla volta delle missioni, il M. R. Provicario apostolico, gli aveva affidati incàrichi ed istruzioni che il buon missionario riceveva ed eseguiva con quella abnegazione, con quella fede, e qUell’obbedienzaj che fe¬ cero tante volte dé’missionari i martiri delle fede, i bat¬ tistrada delle scienze e della civiltà (1). Favorito da buon vento di tramontana, lasciossi presto alle spalle il Gebel- Auli (monte primo) sulla destra, ed il Gebel Mondara (monte specchio), sulla sinistra sponda del fiume. Codesti monti giaociono di rimpetto l’uno aU’altro. Più oltre ' vide sulla sinistra sponda torreggiare il Gebel-Mussa (fflonte di Mosè), cosi chiamato dal nome di un capo tenuto in venerazione dalla gente del paese. Dopo tre giorni di navigazione, varcato il limite del dominio egi¬ ziano e le secolari foreste che lo dividono dal territorio dei feroci negri Sciluk, vide schierarsi lungo la destra del fiume le montagne dei Denka(Gebel-el-Denka), cosi chiamate da tribù negre che gli arabi Abu-Rof hanno là per l’immensa valle del Nilo scendeva poscia al Cairo, (4) Leggansi io proposito iWAnmU per lapropaffaxione della fede. Digitized by LjOOqIc ora respinto nel mezzodì verso le terre dei Sciluk. Il missionario ricordossi con tristezza di avere guadagnato la cima di qne’ monti pochi mesi prima in compagnia del defunto Don Angelo Melotto, allo scopo di abbrac¬ ciare d’un solo sguardo lo spazio che assieme avevano esplorato. I monti Denka, posti fra il 12" e 13" grado,di- consi anche Niemati, dal nome di una tribù negra, e tro- vansi segnati anche sulla carta di Werne, quanto su quella alquanto confusa di Brun Rollet. Le tribù negre degli Abialang, degli Agher, degli Abujo, degli Agnarquer, e dei Donghiol, si succedono da nord a sud fino al 9" grado lungo la destra del fiume, si comprendono tutte sotto il nome generico di Denka, e sono esposte agli in¬ cessanti insulti degli Arabi e degli Sciluk, che abitano l’opposta riva del fiume. I villaggi dei potenti Sciluk trovansi assai numerosi sulla sinistra del Nilo bianco, incominciando dalla foce del Sobat; ma molti Sciluk erranti, dediti alla pesca ed alla caccia, s’incontrano assai più al nord fino al 14° grado. Delle loro conquiste nel Sennaar parlò a lungo l’illustre ed ardito nostro viaggiatore Brocchi, del quale Beltrame visitò in Chartum, confusa fra i tuguri, l’.ob- bliata tomba. Oltrepassato il monte Bibar la piccola flot¬ tiglia arrestossi davanti il villaggio Hella-el-Kaka, ove il fiume piega con grande e dilBcile svolta verso il sud-est, per volgere poi tosto al sud-ovest. Poco più oltre vedesi la foce del Jal alBuente di destra, il cui corso è ancora ignoto.’Secondo gl’indigeni esso s’interna per mezza giornata di cammino verso levante, e poi si divide in due bracci. È questo il primo alBuente che si trova da chi naviga da Chartum verso mezzodì, giacché il preteso af¬ fluente Piper di Brun-Rollet non è che un canale dello stesso Nilo, che, staccandosi dal corso principale presso il monte Bibar, rientra in esso alcune miglia più al nord, formando un’isola, o come dicono gli Arabi un occhio. Lo stesso Beltrame percorse col Melotto un tratto di questo canale, in una esplorazione fra gli Abialang. Il 7 dicembre, verso, il mezzodì, la spedizione ancorò in- Digitized by LjOOqIc 38» Danzi Denab, capoluogo degli Scilnk, ed alla sera del giorno istesso, favorita dal chiarore della luna, passò dinanzi la foce del Sobat (Bahr-el-Sobat), grosso liume che si forma dalla confluenza di molte acque scendenti da vaste ed inesplorate catene al mezzodi deH’Àbissinia. Gli Arabi lo dicono il fiume dei guadi (Bahr-el-makada); ed infatti è guadabile in molti punti. Ricevuto il Sobat, il Fiume bianco volge bruscamente con angolo poco meno che retto, verso l’occidente. A circa sette ore di cammino dal Sobat, il Nilo riceve un altro affluente di destra detto fiume delle giraffe (Bahr-ez-zeraf); ma Beltrame opina ch’esso altro non sia fuorché un canale laterale che esce dal Nilo presso il villaggio di Aquak nel distretto dei Bor, verso il 6® grado. Cosi gli venne anche assicurato dai barcaiuoli che dicevano averlo percorso con piccoli legni. Un po’più oltre cominciano i villaggi dei Gianghè, i quali abitano la riva sinistra del Fiume bianco, e divi¬ dono gli Sciluk dai Nuer. Al mezzodì del 9 dicembre si raggiunse la foce deH’affluente di sinistra, fiume delle gazzelle (Bahr-el-gazzal, 9“ 18’ 24” L. N.) che già vedemmo risalito dal Bolognesi e dall’Antinori. Verso settentrione stendesi fino al Cordofan una catena di colline popolate dagli Arabi Baggara, i quali hanno frequenti relazioni di commercio con Lobeida o Obeid capitale di quel paese. Al lago No, punto di confluenza del fiume delle gaz¬ zelle col Fiume bianco, l'itinerario di Beltrame si scosta da quello dei due viaggiatori ora nominati, giacché egli continuò la navigazione sul Nilo, che assai rimpicciolito s’aggira con lento e’ tortuoso corso nella paludosa re¬ gione dei Nuer. Miriadi di zanzare coi loro pungiglioni travagliano incessantemente l’equipaggio, ed il tormento durò gli otto giorni necessari ad attraversare le paludi dei Nuer. A questi succedono i Kic i quali abitano la sinistra del fiume fra l’8® ed il 6° grado. Codesto nome, come avviene di tanti altri quando si tratta di regioni mal note e popolate da genti che parlano lingue af¬ fatto ignote aìrEuropa, trovasi scritto in modi assai di¬ versi sulle carte moderne. Il Beltrame aveva già avuto Digitized by LjOOQle 385 agio di visitare i villaggi dei Kic assieme ai missionari Giuseppe Lanz e Daniele Comboni. Fra questa tribù, sotto il 6® 40’ venne fondata la missione cattolica di Santa Croce, ove la spedizione approdò il 22 dicembre, cioè tre settimane dopo la partenza da Chartum. Vi trovò i padri missionari Lanz e Kaufman (1), coi quali, festeg¬ giato il Natale, Beltrame si dispose a continuare la via alla volta di Gondocoro. Il fiume era assai basso, e sic¬ come si temeva di non poter effettuare il ritorno colle barche cariche quando il fiume decrescesse ancora più, cosi non si pose tempo in mezzo. Il 26 dicembre Lanz e Bei- trame risalivano il fiume che divide i Bor, abitanti la destra, dagli Ellìab, che popolano la sinistra sponda; videro quel villaggio di Aguak, óve il canale delle gi¬ raffe esce dal Nilo; poi varcato il 6" grado trovaronsi fra le tribù degli Scir che occupano ambedue le rive. Qui il fiume dividendosi in molti canali forma ampie isole dotate di bellissima vegetazione. Alle alte erbe ed ai canneti veggonsi succedere magnifiche boscaglie, nelle quali le mimose e le euforbie si alternano colle palme e cogli ebani. Queste isole fecondissime e ridenti sono degli Scir, i quali vi seminano tabacco, fagiuoli, sesamo, cotone, è vi pascolano numerosi bestiami. Verso il 5" grado cessa l’incantevole paesaggio, e le rive ritornano monotone. Il primo giorno del 1860 Beltrame entrò nel territorio dei Bari, che danno al Nilo il nomedi Ciuflri, ed opinano che si formi dall’unione di più bracci con¬ tinenti poco prima d’una grande cataratta posta al mezzodì del loro paese. Il suolo s’innalza notevolmente e si fà sabbioso; il fiume sviato da continue isolette si allarga di molto, ma ha pochissima profondità, cosic. chè si naviga diflìcilmente. Appena passato il 5" grado si vede sulla sinistra del fiume il monte detto Guarkegni dai negri, Gebel-el-hadid o monte del ferro dagli Ara Alla distanza di molte miglia sulla destra sponda scor¬ ti) Autore dcH’opnscoIo II Bacino del Nilo bianco ed i suoi abi¬ tatori Bressanone, 1851 (tedesco). 25 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani. Digitized d byGoOgIC 386 gonsi i monti Belegnan. Il iiamesi divìde ancora in vari bracci e forma due isole, delle quali una è proprietà della missione. All’estremità meridionale di quest’isola havvi il villaggio di Libo dove mori e fu seppellito nel gennaio 1853 don AngeloVinco. Mezz’ora più oltre trovansi il villaggio e la missione di Gondocoro, ove il Beltrame giunse il 2 gennaio verso le tre ore del meriggio. Dei due missionari che ci erano rimasti di stazione, uno per nome Luigi Viehweider era rimasto vìttima delle febbri tanto pericolose all’europeo sotto questi climi. I Bari, tribù negra che abita dal 5" fin verso il 3° grado uno spazio che è ancora poco meno che ignoto, sono un popolo che ai difetti comuni alle razze negre accoppia una fe¬ rocia incredibile. Le più lievi querele si decidono a colpi di lancia, sicché le morti violente sono più frequenti delle naturali. Spinto il Baro dal bisogno non si umilia domandando, ma pretende e rapisce se può. Talora per soddisfare la fame vende i figliuoli, e per un pugno di grano abbandona la moglie e le figlie alle licenze dei soldati dongolesi, che al soldo dei mercanti arabi, turchi (e pur troppo bisogna aggiungere anche europei) lasciano dovunque le tracciedi inaudite violenze. Codesto flagello delle povere popolazioni negre s’introdusse nel paese col commercio dell’avorio, inaugurato nel 1844 dal signor Brun-Rollet, come egli stesso ebbe a confessarlo nel suo opuscolo Le Nil blatte (Parigi 1835). Affatto privi di go¬ verno, chè cosi non può chiamarsi l’influenza esercitata dai grandi detti kimak e dai sacerdoti o bunek, i Bari non conoscono che la miseria e la violenza. Nessuna penna varrebbe a dare un’esatta idea delle scene che si vedono in quelpaese, dove tutto è ladroneggio,oppressi «ne, furto, violenza. Le classi degli artigiani e dei pescatori sono le più conculcate e si chiamano col nome sprezzante di Tumotiek. Gli uomini, come in tutte le tribù lungo il Nilo bianco, vanno affatto ignudi; le donne maritate copronsi con pelli di montone; le fanciulle con grem- bialuzzi di cordoncini o dì catenelle, cui è appesa nella parte posteriore una specie di coda. Alcuni giorni dopo Digitized by LjOOqIc I 387 Tarrivo di Beltrame a Gondocoro vi giunsero le barche vuote, lasciate addietro, e destinate ad essere caricate del mobiliare della missione, che doveva essere soppressa in considerazione degli scarsi risultati ottenuti nel periodo di sua esistenza (1852-60) e dei gravi sacrifìci d’ogni specie ch’essa costava (1). Caricati i legni, il giorno 16 gennaio Beltrame incominciò il viaggio del ritorno, e nell’ora stessa della partenza vide arrivare a Gondocoro una gran dahabia o barca proveniente da Chartum e piena di soldati turchi ed egiziani, i quali, per ordine del divano, dovevano fare 500 schiavi! Otto giorni di navigazione condussero felicemente i missionari a Santa Croce, ed il Beltrame ne ingannò la noia ponendo in ordine le sue note ed i disegni sul corso del Fiume bianco, dei suoi aftluenti, e dei canali; sui nomi diversi che le tribù danno al fiume; e sulla geografica posizione dei laghi principali, e simili cose. Stava per salpare da Santa Croce coi missionari che fino a quel giorno vi avevano soggiornato, quando i Kic si affollarono intorno alla mis¬ sione, mostrandosi vivamente afflitti dell’inopinato di¬ stacco. « Se voi ci abbandonate » cosi dicevano essi, •t cosa potremo noi contro i soldati dongolesi, che ver^ ranno ad assalirci ed a rubarci le bestie? Voi foste finora i nostri padri, voi ci avete difesi dalle loro violenze, voi ci avete medicati nelle nostre malattie; chi ci darà ora il tabacco da fumare ed il durah da mangiare, come voi tante volte avete fatto? » Da questo rozzo ma in¬ genuo popolo accoramiatossi la spedizione dei missionari il 3 febbraio, e dopo due mesi di navigazione, ritardata spesso da venti sfavorevoli, giunse (il 29 marzo) in Chartum. La narrazione del ^Beltrame per quanto concerne questa parte del viaggio, sebbene interessantissima per gli epi- (1) I neofiti battezzati nello spazio di otto anni furono quarantasette. Quando si proponeva ai Bari la conversione al cristianesimo colla quale essi avrebbero adottate e seguite le prime e più necessarie norme del vivere civile, rispondevano ai missionari : c Convertite prima ì vostri servi (dongolesi) poi penserete a noi; ora giacché calcate il nostro terreno, dateci da mangiare o andatevene ». Digitized by LjOOqIc 388 sodi terribili, che ci pingono al vivo i modi infami con cui Arabi,Turchi, ed Europei, abusano dell’ignoranza e della debolezza dei negri, non può avere per noi che una importanza secondaria; ma non diremo cosi dei preziosi cenni che il Beltrame raccolse intorno al bacino del Nilo superiormente a Gondocoro e che riepilogheremo bre¬ vemente. Da Gondocoro il Nilo, secondo gl’indigeni, risale nella sua generale direzione da nord a sud per un gran tratto, finché si trovano i vari corsi d’acqua che confluendo lo formano. Sulla destra del fiume, prima però del 4“ grado, trovansi le catene dei monti Liria, Lokoia, Longhè, Luluri, e Belegnan, parallele fra loro e col Nilo. Corrispondono a tali catene, quelle dei Kunupi e dei Rorek, fiancheggianti la sinistra sponda. Il missionario Francesco Moriang, in una sua escursione per circa un grado (60 miglia geografiche) al sud-ovest di Gondocoro, trovò parecchi corsi d’acqua tutti volti da sud a nord e quindi paralleli al Nilo. Il più vicino al Nilo è il Luri; segue poscia il Roda. Varcato il Roda e toccati i villaggi Dimu, Rakarak, Rioka, Tunga, Loci, si trova una catena di monti che dicono Regong, e passatala si entra nel paese di Tambara o Tangvara, attraversato dal fiume Jeji ricco d’ippopotami e di coccodrilli. Fra Loci e la destra sponda del Jeji vi sono tre villaggi; Lighi, Lignek,e Moro. Procedendo poi oltre, all’ovest del Jeji, si trova l’Irè suo affluente, e fra i due fiumi i villaggi di Veji e Tubu. Al di là dell’ Irò stendesì il paese dei Niam-Niam detto anche Makarakak. Ove metta foce il Jeji ninno potrebbe dirlo con certezza. La magnifica Cari of ifw World di Ermanno Rerghaus lo segna fra i tributari ài sinistra del Nilo bianco. Beltrame invece sospetta col Moriang ch’esso s’iinisca al fiume delle Gaz¬ zelle, 0 che sia il corso superiore di quel fiume. Il Roda ed il Luca probabilmente mettono nel Niloo nelle vaste paludi che ne accompagnano talvolta le rive. La stagione delle pioggie in Gondocoro ordinariamente comincia coi primi di marzo e finisce col novembre. Il fiume si gonfia sul finire del febbraio e tocca la massima altezza Digitized by LjOOqIc 389 verso la fine di maggio o nella prima metà dell^agosto, e decresce dalla line dell' agosto alla metà del febbraio. I tremuoti si fanno sentire pochi giorni prima del co¬ minciare delle pioggie e continuano per circa un mese; si rinnovanopoi le scosse,ma leggerissime,sul Qniredella stagione piovosa. Quanto ai venti si osservò che quelli .del nord principiano sul terminare della stagione pio¬ vosa e continuano fino al marzo. Vi succedono allora i venti dell'est, durano circa un mese, e si rinnovano poco prima che ricomincino quelli del nord. 1 venti delTest apportano le febbri e le emicranie. I venti del sud du¬ rano dalla fine d'aprile al settembre; nel settembre e ottobre predominano quelli deH’ovest. La temperatura massima è fra 4 e 5 ore pomeridiane, ed in codest’ora il termometro Réaumur (in casa) non segnò mai meno di 18, nè mai più di 31 gradi. Niun missionario, niun viaggiatore europeo risali, il Fiume bianco oltre Gondocoro, fatta gloriosa eccezione soltanto per due nostri viaggiatori, Andrea De-Bono maltese, e Giovanni Miani, veneziano (1). Da lunga pezza avvezzi a quel torrido clima, ai miasmi delle paludi, a quelle solitudini popolate da belve e da tribù che giacciono nella più profonda barbarie, abituati a patire la fame, la sete, tutti gli stenti, si spinsero più volte assai addentro nel bacino nilotico, sia lungo il Nilo stesso, sia lungo i suoi affluenti, e mentre il Miani inci¬ deva il suo nome su un albero presso il 3“30'di latitudine, il De-Bono fondava uno stabilimento, o per dir meglio una stazione commerciale, sotto il 3"* IS', a solo trenta (1) In una lettera che il sig. Henglin, notissimo per viaggi e stodi snlfAbissinia e sol Sudan, dirigeva nel 4862 al benemerito geografo A. Pelermann, leggiamo queste parole: « Ciò che è positivo si è che fin* oggi Peney e Miani furono quelli che più si avanzarono a mezzodì. Sfortunatamente la scienza non avrà a guadagnare molto da codesti viaggi, perchè il bravo Peney morì al Schelal di Gondocoro prima di aver finito i suoi lavori, e Miani, cui niuno osa negare il coraggio, con tutta la miglior volontà non può essere utile gran fatto alla scienza». II signor HeagHn dimentica affatto il De-Bono. Digitized by LjOOQle 390 miglia dal grande lago Alberto, che l’inglese Baker re¬ centemente seguiva, e dimostrava essere uno de’ grandi serbatoi del fiume fecondatore. L’albero di Miani e la stazione di De-Bono furono i primi indizi! di mano eu¬ ropea, che presentaronsi agli intrepidi Speke e Grant, quando or sono pochi anni da Zanzibar (costa orientale africana) pei deserti di Kazeh attraversarono nella dire-, zione da mezzodì a settentrione tutta la vallq del Nilo. Non affermeremo per certo che l’utile della scienza fosse il principale intento dei due nostri viaggiatori, e neppure eh’essi siensi mostrati ben forniti di tutte quelle immense e svariate cognizioni che in fatto di scienze naturali e matematiche esigonsi nell’espioratore, perchè il geografo possa considerare come definitiva¬ mente acquisiti alla scienza i risultati di un viaggio, o perchè un viaggio in regioni affatto incognite possa avere risultamenti di stabile utilità. Lucro, guadagno» speculazioni furono il primo e più forte motivo dei viaggi all’alto Nilo, ed a questo associossi poscia il più nobile intento di giovare alla scienza, di concorrere a chiarire quel grande problema che è il caput Nili, a soddisfare l’avida curiosità che più che mai destassi in proposito nella dotta Europa. 11 commercio degli schiavi, del miele, della cera, delle penne di struzzo, ed anzitutto dell’avorro (denti d’elefante), furono gli incentivi che spinsero i mercanti egiziani ed europei a rischiare la vita nelle regioni dell’alto Nilo; e sebbene non vi sia il menomo indizio che i nostri viaggiatori abbiano avuto parte all’infame traffico di carne umana, come osò dire l’invida calunnja, non si potrebbe negare, massime per il De Bono, che il commercio dell’ avorio ed altri fini meno elevati che non sia il progresso del sapere, ma ben più onesti che la tratta non sia, fossero il prin¬ cipale scopo delle escursioni nelle alte regioni nilotiche. Andrea De-Bono è ormai indigeno dJ quei terribili climi, giacché li sfida da ben quindici anni. Forse nes¬ sun europeo ebbe più di lui occasione di addomesticarsi polle difficili abitudini di quei luoghi, di coposcere gli Digitized by LjOOQle usi e le lingue delle ingenue e nel tempo stesso barbare tribù negre da Chartum aU’equatore; di valicare in ogni senso l’alto Nilo ed i suoi tributarii. Niuno meglio di lui poteva arricchire la geografìa del Nilo quando avesse dato esatte relazioni delle sue gite e quando avesse po¬ tuto corredarle di esatte osservazioni scientifiche. In un opuscoletto, stampato ad Alessandria d’Egitto nel 1862, narrò bensì di alcune scoperte lungo il Nilo bianco; ma oltre questo breve lavoro non abbiamo che alcuni frammenti pubblicati nei periodici geografici di Pa¬ rigi (i). Fra questi frammenti citiamo anzitutto una let¬ tera che Filippo Terranova siciliano ed agente com¬ merciale di De-Bono scriveva nell’ottobre 18oo dal fiume Agiubbas allo zio Giuseppe Terranova in Sicilia. È un quadro spigliato, netto, fedelissimo degli stenti e de’rischi che il Terranova trovò nel suo viaggio; dà un’ idea assai precisa de’ luoghi e de’costumi, ma non contiene indicazioni di sorta,non accenna le distanze che per giorni e anche per settimane; dimentica la direzione della via percorsa; ed insomma è tale che non se ne può trarre alcun costrutto. Appena ci vien detto che la spedizione partì dalla foce del Sobat il 3 gennaio 1855, che risalì per mesi intieri questo fiume, e lottando ora d’astuzia, ora co’ doni, ora colle minaccie, riuscì a fare incetta di denti d’elefanti in varii punti di quel distretto affatto ignoto, che dal 5® stendesi fin verso il IO grado al sud-ovest dcU’Abissinia. Se Barth, o Li- vingstone, o Speke, o Burton si fossero trovati sulla barca del Terranova il bacino del Sobat non sarebbe oggi un* incognita, e la scienza avrebbe guadagnato una quantità di notizie preziose a tutti i rami della storia naturale e della geografia. Le trattative coi Negri, le accoglienze, ora amichevoli, ora ostili, e le difficoltà (1) Lo stesso signor Dc-Bono non poteva mandarmi Topuscolo q^i addotto e mi inviava invece una carta del viaggio da lui eseguito nel 1861, preziosa invero poiché riguarda appunto le regioni al aud do 5® grado. Ce pe gioyiamo per le prossime pagine. Digitized by LjOOQle 393 della navigazione riempiono il racconto, il quale Unisce col provare che pochi fucili e qualche cassa di conteric veneziane (terroUeries) bastano a nutrire, anzi a rendere rispettata e temuta per quasi un anno una comitiva di sessantasette persone, che ad enormi distanze d’ogni traccia di civiltà trovasi circondata da numerose popo¬ lazioni negre. 11 seguente brano ci sembra poi caratte¬ ristico per dimostrare quali sieue anche i più umani degli Europei traUicanti al Nilo bianco. « Come mai potevamo noi tollerare le minacele dei Negri, mentre potevamo disporre di trenta fucili, metà de’ quali a doppia canna, di quattro paia di pistole, di un trombone e di due cannoni? Un giorno che i capi erano vicini a noi, il mio socio (De-Bono) si fe’ dare due de’ loro scudi, e sovrappostili l’uno all’altro ambi- due forò con un colpo di fucile. I negri credevano che gli scudi li rendessero : affatto sicuri dalle, palle, ma quando li videro forati restarono stupefatti. Per fare su di loro maggior effetto domandammo se gli uomini 0 gli uccelli sono più rapidi al corso, e ci risposero ohe gli uccelli sono più rapidi del vento. Allora proso il fucile uccisi due uccelli che svolazzavano nelle vici¬ nanze. De-Bono fini la dimostrazione dichiarando ai capi che se abbattevamo gli uccelli tanto meglio avremmo potuto abbattere gli uomini che sono meno rapidi di essi. A queste parole rimasero come pietriflcati. > Intorno a questa prima spedizione al Sobat abbiamo una breve relazione, che scritta dallo stesso De-Bono, venne dal. sig. Lejean compendiata e fatta pubblicare nel bellissimo giornale illustrato il Tour du monde. È un diario commerciale scritto giorno per giorno, non destinato alla pubblicazione, scritto senza la minima pretesa, e che appunto per questo porta tutta l’impronta della sincerità e dell’esattezza più scrupolosa in tutto ciò che il nostro negoziante credette utile di racco¬ gliere. Lasciato Chartum il 23 dicembre 1SS4 con una dahabia ed un sondai equipaggiati da sessantasette per¬ sone, rimontò il Nilo coll’intenzione di leatar fortuna Digitized by Google ' :^03 risalendo il Sobat, suo affluente di destra ed ancora ignoto. Il 1^' gennaio del 1855 entrò nel Sobat e due giorni dopo raggiunse là stazione fondata V anno an¬ tecedente. De-Bono vi trovò il suo agente Terranova. Il 4 si riprese la navigazione é si trovarono sulle sponde del fiume parecchi villaggi dei Denka. L’8 gennaio (il che equivale al dire 4 giorni di navigazione più a monte) scomparvero i villaggi Denka e apparvero invece quelli degli Sciluk, i quali però non si devono confondere colle tribù omonime del Fiume bianco. Due giorni dopo il fiume ripigliò le tortuosità che rendono penosissime le navigazioni. L’undici si trovarono sulla sinistra del fiume molti negri Nuer, i quali proposero a De-Bono un’ alleanza per sterminare tutte le altre tribù e divi¬ derne poscia le donne, i figli, ed i bestiami. De-Bono ri¬ spose che non era venuto al Sobat per guerreggiare, bensì per comperare avorio. Allora i Nuer lo richie¬ sero di starsene neutrale nella guerra che volevano muovere agli Sciluk. Il 15 gennaio un capo gli disse che uno de’ suoi uomini aveva ucciso inavvertente- mente un negro, e gli chiese un indennizzo pel padre del defunto che gli presentava. Arrivato fra le tribù dei Giak un capo lo pregò di lasciargli alcuni sol¬ dati che lo proteggessero dai Nuer, e rispondendogli il De-Bono che Tavrebbe potuto fare nel ritorno quando avrebbe disceso il fiume, il capo gli osservò che conti¬ nuando la navigazione si esponeva a trovare il fiume si povero d’acqua da lasciare a secco le barche. De-Bono non credette all’avviso ed ebbe poi a pentirsene, perchè gli toccò infatti di restar arenato per undici mesi, nella più forzata inazione, e con grande scapito de’suoi inte¬ ressi. La sera del 19 lasciò a sinistra il Nuoldei, primo affluente del Sobat ; il 20 oltrepassò il Vanno (canale od affluente) detto Gibba, ed il giorno seguente un terzo ramo detto Nikana. Il 22 trovò un vecchio capo, che gli ripetè l’osservazione sul prossimo abbassarsi del fiume; ma De-Bono non vi prestò fede, desideroso come era di raggiungere le montagne dei Berris ove sapeva essere Digitized by LjOOQle 394 già penetrato nel 1852 il missionario D. Angelo Vinco (1). Il 27 il flnme dividevasi in due rami, de’ quali l’uno risale ai paesi dei Gebba, l’altro verso quello dei Bon- giak. De-Bono scelse il secondo, e giunse ai Bongiak dopo nove giorni di navigazione, durante i quali dovette più volte aprirsi la via fra le barre, che ad arrestare l’acqua i Negri avevano costrutto attraverso il letto del fiume. Quando senti che non trovavansi altri villaggi più oltre sul fiume, la spedizione si arrestò, e Terranova venne inviato co.me ambasciatore ad un capo Bongiak che abitava ad un giorno di distanza nell’interno. Ar¬ rivato la sera alla residenza del capo, questi gli assegnò un campo ove porre le tende, e proibì severamente a tutti i sudditi di visitare i bianchi prima ch’egli l’avesse fatto. Alcuni curiosi che violarono il reai decreto espia¬ rono la colpa perdendo tutti i bestiami. All’indomani il capò mandò al Terranova un vaso pieno di latte ed un bue, e poi fece coprire di pelli di pantera tutta la via fra la sua capanna e le tende degli ospiti. Poco dopo, scortato da duecento nomini, il capo giunse alle tende. Sdraiato su una sedia gli servivano di sgabello due de’ più illustri fra i suoi sudditi, cui dispensava libe¬ ralmente gli sputi. Nè quelli se ne offendevano, che anzi parevano lietissimi di potersi servire del reale co¬ smetico. Il re chiese a Terranova quale motivo l’àvesse indotto a venire nel paese dei Bongiak; al che quegli rispose che desiderava annodare relazioni di commercio colla sua tribù. Ma la proposta non parve garbare troppo all’autocrate, il quale, regalati al Terranova due denti d’elefante di mirabile grossezza e di non poco valore, accettò il cambio d’altri regali e disse fieramente « fra noi resi fanno doni,non commercio.» 11 tentativo di fon¬ dare una stazione pel commercio dell’avorio non riuscì. —Il l'aprile De-Bono cercò di uscire dal grand’impaccio in cui lo poneva lo straordinario scemare dell’acqua nel fiume, giacché ad ogni istante le barche arenavano su (1) Citato già pelja relazione del Pe|trame, Digitized by LjOOqIc 395 qualche banco. A rendere più difficile la sua posizione stuoli di Negri circondavano le barche, e qualcuno dei capi li andava istigando ad assalire la comitiva dei bianchi mentre era dispersa sul letto del fiume, affine di costruirvi certe chiuse, che, rattenendo l’acqua, facessero possibile il tenere a galla le barche. Fu in questa oc¬ casione che si diede ai Negri quella lezione sull’effi¬ cacia delle armi da fuoco, che già vedemmo descritta dal Terranova. Il 9 aprile non si vedeva anima viva sul fiume, e si seppe poscia che i Bongiak si erano ritirati in corpo davanti ad un’invasione dei temuti Nuer,due soli dei quali bastano a porre in fuga tutta la popola¬ zione ^i un villaggio. Il cadde la prima pioggia e l’acqua crebbe; ma tosto scemò e lasciò i mercanti nella tristissima loro situazione, dalla quale non poterono trarsi finché, parecchi mesi dopo, abbondanti pioggie non resero possibile scendere pel Sobat fino alla con¬ fluenza del Nilo bianco. Il viaggio del 1861 fu consacrato dal De-Bono alle re¬ gioni del Nilo bianco, al sud di Gondocoro, di quel vil¬ laggio cioè abitato dai Bari ove egli fondò il primo dei suoi stabilimenti commerciali, e dove,come già vedemmo altrove, era stata soppressa da poco una missione catto¬ lica spesata dall’Austria. Risalendo il Nilo da questo punto trovansi sulla destra del fiume (quindi a sinistraci chi risale) i monti Belegnan, e dirimpetto a questi sull’op¬ posta sponda i monti Regiaf e Canufi (Kunupi di Beltrame). Più oltre si entra nel territorio della tribù dei Lochi 0 Locaja. Il fiume si divide spesso in canali, forma isole di varia ampiezza, e pressori 4° grado precipitasi da rupi formando le cateratte che dicqno di Garbo. A notevole distanza verso oriente vedonsi de’ monti stac¬ cati, e più oltre la catena dei Sersera, che pare anno¬ darsi a settentrione con quella dei Liria. La tribù dei Bengiuren scorre le solitudini fra i Sersera e la destra del Nilo. Ad otto o dieci miglia superiormente alle ca¬ teratte di Garbo il fiume, diviso in due rami, ricinge la ntontuo$a isola Rorak e (a altre cascate dette Korki, Digitized by LjOOQle .39* (1) Veggjsi la carta citata, che porta il numero 53 nella edizione in 63 carte del grande atlante di Stieler e Berghaus. Anche la carta pubblicata in Londra nel 1866 a corredo del viaggio di Baker nei Pruceedings della Società geografica inglesé pone Vallerò di Miani a 3« 34^ Cosi anche la carta che serve di corredo all’opera di Speke sulle sorgenti del Nilo. — Secondo una carta delle Mittheilungen, annata 1866, De Bono giunse fino a Faloro sotto L. N. 3» 15^, Miani non oltrepassò 3» 3(K, Petherick arrivò fino a Mundo sotto 3^ 4(K. Digitized by Google ilo saoi viaggi vanno considerati piuttosto tra le avventure non riuscite, che tra i viaggi a scopo ed a resultato scientifico. Prima di passare all’esame dei viaggi fatti dai nostri connazionali nell’Africa di ponente'ed in varie parti del¬ l'Asia, è mio obbligo di compendiare brevemente l’esplo¬ razione del lucchese Carlo Piaggia nei paesi all’ovest del fiume Bianco, giovandomi a tal proposito delle notizie pubblicate dal benemerito signor marchese Orazio An- tinori nel primo fascicolo del Bolletlino della Società Geografica Italiana, e dal Petermann nell’annata 1868 delle celebri sue Mitleilungen. Solo, senza soccorsi, senza armi e denari, senza bandiere svolazzanti, senza protezione ufficiale, Carlo Piaggia si addentra modesto, inconscio quasi del proprio ardire e dei proprii me¬ riti, fin quasi al 1° grado, oltrepassando realmente una latitudine che Petherick e Miani non raggiunsero, mal¬ grado quel rumore di opuscoli e di pubblicazioni, che procacciò ai loro nomi una fama tanto ambita quanto poco meritata. La peregrinazione di Piaggia foriha in¬ vero uno strano contrasto con quella di Miani, alla quale immediatamente per ragioni di tempo e di luoghi deve collegarsi tn questo mio commentario. Riepilogandola per riguardo specialmente ai risultati positivi che ne derivano alla scienza geografica, io mi propongo due scopi: rendere omaggio al merito di un nòstro viaggiatore, e contribuire a diffonderne la fama non ancora proporzionata alla grandezza del merito e del servigio. Carlo Piaggia da Locca fece vela da Livorno per la Tunisia nel maggio 1851, e, trattenutosi pochi mesi in qualità di giardiniere presso una ricca famiglia, parti nella primavera 1852 per Alessandria d’Egitto. Quivi campò la vita per quattro anni esercitando parecchi mestieri; indi (nel maggio 1856) risali il Nilo, giunse a Chartum nell’agosto, e da questo punto, rimontando sempre il fiume, giunse nel paese dei Bari alquanto al sud del 15° parallelo. Fallitagli la caccia del marabù, nel marzo Digitized by LjOOqIc 441 18S7 riprese la navigazione del fiume, trovò cortese accoglienza alla stazione di Santa Croce (al 7° L. N.) presso un buon sacerdote, il missionario Bartolomeo Mosca; quindi ridiscese a Chartum, ove giunse nel luglio, e donde riparti nell'ottobre alla testa di alcuni cacciatori d’elefanti, diretti allo stabilimento Malzak nel paese dei Kic. Avendo le depredazioni e le violenze di quella marmaglia disgustato grandemente il suo animo gentile e generoso, li abbandonò, tornò a Cbar- tum nel luglio 1858, vi si trattenne fino al febbraio dell’anno successivo, e indi rimpatriò, seco portando una collezione d’armi ed utensili che offri al museo di storia naturale in Firenze. Fatto breve soggiorno in patria, ritornò a Chartum, dove si abboccò col marchese Antinori, e partì con lui (novembre 1860) alla volta del meschra Rek, porto del Gazai, affluente di sinistra del fiume Bianco. Il negher, (barca a vela latina) che portava i nostri viaggiatori, separossi al lago No dalla dahabia, che portava il noto geografo francese Lejean, col quale aveva navigato di conserva, ed imboccò il 10 dicembre il Gazai per giun¬ gere il 17 al^meschra Rek. 11 Piaggia, indisposto fin dalla partenza, fu quasi sempre ammalato ne’ sei mesi che corsero dalla metà di dicembre a quella di giugno. Antinori intanto percorse i dintorni popolati dalle tribù dei Gianghè, dei Giur, e dei Dor fino a Nguri, villaggio sotto il 7° grado, raccogliendo importanti notìzie sui costumi degli abitanti, e su un distretto dapprima sco¬ nosciuto, che ha una sensibile pendenza verso il nord, ed è ricco di belle foreste di acacie, di cassie, di euforbie, di alberi del burro, di villaggi ombreggiati da sicomori, ed altri alberi di grosso fusto. Nel giugno Piaggia, An¬ tinori, e la loro scorta negra, afflevolita e minacciata da mali d’ogni specie, da febbri, dissenterie, vitto scarso e cattivo, si posero in via pel Gazai e per Chartum. 11 28 giugno 1863, il Piaggia, a bordo di' una barca di un negoziante cofto per nome Gattas, lasciando Chartum, risali per la terza volta il fiume Bianco, e per la seconda « Digitized by Google 412 ì] Gazai, dirigendosi alla fattoria di Gattas, nel paese dei Giùr, e poscia a lombo, villaggio posto nel territorio dei Niam-Niam, verso il 3° 30’, cioè circa tre gradi e mezzo al sud-ovest da Ngnri, paese non mai esplorato prima di lui da alcun europeo. Il 10 febbraio la barca raggiunse nel porto Rek uno dei legni formanti parte della celebre spedizione stipendiata dalle signore olan¬ desi Tinné. Un mese dopo, o poco più (22 marzo). Piaggia s’accomiatò da quelle signore e dai loro compagni, i notissimi naturalisti tedeschi Heuling e Studner, rifiu¬ tando costantemente i ripetuti inviti che gli si face¬ vano onde si associasse alla spedizione, giacché pre¬ vedeva gl’imbarazzi che la pessima condotta della nume¬ rosa scorta avrebbe procacciato a quelle egregie persone. Dal porto Rek alla Zeriba e allo stabilimento di Gattas sono 120 e più miglia in direzione S. S. 0., che Piaggia percorse in quattro giorni e tre notti di cammino quasi cpntinuo. Nell’agosto del 1863, ossia cinque mesi dopo l’arrivo alla Zeriba, una lettera del barone Heuglin in¬ viata da Aquanti, villaggio al nord dei Giur, ripetevagli l’invito. Piaggia rispondeva chiedendo schiarimenti; ma pare che la sua lettera andasse smarrita. Passati altri due mesi presso lo stabilimento, il 2 no¬ vembre, con 93 uomini di scorta, e 200 negri portatori di conterie e munizioni appartenenti al Gattas, il nostro viaggiatore si pose in via alla volta di lombo. Dopo tre giorni di cammino verso S, 0. giunse ad un villaggio dei Dor, detto Chilibi, a circa 50 miglia dalla Zeriba. Il paese percorso aveva la stessa fisionomia di quello dei Giur; ma il terreno, assai più elevato, è attraver¬ sato da graziose ondulazioni. Da Chilibi egli passò a Co- lungo, distante una giornata, e poi al monte Citeta, estrema propaggine settentrionale delle colline Mandu, chiuse fra i fiumi Tangi all’E., e Giur all’O., nè mai più alte di 300 metri. Dopo alcuni scontri coi selvaggi Mandu, che costarono alla comitiva parecchi morti e feriti, egli riuscì in una vasta foresta vergine che forma l’ingresso del territorio dei Niam-Niam, ed il 4 settembre raggiunse Digitized by Google i\3 Tombo, che da calcoli approssimativi sulle distanze per¬ corse, sembra giacere sotto L. N. e Long. E. 26®30' da Greenwich. Alcuni cenni sulla flora e sulla fauna del tratto percorso ci venivano forniti dairAntinori, che giovossi delle verbali comunicazioni del Piaggia, di¬ giuno di cognizioni in fatto di scienze naturali. Il capo del luogo, che porta il nome stesso della sua residenza, Tombo, accolse ospitalmente la comitiva, e con gran meraviglia il Piaggia, il primo bianco che avesse visto in sua vita. ^Scorsi alcuni giorni, durante i quali il capo e le sue donne fecero al nostro viaggiatore le più strane do¬ mande, si riprese il cammino. Da Tombo procedendo in direzione 0., si attraversano dpe fiumi, TAu ed il Diò (o Giur, il Bibi dei Poncet), e si arriva ad Invera; di là pel S. 0. ad Imbomba, e poi ad Ingioma, Imbio, e Ma¬ rindo. Questi villaggi distano l'un dalPaltro da uno a due giorni di cammino. Da Marindo procedendo verso PO,, Piaggia giunse a Chifa, punto estremo del suo viaggio e certamente non molto al nord del 1® parallelo. Giace sur un'isoletta formata da un fiumicello, che si suppone affluente del Bimberi, o Beri, o Buri, o Baburri, grosso fiume che proviene, a quanto si crede, da un lago equa¬ toriale, circa l’esistenza del quale il Piaggia ebbe con¬ cordi assicurazioni dai capi indigeni di Marindo, Chifa, e Perchie. Da Chifa il Piaggia retrocesse a Marindo nei primi del marzo 1864, vi si trattenne un mese, e quindi continuò il viaggio di ritorno per Imbio verso Tombo. Giunto ad Ingioma, deviò dalla via seguita nelPandata, e volgendo a N. 0. anziché a N. E., venne a Zambura. Qui gli fu detto dai nativi che poco lungi verso PO. scorre un fiume, un affluente del Buri, o il Buri medesimo. Da Zambura pel N. E., dopo nove ore di viaggio, arrivò ad Imbio di Tombo (che non vuol essere confuso col suc¬ citato). Dopo altre quattordici ore arrivò a Zamuel, dal qual punto pel S. E. tornò a Tombo (3 maggio), impiegandovi alcuni giorni a cagione dei fiumi Au e Digitized by LjOOQle 414 Dio, che, rigonfi dalle pioggie, non si passavano senza difficoltà. Guadagnatosi la simpatia del capo, che voleva asso¬ lutamente farsene un genero, il Piaggia dal maggio 1864 al febbraio 1868 potè fare da solo alcune escursioni nei dintorni, ed ebbe l’opportunità, a niun altro concessa, di esaminare a suo agio le condizioni d’un paese affatto equatoriale, dotato di rigogliosissima vegetazione, ed abitato da una stirpe che notevolmente si stacca da tutte quelle .osservate finora nel bacino del Nilo. Passata l’epoca delle pioggie, o karif, ai primi di ottobre si di¬ resse a Manghiringo, villaggio all’E. da lombo, poi per il S. ad Imbasa ed Imberi, restituendosi quindi al suo centro, il villaggio di lombo. Nel gennaio 1868 tentò un’altra escursione, questa volta direttamente verso il S. per giungere possibilmente al gran lago; ma arrivato a Perchie, governata da uno dei figli di lombo, dovette retrocedere, perchè questi, unitosi ai capi vicini, si era sollevato contro il padre. Ritornando a lombo, battè via alquanto più occcidentale, toccando il villaggio di Nungo. Rimasto pochi mesi in Tjombo per aspettarvi la scorta. Piaggia infine ai 2 di maggio del 1868, ab¬ bandonò questo villaggio ed il paese dei Niam-Niam dopo quattordici mesi di soggiorno, e percorrendo nel ritorno fino a Colongo una via alquanto più occiden¬ tale che nell’andata, toccò Ego allq falde occidentali dei Mandu, e pel Gazai ed il fiume Bianco restituissi a Chartum. Fin qui la parte puramente storica del viaggio. Le ricche, minute, interessantissime notizie recateci dal Piaggia sui costumi dei Niam-Niam, quali ci vennero esposte dal signor Àntinori, gettano viva luce su quel popolo che occupa una zona di ben cinque gradi al nord della linea, ed abbattono non poche chimeriche suppo¬ sizioni ed asserzioni del Denham, dell’Escayrac, e del Petherik. Quanto alla parte puramente geografica, quan¬ tunque già discussa ed esaminata dal signor Àntinori, darà anche a me il tema di alcune parole che riassu- Digitized by LjOOQle 415 meranno la costituzione idrografica del bacino occiden¬ tale del fiume Bianco, secondo le importanti osservazioni fatte dai nostri viaggiatori Antinori e Piaggia(i). Il Geii, che fu veduto presso Moru dal missionario Morlang nel 1860, e nello stesso punto Tanno successivo dal dottor Peney, non sbocca nelle paludi del Gazai, e tanto meno è ;da identificare col superiore corso del Giur come congetturò Heugling, ma esce dall’Alberto Nianza (sco¬ perto da Baker nel 1864) e mette foce nel fiume Bianco, formando con esso le paludi di Gaba Sciambil, presso il 7® grado. Fra la foce del Geii ed il lago No il fiume riceve due affluenti di poca entità, il Ciau ed il Boi. Leggere alture separano questi corsi di acqua dal bacino c sotto bacino del Gazai, vasto ingombro di paludi e quindi assai difficile ad esplorarsi. Risalendo dal lago No, il primo tratto del Gazai, come è noto anche per la spedizione delle signore Tinné e gli studi del Lejean, offre una successione di laghi e paludi di varia profon¬ dità, collegati da infiniti canali, difficili talvolta a na¬ vigarsi per le angustie del letto e lo straordinario in¬ gombro delle piante acquatiche. La linea di massima depressione in codesto labirinto è il canale detto dei Nuer, il Nam Ait di Brun Rollet. Affluenti meridionali del Gazai sono: 1® Il Nam Giau che ha breve corso, e che, riunitosi verso il 9® grado al Tangi, con esso si perde nelle paludi Ambadgi. 2* Il Tangi, torrente che scende, a quanto sembra, dai monti posti alTovest del lago Alberto, e che fu visto dal Piaggia presso il vil¬ laggio d’Imberi nelTalto suo corso, e fu attraversato due volte dalTAntinori presso Melan (due giornate S. E. da Nguri) nel suo corso inferiore. Anche Giulio Poncet nella sua gita da Mena (che sorge sulle rive del fiume Bianco) a Mirakok (18o7) attraversò i tre fiumi Rol, Gian, e Tangi, Tultimo dei quali in un punto al nord di Melan, (1) La Original-Karie des westlichen Theiles des oberen Nil-- Gebietes del signor Heuglin Ergdnzungsheft àcWt Mittheilungen) pare abbisogni di non poche modificazioni. Digitized by LjOOQle ite non lungi dal luogo ove sbocca nella palude Àmbadgi. 3<> Il Ginr che scorre parallelo a ponente del Tangi. Essò è costituito da due fiumi gemelli, l’Àu ed il Did, che nascono a breve distanza dall’equatore; scorre nella dire¬ zione generale di nord-est, e, ricevuto a sinistra il Dembo, volge per circa 60 miglia all’est, finché sbocca alla riva settentrionale del lago Àmbadgi. Il Giur, assai più grosso del Tangi, attraversa il territorio dei Niam-Niam, Dor, Giur, e Gianghè, e dicesi dai mercanti arabi Taiat. La li¬ nea che il Piaggia percorse dalla zeriba di Gattas a Tombo tiene il mezzo fra Tangi e Giur; e lo stesso villaggio di Tombo è quasi equidistante dalla sinistra del primo e dalla destra riva del secondo. NelFescursione a Ghifa il Piaggia passò due volte il Diò (corso superiore del Giur), cioè nell’andata presso Invora, e nel ritorno presso Za- muel. È fiume assai grosso e pescoso, che non può pas¬ sarsi se non con barche, e che al sud, presso Pecchie, suddividendosi in molti canali formanti isole incantevoli) giunge alla larghezza di forse un chilometro. La sua natura affatto torrentizia fa supporre che, anziché uscire da nno dei laghi equatoriali, nasca come il Tangi dai monti che quelli hanno a settentrione. Un canale di sfogo, che esce dal Giur ed in esso rientra, forma l’i- sola Momul, nella quale si trova il villaggio di Nguri. 4» Il Dembo. Questo affluente del Giur è probabilmente il corso d’acqua che limita ad occidente il bacino del Nilo. Non fu veduto dai nostri viaggiatori, ma bensì dall’Euglin presso Culanda, punto estremo della spe¬ dizione Tinné, della quale egli faceva parte(1863). Nasce dalle alture che separano il bacino del Nilo da quello del lago Ciad, e dalle, quali scorrono al Gazai in dire¬ zione S. E. i fiumi Homr ed Arab. Fra i bacini del Gazai e del Ciad non vi ha comunicazione di sorta. Il terri¬ torio del Giur e di altri minori affluenti del Gazai é costituito di alluvione; ed ij suo suolo assorbe rapida, mente le acque, le quali, filtrando fra’meati di un sot¬ tostrato cretaceo, alimentano le paludi ed i torrenti nella parte inferiore del bacino. Digitized by LjOOqIc 4i7 Oltre queste cose di fatto osservate sui luoghi, le no¬ tizie raccolte dal Piaggia hannoci posto in grado di scoprire per induzione e congetturare con alto grado di verosimiglianza l’esistenza d’importantissimi fatti geo¬ grafici. Per una strana fatalità il Piaggia, giunto nei punti più meridionali del suo itinerario, nei villaggi cioè di Marindo e Chifa, non era che a due o tre giorni di lon¬ tananza da un lago ampissimo e da un fiume di primo ordine, quando fu costretto a ritornare. Gl’ indigeni gli descrissero l’estensione del lago e le sue tempeste, gli offrirono pesci provenienti dalle sue acque, gli addita¬ rono una lontana catena di monti che lo circonda a li* beccio, e gli dipinsero la profondità e la rapidità del fiume, che esce dal lago dalla parte ove tramonta il sole. Queste indicazioni mirabilmente accordandosi colle con¬ getture e le carte di Brun Rollet, già console sardo in Chartum, cogli studi geognostici di Figari bey, e collo notizie raccolte in Culanda da Heuling, accreditano sempre più l’opinione ornai diffusa di un quarto gran lago equatoriale, degno emulo del Tanganica, del Vit¬ toria, e dell'Alberto, circa due gradi a ponente di que¬ st’ultimo. 1 risultati scientifici che ho brevemente esposti, quantunque in parte, ed anzi nella parte più essenziale, ipotetici, sono corroborati nondimeno da tali e tanti indizi, che l’importanza delle esplorazioni del Piaggia, e la somma probabilità delle induzioni trattene idall’An- tinori, si rendono a tutti manifeste all’evidenza. Gl’il¬ lustri cartografi tedeschi Petermann ed Hassenstein, che con tanta dottrina e sollecitudine si valgono d’ogni nuovo spruzzo dì luce, hanno largamente usato delle scoperte de’nostri per modificare le carte del bacino del fiume Bianco; ed il semplice confronto delle loro ultime carte colle anteriori (con quella, per es., che ha per titolo Esquisse du fkuve Blanc, pubblicata da Maltebrun nel 1861), basta a convincere ognuno del grado d’importanza che vuoisi attribuire alle esplorazioni dei nostri due con¬ nazionali. \ 27 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani, Digitized by LjOOqIc 448 ^ Viaggi nell’Africa eccidentaie : OnAoai neU’Angoto; Scala nella Guinea ; Borghero al Niger ed alla Costa d^U ScluaTi. Dalle regioni orientali del continente africano pas¬ siamo alle occidentali, sorvolando senza pena o pericolo un immenso spazio in parte vergine ancora d’orma eu¬ ropea, in parte noto appena per pochi itinerari! di fe¬ lici esploratori. Malgrado tanti viaggi, tante vittime, tanti sforzi fatti dai privati o dai governi, la scienza poco conosce finora con certezza deiroccidente africano; il quale consiste: T nella costa che da Gibilterra s^allunga fino al Capo di Buona Speranza per ben 70 gradi di latitu¬ dine, metà de’quali al nord, metà al sud dell’equatore; 2® in alcune regioni che più o meno s’addentrano verso il centro. QueU’immane costa talvolta bassa, arida, sab¬ biosa, e priva di seni per centinaia di miglia, e talvolta erta, dirupata, inaccessibile, e fiancheggiata talora da impenetràbili boscaglie, e bene spesso da paludi che generano pestiferi miasmi, sottrasse l’Africa al contatto europeo più che la diffìdehzà delle sue tribù. Soltanto colà ove natura mostrossi meno severa, o dove circo¬ stanze,eccezionali vennero in soccorso dei viaggiatori, riuscì a questi d’addentrarsi nel continente e di arric¬ chire almeno parzialmente il patrimonio della geografia africana. AH’estremo settentrione il Marocco, impero mu¬ sulmano che non potè sottrarsi affatto al soffio 'anima¬ tore della vicina Europa, ci venne descritto da parecchi, incominciando dal danese Host (1760) fino al vivente Gerardo Rohìf, che in questi ultimi anni aveva opportu¬ nità di percorrerlo per ogni verso. Un lido sabbioso, sterile, spopolato divide il Marocco dalle verdeggianti e popolose regioni innaffiate dal Senegai e dal Gambia. Quivi l’opera incominciata nello scorso secolo (1785) dai francesi Golbery e Brisson, continuata nel 1816 da Tu- ckey, nel 1817 da Mollien, veniva ora perfezionata dal¬ l’energico colonnello francese Faidherbe, il quale, per molti anni governatore delle colonie di Senegambia, pro- Digitized by LjOOqIc mosse per ogni verso viaggi dì esplorazione, assecondato da dotti ed intrepidi uffiziali. Lnngo le coste di Guinea, ricchi prodotti e facili lucri vi attirarono le nazioni com¬ mercianti d’Europa, che fondarono stabilimenti fortifi¬ cati su molti’punti di essa. Il Niger c Uampio suo ba¬ cino, densamente popolato dalle tribù Fellata, fu la meta di ripetute spedizioni, che eseguite dagli inglesi Laird, Alien, Baikie, attraverso incredibili difficolà, fu¬ rono feconde di utili risultati, e chiarirono nou poco l’altro problema delle origini, del corso, e del delta del Niger, che è la massima arteria commerciale dell’Africa di ponente. Dalla foce di questo fiume alle colonie porto¬ ghesi d’Angola la costa è poco meno che incognita, se si toglie quel poco che ci venne detto da Burton sui monti Camerun, dagli uflìciali di marina francesi sugli estuari dei fiumi Gabun ed Ogovè, e dall’inglese Reade sul tratto interposto fra questi due fiumi. AI governo portoghese si devono i minuti e precisi ragguagli che la scienza possiede intorno ai territori di Angola e Benguela, ed all’inglese quelli che concernono i paesi del Capo, dal fiume Grange al monte della Tavola, estremità meridio¬ nale del continente. Le barbare regioni di Namaqua e Damara fra il Benguela e TOrange furono chiarite dai viaggi dell’ungherese Ladislao Magyar (1849-57), dallo svedese Anderson, scopritore del lago Ngami (lSoO-60), e dall’arditissimo Livingstone, che per lunga serie di anni percorse in varie direzioni, e poi tutta attraversò l’Africa del mezzodì, dall’Angola alla foce del Zambese. Agli studii ed alle fatiche della colta Europa in que* sta parte del globo anche l'Italia portava non sprege¬ vole contributo. Abbiam fatto un rapido abbozzo di ciò che operarono gli stranieri; ora diremo con maggior diffusione quello che operossi dai nostri concittadinL Tito Omboni ci si presenta pel primo in ordine di tempo. A venti anni lasciò là patria, pieno di gioventù e di forza, ricco d'immaginazione, ma non provvisto come ci dice egli stesso, « di quell*ampio conoscimento delle scienze naturali che deve arere il viaggiatore moderno y». Digitized by LjOOQle 490 A questo difetto, che egli ben avvertiva, cercò di snp- plire osservando attententamente quanto gli si offriva, e registrando tutto quanto osservava col veritiero si¬ gillo della prima impressione. La quale tanto sembra, vagli essenziale, che ripatriato volle pubblicare le sue mémorie quali le aveva portate seco, mentre avrebbe potuto facilmente imitare l’esempio di certi viaggiatori stranieri, che salirono in fama, pubblicando lavori eru¬ diti e diffusi, ma, più che da loro, scritti da altri sulla base delle loro annotazioni. Imbarcatosi il 25 settem¬ bre 1834 a Lisbona sulla Principe Beale, fece parte del seguito di Don Domingo de Saldanha (fratello ca¬ detto del celebre marchese), che la regina Maria da Gloria spediva governatore alle sue colonie africane d’Angola e Benguela, coll’incarico d’inaugurare anche colà una politica di tolleranza e di progresso. Il viag¬ gio fu lungo, noioso, interrotto più volte da spiacevoli accidenti e ritardato da tempeste ; ma ebbe alla fine buon esito. Ebbe opportunità di visitare con agio la deliziosa Madera, poi Sai, San Jago, Fogo, Brava, éd altre isole del Capo Verde, scoperte già nel xv secolo dal nostro Cadàmosto. Sbarcato a Benguela, passò da questa al porto di Loanda, toccando gli intermedii di Novo Redohdo e di. Benguela velha. Da Loanda recossi a vi¬ sitare i distretti interni di Barra do Dande, al nord della città, di Muxima, Massango, Cambambe, e Pungo Andongo, tutti sulle rive del Cuenza. Approfittando delle agevolezze che gli procacciava l’amicizia e la pro¬ tezione dell’eccellente governatore, e spinto sempre dal nobile desio di istruirsi, di vedere cose nuove, e di accrescere il tesoro delle sue osservazioni, penetrò più tardi nella provincia d’Ambaca, ove il clima si fa mi tissimo in confronto all’afa soffocante che domina sul basso littorale ; e poi da Àmbaca passò al presidio di San Jose de Encoche sul fiume Ongo, a Golungo, ed alla Barra do Bongo. Gli stenti, le fatiche, le privazioni d’ogni specie, gli alimenti inusitati, ma anzitutto il per¬ fido clima di codeste regioni^oste pochi gradi al sud Digitized by LjOOQle *11 dell’eqaatore, ebbero ben presto rorinata la salate, già tanto florida, del giovine Omboni. Per qualche tempo sperò vincere il male; ma inflqe accomodossi al consiglio de’ medici, s’imbarcò sur nn brik, cercò nuovi climi in remote contrade, e, venato a Mozambico sull’opposto lido africano, passò da questo possedimento portoghese alla famosa Goa neU'lndia, e indi a Macao in Cina. Z)t questo nuovo viaggio, egli dice, e di quello di America parlerò in altro mio scritto. A queste poche parole si riduce tutto quanto ce ne viene detto nell’opera citata, alla quale, per quanto ci è noto, niun’altra successe. Nel luglio 1836 Omboni ritornava in piena salate dall’Asia a Loanda, ma dopo breve soggiorno lasciava quel paese per l’Enropa. La nave Félicie, sulla quale aveva preso imbarco, veleggiò lentamente lungo il lido, e cosi porse occasione al nostro viaggiatore di vedere le foci del Congo o Zaira, che forma il limite boreale de’ possessi portoghesi, il delta dell’O- govè, e l’estuario del Gabun intersecato dall’equatore. Da quest’ultimo punto, recentemente colonizzato dai Fran* cesi, Omboni passò a visitare le quattro isole poste nel golfo di Guinea a non grande distanza dalla costa : An> nobon, Fernando Po, Principe, e San Tommaso; le prime due possedute dalla Spagna, le ultime due dal Porto* gallo. Passò quindi alle coste di Dahomei, il paese della più efferata barbarie» poi ad Akhra sulle coste d’Ascianti, e indi, preso l’alto mare, venne direttamente per Gibil* terra in patria. il libro deirOmboni, scritto senza pretesa scientifica ma con limpidezza e fluidità, offre una lettura assai amena ed istruttiva. I frequenti dati statistici ch’egli v’introdusse sulle colonie portoghesi, sulla popolazione, sui bilanci, e sulle commerciali risorse delle isole visitate, hanno perduto gran parte del loro pregio, essendo scorso ormai un quarto di secolo dall’anno della pubblicazione; ma non poco interesse offrono ancora quelle parti dell’o* pera, che danno notizie positive sulla situazione astro* nomica delle isole e degli stabiliaenti, sia sulle coste, sia nell’interno dell’Angola, o che trattano di altri ar- Digitized by LjOOqIc goiueoti che non sono di pnraetàtistici. Lo spirito per¬ spicace dello scrittore si palesa laddore discorre dell’o- rrigìne della tratta dei: Negri, dei mezzi che si adopera¬ rono per abolirla, e delle circostanze che valsero a man¬ tenerla malgrado le enèrgiche misure delle potenze europee. Con generosa indignazione egli combatte Tas- ! serzione.che il Negro sia d’una .razza inferiore, inca¬ pace di perfezionamento- e di civiltà; e l’avere vissuto (]ualche tempo fra quelle genti, rozze si, ma ingenue, . dà alle sue parole un’autorità non usurpata. Egli di- ' mostra che gli Europei bene spesso hanno agito in tal modo da corrompere ed irritare l’indole del Negro, ver- . gognosamente abusando della loro superiorità morale e delle formidabili loro armi. Raccoglie anche le tradi¬ zioni che possono servire a rischiarare la storia dei po- .-poli africani, e, sebbene poco ci dica in proposito, è non- . dimeno a lodarsi pel buono ed ardito concetto. Dice che l’Africa si conosce troppo poce perchè si possa fare una . plausibile classazione delle sue razze; ed anche in ciò noi 'lo ammiriamo assai più di quegli imperturbabili etno- . grafi, che per smania di sistema non si ristanno dal clas¬ sare popoli e lingue, elevando alla dignità di fatti accer- . tati tutte le loro Congetture. Utilissime sono le notizie igieniche sulle malattie dominanti ne’paesi equatoriali e tropicali, sugli elementi morbiferi, gli alimenti dannosi, .le precauzioni più necessarie ad osservarsi dall'Europeo, ed i medicamenti usati dagl’incligeni nelle varie malattie. Finalmente ci sembrano preziosi, o-almeno non comuni, i frequenti cenni storici sulle condizioni dei paesi'oc¬ cidentali africani prima della conquista portoghese, sulla genesi ed il progresso della conquista, e sui vescovi e 'governatori di S. Tommaso e dell’Isolè di Capo Verde i e d’Angola, accennando i fatti principali, e le leggi più ; importanti da essi pubblicate dai tempi d’Albuquerqne .'lino ai di nostri. Questi dati trovansi in gran parte rac- .colti nell’appendice che serve quasi di documento c «orredo ai ventisei capitoli ne’ quali l’opera si divide. . La costa di Guinea, visitata rapidamente dall’Omboni, Digitized by LjOOqIc 4S8 fa vista coir agio e descritta diffusamente dal genovese Giambattista Scala in tempi più recenti. Il viaggio dello Scala ci sembra sotto parecchi aspetti degnissimo di ricordo, quantunque esso,più che alla scienza, abbia mi¬ rato all’utilità ed airincremento de’commerci fra TEu- ropa e quella ricca e popolatissima parte del continente africano. Trovandosi a Bahia nel Brasile, fu commosso alla vista delle indicibili miserie che travagliano gli infelici Africani trasportati in America da inumani mer¬ canti avidi di lucro. Concepì allora il generoso pensiero di stabilire il suo commercio sui lidi d’Africa, e di com¬ battervi per quanto gli era possibile la tratta, sosti¬ tuendo air illecito commercio della ca,rne umana il lecito traffico de* troppo ignorati prodotti africani. Par¬ tito nel novembre 1851 da Bahia sul brigantino sardo Felicità (capitano Raggio), carico di rum, tabacco, e com¬ mestibili, attraversò l’Oceano e sbarcò il 14 gennaio 1852 ad Akara, punto che dista 60 miglia all'ovest da Capo San Paolo. Da Akara passò a Quitta, e da Quitta a La¬ gos, piccola città negra, posta in un’isola alla foce del fiume omonimo, e centro attivissimo della tratta. Gli .Inglesi poco prima del suo arrivo avevano espulso il re dell’isola, e posto sul trono in sua vece un altro re per^nome Acbitoe, beneviso ai loro missionarii, ed av¬ verso alla .tratta* Sotto la fiacca protezione di Achitoe lo Scala osò sbarcare nella città ancor fumante per gli iucendii accesi dalle bombe inglesi, e vi fondò uno sta¬ bilimento commerciale per lo scambio delPoliodi palma contro le derrate che aveva recato seco dal Brasile. I ,poveri Negri non sapevano capire quale uso avrebbe (atto il bianco di tanto olio radunato ne’suoi magaz¬ zini; ma il velo si squarciò quando lo Scala mostrò loro cbe quell'olio era da lui caricato sul suo brigantino, poi trasportato in Europa, e quivi cangiato con fusti di com¬ mestibili, di rum, e di tabacco, i quali, inviati a lui gli avrebbero permesso di continuare i suoi negozii. Aggiunse che tale commercio lecito ed onesto sarebbe tornato proficuo al paese assai più che quello degli Digitized by LjOOQle m schiavi, che non verrebbe in alcun modo contrariato dal bastimenti inglesi, e che in conseguenza Lagos nOn avrebbe più a temere bombardamento nè altri atti di ostilità per parte degli incrociatori europei.. Queste semplici parole operarono una vera rivoluzione nélla vita sociale di que’popoli, svelando loro i tesori fino al* lora ignoti o negletti del loro suolo, e avviando le menti a nuove idee, ed a nuove abitùdini. La città si ripopolò in breve tempo, ed i Negri si diedero a tntt’uomo ad as¬ secondare le richieste dello Scala, il quale mentre ve¬ deva prosperare a meraviglia i suoi affari (giacché an¬ che i paesi circonvicini si erano dedicati con solerzia alla fabbricazione dell’olio), aveva anche la consolazione di vedersi idolatrato da quelle povere genti e considerato come un benefico feticcio caduto dal cielo per alleviare le loro sventure. Per qualche tempo lo Scala ebbe nélle sue mani tutto il commercio di Lagos; ma poco dopo dei vascelli inglesi, amburghesi, americani, sardi, francési, ed olandesi approdarono a Lagos, chiamativi dai bi¬ sogni del crescente commercio e dall’importanza smi¬ suratamente aumentata di quel porto. Brano passati cinque anni dal tempo del suo arrivo, quando lo Scala, già addomesticato col clima e co’costumi del luogo, volle tentare di aprire nuove fonti al suo traifieo, e^splo- rando i paesi a qnalclte distanza dalla costa, ed erigen¬ dovi nuovi centri o depositi commerciali. Il nuovo con¬ sole inglese in Lagos, sig. Campbell, ed il re Dosemon successo ad Àchitoe, posero in opera ogni mezzo per dissuaderlo dal proposito, mostrandogliene tutti' i pe¬ ricoli; ma il nostro concittadino rimase irremovibile, e risolse di recarsi ad Abbeokuta, capitale del reame di Orobu, città popolosa, situata 140 miglia al nord di Lagos, grande emporio di schiavi, e non ancora visi¬ tata da alcun europeo. Assai più che l’idea del lucro gli arrideva la nobilissima idea di accrescere la sua in¬ fluenza fra que’popoli e di volgerla a loro vantaggio, promovendo sempre più l’onesto traffico, che è l’unico e nel tempo stesso più potente mezzo a svezzare i Negri, Digitized by LjOOqIc iS5 «d i negriepi portoghesi che frequentano quo’ lidi, dal traffico de’loro simili. Una fortunata circostanza veniva adr accrescere di molto il prestigio già grande dello Scala e con esso l’autorità del suo esempio e delle sue parole. Qualche tempo dopo il suo arrivo in Lagos aveva spedito al Conte di Cavour, ministro degli affari esteri, un minutissimo rapporto, nel quale gli esponeva i suoi piani, le speranze, i risultati raggiunti, e grinestimabili van¬ taggi che avrebbero potuto derivare alle popolazioni nere, al commercio in generale, ed al ligure commercio in special modo, dalla fondazione di stabilimenti com¬ merciali in Guinea, qualora il governo li avesse effica¬ cemente promossi e protetti. 11 rapporto dimostrava alla evidenza un’idea, a dir vero, non affatto nuova, ma non presa finora in seria considerazione dai governi vogliosi di sopprimere la tratta, l’idea, cioè, che occorre anzi¬ tutto favorire l’incremento dello scambio, avvezzare i Negri a raccogliere i loro prodotti, mostrar loro che possono trarne un lucro assai maggiore che non dalla vendita degli schiavi, e giungere cosi gradatamente alla soppressione della tratta, non solo senza gravi sagrifizii da parte nostra, ma con grandissima utilità reciproca. La miracolosa conversione operata dallo Scala nel di¬ stretto ove era sbarcato, la prosperità dei varii suoi stabilimenti sulla costa, i numerosi carichi di derrate africane spediti in pochi anni in Europa, le terre fatte coltivare ed il nuovo indirizzo dato da lui alla vita selvaggia dei Lagos, era il più eloquente documento che potesse accompagnare il rapporto; e se tanto era riuscito all’impulso di un solo individuo, che non era ad attendersi dal concorso di molti, e dall’opra di un go¬ verno? Il ministro apprezzò il ragguaglio e fu sollecito ad inviare risposta d’approvazione e di encomio, accom¬ pagnata dalla nomina dello Scala a console generale sardo in Lagos e nelle sue adiacenze. Questa carica di rappresentante d’un re straniero agevolò non poco i suoi progetti d’incivilimento^ accrebbe a più doppi la sua importanza, e lo autorizzò in certa guisa ad inter- Digitized by LjOOQle <426 Ténvre «fficialinerite nell« questioni ft'a le vaTie tribù «d i loro capi. ' li 10 settembre 1857 lo Scala in -tin canotto carico di merci, e guidato da sei robusti rematori, risali la fib- miana nella direzione di Porto Noto/ entrò pòscia in un piccolo rio comunicante con quello di ÀM>eoknta> e giunse al tillaggio Abbi, punto di confine fra i territorìi di Lagos e di Abbeokuta. Queste acque ser¬ peggiano in una pianura vasta e monotona, coltivata a granone ed ignamis, ombreggiata da palme ed acacie, e sparsa ad intervalli di pascoli popolati da minuto be¬ stiame. Numerosissimi gli uccelli, le scimmie, i pappa¬ galli grigi; rarissime le belve feroci. Dopo Abui egli prese a risalire il rio di Abbeokuta, il quale nasce nel paese di Yarriba, solca quello di DaLoffiez (1), e si versa nel Lagos. Da per tutto le popolazioni si affollavano a ve¬ dere il bianco, il quale con mano liberale le regalava di specchietti e di conterie di Venezia. Cortesissime ac¬ coglienze ebbe anche in Goom, città governata da un capo dipendente dal re di Abbeokuta. Confortato da si felici auspicii lo Scala pensò che il diavolo non è cosi brutto come si dipinge, e continuò animoso il viaggio. A Goom la natura eangia d’aspetto, giacché il suolo sì fa montuoso, ma non cangiarono per buona ventura le ospitali accoglienze. Toccato il villaggio di Obi, il lido di Tapana, ed il piccolo luogo di Abamaia, la spedi¬ zione giunse alla reale residenza di Abbeokuta, quattro giorni dopo la partenza da Lagos. Due capi vennero a ricevere lo Scala e lo presentarono aire Alake,'il quale volle minute informazioni sui modi di governo presso i bianchì, e sulla differenza fra il traffico degli schiavi e quello dei prodotti europei, e congedò cortesèmente il viaggiatore colla promessa di concedergli lo spazio ne¬ cessario a costruire una fattorìa. Mentre duravano le trattative. Scala ebbe agio di visitare la città ed i din- ' (l) Così scrive sempre lo Seals. Ordibariamente trovasi scritto Da- honey o Dahomè. > Digitized by LjOOqIc 427 torni. Giace Abbeoknta sótto 7°^ 10* L. N. ed è costrutta sul pendio di parecchi colli. La popolano forse 120,000 abitanti, in parte musulniani, in parte idolatri, ^no essi di tre diverse stirpi, cioè originarli del settentrione, del levante, e del ponente. Vivono in quartieri separati, distinguonsi facilmente all’aspetto, e alle tendenze più o meno barbare, ed hanno proprìi capi. Il re è assistito da tre ministri, de’ quali uno intende alle cose guerre¬ sche, l’altro al commercio, il terzo alle finanze. Il trono è circondato da gran numero di nobili detti ObonL II regno d’Orobu, che tale è il nome dello stato retto da Alake, si stende verso levante fino al regno del Gebù, verso tramontana fino alle montagne di Yarriba, verso occidente fino ai confini del Dabomez ed a Porto Nuovo, e verso mezzodì fino al regno di Lagos. Costrutta in breve tempo la nuova fattoria, grazie al concorso del popolo ormai entusiasta dello Scala che generosamente lo compensò per l’opera sua, il nostro bravo negoziante pensò al ritorno. Sul finire di ottobre, dopo più di un mese di soggiorno in Abbeokuta, riparti per Lagos. Nel febbraio del 1838, malgrado i reali pe¬ ricoli da cui era minacciato per la segreta gelosia del re di Lagos e dei negrieri europei, lo Scala recossi una seconda volta ad Abbeoknta, lasciando la gerenza del Consolato al signor Vincenzo Panai. Accolto con insigni favori dai re Alake, cui offri preziosi doni d’aromi e di stoffe. Scala sali ben presto a non poca importanza nel regno d’Orobu, sicché potè soggiornarvi tre anni e rac¬ cogliervi ampii frutti, malgrado le persecuzioni mossegli dal fanatismo e dagli invidiosi. « Io era idolatrato da tutti (cosi scrive egli stesso), sia detto senza vanità, e chiamato benefattore del popolo. La mia influenza presso il capo tpibù e la Corte era illimitata. Nessuna misura di qualche importanza veniva adottata dal Governo senza che prima ne fossi consultato, a segno tale, che allor¬ quando il console inglese chiese licenza di stabilire i suoi connazionali in Abbeokuta, il re rispose di non po¬ tervi acconsentire senza consultare prima il mio parere Digitized by LjOOQle m , in proposito. Il ministrò del commercio venirò-quasi ogni giorno da me per interrogarmi ed avere schiari* menti, sul commercio europeo. Intanto io andava aumeu* tando su vasta scala i miei affari, non soltanto pel mio interesse personale, ma per rendere più sensibili ed evidenti i felici risultati che ne venivano alla popola* zione. Succedeva talvolta che io requisiva tutto ciO che la città possedeva in fatto di cotone, olio di palma, ed avorio, facendone regolari spedizioni alla mia casa di Lagos, da dove quelle mercr venivano spedite in Europa. I miei agenti percorrevano il distretto, e fondavano nuovi centri nei villaggi di Arro e di Abamaia, luoghi pei quali necessariamente transitavano le merci prove* nienti dall’ interno. Abbeokuta insomma diventava il centro delle esportazioni e delle importazioni di un vastissimo territorio, e le mie fattm'ie assumevano prò* porzioni colossali >. Tanta prosperità, cresciuta per la scoperta di un nuovo ed abbondante prodotto, il sevo vegettUe, non potè essere scossa dai nemici dello Scala> che più volte assalirono i suoi carichi, spinsero i Dahomez ad invadere l’Orobu, incendiarono i suoi magazzeni; Ma nemico più difficile a vìncersi fu la febbre. Adoperati invano tutti i rimedii suggeriti dall’arte salutare per combattere il male. Scala dovette abbandonare i piani tanto vagheggiati, e dopo otto anni di soggiorno nel* l’Africa equatoriale, cercò il mitissimo clima della patria Liguria. Il IS giugno iSSd da Abbeokuta partiva per Lagos, e lungo la via le moltitudini si affollavano sul suo passaggio, e, desolate per la sua partenza, lo salutavano commosse, gridando : * Buon viaggio, papà Scala I » (acoào òttàa Scalai). A Lagos prese tosto imbarco sul legno in* glese l’£rmtn«in,col quale, visitata la costa fino al vecchio Calabar, volse poscia ai lidi europei e giunse in Genova il primo giorno dell’ottobre. In seno ai congiunti ed agli amici, ripensando alle pas* sate vicende, lo Scala giudicò opportunamente che dal racconto delle medesime sarebbe derivata qualche utilità portare più ai nord, a T 20’ circa. Fra quelle paludi ed in quelle pianure pantanose non.è possibile tracciare strade stabili. Vi sono bensì dei sentieri ; ma siccome mutano .secondo le stagioni e seguono diverse direzioni tra gli stessi luoghi, le linee segnate fra due villaggi o città sulle carte inglesi e sulla carta stessa di Borghero non vogliono dire se non in modo indeterminato che esiste ivi una comunicazione. Fra tali vie, quelle percorse dallo stesso Borghero, od almeno da lui accertate presso le persone indigene e più illuminate e pratiche dei luoghi sono le seguenti : da Porto-Novo per Pocra ad Àbbeokuta (sette giorni); da Badagri ad Àbbeokuta; da Badagri ad Okiadan.e ad Afura (in direzione nord, parallela al fiume Ocpara, il cui corso non si conosce oltre Aguà); da Lagos ad Àbbeokuta per Olà (percorsa più volte anche dallo Scala); da Corodu ad Àbbeokuta; da Àbbeokuta per Ibadan, Igiaje, e Oyo, ai paesi del nord-est (attraverso una regione piana ed appena ondulata); da Palmas ad Epé (attraverso una grand’isola che aspetta ancora un nomeX ed infine da Epé per odé.ad Àbbeokuta (cinque giorni). Odé, capo del Gebu, giace sotto il T grado di lat.N. e ad 1° 3§’ di long. E. da Parigi, contrarianqente ad alcune carte che lo pongono uno e fin due gradi più a levante. 11 fiume Ogun, che lambe il lato occidentale di Àbbeokuta e si scarica nelle lagune di Lagos, ha corso tanto lungo che ninno degli indigeni sa dire qualcosa delle sue ori¬ gini; eppure e secco afiàtto da dicembre ad aprile. Porto- Novo giace in un’isola formata da un canale di poca pro¬ fondità. La laguna fra la foce del Volta e quella del- l’Oschun (parallelo all’Ogun, aH’Qcpara, e ad altri corsi d’acqua resi inaccessibili ai bianchi dalla gelosia dei Da- homey) forma cinque specchi od espansioni principali, cioè 1° quella di Quitta alimentata dal Volta; 2" quella di Bacco (secondo il battesimo datole dal nostro mis¬ sionario), alimentata da un altro ramo dello stesso fiume; 3° quella di Nokuè a Porto-Novo, alimentata da un corso d’acqua sconosciuto, ma considerabile, proveniente dal Digitized by LjOOqIc 437 nord; 4« qnelia di Lagos, formata dall’Ogun; final¬ mente quella di Giabn, natrita dairOschun. La distanza tra i dne punti estremi di questa carta; da Quitta a Léké, è in retta linea di 350 chilometri, circa 3 gradi di longitudine. Il Borghero ne delinei tutti gli accidenti ■secondo le osservazioni fatte mentre era sui luoghi, ed adottò le indicazioni delle carte inglesi soltanto per quei tratti, che non potò perlustrare personalmente. é) Viaggi ia diverse parti dell’Asia., — Brocchi nella Siria e nell'E¬ gitto, Osculati e De Vecchi io Persia, Dandolo nella Palestina e nel Sudan, De Bianehi nel Curdistan, Botta alle rovine di Ninive, ia missione italiana in Persia nel tftr>2. Gavazzi a Bucara, Guarmani nell’Arabia, gli Italiani in Palestiha. — Conclusione. L’Asia, vastissima culla dell’uman genere, centro delle più antiche tradizioni, prima sede della più remota ci¬ viltà e delle grandi monarchie, patria delle religioni, immensamente varia nelle foggie de’suoi popoli, nelle «ne lingue, ne’ricchi prodotti, ne’climi, non fu ben nota agli antichi geografi di Grecia e del Lazio fuorché per lo spazio che dal Mediterraneo si stende fino all’Indo, al Caspio, ed ai monti Bolor. Circa tre secoli prima che snU'estremo suo lembo occidentale nascesse Cristo e la sua dottrina, il grande Alessandro la percorreva colle sue vittoriose falangi dall’Egeo fino all’Indo, ed assoggettan¬ dola la svelava ai dotti del greco Occidente. La naviga¬ zione di Clearco, qavarco di Alessandro,nel golfo Persico, le gueh“e di Seleuco Nicatore fra il mediterraneo e l’Indo, i viaggi di Megastene, Dionisio, e Timostene, accrebbero le nostre cognizioni sull’ Asia occidentale, e la scuola alessandrina, di cui il più illustre rappresentante fu il geogràfo Eratostene, raccolse nei suoi papiri i risultati di si utili imprese. Circa quattro secoli dopo Eratostene viveva in Pelusio, Città egiziana, Claudio Tolomeo, il meglio informato fra i geografi antichi. Nei suoi libri, compendiando i progressi fatti dalla scienza per le spe¬ dizioni militari de'Romani e pnr l’opera di molti geo- Digitized by Google .grafi snoi predecessori, fra i quali Strabono, Pomponio Mela, Ippalo, ed Ariano, ci descrisse con esattezza, rela- tÌTamente ai tempi ed ai mezzi, assai grande, tatto l’oc¬ cidente asiatico fino al Gange, accennando col generico nome di Serica le immense estensioni al di là del Gange, cioè Cina, Mongolia, Siberia, Malacca, Siam, e la Sunda. Queste cognizioni, come in genere tutta la civiltà ro¬ mana, si obbliarono ne’lunghi secoli della decadenza deH’impero, delle barbariche invasioni, e del ferreo medio-evo. 1 progressi fatti dalla geografia asiatica ne’ secoli dell’età di mezzo, specialmente nell’ottavo, nono, e decimo, per le conquiste e le navigazioni degli Arabi e per i dotti lavori dei loro geografi ed esploratori, Masudi, Istakhrì, Ibn, Haukal, Edrisi, Heravi, Jakut, Dimischki, Ambulfeda, Ibn al Wardi, ed altri, rimasero sconosciuti all’Europa, fin quasi ai giorni nostri. Il primo che nel medio-evo svelasse l’Asia all’Europa, e non già lino all'Indo .ed ai deserti centrali, ma fino ai remotissimi lidi della Cina (Calai), fu il nostro Marco Polo, degno capo e maestro dei viaggiatóri che dal nostro paese si spinsero in varie direzioni fino nel cuore di quel grande continente, quali furono Oderico da Pordenone e Pegalotti nel decimoquarto secolo. Conti, Barbaro, Zeno, e Contarini nel decimoquinto, Barthema, Corsali, Ronei- notto, Federici, Balbi, Sassetti nel decimosesto, e Della Valle e Gemelli Cacreri nel decimosettìmo. Ma tutti questi viaggi eseguiti per la maggior parte nelle Indie, nella. Pergia, nell’Asia minore, ovvero nelle parti im¬ mediatamente bagnate dal mare, furono poco più che amplificazioni e commenti a Polo, e, per quanto fossero importanti ed utili, erano ben poca cosa relativamente alla sterminata ampiezza.del continente. Il medesimo si potrebbe dire delle esplorazioni troppo incerte o troppo parziali di Rnisbroek, di MandeviIle, di BenedettoGoez, di JlavarretP, di Bernier, ed altri stranieri. . Nel corso del passato secolo incominciò la non inter¬ rotta serie delle esplorazioni che, moltiplicatesi nel no¬ stro^ haniK) ornai alzato il denso velo che ricopriva le Digitized by LjOOqIc iay» più vaste regioni asiatiche e ce le hanno descritte in tutta rimmensa varietà delle loro condizioni fìsiche ed etnografìche. 1 Russi scoprivano lo stretto che separa l’Asia dall’America, gli Arcipelaghi delle Curili e delje Aleutine, la penisola del Kanaciatka e di Alaska, i corsi e le foci dei grandi fiumi siberiaci, la sterminata costa settentrionale ingombra da’ghiacci polari, e col celebre Pallas pe’primi attraversarono la Mongolia. Nel nostro secolo essi continuarono i viaggi e le spedizioni scien¬ tifiche con tanta perseveranza e potenza di mezzi che ornai si può dire senza tema di esagerazione che Jianno scoperta, descritta, conquistata, colonizzata ed incivilita tutta la metà più settentrionale dell’Asia. Ed infatti i Russi col generale Yermoloff ambasciatore ad Ispahan esplorarono la Persia (1817), con MuraviefiF l’istmo fra l’Aral ed il Caspio (1819), con Bergmann e Spasski il paese de’ Calmucchi, con Eversmann il tratto fra Arai e Bu- cara (4821), con Humboldt le catene aurifere degli Urali e degli Aitai (1829), con Middendorf la estrema Siberia boreale (1844^ con Golowkin e Timkowsky la Cina (1805 e 1820), con Schrenck il bellissimo bacino del- ì’Amur (1856), con Radde il bacino del gran lago Baikal ed il Caucaso, coll’ammiraglio'Butakow il corso del Sir Daria, con Khanikoff la Persia, e con altri altre fra le molte e vaste regioni comprese fra gli Urali ed il Pacifico, fra il confine cinese ed il mare iperboreo. Men¬ tre la ricca e potente Società geografica di Pietroburgo, validamente protetta dal governo, fonda società figliali nelle'città della Siberia, e pubblica in splendide forme i viaggi eseguiti sotto ì suoi auspicii da privati o da com¬ missioni scientifiche, il governo apre porti sul Pacifico, stringe relazioni con tutte le potenze asiatiche, man¬ tiene numerose ambascerie in Pekino, stabilisce scuole per l’insegnamento delle lìngue asiatiche, e fa eseguire da’suol stati maggiori mirabili carto,£he rappresentano in grande scala le enormi estensioni dalla santa Russia conquistate al progresso. Come se ciò non bastasse studia l’istmo fra i mari. Nero e Caspio, e, non potendolo in- Google 440 tersecare con un canale al nord del Caucaso, lo attra- tersa con una ferrovia da^Poti a Baku al sud di quella catena, getta flotte e piroscafi sui mari interni e sui fiumi, costruisce strade, scava e lavora minière, conduce un’arditissima linea telegrafica da Pietroborgo fino a Pe- kino ed allo stretto di Behring, e raccoglie tutto quanto può illustrare la storia, le lingue, i costumi delle mille nomadi tribù soggette al rigido ma equo suo scettro. Tutto lo sterminato litorale dell’Oceano indiano e del Pacifico, colle sue isole e coi suoi Arcipelaghi, venne scoperto dai Portoghesi fin dal decimosesto secolo ed è ornai notissimo per le frequenti navigazioni ai porti deb rindia, di Giava, della Cina, delle Filippine e del Giap¬ pone. Con passo più lento assai, ma sempre più rapido col crescere dei mezzi, progredì la scoperta delle regioni interne. Gli Inglesi, padroni dell'India popolosissima e ricca, fecero nel mezzodi opera somigliante a quella dei Russi nel settentrione. Costrussero una gran rete di strade ferrate e di telegrafi, stabilirono piroscafi suU'Indo e sul Gange, fondarono istituti e scuole per lo studio della antichissima civiltà indiana, tradussero le opere più cospicue dal sanscrito, fondarono la celebre Società asia¬ tica, esplorarono con perspicaci ambascerie e percorsero coll’armi vittoriose i limitrofi paesi d’Ava, Barma, Afga- nistan, Tibet; salirono le vette dell’Himalaya, ed, eseguite grandi operazioni geodetiche, costrussero grandi carte deH’Hindustan e formarono quella rete trigonometrica che ora vuole annodarsi alla russa ne’deserti del Tur- kistan cinese. Le parziali esplorazioni inaugurate da Saunders nel Tibet (1783) e da Symes nella Birmania (1795) crebbero nel nostro secolo in numero ed impor¬ tanza. Hodgson risaliva il Gange fino alle sorgenti (1817), Waugh viaggiava le valli dell’Himalaya, il colonnello Everest s’inerpicava sulla più alta cima del globo (il monte Everest o Goriscianta) Burnes esplorò il Turki- stan, Fraser il Kurdistan, Layard e Rawlinson delinca¬ rono e descrissero le rovine di Ninive, il capitano Bla- kiston risali il Yang-Tse, Fortune percorse le proviacie -nSigiti-zed by LjOOQle 441 litorali della Cina, Pài grave attraversò l'Arabia (1862), Hall diede una relazione sulla Corea e sulle isole Liu- Kiu (1816), e Tennent sull’isola di Ceylan. Anche le altre colte nazioni d’Europa ebbero buona parte nella scoperta e nello studio dell’Asia. 1 francesi Gerbillon e Bouvet percorsero fin dal 1700 là Manciuria, Olivier viaggiò l’Asia minore e la Persia(1793-98), Beau- champs visitò l’Armenia(1797), i Gerard salirono l’Hima- laya(1818), il missionario Hoc si rese celebre per lunghi viaggi e dimora nel Tibet, nella Tartaria, nella Cina, Hommaire de Bell esplorò la Persia (1846-48), Langlois descrisse laCilicia ed il Tauro (1853), Bey e Saulcy si re¬ sero noti per viaggi e pubblicazioni importanti sul- l’Hauran e la Palestina (1858), Mouhot si addentrò nel cuore deirindocina fin quasi al confine cinese (1858-61), e Pallegoix passò gran parte di sua vita nel paese di Siam e mori a Bankok nel 1862. La Germania non ha nè le colonie nè i grandi inte¬ ressi commerciali delle potenze finora accennate, ma non restò addietro nella nobile gara. Per tacere del progresso che fecero gli studil asiatici per opera delle sue società scientifiche fondate coll’espresso scopo di promuovere la conoscenza dell’Asia e delle sue lingue, diremo che molti dei suoi figli, fra quali Alessandro Humboldt, Rose, Eversmann, e cento altri, viaggiarono l'Asia nordica per conto della Russia, mentre Niebuhr (1767) e Burckhardt (1808-17), penetravano nell’Arabia, Siebold descriveva a fondo l'impero giapponese, ed i fratelir Schlagintweit per conto della Compagnia delle Indie facevano ricca messe scientifica nell’India e nol- l'Alta Asia, ove uno di essi cadeva vittima del fana¬ tismo. L’Ungheria, malgrado le sue condizioni politiche, fu patria di parecchi viaggiatori, che si spinsero nel cuor dell'Asia per rintracciarvi la sede pimitiva de’Magiari, e vide salire a bella fama l’Andrassy per viaggi neU’In- dia, Csoma de Kòros per un'esplorazione nell’altopiano occidentale asiatico e nel Tibet (1822), Vambèry per una arrischiatissima spedizione fra le feroci orde del Digitized by LjOOQle i4i Tarkistan (1863-64). Gli Olandesi finalmente, fóndalo apposito istituto per Io stadio delle vaste loro colonie nell’arcipelago della Sonda o Indie orientali, arricchi¬ rono la scienza di magnifiche opere ed atlanti concer¬ nenti le grandi isole di Giava, Sumatra, Gelebes, Bor- neo, la Papuasia, e le Moluccbe. AH’esplorazione deU’Àsia presero parte parecchi viag¬ giatori italiani, e sebbene pochi di essi siensi adden¬ trati in regioni affatto incognite e ninno abbia percorse, sulle orme del Polo, le parti più orientali e remote del grande continente, i loro viaggi ci sembrano sotto l’uno 0 l’altro aspeùo degnissimi di ricordo. Il 23 settembre 1823 Giambattista Brocchi di Bassano, già celebre per insigni opere geologiche pubblicate mentre era profes¬ sore al Liceo di Brescia (1801-09) ed ispettore generale delle miniere pel Regno italico, salpò da Trieste per Alessandria d’Egitto, col proposito di esplorarne le ric¬ chezze metallurgiche e le condizioni geognostiche del suolo. Il viceré tosto lo prese al suo servizio e muntilo di firmani perchè potesse con tutta sicurezza attendere ai suoi lavori. Percorse allora la valle del Nilo fino a Kenneh, il tratto da Kenneh a Gosseir sul Mar Rosso, il deserto di Suez, la Tebaide, la Siria, tornò al Gairo^ poi riparti per risalire il Nilo nella Nubia e fin nel Sennaar, ove il 23 settembre 1826, tre anni twecisi dal giorno della partenza da Trieste, soggiacque al torrido clima. Durante questi viaggi raccolse gran numero di osservazioni d’ogni fatta, ma specialmente scientifiche, che formano oggetto d’un’opera voluminosa, sebb'en poco ordinata, che venne pubblicata molti anni dopo la sua morte in Bassano. Lord Prudoc fece munire di un recinto di pietre la tomba del Brocchi nel cimitero di Ghartum affinchè andasse illesa se non dagli insulti dei Maomet¬ tani, da quelli delle' belve (1). (1) Fra le molte opere del Brocchi le pià accreditate sono: Con~ chiologia fossile SMhapewntna. Milano, 4814, 2 voi. Dello stato fi¬ sico del suolo di Roma. Roma, 4820. Gatalogo ragionato di una coHezione diroccie per stroire alta gto^fafiaIk^a. ìbiaoo, 4841. Digitized by Google U3 In Vedana, paesello del Veneto, non molto lungi da Bassamo, patria del Bracchi, nacque Gerolatno Segato, che, quasi contemporaneamente al Brocchi, percorse TE- gitto coiresercito die Mehemet Ali mandava alla con- qnista del Sennaar (1820). Ne* deserti della zona arsa dai raggi infocati del tropico egli rapi alla natura il segreto della mummificazione o petriflcazione de’corpi animali, pel quale il suo nome sali in fama non solo in Italia; ma presso eziandio le straniere nazioni. Fatto segno all’invidia ed alle persecuzioni, mori prematura¬ mente nel 1836, lasciandoci un lavoro appena incominr ciato col titolo di Saggi geografici e sMistid sulVEgitto. Nell’aprile del 1841 il milanese Felice De Vecchi ed il monzese Gaetano Osculati partirono da Milano per un viaggio nell'Asia. L’Osculati, egregio naturalista e zoo¬ logo, aveva già eseguito antecedentemente due lunghe peregrinazioni, l’una nella Grecia, Turchia, Siria, e Pa¬ lestina, ove si era trovato collo scrittore francese Pau*- joulat (1830-32), e l’altra nell’America meridionale, attra¬ verso le repubbliche dell’Urnguay, della Piata, del Chili e della Bolivia (1834-36) (1). Per la via di Vienna^ del Danubio, e del Mar Nero i due viaggiatori giunsero a Costantinopoli. Trattenutisi alcune settimane in quella magnifica capitale, e visitati i dintorni, il poetico Bos¬ foro, il mar di Marmara, Sesto ed Abido eternati dalla commovente leggenda greca di Museo, s’imbarcarono sullo Scudar, e pel Mar Nero si recarono a Sinope.Ivi tro¬ varono il milanese Mongero medico del Bey, ed un altro milanese per nome Carreri, occupato nel traffico delle mignatte, che abbondantissime occorrono nei pestiferi stagni di Samsun. Venuti da Sinope a Trebisonda, vi fu¬ rono ben« accolti da un altro compatriota, il genovese Gherzi console di Russia. Visitati i monumenti più co¬ spicui della città e con speciale interesse gli avanzi (l) Il terzo viaggio deirOsculali viene qui brevemente narrato, il quarto, eseguito nell’America meridionale lungo il Napo e sotto l’a- spello scientifico più importante dei precedenti (t846-i8), fu già de^ scritto Bei capitalo che tratta fdeirAnierìca. Digitized by LjOOQle 444 delle fortificazioni de’ Genovesi, s’accinsero al viaggio di terra. Provvisti camelli, cavalli, viveri, armi, « tende, e assoldato l’interprete persiano Mnssab, s’addentrarono nelle aspre gole degli Aggi-dagh, ramificazione del Tanro, sostando sempre in distanza dai villaggi, resi ancor più sqnallidi dall’infnriare della peste. Toccando Ghevislik, Gumiscb, Kaneb, e Baibnrt sol Ciorok, tutte ricche di monumenti e di avanzi ricordanti i giorni più gloriosi delle nostre repubbliche marittime che per questa via traevano i lucrosi prodotti deH’Oriente, giunsero illesi ad Erzerum, presso l’Eufrate. La città era desolata dal morbo, ma i nostri viaggiatori non omisero per questo di visitarne -i bazari e le moschee. Il commercio vi era ancora animato, ma minore assai che nel medio evo, quando Erzerum era il gran centro ove converge¬ vano tutte le vie commerciali fra l’Oriente e l’Occi¬ dente. Un altro compatriota, l’egregio medico e filan¬ tropo dottor Mazza, angelo consolatore in mezzo al- l’infuriare del flagello, fu largo di istnizioni e di utili consigli all’Osculati ed al De Vecchi, i quali, ripigliate il viaggio con tutte le cautele e sempre in armi per respingere gli attacchi del Curdi, vennero al fiume Arasse, ad Hassan Kaleb, ed a Bajazid presso le falde dell’Ara- rat. Sono paesi poco fecondi ; ma l’ignavia e le supersti¬ zioni degli abitanti li rendono oltremodo squallidi e mi¬ serabili. Da per tutto veggonsi le traccie della vittoriosa campagna fatta dai Russi contro i Turchi nel 4829. Il tSsettembre presso Rara Kilissa lasciarono te terre degli Osmani per entrare nella provincia persiana deìl’Ader- bigian. Una gran bandiera còllo stemma dei Milanesi, cioè lo scudo in cui daWangne esce il fanciullo ignudo, precedeva la carovana, che nei due europei cedeva il suo più valido presidio contro i ladroni Curdi. Toccando QiOi e le sponde settentrionali del gran lago Urmiah raggiunsero Tabriz, altro grande emporio commerciale, citato assai frequentemente nella storia del commercio italiano coll’Asia. Vi trovarono il dottore Bertoni, il quale era da molti anni al servizio di Malek Hassan Digitized by LjOOqIc 44 $ Mirza qual giudice supremo de’ Cristiani dimoranti nella provincia d’Urmiah. Valicati i monti di Tabriz, scesero nel bacino del Kisil Osen, tributario del mar Caspio, e per Zengan, Miana, Sultania, e Caswin, raggiunsero la capitale persiana Teheran. In quest’ultimo tratto ebbero sempre in vista a settentrione la gran catena deU’El- burs col gigantesco suo pirco, il Demawend. 1 palazzi, i templi, i mercati della capitale, i frequenti indizii di antica,’sebben decaduta, civiltà, attrassero l’attenzione dei nostri concittadini, e mentre De Vecchi delineava i monumenti e le rovine. Osculati percorreva i dintorni della città in traccia di coleotteri. La colonia europea fu lor prodiga di cortesie, specialmente il console in¬ glese Meknill, che li volle munire di una commendati- zia pel governatore di Bombay, ed il console russo Duhamel, che ottenne dallo sciahun firmano che fu per essi fecondo di meravigliosi effetti, difesa ne’pericoli, magico talismano ne’ bisogni. Il 25 ottobre si posero in via alla volta di Ispahan, attraverso i grandi deserti salini, che fanno la più saliente caratteristica del suolo persiano. Le città di Kom e Kascian ruppero per poco la monotonia del viaggio, ora fra sabbie, ora fra monti, ma sempre pericoloso per gli improvvisi assalti dei Lori. Più volte, specialmente presso Su, dovettero marciare fra le nevi, e dal freddo più intenso passare con rapida vi¬ cenda al caldo soffocante della pianura. Dopo aver visto Ispahan, e ammirato il bellissimo ponte sul Zendarud, i suoi ridentissimi dintorni, il palazzo dalle 40 colonne, e il bazar d’Abbas, la piccola carovana lasciò il 24 novembre l’antica capitale persiana per dirigersi verso il Golfo Per¬ sico. Minacciati non più dai Lori, ma dai Baktiary, ba¬ gnati bene spesso da lunghe pioggie, talvolta arsi dal sole ripercosso dalle croste saline, andarono per Komikah ed Eminaba a Jezde-Kast. Quivi valicarono la catena dei monti che forma il limite settentrionale del Farsistan;ed in tale occasione ebbero fin otto gradi sotto il zero. Presso Moyal contrario trovarono un caldo insopporta¬ bile. Le rovine di Persepoli, città antichissima e poco di- Digitized by LjOOQle 44 » stante da Moy, offrirono copiosa messe alla matita di De Vecchi, mentre il compagno sorprèndeva ne’ioro tranquilli recessi gl’insetti che s’annidano sotto le pietre scolpite ed incise dagli artefici antichi, testimoni di una gloria che troppo contrasta coll’odierno squallore. Dalle rovine persepòUtanè a Schiras, città decaduta, ma pur sempre frale prime di Persia, è breve il tragitto. Vi si giunge passando per Zergun e valicando il fiume Bender Emir. La tomba del poeta Hafiz, il persiano Anacreonte, è ciò che di più interessante s’olfre al viaggiatore europeo. Il Vi dicembre partiti da Schiras varcarono i monti di Ka-^ serun, e poi quelli di Dalaki, dalle cui vette videro a se dinanzi, qual limpido specchio, il Golfo Persico col porto di Abu-sceher. Il capo d’anno del 1842 fu ivi festeggiato lietamente nelle case di un ricco armeno, console d’In- ghiltera. Qualche giorno dopo giunse in porto affatto inattesa la nave francese Favorite, i cui ufficiali, conside¬ rando come connazionali, o poco meno, i due Italiani (tanto è l’effetto delle distanze) li colmarono di cortesie e li Invitarono al loro bordo. Visitarono cosi su como¬ dissimo legno l’isola Karrak, presidiata allora dagli In¬ glesi, ed esplorata in quel tempo dal naturalista tedesco Kotschi, noto nel mondo scientifico per importanti pubbli¬ cazioni; poi veleggiarono alle isole Bahrein, celebri per la gran copia delle perle che ogni anno raccolgonsi sulle loro spiaggie; e indi passarono all’isola Polior presso il capo Bustanah, a Bender-Abassi, porto persiano nel Kir- man, e ad Ormuz, oggidì affatto decaduta, ricchissimo scalo commerciale ai tempi di Polo ed a quelli delle con¬ quiste portoghesi nell’Asia. Il 6 febbraio la Favorite an¬ corò dinnanzi a Mascate, capoluogo di uno stato indipen¬ dente, che si stende lungo le coste dell’Oman (Arabia), ed è sede di un imano o principe, che fa sentire la sua autorità anche su Zanzibar e su buon tratto della costa orientale africana. Accommiatatisi nel porto di Mascate dagli ufficiali della Osculati e De Vecchi s’imbar¬ carono sopra un bagalò arabo, che scioglieva le vele per Bombay nell’India. Pessima fu la traversata dell’Oceano Digitized by LjOOqIc 447 Indiano^ giacché il o capitano era ignorantissimo di cose nautiche, non teneva alcun conto della latitudine e della longitudine, e, privo di buoni strumenti, s’aggirava a casaccio suH’ampio e furioso pelago. Eppure gli Arabi furono un giorno maestri agli Europei in fatto di cose nautiche e di calcoli astronomici! Dopo mille stenti approdarono a Bombay, e trovarono cortese ospitalità nella villa del capitano inglese Makenzie a Worley, poco lungi dalla città. Ivi, ammirando estatici la magnifi¬ cenza e la varietà della vegetazione indiana, passarono giorni deliziosi, ora cacciando, ora facendo brevi escur¬ sioni lungo la costa a Raiapore, Keir, Tangur, ed altri punti. Come è facile immaginare, non furono dimenti¬ cate Elefanta e Salsetta, celebri per antichi avanzi e per templi scavati nella viva roccia. Anche la vasta Bom¬ bay co’suoi quartieri indiani ed europei, i suoi fachiri, i Parsis, le bajadere, i palanchini, ed i ridenti giardini, offri ricco pascolo allo studio dei due viaggiatori, che poterono ampiamente ricrearsi dalla noia provata fra i monotoni e vasti deserti della Persia. Alcuni giorni fu¬ rono consacrati ad una gita attraverso il Concan ed i Dati occidentali fino a Punah, grande città, che giace in ridentissima contrada, sparsa di pagode, ville, e vil¬ laggi. Reduci a Worley vi soggiornarono alcuni giorni; poi il 3 maggio presero posto per Suez sul legno in¬ glese Bérenice. La navigazione fu tanto breve e felice che il 21 toccarono Suez, e pel deserto (ora attraversato dalla ferrovia) recaronsi al Cairo. Vi stettero qualche tempo ^er visitarne i dintorni, e poscia recaronsi per acqua ad Alessandria. Da questa città il legno francese Eurotas li trasportò a Sira, e da Sira il legno austriaco Kolowrat a Trieste, ove sbarcarono il 20 luglio 1842. Restituitosi in Milano, il De Vecchi diè mano alla compilazione del suo Giornale di carovana, che fu stam¬ pato con magnifici tipi e pubblicato nel 1847; ma le politiche vicende, il costo deH’opera, e forse anche il disegno troppo ampio del lavoro che è scritto con stile vivace bensì, ma prolisso e un po’ troppo studiato fe- Digitized by LjOOqIc 446 cero sì che la pubblicazioTie venisse troncata al 4® ca¬ pitolo, che ci lascia a Kirkilissa sul confine turco-per¬ siano, fra le ladre tribù dei Curdi. Ninna notizia d resterebbe del resto d d viaggio senza Topuscolo pub¬ blicato nel i844.dairOsculati, che con rapido e sem¬ plice stile ci narrò tutto quanto di più degno di ri¬ cordo era occorso a lui ed al compagno nella lunga pe¬ regrinazione. L’opuscolo che non fu posto iri commercio, ha come appendice il catalogo dei coleotteri raccolti da Osculati nella Persia e nell’India, ed è dedicato al prof. Giorgio Jan, fondatore e direttore del Museo mi¬ lanese di storia naturale. Un altro bellissimo libro sull’Egitto, Nubia, Sudan; Siria e Palestina, ci venne dato da Emilio Dandolo, il quale percorse codeste regioni nel 18o0-51. Rampollo di nobilissima stirpe milanese, dotato di anima schietta é generosa, amantissimo del sapere, ardente d^amor patrio, prese parte attivissima, come ognun sa, alle nostre infe¬ lici, ma non ingloriose, lotte del 1848-49, delle quali egli stesso ci lasciò commovente ricordo neiroperetta inti¬ tolata: / volontari ed i bersaglieri lombardi. Prostrate sui campi di Novara le speranze dei patrioti, cadute Roma e Venezia nelle mani dell’avversario, il Dandolo cercò sollievo al cuore piagato viaggiando le remote contrade delrOriente, si ricche di memorie, di misteri, e di problemi. Accompagnatosi col marchese Lodovico Trotti, lasciò infatti l’Italia, e per Corinto, Atene, e Rodi si recò in Alessandria. Ammirò nell’Egitto gli avanzi di una civiltà remotissima; ma lo strano contrasto d’una civiltà matura, innestata daH’illuminato dispo¬ tismo di Mehemet-All fra popoli superstiziosi ed inerti, forni argomenti interessanti al suo spirito sagace, e ma¬ teria anche più geniale alla sua penna elegante e mo¬ desta. Le condizioni infelicissime dei fellah, oppressi dal ferreo e retrogrado governo d’Abbas-pascià, indegno successore di Meheraet-All, i costumi de’fieri beduini, la schiavitù ed i suoi orrori, i prodotti e le risorse igno¬ rate del suolo, l’attrito, l’urto, e la fusione delle varie Digitized by LjOOqIc 449 schiatte, i monumenti, le credenze, le tradizioni, sono per Ini prediletti argomenti di studio durante il lungo, e spesse volte tristissimo viaggio su pel Nilo attra¬ verso la Nubia fino a Chartum. Trovavasi quivi ai con* fini delle regioni barbare ed ignote, sicché in lui s’ac¬ cresceva r istinto generoso che lo spingeva a nuovi stenti e pericoli col solo scopo di indagare il vero e di porgere un utile esempio a quelle elelle nostre classi che, convien confessarlo, si mostrano amanti degli ozii patrii e ligi alla moda, visitando troppo frequentemente le vicine capitali ricche di morbidezze, e troppo di rado le contrade remote, tanto feconde d*insegnamenti, di vive soddisfazioni, e di fertili confronti (i). Avanzatosi da Chartum pel Nilo Bianco fino al guado di Abuzet (Mochada Abuzet), verso il 13'' di latit. sett., fece ritorno a Chartum, e poi ap- prestossi a scendere il fiume alla volta del Cairo. Per abbracciare collo sguardo maggior zona di paese, volle nel ritorno mutar cammino, ed invece del deserto di Korosko attraversò quello di Bajuda e di Dongola, pas¬ sando il Nilo a Moravi. Edfu, Karnak, le rovine di Tebe, Ipsambul, le piramidi di Gizeh, ed altri monumenti il-< lustrati in buona parte dal Belzoni, furono visitati con attenta ammirazione dal giovane nostro patrizio, cui troppo doleva di non averli sufficientemente esaminati durante il viaggio verso il mezzodì. Da Alessandria per la via di mare il Dandolo recossi a Beyrutin Siria, da dove fece un’escursione fra i Drusi del Libano. Passò poscia da Beyrut a Giaffa, e quivi si pose in cammino alla volta di Gerusalemme per la via di Ramla. La de¬ solata città, i Luoghi Santi, il Mar Morto, il Giordano, il Monte degli Oliveti, il Santo Sepolcro, Betlemme, e (1) Dalla bocca del Bran Rollet negoziante savoiardo e console sardo in Chartum, ben noto per importanti esplorazioni e lavori lungo l’alto Nilo Bianco, rac^colse preziosi ragguagli, che riassunse nel suo libro, cui aggiunse anzi alcune lettere indirizzategli in Europa dallo stesso Brun Rollet. Trovò in Chartum anche il Dott. Peney, e quel missio¬ nario italiano, Don Angelo Vinco, che predicò la buona novella fra i Bari, dieci o undici gradi più al sud di Chartum. 29 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani, Digitized by LjOOQle molti altri punti illustri per le bibliche tradizioni, ven« nero da lui visitati e descritti con vive e schiette pa¬ role, con quel pudore che ci vieta di gettare mila carta ai sorrisi del pubblico i sentimenti e gli affetti più spon* tanei. Da Gerusalemme per Naplusa, Nazareth, ed il lago Tiberiade, mosse a Damasco, e, soggiornatovi qualche tempo, ne partì per le rovine di Balbek e per Beyrut. Da questo porto mosse pel suo ritorno in patria, dove poi scrisse con pienezza di affetto la sua peregrinazione. Alcuni anni dopo fu colpito da morte prematura, ed i suoi concittadini gli diedero invidiabile prova di stima, gettando corone tricolori sul feretro, malgrado la vigi¬ lanza delle guardie austriache. Oh perchè non fu concesso a quel giovane generoso di assistere al maraviglioso e rapido risorgimento della nostra patria,- che, appena chiusa là sua tomba, per felice incalzare d* insperati eventi, raggiunse la sospirata meta, e si assise non priva d'intluenza fra le maggiori potenze! Un altro viaggio degno di ricordo, ed un altro bel libro sulle varie parti della Turchia asiatica, dobbiamo al dottore Alessandro De Bianchi, già uflìciale al ser¬ vizio ottomano, ed ora neiresercito nazionale (1). Verso il 1855 percorrendo colta guardia imperiale turca le provlncie asiatiche, cioè parte della Georgia ottomana e russa, tutta !■ Armenia, e buon tratto del Curdistan, fece ogni sforzo per raccogliere notizie sulle condizioni fisi¬ che, sociali, politiche, religiose, e militari di quei paesi^ Ardeva allora la guerra colla Russia, sicché i doveri del servizio gl’impedirono di fare ricca messe* di no¬ tizie, come pure avrebbe voluto* Più tardicessata la guerra, rivide con maggior quiete que’ luoghi, e mal¬ grado gli incredibili disagi, che sono inseparabili dai viaggi in paesi inospitali, privi di strade, popolati da tribù ladre, ignoranti, e superstiziose, riuscì a racco¬ gliere ricchi materiali per un lavoro che, aflìdato, può^ dirsi, alla sua sola esperienza^ è privo di ogni letterario (1) Alcuni anni or sono era capitano nel 22® fanteria. • Digitized by LjOOQle *5t soccorso, scrisse in Costantinopoli nel 1859, e pubblicò in Milano qualche anno più tardi, un quadro sem¬ plice, naturale, ricco, e minuto delle provincie turco¬ asiatiche, ma specialmente di quelle, che sono irrigate dair Eufrate e dal Tigri fra il Mar Nero ed il confine persiano. La verità è runico suo scopo, sicché non va in traccia di argomenti straordinari, atti ad eccitace la curiosità, non abbellisce i racconti con invenzioni, evita la rettorica e la poesia, perchè queste sviano la mente dal vero, presenta nella loro nudità le cose viste coi propri occhi, e non fa uso degli aneddoti se non quando egli stesso ne è uno degli attori, o quando sem¬ brano utili ad interrompere Tuniformità degli argomenti. « Dando alla luce queste memorie (tali sono le prime sue parole) raccolte in varii viaggi da me fatti nell’Ar¬ menia, nel Curdistan, e nel Lazistan, non è mia inten¬ zione di portare un tributo alla scienza sotto qualsiasi aspetto, ma soltanto di .fornire qualche nozione intorno agli abiti ed ai costumi di genti, che abitano paesi pòco conosciuti ». Modeste parole, le quali accrescono il va¬ lore dell’opera amenissima nella sua semplicità, e utile nel tempo stesso per ricca copia di nozioni d'ogni fatta. La prima parte dell’opera è quasi un giornale di viag¬ gio, e tratta deU’Armenia, e per incidenza della Georgia, dell’Asia minore, e del Lazistan. Essa ci dà la storia deU’Armenia, e discorre poscia del suo clima, delle sue condizioni agricole, degli usi degli abitatori, delle posi¬ zioni militari, deirindustria, del commercio, e delle vie di comunicazione (1). La seconda parte s’aggira tutta sul Curdistan, toccando sovente anche della Georgia, deU’Armenia russa, e della Persia, Anche questa comincia (l) Chi desiderasse minute notizie snlPArmenia, c su tutti i paesi dell’Istmo caucasico fra i mari Caspio, Nero, e la Russia meridionale, non trascuri l’opera : Voyage dans la Russie méridionale et par-- ticulièrement dans les provinces au~delà du Caucasè fait depuis 1820 jusqu'en 1824. Pans, 4826, 2 voi. avec cartes. Ne fu autóre il cav. Gamba, console di Francia a Tiflis nell’Armenia verso l’epoca accennata. Digitized by LjOOqIc m con un sunto storico, il quale, a dir vero, risale troppo arditamente agli antichi ed incertissimi tempi delle grandi monarchie occidentali asiatiche, parla poscia delle odierne tribù curde in particolare, attingendo ad una fonte preziosa, perchè a pochi accessibile, il Gehannuma o descrizione del mondo, scrìtta in turco nel 966 dell’egira (1588 dell’èra nostra) dal musulmano Kietib Celebì. Dopo avere esposti i costumi singolari e superstiziosi delle tribù curde e la loro maniera di com¬ battere, passa a trattare della setta dei Jezidi o adoratori del demonio, e di quella dei Gnebri, o seguaci del culto del fuoco. 1 molti e bizzarri articoli di fede di codeste sètte sono sviluppati con grande estensione; e con dili¬ genza non minore vi si tratta di tutto ciò che si riferisce aH’amministrazione del paese, alla natura de’suoi pro¬ dotti, ed ai varii rapporti di vicinato fra il Curdistan, la Persia, e la Russia. Fece menzione eziandio de’sudditi tur¬ chi non musulmani, che sono sparsi in tutto il Curdistan, dei buoni rapporti che mantengono colla Russia, e delle loro migrazioni in questo Stato. La terza parte tratta del Lazistan, che corrisponde all’antica Colchide, dei popoli che l’invasero in vari tempi, e delle credenze re¬ ligiose degli odierni abitatori. Nella descrizione di tutti questi paesi ha cura di esporne le vere condizioni, e, mentre indica i mali inflnìti da cui sono afflitti, ne pro¬ pone anche i rimedii più opportuni. L’Oriente vide sorgere le più antiche fra le civili monarchie. Dimenticate quasi affatto in Europa durante i secoli di mezzo, la loro storia si confuse ed andò perduta neH’Orìente istesso, poiché fu invaso dall’isla¬ mismo, e soltanto, quando i viaggiatori dello scorso se¬ colo rintracciarono nella Persia le orme di Persepoli, ridestossi fra noi il bisogno di accrescere le poche’ notizie che si avevano snll’Abissinia, sulla Babilonia, sulla Media, e sulla Persia; stati potenti, la cui storia si collega strettamente con quella del popolo di Dio, con quella de’Feniciì, dell’Egitto misterioso, e final¬ mente colle bìbliche tradizioni. Primo fra i moderni. Digitized by LjOOQle 453 il nostro viaggiatore Della Valle parlò delle strane iscrizioni cnneiformi da lui viste in Persia. Sul finire dello scorso secolo Niebuhr ci portò copia esatta di cotali iscrizioni persepolitane o cuneiformi che tro- vansi disseminate in tutte quelle parti dell’Asia occi¬ dentale che furono in remotissimi tempi le sedi di avanzata civiltà. Giorgio Federico Grotefend, verso il 4800, tentò l’ardua impresa di decifrare questi ultimi caratteri; che, interpretati, avrebbero gettata non poca luce sur un periodo assai mal noto, sebbene fuor d’ogni dubbio grandioso, della storia antica. Dotato d'una sa- gacità maravigliosa, assai prossima alla divinazione, Eugenio Burnouf riuscì a sciogliere il problema. LaSsen e Rawlinson continuarono gli studii, i confronti, le con¬ getture, e la loro costanza fu premiata da si buon suc¬ cesso, che ora le iscrizioni persepolitane decifrate e tradotte ci parlano dei Darii e dei Serse. La grande leggenda scolpita nelle pareti verticali di una roccia a Bisutun, scoperta ed interpretata dal colonnello inglese Rawlinson, residente britannico in Bagdad, verso il 1840, venne a confermare ed ampliare il campo delle nostre cognizioni, e fu un altro gran passo. Ne mancava ancora un terzo, e fu fatto specialmente per opera e merito di un italiano, Emilio Botta, figlio del celebre storico. Una vaga ed antica tradizione collocava sulla riva orien¬ tale del Tigri la famosa Ninive, che venne distrutta dalle armi collegate dei Medi e dei Babilonesi, verso il 606 av. Cristo. La tomba di Gionata, edificio musulmano che sf erge su una vicina altura, ricordava la visita che fece il profeta alla città destinata all’esterminio; tuttavia nessun viaggiatore rammentava d’ aver veduto in quel luogo rovine di qualche rilievo; era una pia¬ nura monotona, sterile, interrotta soltanto da monticelU isolati. Nel 1842 il Botta, nominato console di Francia in Mossul, piccola città musulmana sulla destra del Tigri, poco lungi dal sito dell’antica Ninive, recatosi sui luoghi, vi fece eseguire degli scavi. Cominciò da una collinetta, assai vicina ai luogo di sua residenzai e più ancora ad Digitized by LjOOQle 454 un miserabile villaggio detto Cujvngich. Non si erano veduti che pochi frammenti, quando alcuni contadini dei dintorni lo avvertono che avrebbe trovato molto di più a circa quattro ore di lontananza nella direzione di nord-est. Botta si recò tosto co’suoi operai nel luogo accennato, e trovò infatti che presso il villaggio di Gor^ sabad (divenuto ad un tratto famoso) il suolo era sparso di frammenti coperti d’impronte cuneiformi. Questi fu¬ rono i primordii d’una scoperta, ohe prese un posto co¬ spicuo nella storia scientifica de’nostri tempi. La zappa mise al nudo un muro, poi l’angolo di un secondo muro, indi una scala intiera, poscia pareti coperte di iscrizioni e di scolture rappresentanti scene di guerra, di caccie, e di assedii, e poi figure colossali, strane, di forme per metà umane, e per l’altra metà belluine, evidentemente simboli o personificazioni di idee reli¬ giose 0 politiche. Gli operai raddoppiarono di zelo. Si scopri un gran palazzo con tutte le magnificenze di un’abitazione reale, poi altri palazzi, obelischi, tombe, piramidi, il tempio di Sennacheribbo, pavimenti d’ac¬ curato lavoro, steli e cilindri carichi d’iscrizioni, e final¬ mente l’ampia cerchia ed i fossati, che rinserravano l’an¬ tica città e che comprendono un grandissimo spazio sulla sponda orientale del Tigri, di faccia a Mossul. 11 Botta informi tosto il Governo francese della sua scoperta, ed ì ministri Guizot e Yillemain gli mandarono senza in¬ dugio del denaro ed un potente ausiliario nel signor Eugenio Flandin, chiarissimo artista disegnatore, già conosciuto per un viaggio fatto nella Persia. Botta co¬ piava con tutto lo scrupolo le lunghe iscrizioni, prodi¬ gate dagli antichi asiatici s i tutti i loro monumenti ; e Flandin disegnava con mano esperta i basso-rilievi e le sculture,che men facilmente avrebbero potuto trasportarsi dalle rive del Tigri a quelle della Senna. Tutti que’rima¬ sugli che senza pericolo di guasto potevano esser rimossi si caricarono sulle zattere che scendono il Tigri, e si con¬ segnarono a vascelli appositamente inviati nel golfo Per¬ sico per ricevervi quei ruderi, ;coa cui si crearono le Digitized by LjOOqIc 455 sale assire nel museo parigino del Louvre. Opere volu¬ minose di altissimo prezzo pubblicaronsi sotto gli au¬ spici! del Governo francese ad illustrare degnamente la memoria della capitale assira. L’inglese Layard, addetto all’ambasciata di Costanti¬ nopoli , fu testimonio dei lavori che si eseguivano a Corsabad. Là strinse amicizia con Botta, del quale parla con sensi di riconoscenza; là concepì il pensiero d’in¬ traprendere per conto del suo Governo alcuni scavi in altri punti lungo il Tigri. Ricordasi di aver veduto a circa nove ore più al sud di Mossul una collinuccia sparsa di rottami, detta dagli Arabi Nimrad^ e, secondo il detto dei pastori, sito di antichissima città sparita. Nel 1843, riccamente provvisto di mezzi di ogni specie e dei tìrmani del sultano, recossi colà e v’intraprese con tutta energia gli sca^i. Muraglie, gradinate, una serie di sale, tre palazzi che occupavano l’angolo sud-ovest dell’antica città, tori alati dal viso umano, sculture ed iscrizioni in copia infinita ed affini in tutto a quelle trovate a Corsabad, premiarono lo zelo del dotto in¬ glese. Gli avanzi di quella nuova Pompei dell’Oriente, mossi ed innalzati dalla Toro profondità a furia di corde e di macchine, venivano con non poco dispendio spediti a Londra per arricchirvi le collezioni preziosissime del Museo britanno. Cosi quelle rovine, testimoni della ci¬ viltà deU’antico Oriente, erano trasportate nell’estremo Occidente per esservi testimoni di una civiltà ben diversa e ben più progredita. NeH’anno 1862 convenienze diplomatiche ed interessi commerciali indussero il ministro Rattazzi ad inviare un’ ambasciata straordinaria allo sciah di Persia. Era la prima volta che l’Italia unita mandava ambasciatori a lontana potenza non europea; sicché, e per esprimere meglio agli occhi degli Orientali, avidi di pompa, l’im¬ portanza del nuovo Stato subentrato allo scomparso piccolo reame di Sardegna, e per atto di omaggio a .quella corte che tante volte ospitò cortesemente i legati di Venezia e fu ai Veneziani fida alleata, si volle ch.e Digitized by LjOOQle m l^ambasciata fosse numerosa, composta di persone che rappresentassero non solo la diplomazia, ma anche le scienze e le arti, fornita di quei mezzi che valgono a procacciare rispetto e stima fra gli immaginosi popoli dell’Asia. Il personale della missione, gaidato dall’in¬ viato straordinario commendatore Marcelle Cerniti, si compose di diciassette persone, fra le qnali il prof. De Filippi, celebre zoologo, il signor Flessone professore di storia naturale presso l'università di Torino, Feco- nomista e bacologo signor Orio di Mìlano>, il signor Li- gnana, professore di filologia comparata presso l’univer¬ sità di Napoli, il signor Ferrati professore di geodesia presso l’università di Torino, ed il marchese Doria di Genova. Il professor De Filippi (I), reduce dal lungo viaggio, ne pubblicò la relazione, coordinando alle pro¬ prie impressioni le notizie raccolte e le osservazioni scientifiche. « Il mio intento, cosi dice egli stesso nella prefazione, nell’accozzare in queste note elementi cosi diversi, fu di renderle leggibili ad un pubblico egual¬ mente alieno dal pretendere i vivi colori del racconto, come il metodo rigoroso di una relazione scientìfica ». E questo intento fu pienamente raggiunto dal libro che ci serve di scorta per narrare concisamente, come al solito, l’andamento e l’esito della spedizione. « Il regio piroscafo /cA««»a, che doveva portare a Tre- bisonda la missione italiana, levò l’ancora dal porto di Genova la sera del 21 aprile 4862, e giunse il 30 dello stesso mese con felice navigazione a Costantinopoli. Consacrati alcuni giorni alle visite d’etichetta, 'fra le quali una al sultano Abdul-Aziz, completatele provvi¬ gioni e distribuiti gli enormi bagagli in 200 casse, parti per Trebisonda a bordo del legno francese delle messaggerie imperiali Tamise^ I membri della spedi¬ zione avrebbero desiderato continuare il viaggio col- (4) È noto che questo insigne natnraiista accompagnava la nave italiana Magenta nel viaggio di circnmnàvigazione, quando fu pre¬ maturamente tolto alla scienza da rapido male che l’assalse in Hong-* Kong, sulle coste di Cina, nel febbraio 4867. Digitized by LjOOqIc 457 r/cAfinM, ma questo legno era trop^ piccolo per tanto carico» li 6 maggio verso le 4 pomeridiane il Tamise si mosse, e, traversando il Bosforo, vero paradiso anche per quelli che hanno l’occhio avvezzo alle sponde del Lario ed alle riviere genovesi, entrò nel Mar Nero. La nave, travagliata dal mare grosso, andò costeggiando la costa asiatica, e, salutate daiungi Ineboli, Sinope, e Sansun, sostò a Trebisonda. Quivi doveva aver principio il viaggio di terra per Erzerum al confine persiano; ma la missione preferì seguire il consiglio del principe Labanoff, mi¬ nistro di Russia a Costantinopoli, il quale av^va sugge, rita la via attraverso i paesi russi della Transcaucasia, siccome assai più comoda e non meno diretta. Il vapore mercantile russo Cerere, comandato da un veterano della marina imperiale trasportò infatti la spedizione a Batum, e indi a Poti alla foce del Rion. Il governatore di Poti, vecchio militare di bellissimi modi e che parlava discre¬ tamente ritaliano, recossi a bordo della Cerere per com¬ plimentare il ministro Cerniti, e gli disse come fosse pre^ venuto del suo arrivo e come tutte le autorità russe delle provincie,per le quali Tambasciata sarebbe passata,avreb¬ bero gareggiato nelTagevolarle il viaggio. Pe’ rapporti, in cui trovavasi il nuovo governo italiano colla Russia, i membri della missione si aspettavano di essere tollerati e nulla più, ed invece trovarono preparata da per tutto un’accoglienza cordiale, a cui per esser detta ufficiale non ne mancava che il titolo (4). Poti è un miserabile posto militare occupato dai Russi nel 1829. Essi gli die¬ dero grbdo di città, e la fecero capoluogo della Grusia, sebbene conti appena cinquecento abitanti. Tutti gli edi- fizi e le chiese stesse sono di legno; v’è una via ed una piazza principale; ed altrove sorgono molte case iso^ late disposte in modo, come se avessero a costituire r addentellato di lunghe vie rettilinee d'una futura città (2). 1 dintorni di Poti verso il mare sono palu- {^) Db FiLim, Note di un viaggio in Persia^ pag. 2i. (2) Scrive il De Filippi (pag. SO) che neesun ukase di nessun autocrata riuscirà mai a fare di Poti un importante scalo ma^ Digitized by LjOOqIc 458 dosi ; ma verso T interno ofifrond la vegetazione più lussureggiante. Vergini foreste di aceri, ontani^ olmi, tigli, pioppi; platani, fanno un denso fogliame che in¬ tercetta i raggi solari. Dappertutto un profumo inde¬ scrivibile, un austero silenzio. Risalendo il Rion, che serpeggia fra quelle ridentissime contrade, il vaporetto Akermann portò la missione a Marani, villaggio deiri- merezia, prima stazione del viaggio di terra. Le terre adiacenti, fortissime di loro natura, hanno quivi un va¬ lore minimo; sicché gritaliani che mandano già i loro navigli a caricare grano ad Odessa e fino a Taganrog, quando son presi dal ticchio deiremigrazione, potreb¬ bero volgere ivi i loro passi anziché alle lontanissime spiaggie deU’Australia, 0 a quelle pur sempre remote deirÀmerica. A Marani la missione trovò il capitano Ro- manoff, che per speciale delegazione del principe go¬ vernatore della Transcaucasia veniva da Tiffis a porsi a disposizione del nostro ministro per tutta la dorata del viaggio fino alla frontiera russo-persiana. Alcune pessime carrozze accolsero la comitiva e la trasporta¬ rono per vie ghiaiose, erte, talvolta infossate e paludose, a Kutais. Anche il voluminoso bagaglio potè essere tra¬ sportato senza grave dilficoltà, grazie alla cortesia del governatore dellTmerezia, il quale aveva concesso mezzi non accordati per solito a semplici privati. Kutais, Tan- tica Cotatisium, è una piccola, ma graziosa città, in po¬ sizione amenissima, alle falde delle colline che formano le estreme propagini del Caucaso. Vi sono molte case belle ed eleganti, un bazar, e perfino un piccolo albergo. rittmo. A questa opinione non possiamo aderire, e crediamo anzi che i Rossi abbiano con nìrabite accorgimento aperta in Poti nna nuova via al commercio fra l’Europa e TAsia meridiooale, a danno della via d’Erzerum attraverso la Turchia asiatica, che vedemmo percorsa da Osculati e De Vecchi. La ferrovia, che si sta costruendo fra Poti sul Mar Nero e Baku sul Caspio, oltre unire questi due mari, assorbe già quasi tutto quel movhiieitto che or fanno dieci anni passava per Tre- bisoiida èd Erzerunt Questi òarhart sono pur ^ndi maestri in tante cose! Digitized by LjOOQle 459 Vi è anche an casino o club, solito ponto di convegno degli ufficiali rossi dell’ ordine civile e militare. I membri della missione, tanto ivi che nelle altre città della Russia transcaucasica, non soltanto furono am¬ messi al club, ma fattine padroni. Fra i pubblici edi¬ fici si vede un palazzo, costrutto dalla principessa Wo- ranzoff a tutte sue spese per istituirvi una casa d’edu¬ cazione per le zitelle. La fama della bellezza delle donne georgiane non è ponto superiore alla realtà, ed anche i più austeri membri della commissione non seppero trattenersi dal lanciare qualche sguardo alle belle, che facevano capolino dalle finestre per vedere gli stranieri e le loro singolari foggio. Il generale Koliubakine, go¬ vernatore di Kutais, accolse e trattò gli ospiti italiani colla più squisita cortesia della dorata società europea. Al suo intervento si dovette la continuazione del viag¬ gio, giacché i vetturini di Marani erano decisi di non oltrepassare Kutais. Lasciata questa città, la strada ser¬ peggia fra boschetti e prati in dolce pendio per vallon- celli e colli deliziosi, finché pel passo di Suram conduce .nella valle del Kur. Mtzcheta,antica capitale della Geor¬ gia, e Gori, fortezza sul Kur, sono i luoghi più notevoli che si trovino sulla via per Tiflis; nella quale città l'am- basceria entrò il 17 maggio. Tiflis, capitale della Russia transcaucasica, é maestosa per bellissimi fabbricati, fra’ quali il ginnasio, U palazzo del governo, la gran guardia, j| caravan-serai, i bazar, e il teatro dell’opera italiana. .Come in tutte le città del Levante, genti diverse, cia¬ scuna col suo particolare costume, danno vita e varietà alle vie, c sopratutto ai mercati. Parlano diversi idiomi, ai quali però per la sola forza delle cose, e senza al¬ cuna pressione per parte del governo, si va sovrappo¬ nendo la lingua russa. Un quartiere della città é po¬ polato da sobrie ed agiate colonie agricole tedesche, che immigrarono nella Georgia sul principiare del secolo. Gli alti funzionarli russi sono anche in questa parte segregata dell’impero ben diversi daquello che si crede iteU’Europa occidentale^ cioè colti, poliglotti, e sonuik»- Digitized by LjOOqIc 4M mente cortési nel tratto. In assenza del luogotenente generalè del Caucaso, principe Bariatinski, t^^neva il suo posto il principe OrbellianI, di stirpe georgiana, ma de- Totissimo alla Russia. Il principe diede due pranzi so¬ lenni in onore deirambasceria italiana. Cosi fecero con minore etichetta ìl console francese, barone Pinot, e Tambasciatore di Persia. Il banchetto dato dal principe era ravvivato dalla banda, che con mirabile precisione suonò i pezzi classici del repertorio italiano. Queste di¬ strazioni non impedirono a i)e Filippi ed a’ suoi com¬ pagni di studiare il paese nelle sue condizioni fisiche e politiche. Il governo russo non pesa alle popolazioni transcaucasiche, che vivono ciascuna secondo i loro usi. Prive di una tradizione storica continuata, esse non hanno idea di nazionalità, come il cieco-nato non ha idea de’colori. Le imposte sono un nulla in confronto alle spogliazioni alle quali per lo addietro andavano soggette; la sicurezza pubblica è tutelata; Tistruzione promossa per quanto è possibile; ed in ogni senso le provincie caucasiche non sono posposte a quelle che cir¬ condano i grandi centri deH’impero. Il governo è poi lar¬ ghissimo di aiuti, quando si tratta dMllustrare scientifi- caniente questa o quella provincia. In Titìis sorge un grande osservatorio meteorologico, à cui è preposto il tedesco Radde, celebre perlustratoré delPAmur, gran fiume asiatico; ed in Tiflis vennero eseguiti i grandi la¬ vori geografici e cartografici dello stato maggiore del- Pesercito derCaucaso, le ricerche archeologiche del ge¬ nerale Bartolomei, e le classiche monografie del celebre geologo Abich, che fece della Russia trascaucasica uno dei paesi meglio conosciuti sotto l’aspetto paleontologico 6 geologico. - Il 29 maggió, arrivati i bagagli, si affrettarono ÌT[)re- parativi della partenza che avvenne alcuni giorni dopo. Là strada, che da Tiflis conduce adEriwan, interseca pit¬ toresche regioni sparse di miserabili villaggi. Il console Pinot voi le essere compagno ai nostri, e prese quindi com¬ miato da loro con visibile commozione. Poco dopo, la- Digitized by LjOOqIc 461 sciata addietro la valle dell’Akstafa, c la goladell’Esciek- Maidan, si trovò il bel lago Gokscia, e si vide torreggiare da Inngi all’estremo orizzonte raltissimo Ararat, enorme pietra di confine colà dove i vasti imperi di Russia, Tur¬ chia, e Persia si toccano in un punto. Visitata Eriwan, capitale dell’Armenia russa, ed il bel palazzo de’suoi antichi principi, l’ambasceria'il 12 giugno ripigliava la via, sfilando per la fertile pianura che inaflìata dal Sanga si stende fino ai piedi dell’Ararat. In Nakitcevan ebbe la grata sorpresa di trovare due negozianti lom¬ bardi, intenti al raccolto di sementi di filugelli. Presso Giulfa, che è sulla sinistra dell’Arasse, la carovana sa¬ lutò le ultime vestigia dei dominio russo e con esso della civiltà europea. Un esercito persiano accampato sulla destra dell’Arasse scortava il me-mmdar, ossia il grande ufliciale deputato dallo sciali a ricevere e ad accompagnare l’ambasciatore italiano. Il 16 giugno, dopo molte noiose cerimonie, scambiati infiniti compli¬ menti ed inchini, si passò in gran pompa il fiume e si entrò cosi nel dominio del re deire. Ma l’impressione della Persia sui nostri viaggiatori fu ben triste. Lande sassose, aride, poverissime d’acqua, esposte per sei mesi alla più assoluta siccità, ed ai forti calori, si succedono colla più monotona uniformità. È difllcile dare un con¬ cetto adeguato della tristezza di questo paese, tanto più perchè si ha a vincere la prevenzione dell’ antica potenza della Persia, l’idea di quello sfarzo, che gene¬ ralmente si associa da noi alla parola Oriente.Dì Erivan a Teheran tutto è monotono e fangoso, topaie i vil¬ laggi, rare e distanti nello sterminato misero fondo del quadro le macchie verdeggianti. Il terreno per la sua composizione minerale sarebbe atto alla coltura, ma la mancanza d’acqua è causa perenne della sterilità del suolo. Il povero agricoltore trae profitto d’ogni riga- ' gnolo; ma anche quivi, come nell’Egitto, torturato da ra¬ paci esattori, bagna co’suoi sudori una messe non sua. I villaggi non sono che aggregati di capanne e di murio ' ciuoli costrutti con fango, giacché il legno vi è scarsis- Digitized by LjOOQle m simo. Dà cònfonderidosi il loro colore con quello grigiastro del suolo, non si distinguerebbero senza le piantagioni che ordinariamente liricingono. Gli alberi vi mancano aifatto, e que* pochi che si vedono sono tutti piantati dalla mano dell’uomo. L’ inverno è lungo e per l’elevazione del suolo assai rigido; e la breve prima¬ vera è caratterizzata dalle pioggie, il cui beneficio è ra¬ pidamente distrutto dai venti, i quali alla lor volta tem¬ perano gli effetti dei raggi solari nel breve, e caldo estate, rendendo le notti poco men che fredde. Attraversato Marend ed il passo del Masciuk, la caro¬ vana giunse a Tauris (Tabriz dei Persiani) il 20 giugno. Nulla di notevole avvenne neirintervallo fra il confine e Tauris, se non che i dintorni di Marend apparvero ai nostri viaggiatori uri eden delizioso, ed il paesaggio più bello che loro si offrisse in tutto il viaggio. Presso Tauris una gran folla si fece incontro alla missione e raccolse con infiniti inchini e salamelecchi, accoinpa- gnandola con noiosissimo cerimoniale fin nell’interno della città. Quivi le venne assegnata una casa sontuosis¬ sima. secondo le idee persiane, miserabile secondo le nostre, consistente in un fabbricato costrutto di mat¬ toni e fango, e circondato da un giardino, presso il lato meridionale della città. La necessità di provvedere a parecchie cose indispensabili al viaggio, e le segrete istruzioni del memendar, il quale doverva protrarre il più che ‘possibile l’arrivo dell’àmbascerla alla capitale del reame per dar tempo allo sciah di finire le sue caccie, furono le cause per cui si spesero noiosamente ed inutilmente parecchie settimane in Tauris; e siccome si differiva sempre dall’uno all’altro giorno, cosi non si poterono eseguire escursioni di qualche importanza nei dintorni, al lago Urmia, o al Saand. Fu favorevole l’op¬ portunità per visitare minutamente la città e studiare i costumi delle %arie classi persiane. Tauris, capoluogo della vasta provincia dell’Aserbegian, con«;erva ancora, malgrado l’irrimediabile incuria musulmana ed i ter¬ remoti, un posto cospicuo fra le città persiane; ma ha Digitized by LjOOQle 4&3 perduto la grande importanza che aveva nel medio evo, quando divideva con Erzerum il monopolio di tutto il commercio fra l’Europa e l’Asia. Appena si scorge an¬ cora il perimetro dell’antica città, che ai bei tempi di Venezia noverava a centinaia i bazar, le moschee, i ca¬ ravanserragli, e a migliaia le botteghe ed i palazzi. Viot¬ toli tortuasi ed irregolari, pericolosi per buche pro- • fonde che frequentemente vi si incontrano, fiancheggiati da muriccioli di fango, intersecano Timmensa area del¬ l’antica Tabriz. Le rovine della gran moschea distrutta dal terremoto del 1780, la vastissima ma debole citta¬ della, ed i bazar sono le cose più degne d’essere visi¬ tate. Tutta la città si concentra nei bazar, il cui fra¬ stuono contrasta singolarmente col silenzio delle vie deserte. Ai bazar sono attigui i caravanserragli dove alloggiano i mercanti più facoltosi, l bazar offrono uno spettacolo affatto nuovo all'Europeo che si aggira a stento fra la folla affaccendata, e trova continuo pascolo alla sua curiosità. La piccola colonia di Tauris, com¬ posta di alcuni negozianti tedeschi ed italiani, fra i quali i signori Castelli e Vlasto della casa Ralli, fu larga ai nostri di cortesi accoglienze. Anche i Persiani furono generosi d’inviti, e di feste private ed ufficiali. Un giorno l’ambasceria in gran pompa fu ammessa al ricevimento solenne del figlio primogenito dello sciah. l discorsi con.lui, come in genere con tutti, cadevano sempre o sulla Persia o sull’Italia. I Persiani non hanno alcuna idea degli Stati europei, ma li comprendono in massa sotto la generica denominazione di Frengistan^ e solo qual¬ che cosa sanno, e per dura esperienza, della grandezza e potenza dei Russi. Il giorno 27 la missione, in abiti gallonati, assisteva nel palazzo vicereale alla festa data in suo onore dal principe. 1 fuochi.artificiali erano di beU’effetto, infernale invece la musica, e detestabile il ballo. Anche il pranzo, servito con gran lusso di cri¬ stalli,. e, per squisita gentilezza,.eoa sedili e posate al- • l’europea, non. tornò molto grato ai palati dei nostri diplomatici. Digitized by LjOOQle 46'4 U 2 tngiio si lasciò Taaris ed in pochi giorni pei* la via di Turkmanciai (celebre pel trattato di pace fra Rossi e Persiani) sì giunse a Mianah. Da questo mise¬ rabile villaggio, infestato da insetti d’ogni famiglia che hanno arricchita la collezione de’nostri natoralisti e molestata non poco la carovana, l’ambasceria awiossi verso la catena del Kaplankoh, valicata la quale; essa si trovò nel bacino del Kisilozon, che attraversata la gran catena dell’Elbors si getta nel Caspio sotto il nome di Sefid Rud. Poco dopo s’incontra Zendian, tri¬ stamente famosa per la distrazione della setta dei Ba- biti, la quale verso il 1848 sorse nella Persia predi¬ cando dottrine assai piò sane di quelle che oggi vi si seguono, e fra le altre l’abolizione della poligamia e dei kalian. Sultanieh, non troppo discosta da Zendian, fu capitale della Persia prima che la sede dello sciali venisse trasferita ad Ispahan; ma dell’antica grandezza non conserva che la.moschea, torreggiante hra un agglo¬ merato di cadenti abituri. Più importante è Kazwin, nel mezzo d’un’ampìa oasi conquistata sul deserto. La spedizione vi entrò scortata dal solito corteo, e fu al¬ loggiata nel chiosco reale circondato da giardini. Per¬ correndo la città s’accorse che la proporzione del fango e delle rovine vi è assai minore che in Tauris. Possiede un vasto bazar, belle moschee, un sontuoso bagno, con gran serbatoio d’acqua purissima, e case signorili. In una di queste, distinta per il buon gusto, i membri della missione furono lautamente trattati dal proprietario, ric¬ chissimo negoziante. Il signor Grimaldi, rimasto addietro per malattìa, ed il signor Orio, che da Tabris aveva fatto un’escursione nel Ghilan, provincia persiana lungo il Caspio, ben nòta per la sericoltura, raggiunsero in Kazwin la carovana. Il 29 luglio riprese questa la sua via, costeggiando le estreme propaggini dell’Elburs, in una regione sparsa di oasi veramente deliziose e di ri¬ dentissimi giardini. Accompagnata da un calore soffo¬ cante, il quale saliva talvolta a 34 gradi Réaumur al¬ l’ombra, giunse a Meshinabad, ove si ammira la magni- Digitized by LjOOQle ^ 46R lira tomba idririmam Zadè. Poco prima di toccare il riliaggio.di Kernd si scorse sall’orizzonto l’imponente massa del Demavend, coperta da eterne nevi. A Kend una grata sorpresa aspettava la comitiva. Cinque .italiani^ colonnelli al servizio persiano^ i signori Pesce, Gian* nomi', Andreini, Barbara, e Materasso, le si fecero in¬ contro, sa'atandola coi cari accenti della patria lingua, li 3 agosto si giunse in vista della capitale p’^rsiana, Teheran; ma Teticlietta non ne permetteva l’ingresso,se prima non erasi fatta l’accoglienza nlllciale nel suburbio. L’ambasceria, col ministro Cerniti alla testa, vestita delle sue brillanti divise e circondata da immenso bu¬ licame di gente che sempre più ingrossava, fu ricevuta sotto un ampio padiglione presso il castello dei Kagiari,e poi piv'se stabile dimora nel villaggio di Tedgrisch (a due ore da Teheran), ove occupò un giardino con al¬ cune easiiccie, noleggiato appositamente in prevenzione dal conte di Gobineaii, ambasciatore francese presso la corte persiana, e zelantissimo mentore de’nostri diplo¬ matici. Le legazioni di Turchia ed Inghilterra, e cosi tutta la colonia europea, la quale, a dir vero, oltre le legazioni, non si compone che di alcuni ufficiali, nego¬ zianti, missionari, ed operai italiani e francesi, si affret¬ tarono ad offrire i loro buoni servigi all’ambasceria italiana. La legazione rossa, non ancora istruita dell’of¬ ficiale riconoscimento del regno italiano per parte del suo governo, se ne stette in prudente riserbo; ma i suoi membri mostraronsi personalmente non meno cortesi di quelli delle altre legazioni. Le visite, i pranzi, le ge¬ niali conversazioni alleggerirono ai nostri il peso della nostalgia, che già tutti in vario grado provavano, e fe¬ cero dimenticare l’assenza dello sciali, il quale non era atteso che fra alcune settimane. Per occupare util¬ mente i giorni che ancora mancavano alla solenne u- dienza, Defilippi, Lessona, Orio, Boria, ed alcuni altri della spedizione, intrapresero una gita all’eccelso De- mavend. Partirono sul meriggio del 9 agosto dal quar¬ tiere generale di Tedgrisch, salirono per la valle del 30 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani, Digitized by LjOOqIc 466 Lar ad Ask, ed ammirando U splendida Tbg&taàone; di quelle alte vallij giùnsero per Reina ad Abigerm^ ed alla stazione Thòmson 'posta alle falde del cono del gran rnlcano. Per l'effetto delParia rarefatta De Filippi non potè giungere Uno al vertice; degli altri ri giunse pel primo Orio, che. fe’sventolare il fazzoletto sulla punta del bastone, gridando: Viva i’Italia, Il Demavend, punto culminante dell’Elburs, la catena che circonda al mez¬ zodì il Caspio, fu salito per la prima volta dall'inglesé Taylor Thómson nel 1837; l’anno dopo dalcapitano russo Lemm; e nel 1843 dal botanico tedesco Kotschy (quei medesimo che Osculati e De Vècchi trovarono sUllè spiaggie del golfo Persico), ben noto per pregevoli lavori geografici pubblicati nelle Miltheilungm di Gotha, ed ; in altri giornali europei. Nel 1844 il vulcano fu salito.da Rainoldo Thomson (fratello del già nominato) e da lord Kerr; nel 1858 dai medesimi, accompagnati dal signor S, Quintin e dal signor Castelli genovese, stabilito in Tauris; nel 1839 dal signor Beguer, segretario della legazione russa; e nel 1860 dai membri dell’ambasceria prussiangi fra' quali Brugsch. Alcuni di questi si munirono di strm menti e determinarono l’altezza del monte; ma i risul¬ tati dei varii osservatori non essendo riusciti concordi^ tornano preziose le misure barometriche fatte dal prò* fessor Ferrati, uno dei membri della comitiva italiana^ Secondo i suoi calcoli Teheran trovasi a 1240 metri sul livello del mare, Ask a 1798 metri, Abigerm a 2273, q la cima del Demavend, detto, sebbene a torto, il gran faro del Caspio, a 8670 metri. Desiderando* visitare la città di Demavend, la gaia brigata percorse nel suo ri¬ torno a Teheran una strada assai meno bella di quella percorsa nella salita, toccando Ask. Tehej“an è posta nel deserto, a breve distanza dalle propaggini dell’Elburs, fra le ridenti oasi del Scemram e le rovine della biblica Rages. Il Della Valle, che la visitò sul finire del decimo- settimo secolo, la chiama la città dei platani e ladicevasta, poco popolosa, ricca di giardini e frutteti, ed interse¬ cata da ruscelli. La capitale della Persia era allora Ispa- Digitized by LjOOQle m lian^ che cessò di esserlo sul finire dello scor^^secolo^ quando Aga Mohamed Kan trasportò 4 real residenza a Teheran* La fisionomia generale della cittù non è grap fatto diversa da quella di altre città persiane. Il mate¬ riale di costruzione,come al solito,è il fango; eie con¬ trade sono strette, sudicie, irregolari, estremamente pol¬ verose nell’estate, e fangose nella stagione delle piog. gie. NeU’ampia distesa delle casipole e dei ipuriccinoU sorgono poche opere monumentali costrutte in mattoni^ siccome la porta detta dell'impero, il palazzo dello sciah^ ed il mausoleo che racchiude la testa dèi kan di Khivau Il 20 agosto Tambasceria venne con gran pompa e cef- rimoniale ammessa al cospetto dello sciah Nasreddin, che raccolse con modi cortesi, ricevette con visibile compiacenza le insegne dell’ordine deU’Ànnunziata man¬ dategli dal re d’Italia, e per mezzo dell’interprete ralr legrossi delle mutate condizioni del nostro paese. Lo sciah è uomo di bella corporatura, di aspetto intelli¬ gente, d’animo buono e mite, assai colto nella sua na¬ zionale letteratura, apprezzatore per istinto della scienza straniera, e specialmente di quella che gli si manifesta d’immediata utile applicazione, favorevole agli europei, insomma per la Persia un principe civilizzatore. La du¬ rata del soggiorno nella capitale persiana essendo pei cingoli membri dell* ambasciata misurata dagli ullicii rispettivi, e niuno desiderando di prolungarla, il giorno stesso della udienza solenne s’incominciò a parlare della separazione. Il ministro Cerruti e con lui gli addetti alla sezione diplomatica dovevano fermarsi per lottare contro l'ostinazione persiana e conchiudere col governo un trattato commerciale giovevole alla nostra industria serica. Gli altri pensarono tosto al ritorno, ad eccezione però del marchese Dori;», il quale, seguendo gli impulsi del suo ardore per la scienza, si prefisse un viaggio nelle provincie orientali e meridionali della Persia (1). De Fi- (1) 11 marchese ritornò felicemente in Italia con un buon bottÌBO di specie nuove o mal note. Digitized by LjOOQle 168 ìippi, PprPa'ti, Orio, Lighatìa, e quasi tutti gli altri, sta¬ bilirono rirtipatrim ptr la via dOl Gaspio e flei Volga; Ondo iproOacriaronsi i nec<*ssàri passaporti presso Vànr- basciata rossa, che ftt loro generosa di Istrozioni, dì indirizzi,e di commendatizie.Viaggiando ih Separati drap- pelii a qualche giorno di distanza, la brigata VOnné da Teheran a Kazvin; poi volgendo al nord attraversò, al colle di Karzan, la catena deiPEIbors, e quindi scese nel ma¬ gnifico 6hilan,regionè ricca di vegetazione variata e rigo- gliosissima,e formanteil più strano Contrasto collesqttal- lide steppe grigiastre dell’altopiano a mezzodì dell’EI- ùurs. La bellezza del paese cresce col progredire nella valle del Sefldrnd. FCa le spesseggi ah ti macchie dei me¬ lagrani, dei proni, dei cornioli, dei frassini, stendonsi -non pochi oliveti; i fianchi >più elevati dei monti sono rivestiti da boschi di cipressi; ed il fondo dellevtilli è tutto ■pascoli e risaie, intersecato da folte siepi ed ombreggiato da grandi alberi. La mitezza del clima, l’abbondanza delle pioggie, lo strabocchevole numero dei gelsi e degli alberi fruttiferi, fanno dei Ghilan la gemma più bella della corona dello sciah. Da Rescht,capoinogo del Ghitan, si attraversò in barche la laguna di Bnzelli, dóve fanno stazione i piroscafi russi che nella bella stagione per¬ corrono regolarmente il Caspio dall'nna all’altra estre¬ mità^ da Astrakan ad Asterabad. il Taraoro, proveniente da Asterabad, accolse i nostri Viaggiatori, e, costeggiando la riva occidentale del Càspio, si diresse verso il'.nord. L’addio alla Persia non tornò grave ai nostri che ne avevano avuto poco grate impressioni. Squallido e po¬ vero generalmente il suolo, misero, oppresso, ed inerte il popolo, arbitrario il governo, orgogliosi, ignoranti, o noncuranti i dotti ed i molìah, pieni di rovine i vil¬ laggi e le città, tutto vi ispira tristezza, tutto vi mo¬ stra decadenza. Al nord la Caucasia ed il Caspio, signo¬ reggiati dalla Russia, cui recenti e decisive vittorie hanno dato sconfinata influenza nelle cose del reame, al sud il golfo che porta nome di Persico, ma che è intieramente dominato dagli Inglesi, più volte vincitori Digitized by LjOOqIc 469 dfille disordinate forze dello SGÌah 5 e all’est i fiori Tuiv componi, che^ sebbene barbari ed ignoranli più dei Porr stani, li hanno nondimeno vergognosamente sconfitti e cacciati dai loro confini Sembrò ai nostri di metter piede (Vop tratto in Europa e di ritornare in grembo alTordineed alla civiltà quando ebbero pasto il piede sul ponte del Tawwra. H quale, toc¬ cata Astara, ultima città persiana, e Lenkoran, prima città russa, oltre il confine, approdò felicemente a Bacu, e consegnò passoggieri e bagagliai bellissimo.piroscafo, il Bariatinsky. Su questo continu ^ssi il viaggio al porto di Petrowsk, e poi ad Astrakan sulle foci delVo'ga. La cortese accoglienza degli ufficiali, dei consoli, dei go¬ vernatori russi non smentissi in alcuna delle città vi¬ sitate dai nostri, e T egregio De Filippi ebbe agio ed agevolezza ad istituire studi e confronti sulla salsedine del Caspio, sulla sua fauna affatlo lacustre, sulPantico suo perimetro, sull’istmo che lo separa dal mar Nero, e sulla nafta ed i petroli! della penìsola di Baku.Questi argomenti, e la fauna della Persia occidentale gli for¬ nirono tema di parecchi intereswsanti capitoli, ne/quali beo si mostra edotto degli studii che sul bassopiano persico e sui grandi laghi dell’interno bacino asiatico pubblicavano Humboldt, Baèr, Eichwald, Pallas, Homr XBairedeHell,eBorsctcev. Da Astrakan, risalendo il Volga, per Kasan, Nijni Novogorod (celebre per le sue grandi fiere), Mosca, e Pietroburgo, i membri della ornai sciolta 9 àÌssione italiana trovarono dovunque le più liete acco¬ glienze, ed ebbero campo di ammirare la vivificante tras¬ formazione operatasi nella società russa dopo la gran riforma deU’aboUzione della servitù, decretata dal be¬ nefico Alessandro II. Air occidente del mar Caspio la Russia e la Persia non sono divide che dal letto delPArasse-, ma all’oriente del Caspio \o sono da un vasto territorio che porta il nome generico di Turan o di Turkistan. Questo paese, che 1 deserti deU’Ust-Urt e del Kisil-Kum separano dalle steppe chirg()ise occupate <1^14 Russia, ù popolato dalle Digitized by LjOOQle S70 feroci stirpi- dei Tàrcomanni od Usbèchi,! qtiafi, olr nd- madi, òr sedentari, occupano le miti c verdeggianti rc^ ^oni inalliate dairAmar e dal Sir, affluenti del mar d’Àral. Circondato da mari, dà deserti, e dalle catene de’monti dell’Hindnknh e dal Bolor, il Tnrkìstan, mal¬ grado la mitezza del suo clima, l’abbondanza delle ri¬ sorse, e quella semi-civiltà che è propria di tutti i popoli musulmani, si sottrasse quasi compiutamente all’esplo- razioni, rese diffìcilissime dall’intolleranza e dal fona- tismo religioso, vet-o od ostentato, de’suoi popoli e del éuoi principi. 61’ inglesi Stoddart e Corinolly, che si av- •irenturarono nel Turkistan col proposito di studiare le Condizioni fisiche e politiche dei suoi tre principali canati Chiva, Bucava, e Kokand, furono arrestati in Bu¬ cava e condotti al supplizio fra gl’ insulti della pleba¬ glia. Più fortunato fu Alessandro Burnes, che inviato ùel Turali dalla Compagnia delle Indie, ne definì gli Stati : vaste associazioni di predoni e di assassini. Le sue relazioni completate ed ampliate con quelle di alcuni viaggiatori, siccóme,Meyendortf, Khanikof, Lehmann, à cui riuscì in vari! tempi sotto l’egida del governo russo di attraversare quésta e quella parte del Turkistan, foi^ mano tutto il patrimonio posseduto attualmente dalla geografia su quell’ampia rpgione,che i deserti non hanno potuto sottrarre all’influenza russa, e che è forse de¬ stinata a diventare in tempi vicini una nuova provincia del vastissimo impero. Ai nomi degli illustri stranieri è gratissima cosa potere associare quello di alcuni nostri concittadini, che, malgrado le infelicissime condizioni in cui si trovarono, seppero far tesoro di osservazioni svariate é concorsero pel loro meglio ad illustrare I’ìikh spitale paese. Nella primavera del 1863, appena rimpatriata la mis¬ sione di Persia, i signori Gavazzi, Litta, e Meazza, mila¬ nesi^ proponevansi Un viaggio à Bucava nel Turkistan^ alfine di studiarvi l’allevamento dei bachi e farvi rac¬ còlta di sane sementi. A tal uopo, procacciatisi in Russia le necessarie commendatizie pei comandanti militari dei Digitized by LjOOqIc 474 forti sparsi nelle steppe, ed nh certiflcàto di rìcogni* none per le autorità bacaresi, recaronsi ad Orembnrgò, porta della Anssìà asiatica, e sentinella avanzata della civiltà europea sul limitare dei semibarbari e nomadi popoli deH’Asia settentrionale. Trattenutivisi due setti* mane pei necessarii preparativi, lasciarono quella città il 24 aprile 1863, dirigendosi, per la vìa costeggiente il fiume Ural, ad Orsk sull’Ur. FraOremburgo eOrsk contansi 262 verste (1) e 12 stazioni postali, le quali bene spesso sono colonie di Cosacchi, assai superstiziosi, ma ripu* tati per onestà ed intrepidezza. Questo tratto fu percorso con glandi disagij ma senza gravi inconvenienti, se si eccettui la rottura di un ponte di barche sulla Gnberla, per la quale corsero grave rischio i bagagli e, quel che più premeva, i donativi e le commendatizie per le au¬ torità turcomanne. Da Orsk a Casalà sul Sir Daria con* tansi 740 verste, a percorrere le quali occorsero quat¬ tordici giorni. L’uniformità delle steppe è interrotta appena dalle kibitke o iurte de’Chirchisi, dalle stazioni, fatte costruire ne’luoghi piu acconci ad intervalli ab¬ bastanza regolari, dal governo russo, e da alcuni piccoli forti, fra i quali primeggiano quelli di Karabutak e di Uraiskoi. Ad alcune ore da quest’ultimo incomincia il deserto Kara-Kum (sabbie nere), che si estende per 130 verste di larghezza colà dove viene attraversato dalla via delle carovane e fiancheggia a settentrione il mare d’Aral. Casalà sul Sir Daria pochi anni addietro era una sem¬ plice bicocca con poche case; oggi si può chiamare una fortezza, con un presidio di tre o quattromila cosacchi e di un reggimento di fanteria colla debita scorta di can¬ noni ed attiraglio. La popolazione russa e tartara, sta¬ bilitasi colà insieme colla truppa conta forse altret¬ tante persone. Casalà, sia detto per incidenza, giace sotto lo stesso parallelo di Milano, è il centro della linea militare stabilita dai Russi mediante una serie di forti ■ (4) La versta equivale a metri 4066, ed è quindi poco più lunfa del cbilometro. Digitized by LjOOqIc 47 * lnnpfo il Sir Deiria, «d è la reaideiiza dei comqndaTìté della flottìglia dHrAral,icQi batelli non soltanto navigano questo mare ed il Siryma risalgono;TAmne, preparando insensibilmente il terremo alToccupaaione de*paesi che giacciono al mezzodì deirAral. L’orìgine di Casalà data dal 1849, da quando cioè il governo russo ebbe stabi* lita saldamente la sua dominazione nelle steppe chir* ghise; evi si vedono ancora le prime capanne di fango, costrutte dagli ufflciali dell’esercito e della marina, che studiarono i punti più importanti per difendere sul Sir Daria le pacifiche tribù chirghise dalle improvvise ir* rozioni degli Usbechi. Il Sir Daria, conosciuto da^li an¬ tichi col nome laxartes, nasce dai monti Tian-Scian al sud del lago Issick-kuì, attraversa il Kokand, e si getta nell’Aral dopo nn corso di 1500 miglia* Fino al 1860 formò col basso suo corso il limite fra la Russia ed il Turkistan; ma in quell’anno i Russi occuparono tutto il tratto al sud del Sir Daria fino al Gian Daria, e nel 1864 invasero il Kokand fino a Taschkend, e portarono il loro confine lungo il medio corso del fiume. Da Ca¬ salà a Bncara si contano circa 800 versta», le quali, calco¬ lando il lento passo de’cammelli a quattro verste alTora, si percorrono in circa 200 ore. Ventisei stazioni, sempre equidistanti, servono quasi di punti fissi a deter¬ minare la strada. Presso il Gian Daria cessa il terreno argilloso e si entra nel deserto Kis 1 Kum (sabbia rossa). La marcia attraverso questo mare di sabbie mobili, in preda al vento, è di quasi quarantotto ore; ma bisogna compierla con brevissime fermate in circa due giorni e mezzo per potere dissetare le bestie entro il terzo giorno. Tutto questo tratto, ma specialmente i suoi lembi estremi, sono sparsi di scheletri imbiancati dal sole^ da* quali s’allontanano paurosi i cammelli^ quasi pre¬ saghi del pericolo che li. minaccia. Qualche ora dopo le ultime sabbie si trora un leggiero dosso di colline, conosciute sotto il nome di monti Bukan, le quali se¬ gnano la metà della strads^ fra Casalà e Bucara. Di quando in quando vedevansi oscillare sull’orizzonte dtì Digitized by Google 471 punti neri, chn, grandeprgiando e svolgendosi a poco a pnco^manifestavansi talvolta per carovane di pastori chir- ghisi^ migranti in traccia di pascoli; e tal’altra per caro* vane di mercanti bacaresi, dirette ad Oremburgo ed alla gran fiera di Nijni Novogorod. Alle falde meridionali dei fiukan un gru^^odì salici attrasse Tattenzione dei viag¬ giatori, coi parvero Opera d'incantesimo, tanto rocchio loro s'era disavvezzo dalla grata verdura degli alberi Delia squàllida e nuda monotonia di quei deserti. Ol¬ trepassato il villaggio di Wafkend, posto sor un ramo del Zerafscian, la carovana toccò il fertile e ben colti¬ vato distretto che circonda Bucara. Entrati in questa città all’aprirsi del giugno,! nostri ebbero sulle prime cortesi accoglienze dal toxabai (luogotenente delTemiro), e licenza di aggirarsi per la città, di visitare i bazar, di far compere, e di allestire uno stabilimento per la confezione della semente; ma pochi giorni dopo, senza alcun motivo reale od opparente, per un semplice atto di quel dispotismo, per mi vanno famigerati i Turco- manni, vennero rinchiusi in una cameretta, e colà de¬ tenuti per circa un anno in una continua, crudelissima alternativa di minaccie, di scherni, e di promesse. Avver¬ tito il governatore di Oremburgo delle tristi condizioni in coi trovavansi ridotti, malgrado la carta di ricognizione russa, quegli ricorse tosto a gravi misure, arrestando il caravanbasch (console) bucarese in quella città, e rifiu¬ tando i passaporti ai mercanti bucaresi, diretti verso rinterno dell'impero. Il numeroso ceto mercantile bu¬ carese, spaventato dall’idea dei danni che potevano ve¬ nire da una rottura colla Russia, mandò una deputazione allVmiro, che sul finire di marzo tornato a Bucara da una spedizione guerresca nell’Issar, sollecitò la liberazione dei nostri concittadini, ed insieme con essi di parecchi Cosacchi, al pari dei nostri, detenuti in ischiavitù, mal¬ grado i patti stretti fra la Russia e l’emiro di Bucara. Il 28 giugno i864 i prigionieri furono liberati, e venne loro sborsata in valuta del paese una somma che li in¬ dennizzasse dei loro oggetti vendati all’incanto sulla Digitized by LjOOQle 174 pubblica piazza, deti^tto però rimporto dei TiTeri soiiik> ministrati loro dorante ta prigionìa, quasiché si trattasse di cosa convenuta111 giorno 11 luglio i nostri abbando¬ narono quel triste nido della tirannia e del fanatismo, raggiunsero per via i vecchi amici cosacchi, da’ quali avevano sempre avuto le prove più commoventi di sim¬ patia ed amicizia, e con essi per la solita vìa di Casalà, Orsk, ed Oremburgo, pervennero a Pietroburgo, - Quivi i nostri ebbero il piacere di ringraziare i perso¬ naggi che più si erano adoperati perla loro liberazione, fra ì quali il contrammiraglio Butakoffed il consigliere Semenoff, personaggi notissimi ai geografi pei loro gran¬ diosi lavori sui vasti laghi dell’Asia.In essi,per confes¬ sione dei nostri concittadini, la Scienza è pari alla no- billà del sentire ed alla bontà del earatlere. La breve ed elegante relazione pubblicata dal signor Gavazzi intorno a questo viaggio incomincia con parole che ne manifestano troppo bene l’indole ed il valore perchè possiamo astenerci dal riferirle. «Nel lasciare la Russia, allorché c’incamminavamo verso Bucara, era grandissima in noi la buona volontà di raccogliere nozioni sui paesi che stavamo per attra¬ versare; e se la nostra spedizione non fosse stata cosi bruttamente avventurosa, avremmo potuto averne di più svariate ed interessanti, specialmente sulla produzione, sull’industria, e sul commercio di quelle popolazioni. Ma nell’andata dovemmo adottare precauzioni tali, che ci dessero l’apparenza di uomini dediti esclusivamente alla mercatura, ed ostentare la più apatica noncuranza d’ogni cosa che non entrasse nel novero dei nostri affari. Ne’pochi giorni, che rimanemmo liberi a Bucara, la sor¬ veglianza che ci attorniava era cosi severa, e cosi inces¬ santi le core per avviare la produzione della semente, che ci restavano pochissima opportunità e pochissimo tempo di addentrarci in cose estranee alla nostra missione. Dopo venne improvvisa la prigionia e la separazione dal nostro interprete, e quando lasciammo Bucara non avemmo agio nemmeno di vedere le vie della città. Condotti sotto scorta Digitized by LjOOqIc in dulia porta dèlia' j^^ène a' qàellà della città, attratér^ àammo difilato il paésè find alle prime sabbie distanti circa una cinquantina di rerste; Da quel punto, durante il Tiaggio di ritorno, ci fu nemica la salute, divenuta malferma per la prigionia sofferta e per le sabbie rese cocenti dal sòie di luglio. Oltre a ciò ci mancavano gli interpreti; e sebbene ci servissero come tali i cosacchi compagni di sventura e di riaggio, nondimeno nè le nostre cognizioni in fatto di lingua rUssa, nè le loro ini le contrade che percorrevamo, si stendevano tanto che ci bastassero a raccogliere utili dati. Però anche in tanta deficienza di mezzi, abbiamo potuto spigolare, per cosi dire, dopo la ricca messe accumulata da coloro, che ci precedettero in quella regione e si trovarono in circostanze assai più favorevoli. Potemmo scorgere che pel contatto della Russia la civiltà filtra e si propaga fra le popolazioni del Turkistan, ed abbiamo fatto esperienza del carattere e de’costumi di quelle genti. Queste poche notizie raccolte a spizzico in un paese di difficile espio* razione avranno qualche valore per chi è dedito agli studi, per chi ci segui con affetto nelle nostre peregri¬ nazioni, e pel nostro governo che ci ha protetti con tanta efficacia». Malgrado questa dichiarazione, altrettanto esplicita quanto modesta, noi non esitiamo neU’assicnrare il lettore che la relazione del signor Gavazzi contiene molte no¬ tizie poco comuni sul Turl(istan,e specialmente sul clima, sulla yaria vegetazione della steppa, sulle diversissime stirpi etnografiche, sui prodotti del suolo, sulla proprietà fondiaria, suH’irrigazione ed altre analogie colla Lombar¬ dia, sui prodotti che potrebbero divenire oggetto di lucro, sul commercio, oggidì esercitato fra Turcomanni, Chir- ghisi, e Russi,sulle condizioni agricole, sull’allevamento de’bachi, sulla pastorizia, é sui modi d’amministrazione e di governo in Bucara forze., e relazioni .ostili od amichei^li, ninno meglio di Ini conobbe l'Àra- .bia settentrionale. Ce nedanno prova laGarto geografica ■etatisttea del deserto siro-arabico, nella quale il Guarmani riassunse per lungo giro d’anni le sue osservazioni, e che speriamo vorrà un giorno pubblicare, e gl’itine¬ rari e gli schiarimenti da lui forniti nella natia favella ai dotti stranieri, e da questi tradotti e-stampati nei periodici geografici di Parigi edi Berlino.Nel settembre 1863 Guarmani fu chiamato in Francia dal ministro del commercio signor Behic, che desiderava presentarlo al signor Fleury, aiutante dell’imperatore e direttore delle scuderie (haras). Giunto a Parigi ricevette dal re d’italin grazioso invito di recarsi a Torino. Nel dicembre 1863 tornato a Gerusalemme coll’inca¬ rico di procacciare egregi stalloni alle scuderie dei so¬ vrani d’itplia e di Francia, risolse di penetrare nel cuore del Neged, del quale dapprima non aveva toccato che il confine. Vestitosi da beduino, comperò dromedari e cam¬ melli, li caricò di provvigioni e di donativi pe’capi tribù, e s’avviò, seguito dal servo Mahommed el Gezzeni, verso il sud. Gli amici e la moglie s’accommiatarono da lui piangendo, dacché temevano che egli corresse a morte certa fra le fanatiche tribù del centro. OaH’Uadi Ga- leite, per la valle del Jerka Mein, andò nei deserti per- Digitized by LjOOqIc m corsi dai Beni Hamide e dai Beni Saker. Spacciarasd per jan agente dei governo Ottomano, e per essere creduto mussulmano osservava quotidianamente e col più stretto rigore ie cerimonie volute dal rito. Ora prudente, ora ardito, ma sempre avveduto e scaltro, seppe cattivarsi J’animodei capi tribù, che Tospitarono cortesemente, gli diedero lettere di raccomandazione pei loro amici,, e lo fecero scortare da uno della tribù, vivente testimonio della protezione che i Beni Saker desideravano accoP' data al viaggiatore da tutte le tribù alleate. Dal campo dei Beni Saker, Kalil-agà (nome orientale del Guarmani)^ dirigendosi generalmente a sud-est, passò l’Uadi Abur Scersciuk rii febbraio 1864; pòi entrò neirArd-el-Suan^ valicò sabbie e colline fino alTUadi Sciummeri, indi col^ line e sabbie fino alTUadi-el-Aanab. Forma questo il limite fra TArd-el-Suan ed il Tobeit. Freddissime erano le notti, copiose le rugiade, caldissime le ore meridiane. Mentre i due servi vegliavano ai bisogni delle bestie ed alla buona direzione del viaggio, Guarmani daU’alto del suo dromedario esaminava fino alTestremo orizzonte la configurazione del suolo, la direzione delle alture, TaV ternarsi delle sabbie colle strette zone verdeggianti, e di tutto faceva tesoro nel libro delle sue annotazioni. Xia bussola, indivisibile compagna, gli indicava la dire- .zione della linea che percorreva; le distanze gli erano indicate in modo approssimativo dall’uniforme passo del dromedario, calcolato 86 metri al minuto, poco piu di cinque chilometri all’ora. Di tanto in tanto l’occhio interrogava ansioso il lontanissimo orizzonte, giacché •/ peggior incontro che far si possa nel deserto è Vuomo. Oltre¬ passata la lunga gola El Fihe nel Tobeit, entrò nell’El Gare, ove i pochi Uadi, che vi sono, anziché a nord-ovest, scorrono verso sud-ovest. Nell’El Feger incontrò il campo dei Scerarat, tribù bellicosa ed amantissima della poesia e della declamazione. Fu accolto cortesemente, ed alber¬ gate nella tenda riserbata agli ospiti; ma fu alquanto sconcertato dalla notizia che il potente emiro Talab- eben-rascid stava per muovere guerra ai Scerarat ed allo Digitized by GooQle 480 tribù che voleva piegare al tributo. Senza adflio, e, senza ringraziamenti, come vuole il costume beduino, 6ua^ mani lasciò il campo dei Scerarat, e, varcato TUadi Aghelet-el-Gemelon, entrò nelVArd Teime. Questo terri¬ torio prende il nome dal villaggio di Teime, il quale giace sotto L.N.27®30’, ed è governato dalTemiro RuJr- man. Ecco con quali parole ce lo descrive: «Teime è un villaggio di mille abitanti, governato in nome di Talab-eben-rascid dall'emiro Ramman-eben-fteime. A prima vista non scorgete che un boschetto di palme sor^ gente fra le sabbie, circondato da una corona di torric- ciuole alte da cinque a sei metri, e da un muricciuolo di cinta alto tre metri. Le torri si innalzano a distanze irregolari e sono costrutte di mattoni seccati al sole. Il villaggio si divide in tre quartieri, e ciascuno di questi si compone di casuccie isolate fra gruppi di palme, e si divide dal vicino quartiere per mezzo di un muric¬ ciuolo interno. Le casuccie sono adunqué nascoste fra le piante. Alcune poche si allineano sulla via, e queste hanno forma di torri a due piani, ricevono luce da un piccolo cortile interno, e vanno munite di feritoie. Rami di palme coperti di fango formano i tetti, alquanto incli¬ nati ,per facilitare nel verno lo scolo delTacqua piovana. Le moschee non sono che camere semplicissime: il mih- rab è volto al sud, ed il più alto minareto di poco sor¬ passa Taltezza delle vicine palme. Dal pozzo comunale alcuni canaletti scavati in tronchi di palme conducono l’acqua ne’giardini che ne sono privi. Il pozzo ormai più che del comune è proprietà di poche famiglie più influenti, che però ne concedono l’uso a tutti, dietro leggiero compenso giornaliero. Quarantotto cammelli ten¬ gono in continuo moto un ingegnoso meccanismo pel quale s’alza l’acqua e si distribuisce. Latte, burro,dattili sono le ricchezze comuni. Non vi sono mercati pubblici 0 bazar; le compere si fanno nelle abitazioni stesse dei negozianti, i quali si procacciano le merci dai mer¬ canti pellegrini che vengono dal Neged, o dalle caro¬ vane che dirigendosi alla Mecca fanno stazione a Belke, Digitized by LjOOQle i81 ari an giorno e mezzo di lontananza da Teime. 1 costumi beduini trovansi quivi in tutta la loro purità. Centocin¬ quanta fucilieri con fucili a miccia, e venti cavalieri, sono sempre pronti alla difesa del luogo; il quale nondimeno non ne sarebbe gran che assicurato, se non fosse tribu¬ tario di Talal, e per conseguenza alleato degli Scerarat, degli Anasi-Uld-Suleiman, e degli Aleidan; le sole tribù cui sia concesso entrare nel territorio di Teime». L’emiro Rumman ospitò cortesemente Guarmani e gli diede una commendatizia per Talal, il quale s’intitola bensì governatore in nome del sultano, ma in verità è dispotico sovrano di gran parte del Neged. Da Teime volse il Guarmani verso l’est nei territorii El Haulat ed EI GhebaI; ma per schivare le orride sabbie del Nufut, vero mare di arene sempre agitate dai venti, dovette descri¬ vere una gran curva concava verso il nord. 11 capo degli Aleidan, accampato tre giorni al S. E. di Teime, accolse amichevolmente la piccola carovana del nostro concittadino, ma mostrò di prestare poca fede alle zelanti inchieste di stalloni che quegli gli faceva in nome di Fuad pascià, e lo tenne per uno spione del governo turco. Il 30 febbraio Guarmani, entrando in Keibar, restò sorpreso alla vista degli abitanti, che ras¬ somigliano tanto ai negri dell’Africa centrale da far credere al viaggiatore di essere nel Sudan (1). Nei primi di marzo, raggiunto il campo degli Ehtebe, che viaggia¬ vano pel verso medesimo, si uni con loro. Meflak, capo della tribù, accolse con tutti i riguardi il supposto agente del Sultano, e lo festeggiò principalmente nei primi tre giorni deirarrivo, sacri all’ospitalità. Nelle marcie, te¬ mendosi un assalto per parte di un capo per nome Abdallah, si procedeva con tutta precauzione. Erano alla avanguardia200cavalieri,700 alla retroguardia, le donne, i fanciulli, i bestiami nel centro. Il 13 marzo s’incontrò il nemico; e per sfuggire ai numerosi suoi cavalieri gli (t) strano che Guarmani tocchi così hrevemente questo pun'.o es¬ senziale; eppure non dice altro. 31 Branca, Storia dei Viaggiatori Italiani, Digitized by LjOOQle 482 Ehtebe si annidarono fra dirupate alture, non molto lon* tane dal punto, da dove erasi scòrto airorizzonte Tav- versario. Durante il combattimento sopravvenne in aiuto di Meflak la tribù di Ruga, guidata da Sultan-eben- Rubean, ed Abdallah dovette piegare in disordine. Guar- mani, intanto che si pugnava, era costretto a starsene fra i non combattenti e si adoperava nel fasciare i fe¬ riti. In questa occasione ammirò lo straordinario sangue freddo delle donne, le quali, medicata la ferita, riman¬ davano spesse volte il figlio od il marito sul campo della battaglia. In compenso dei buoni uffici Guarmani ebbe in dono da Meflak un magniflco cavallo e potè compe¬ rare per mitissimo prezzo stalloni di rara bellezza. Par¬ titi gli Ehtebe restò solo sul campo insanguinato, e si diede a raccogliere erbe nelle vicinanze; ma, avendo bevuto dell’acqua di una vicina fonte, fu ad un tratto sorpreso da un fortissimo male e da vomiti impetuosi. Quando riebbe i sensi, trovossi dintorno il fedele servo Ali e1 Fedami ed alcune zingare che l’avevano salvato mediante potenti fregagioni. Commosso e riconoscente ringraziò quel Dio che 8i sente nella solitudine. Poco dopo, mentre l’ombra dei corpi già indicava ravvicinarsi del- Vasser (1), alcuni cavalieri di Abdallah sorpresero il Guarmani ed ^il piccolo suo seguito, intimandogli di seguirli ad Aneizah nel Gassim. Era appunto la città che Guarmani desiderava visitare. Giace sotto L.N. 2o« 50' e fu il punto più meridionale del viaggio. Dista 15 ore all’est dal campo d’Abdallah, e vi si giunge toccando i luoghi di Guara, El Aiun, e Breda. Il Neged settentrio¬ nale si divide in tre provincie principali : Gebel Sciam- mar {Djebel chómer scrivono i Francesi), Sudeir, e Cas- sim. Aneizeh è il capoluogo più importante del Cassim. Il limite col Neged meridiònale è formato dall’Uescem, ossia vallea dell’Udi Ezar, territorio riconosciuto neutro da tutte le tribù. Da Aneizeh il Guarmani fu portato (4) Co» chiamano gii arabi fora di mezzo fra il mezz(^iorno eia sera, aH’incirca le tre pomeridiane Digitized by LjOOQle 483 per Gofeh e Fed a Tabe net Gebel Sciammar. A tre ore sud-ovest da Tabe trovasi il campo di Bendar, figlio del potente Talal. Bendar, non soltanto licenziò la scorta e lagnossi deìl*eccessiva diffidenza di Abdalìah, ma volle che il nostro Kalil-agà fosse trattato con tutti i riguardi, e gli offrì di presentarlo personalmente al principe di lui padre. Il primo aprile infatti, scortato da Bendar, entrò in Kail, capoluogo di Gebel e residenza di Talal. Anzitutto si diresse alla moschea per farvi i suoi rihai a Maometto; ma qual fu il suo ribrezzo trovando presso la porta il cadavere di un ebreo ucciso a furor di po¬ polo! Il meschino s’era addentrato nelf Arabia, coll* in¬ tenzione di comperarvi cavalli per lo sciah di Persia; ma, sdegnando rinnegare anche nelle apparènze il suo culto, era caduto vittima della sua imprudenza. Mentre la notizia del fatto correva di tribù in tribù fino a Ge¬ rusalemme e vi poneva in atroci angosce la famiglia del viaggiatore, questi era albergato in comoda saletta nel palazzo stesso del principe, e scolpiva nelle lignee pa¬ reti il nome dell’amata figlia e Tanno del viaggio: Zulimn, 1864. In aspettazione dell’udienza Guarmani pas¬ seggiò per la città, e trovò nei bazar parecchi mercanti provenienti dalTIrak, da Bagdad, e fin da Bassora. L’ac¬ coglienza fattagli dal principe nella gran sala, al cospetto dei dignitari, fu cortese, ma un po’troppo muta, giac¬ che Talal si contentò di salutare con un gesto grave e convenzionale. Più cordiale fu il ricevimento privato nelle stanze interne, e piena di intimità si fe*col tempo Tamichevole relazione fra Talal ed il Guarmani. « L'emiro Talal-eben-Rescid, cosi scrive il nostro livor¬ nese, è un uomo sui quarant’anni, piccolo, grasso, bruno, dagli occhi neri e vivi, e dal naso aquilino. Porta un finissimo abah dell’Bassa, color marrone, un kef^eh di Bagdad, un aakal appeso al collo mediante cordoni d’oro e seta,una veste color verde scuro, ed una camicia bianca. Era già uscito dalla moschea e rendeva giustizia presso la porta della casa. Sedeva sur un banco di pietra che occupa la base orientale del tempio; aveva seduti a si- Digitized by LjOOqIc 484 nistra i principali suoi impiegati, e davanti in semi¬ cerchio seduti sul terreno circa venti servi ben vestiti di abech neri. Come il principe, tutti avevano sulle gi¬ nocchia la scimitarra, che non si cinge fuorché all'istante di salire a cavallo* Una povera donna implorava giu¬ stizia contro il governatore di Usseta, che senza permesso si era giovato di un asino a lei appartenente, e Taveva maltrattata quando ne aveva chiesto soddisfazione. Talal ordinò a due cavalieri di scortare quella donna ad Us¬ seta, e di costringere il governatore a darle il più bello fra i suoi giumei\ti, ed in compenso dei maltrattamenti una imweo vestito completo. La donna s'allontanò bene¬ dicendo il giudice. L’emiro mette in azione le parole del- TEvangelo: «Quelli che si servono della spada, periranno di spada, » agii assassini la morte, a chi ferisce in rissa il taglio della mano, ai falsi testimonii ed ai bugiardi fa bruciare la barba, ai ladri la prigione, ai ribelli la confisca dei beni. Mi diceva spesse volte che le vedove e gli orfani gli erano più cari della stessa sua famiglia. Tutti i suoi giudizii erano pieni di equità e di gene¬ rosità, sebbene severi. Quando la sera mi riceveva nel suo appartamento e si passava un’ora assieme nella sala del caffè, poeti estemporanei improvvisavano carmi in suo onore. In mia presenza regalò il poeta Eben Sehud, cieco come Omero, di un vestito completo cento talleri megidi, un dromedario, ed un cavallo per una poesia che finiva col ritornello: «È Eben-Rascid che ha per sé tutto il Neged ». Passati i tre giorni sacri all’ospitalità, il Guarmani desiderò recarsi ai pascoli di Mestegeddet, ove aveva inviati gli stalloni. L’emiro lo compiacque, e lo fe’scor- tare da venti cavalieri, comandati da quello stesso Anei- bar che per ordine di Abdallah aveva arrestato il nostro esploratore presso i confini del Cassim. Cedendo alle istanze di questo, Aneibar rinunciò alla sua abitudine di viaggiare la notte, e permise cosi a Guarmani di esa¬ minare buon tratto di paese al sud.di Kail, cioè il ter¬ ritorio dei Beni Temin ed i loro villaggi di Cofar, El Digitized by LjOOQle 485 Gazai, El Roda, e Mestegeddet. Da questo punto inviò gli stalloni ai pascoli più settentrionali di Gofeife; poi fe’ritorno a El Gazai, toccando il villaggio di El Sa- leime alquanto all’ovest di El Roda. Da El Gazai venuto ad El Kasser, prese commiato da Aneibar e da Ben¬ dar, e seguito dal fedele All recossi a Mocac ove pre¬ sentò al governatore una commendatizia firmata da Bendar. Una breve corsa da Mocac a Gofeife lo persuase che gli stalloni erano ben guardati e pasciuti. Tranquil¬ lato su questo punto essenzialissimo, recossi da Mocac a El Bedan, e da qui intraprese il 12 aprile una escur¬ sione fino a Teime. Dodici giorni dopo era di ritorno ad El Bedan, contento di aver tracciata una nuova linea suU’itinerario, e di averla ben riveduta ricalcandola nel ritorno. Reduce a Kail, negli ultimi giorni dell’aprile e nei primi del maggio si trovò presente ai preparativi di una spedizione contro i Scerarat; ond’egli, inviati i cavalli a Gobbeh, si pose alla coda della spedizione, ohe era guidata daH’emiro Talal in persona. Ecco come ci rende conto dei costumi delle donne indigene: «Cosi abbandonai il Sciaramar, senza aver sofferto alcun danno, ed anzi commosso dalle gentilezze ricevute. Il fanatismo religioso è ivi eccessivo, perchè per la di¬ sfatta dei Vakabiti il ritorno all’antica credenza si operò con forte reazione, e forzò tutti a mostrare uno zelo più 0 meno sincero. I costumi sono pessimi, dissoluti gli uomini, lussuriose le donne. Queste hanno la tinta bruna delle egiziane; gli occhi grandi ed alquanto obliqui risplendono di fuoco lascivo; le mani ed i piedi sono tali da farne gelose le più eleganti damine di Parigi; le forme del corpo tanto belle che si potrebbero paragonare alla Venere de' Medici ed alle creazioni più splendide di Canova e di Pradier. Hanno capelli lunghissimi , Peri, e resi lucenti da una polvere finissima di scorza di palme, ovvero dal grasso depurato che si estrae dalla còda dei montoni. Le ragazze di Usseta e di Ekede, villaggi a mezz’ora da Kail, sono specialmente rinomate per bellezza e licenza di costumi. Recansi sulla piazza Digitized by LjOOQle 486 della moschea a Kail per vendervi gli erbaggi, e si co¬ prono di nn velo nero {sciambar) tanto trasparente che possono dirsi velate senza che lo siano. Il velo casca facilmente per qualche caso, ogniqualvolta garbi alle mariole il garzone che loro invia il profeta. I giovani principi delle diverse famiglie dei Beni-Rascid ne sono gli amanti preferiti, e Vemiro è sempre disposto a chiu¬ dere un occhio e ad accettare i fatti compiuti. Anche Bendar ha la sua amante frale fanciulle dj Ussita, i figli di si facili unioni non sono riconosciuti da’padri, re¬ stano colla madre, seduttrice piuttosto che sedotta, e sono tollerati dai parenti, che vedono aperta la via alle benedizioni del cielo, o, per dirla più chiaramente, ai regali dell’amante. Se un padre maltrattasse la figlia colpevole, si vedrebbe esposto all’ira dei principi, e do¬ vrebbe emigrare, lasciando beni e famiglia». Da Gobbeh, viaggiando nell^i direzione generale di nord-ovest attraverso il difficile labirinto delle colline del Nefut, Guarmani raggiunse i tre colli di Aleim, unico faro di salvezza in quella desolata solitudine; poi procedendo nella stessa direzione per il Mogean venne ad.una depressione ricca di stagni, palme e villaggi, chia¬ mata dagli Arabi El Giof. A Scaca, villaggio posto a breve distanza dal Giof verso l’est, prese commiato da Talal che lo colmò di cortesie. Dal Giof continuò il viaggio solo co’servi. Spintosi per un buon tratto all’ovest, co¬ steggiando le falde meridionali degli El Daare, riprese poscia la direzione di nord-ovest verso TUadi El Servan; ma assalito dagli Scelan, dovette la salvezza alla ve¬ locità de’suoi cavalli. Sempre nel timore d’essere sor¬ preso, e sostando appena colà ove qualche piega del terreno poteva celarlo all’occhio acutissimo del predone arabo, arrivò finalmente ad El Adeimat, ed all’oasi po¬ polosa di Kseba. Qui cessavano per Guarmani i paesi incogniti; per lo che il suo itinerario tace l’ultima fase del viaggio da Kseba (per Damasco, Tiberiade, e Na¬ zareth) a Gerusalemme. La relazione pubblicata da) viaggiatore livornese non Digitized by LjOOQle 487 pretende di#aver fatto grandi rivelazioni, ed è spoglia af¬ fatto di quelle indicazioni esatte che si ottengono per mezzo degli strumenti ; ma è tanto minuta ed accurata nel registrare le distanze in ore e minuti, e la direzione delle linee percorse,che la scienza se ne può giovare assa¬ issimo. Il viaggio di GuarmanijVero monumento di scru¬ polosa accuratezza, ci ha svelato buona parte della pe¬ nisola araba fin a circa sette gradi al .sud di Gerusa¬ lemme, e serve di ottimo complemento al viaggio di Paigrave, che fu tanto esaltato in Francia ed in Inghil¬ terra. Anzi il dottore Wetzstein, console prussiano in Damasco, e noto per lavori pubblicati negli Atti della Società geografica berlinese concernenti le sue escursioni neirHauran ed altre parti di Siria, confrontando i la¬ vori del viaggiatore inglese con quelli di Guarmani, mentre esprimeva giudìzi molto severi su quelli del primo, lodava il metodo e la chiarezza degli itinerarii del secoudo. Vennero questi pubblicati in lingua italiana a Gerusalemme, poi in tedesco, ma solo per estratti, nel giornale geografico di Berlino,e quindi in francese, e per intero, nel Bollettino della Società geografica di Parigi. La bella carta che accompagna quest’ultima pubblica¬ zione dà il viaggio diviso in sette itinerarii, e calcola le distanze in ore sul passo del dromedario, tenendo conto dei rigiri e delle ondulazioni del terreno. Le note sono io italiano come negli schizzi originali delTautore; e, quel che piace ancor più, i nomi arabi sono scritti colla nostra ortografia, cioè come devono essere letti dagritaliani per riprodurre colla maggiore possibile fedeltà il suono delle parole indigene (1). (1) Inglesi, Francesi, e Tedeschi adattano alla propria ortografia i nomi dei luoghi non europei, massime degli orientali. A noi niuno contesta ugual diritto, ed è quindi sciocca servilità il copiare fedel¬ mente i nomi stroppiati dagli stranieri senza pensare ch’essi nella nostra ortografia ci rappresentano suoni ben diversi dagli originali. SeTln- glese scrivo Amor e Pelew, il francese Amour e Peliou, noi dobbiamo e possiamo scrivere Amor e PHiu. Valga questo per migliaia di esempi. Digitized by LjOOQle 488 Fra il deserto arabico ed il Mediterranoo si stende un paese piccolo di superficie, grande per memorie, la Palestina o Terra Santa. Teatro delle gesta del popolo di Dio e della vita del Redentore, è questo il sacro suolo della Bibbia, ove fanno capo tutte te tradizioni del Cri¬ stianesimo, ove i fedeli di Cristo si recano in pellegri¬ naggio, cercando con venerazione quella città, quei luo¬ ghi, quei fiumi, quei punti insomma che ricordano fatti raccontati nelle sacre pagine. Quivi il Libano^il Gior¬ dano, il Mar morto, il lago di Tiberiade, il monte Tabor, Samaria, Ebron, Gaza, Betlemme, Nazaret, Acri, e Geru¬ salemme colte grandi memorie che si annodano ad ogni sua parte, la valle di Giosafat, il monte degli Olivi, il Cedron, il Santo Sepolcro, ed infiniti avanzi dell’epoca giudaica. Il bellicoso, pio, e cavalleresco medio-evo mal soffriva di vedere profanati i santi luoghi dal dominio degl’infedeli, e per ben sette volte nel corso di due secoli (dodicesimo e tredicesimo) l’Europa mandò in folla ì suoi campióni croce-segnati alla conquista di Terra- Santa. Il disordine, le discordie, le diflicoltà create dalle distanze e dalle comunicazioni lentissime mandarono a vuoto tutti gli sforzi dell'entusiasmo e del fanatismo religioso; e soltanto per breve epoca i Crociati signoreg¬ giarono il vagheggiato paese, che ricadde poi senza ec¬ cezione e senza riscatto sotto il giogo de’Saraceni. Ma il pio pellegrino, sfidando gli scherni e le persecuzioni, recossi in ogni tempo a baciare quel suolo fatto sacro dalla Passione del Redentore, e negli ultimi decenni le grandi potenze cristiane, sia di confessione cattolica, sia delle confessioni acattoliche, compirono un nuovo modo di conquista, mandando in Terra-Santa storici, archeo¬ logi, e naturalisti, coll’incarico di esplorarla e descri¬ verla minutamente in ogni sua parte. Gli anglo-ameri¬ cani Edoardo Robinson e Smith nel 1838, visitato il paese della Bibbia, raccolsero le loro osservazioni in un libro (Biblical mearcAes, 2*edit. London, Murray, 1856, 3 voi.) che inaugurò gli studi di geografia biblica. Furono questi continuati ed ampliati per incarico del Governo Digitized by LjOOqIc 489 degli Stati Uniti dal capitano Lynch; per ordine ed in¬ carico del Governo francese da Saulcy (1850-51,1863-64); per proprio generoso impulso dal munifico duca di Luynes alla testa d'un drappello di dotti suoi compae¬ sani (1851-52); da molti tedeschi, siccome Busch, Sepp, Raurner, Furrer, Ida Pfeiffer; da molti inglesi, siccome Stanley, Porter, e Barclay; e da parecchi italiani, siccome Bassi e Pierotti. I libri di questi eruditi visitatori della Palestina, in buona parte illustrati ed accompagnati da costosi lavori cartografici, hanno gettata tanta luce su di essa, che oramai la scienza considera siccome sua piena conquista (1). Ciò non ostante noi non dobbiamo ri¬ starci dalfesaminare più minutamente ciò che fecero in ogni tempo gl’italiani per chiarire quel famoso paese. Anche in questo campo, come in tanti altri, noi ab¬ biamo il povero conforto di poter dire agli stranieri: Se nei tempi moderni non reggiamo al vostro confronto, vi abbiamo preceduto di molti secoli nei tempi andati. DagPItaliani ebbe l’Europa le prime descrizioni o pelle¬ grinaggi di Terra-Santa; e italiani ne furono per la mag¬ gior parte i visitatori fino allo scorso secolo. Rinaldo da Monte Crocea toscano, reduce da Gerusalemme nel tre¬ dicesimo secolo, scrisse con purissimo stile e con grande pietà la storia del suo viaggio; libriccino che venne stampato in Firenze nel 1793 e ristampato come testo di lingua ai nostri giorni (Siena 1864). Marino Sànuto, il cartografo veneziano, verso il 1350 disegnò insieme a Do¬ menico Pizigano una carta della Palestina, che nel 1865 venne acquistata dal signor Cortambertper la biblioteca imperiale di Parigi. I limiti della carta sono il lago Asfal- tide,il Giordano, e il lago di Tiberiade; e vi si leggono i nomi di Dan, Sidon,Zoar, Binoculura,Tyrus, Alexandria, (1) 11 signor Tito Tobler, svizzero, pubblicò in Lipsia nel 1857 una Bibliographia geographica PakestinoB, nella quale enumera criiica- menle lutto ciò che venne pubblicato in ogni tempo ed in ogni lingua sulla medesima. La carta piò bella della Palestina è quella pubblicata in grandissima scala e con mirabile lavoro da Van de Velde a Gotha nel 1866. 31 * Branca, Storia dei Viayginlori Italiani. Digitized by LjOOQle 490 Ecdippa, Dora Cesarea, Bethar, Toppa, Ascalon, Gaza, Ra- phia; punti uniti fra loro da linee che, a quanto pare, vor¬ rebbero rappresentare strade. La pianta di Gerusalemme, opera del Sanuto, sarà sempre un monumento ragguar¬ devole nella storia degli studi biblici. Nel 1320, anno in cui morì Rinaldo,Francesco Pipino bolognese, noto anche per la traduzione di Bernardo Tesaurario, visitata Gerusa¬ lemme, narrò in brevi pagine il suo pellegrinaggio. Leo¬ nardo di Nicolò Frescobaldi e Simone Sigoli, fiorentini, nel 1384 percorsero l’Egitto e la penisola del Sinai, e pas¬ sarono per l’istmo nella valle del Giordano. Ebbero per compagni Giorgio Gucci ed Andrea Rinuccini, ambedue di nobile schiatta fiorentina. Il Frescobaldi, discendente da quel Pino Frescobaldi, che, secondo il Boccaccio, con¬ servò a Dante i primi sette canti ùeWsL Divina Commedia.è noto anche per l’ambasceria a Bonifacio IX, che gli venne affidata dalla Repubblica fiorentina nel 1398.1 nostri pel¬ legrini da Firenze passarono a Venezia, poi a Zante, a Modone, ad Alessandria d’Egitto, ed al Cairo, e poi, pel deserto, al Sinai, a Gaza, ed a Gerusalemme. Visitata anche Damasco, ripartirono per la via di Baruti,e tanto il Sigoli che il Frescobaldi dettarono nello stile ingenuo del trecento le loro avventure. La Crusca fece tesoro de’grani d’oro sparsi in quelle pagine semplici e sem¬ pliciotte. Guglielmo Manzi pubblicò nel 1818 a Roma il viaggio del Frescobaldi, vantandolo preziosissimo testo e premettendogli un discorso sul commercio degl’italiani nel secolo decimoquarto (1). Mariano da Siena yprso il 1431 scrisse un Viaggio in Terra Santa che si stampò sol¬ tanto nel 1822 in Firenze. Verso il 1470 un altro pel¬ legrinaggio facevasi da Pietro Casola, e l’erudito biblio¬ grafo milanese conte Giulio Porro ne curava nel ISoo la pubblicazione. Le biblioteche di Milano, Bologna, Ve¬ rona conservano ancora i manoscritti di Roberto da San Severino, di Alessandro di Filippo Rinucci, e di Felice Fe- (1) Il Barbèra pubblicò receutemente nella sua colleìionc diamante ! testi di lingua del Frescobaldi e del Sigoli. Digitized by LjOOQle m liciani. Una delle prime opere stampate in Milano (1481) è l’itinerario di Santo Brasca. Pochi anni dopo 0J489) un altro pellegrinaggio si faceva da un anonimo, in¬ torno al quale parlò Giovanni Mariti neW Illustrazione di un anonimo viaggiatore (1785). I viaggi di Terra Santa e gltscritti relativi moltiplica- ronsi in Italia nel corso del decimosesto secolo enei primo quarto del decimosettimo. Gerolamo Alzarotti, Stefano Mantegazza , Giovanni Paolo Pesenti, Antonio Medina, Antonio De Angelis, Bernardino Amico da Gallipoli, Fran¬ cesco Quaresmio appartengono tutti a questo periodo. Un viaggio al monte Sinai, col pseudonimo del padre Noè, stampossi nel 1518, ed i numerosi pellegrini lo trova¬ rono si ùtile guida che ne fecero moltissime edizioni pel corso di tre secoli. I francescani de Angelis ed Amico pubblicarono la pianta di Gerusalemme, di molte sue chiese, e di altri edificii notevoli di Palestina, e si con¬ sultano con frutto ancor oggi, malgrado le spropor¬ zioni che ne deturpano i disegni. Le tombe dei re fu¬ rono per la prima volta disegnate e descritte da Marco Grimano, patriarca d’Aquileia, e dall’Amico. II Della Valle, il nobile romano che volle intitolarsi il pellegrino, e del quale abbiamo già parlato a lungo (1), tratta con penna vivace ed erudita anche della Pale¬ stina. Il francescano Quaresmio da Lodi ci lasciò sullo stesso argomento due grossi volumi, poveri di critica, ma sì ricchi di materiali greggi e di documenti, che si con¬ siderano tuttora come fonti importantissime. Posteriori al Quaresmio, verso la metà dello scorso secolo, vissero e scrissero sulla Terra Santa Domenico Laffl, Cornelio Magni, Bartolomeo Angeli, Marjano Morene da Malico, Angelo Legrenzi, il francescano Dàòiele da Casale, ed il carmelitano Leandro di Santa Cecilia, sebbene (giova pur confessarlo) alcuni di questi scrittori abbiano sotto ogni aspetto pochissimo valore, ed altri s’accontentino di pie esclamazioni che non illustrano gran fatto il paese (1) Nel capitolo consacrato al secolo deciBM>seUimo. Digitized by LjOOQle m visitato. Il libro del Morone si giudica di gran lunga superiore a quelli dei suoi contemporanei; ma anche il Morone è lasciato addietro, e di molto, dal toscano Gio¬ vanni Mariti. Questi fece in Palestina studi si coscien¬ ziosi e profondi, usò di critica tanto sana, che il Tobler, dopo averlo chiamato il degno predecessore di Edoardo Robinson, aggiunge: se l’Italia non avesse che il Mariti, potrebbe andar superba della parte avuta al progresso degli studi sulla Palestina (I). Il Mariti scrisse diverse opere sullo stato di Gerusalemme (verso il 1790), sulla chiesa del Santo Sepolcro, e sui re franchi che domina¬ rono la Palestina. Nel nostro secolo abbiamo troppo spesso accettato come oro puro i libri de’ Francesi, e ciò malgrado quello spirito di critica inesorabile che usiamo tanto volentieri coi nostri concittadini e nelle nostre cose. Il Tobler ci rimprovera di avere accolto con troppo favore i libri di Chateaubriand, Poujoulat, Geramb, Mislin, e di avere troppo obbliato quelli del benemerito nostro Brocchi, del Failoni, del Cassini. Il Brocchi infatti nelle opere voluminose, già citate altrove, discorre a lungo anche della Siria e Palestina. Giovanni Failoni stampò nel 1833 in Verona un buon Viaggio in Terra Santa e Siria. Fran¬ cesco Cassini da Perinaldo, parente di que’ Cassini che occupano si luminoso posto nella storia della geo¬ grafia (2), ci diede sullo stesso argomento un’operetta piena di brio e di spirito. Ai nostri giorni, per tacere del Viaggio a Gerusalemme del Pasuello e del poco che ci hanno narrato sulla Palestina Emilio Dandolo e al¬ cuni altri viaggiatori, possiamo addurre con tutta com¬ piacenza alcuni compatriotti che nessuno potrebbe po¬ sporre agli stranieri. Sono questi il sig. Ermete Pierotti, il teologo Iginio Martorelli, ed il padre francescano (1) < HStte Italien nur diesen Mann aafznweisen, durile es Stolz ani den Antheil sein welchen es an der freien Por scbaug nnd an der Laòterong des vorbandeneti Materials nabm >. (2) Dei Cassini si parlò nel capitolo consacrato al secolo xviii. Digitized by LjOOqIc 493 Alessandro Bassi. Il sig. Pierotti visse per ben dodici anni nell'Oriente, e nella sua qualità d'ingegnere di S.E. Soraya pascià residente in Gerusalemme, ebbe tutto l'agio di compiere lunghi studi e perseveranti indagini e su quella città e su tutta la Palestina. Fece a proprie spese molti scavi, confrontò e raccolse non poche tradi¬ zioni dalla bocca degli Arabi che abitano quei luoghi e che egli considera in gran parte diretti discendenti degli Israeliti; s’abboccò con non pochi dei dotti stranieri che recaronsi in Terra Santa per studii d'archeologia biblica, trovò lodi ed incoraggiamenti in Inghilterra, Francia e Spagna, ove pubblicò i suoi lavori, e tenne pubbliche lezioni presso le accademie di Milano e di Firenze. Dob¬ biamo al signor Pierotti un piano topografico archeo¬ logico di Gerusalemme, un piano della chiesa del Se¬ polcro, la Gerusalemme esplorata (Jerusalem explored) in due volumi in-quarto grande, i costumi antichi e mo¬ derni della Palestina (Ancient and modero costoms of Pa¬ lestine), La Palestina attuale nei suoi rapporti colVantica (La Palestine actuelle dans ses rapports avec l'ancienne), ed una gran carta della Palestina nella scala da la 210000, lavoro egregio, sebbene inferiore alla carta del Van de Velde. Nè qui sta ancor tutto ciò che egli ha donato alla scienza biblica, poiché sappiamo che allestì una grande il* lustrazione del Nuovo Testamento, accompagnata da 118 tavole, echepossiede molti materiali suU'Haram-esc-sceriif, la piazza della moschea maggiore. Il teologo I. Marto- relli visitò due volte la Terra Santa e la descrisse in un grosso volume (Vercelli, De Gaudenzi, 1864). Il padre Bassi percorse in più direzioni la Palestina, e pubblicò in Genova un libro assai pregevole col titolo Viaggio sto¬ rico-descrittivo di Terra Santa (1858,2 voi.), nel quale con molta erudizione enumera tutti i viaggi di Terra Santa dal quarto secolo in poi, e oltre a ciò tutte le opere che di qualsiasi mole e di qualsiasi autore comparvero in luce intorno a quel famoso paese. Questa succinta esposizione de’viaggi eseguiti dagli Italiani nel corso del secolo nostro basterà forse a di- Digitized by LjOOQle 494 mostrare che essi non spm iscòno quasi affatto dalla storia dèlie scoperte geografiche, come scriveva persona auto^ revolissima. in fatto di questi studi {i). A tale giudizio contribuì senza dubbio incolpevole ignoranza delle cose nostre; e dico incolpevole giacché so per esperienza quanto facilmente sfuggono inavvertite quelle notizie, che, seb¬ bene propagate colla stampa, tengono però in luce in paesi e lingue straniere; ed anzi è mio dovere d’aggiun¬ gere che anch’io mi trovo nello stesso caso, e che non mi sarebbe stato difficile arricchire il mio raccontò quando di certi nostri moderni esploratori avessi potuta racco¬ gliere qualche cosa più che il nome. L’illustre presi¬ dente.della Società geografica italiana, Cristoforo Negri, ci ha resi noti ne’ suoi dotti ed eloquenti discorsi i nomi di parecchi Italiani, che ili lontane contrade si resero benemeriti della scienza, e nella sola America meridio¬ nale ci ha additato il Lavarello al Rio Vermejo, il De Angelis e il Mossotti neU’Argentina, il Bompani nel Bra¬ sile, il De Scalzi al Rio Negro di Patagonia, ed il Rai¬ mondi nelle alte valli peruviane, ove precipitano i primi affluenti dell’Amazzoni. Chi non vede quanta ricchezza giace ancora ignota a noi stessi? Quanto maggiore non sarebbe stato l’interesse della mia narrazione se avessi potuto avere relazioni stampate di siffatte esplorazioni, se mi fosse stato facile il raccoglierle, se finalmente la brevità dello spazio mi avesse concesso di riassumerle? Per quanto io mi sappia, soltanto gli scritti del Raimondi, pubblicati negli Atti della Società Geografica di Londra, sono penetrati nel mondo scientifico, e me ne "avvedo anche dal giudizio oltremodo lusinghiero che ne dà il sagacissimo cvxiìco Miltheilungen, il quale ci os¬ serva che gli itudi del Raimondi suH’ipsometro, la bo¬ tanica, la geografia dei bacini del San Gavan, e dell’Aya- pata nella provincia di Carabaya (Perù), sono meritevoli d'ogni encomio. (\) Um dann fast gdm^lich aus der geschichte nnserer wis^ senschaft zu verschwindeny dice il signor Pesche!, aUudeado agli ■ItiroP tire secoli. Vedi la sua Geschichte der eì^dkunde, pag; 2Ó9. Digitized by LjOOQle 49t5 Altri esploratori italiani ci si offrono in altre parti del globo, e sarà debito di chi vorrà trattare diffusa- mente quast'argomento illustrarne con degne parole le fatiche, aifinchè siano noti al mondo scientifico i titoli che ha la nostra nazione airestimazioue degli stranieri. NeirAmerica centrale e precisamente neU’istmo di Pa¬ nama il Moro prese parte ai lavori di misurazione per il progetto del gran canale interoceanico, ed Alessandro Litta Modignani visitò Perù, Equatore, e Colombia. Nel- TAmerica settentrionale l’Arese percorse il bacino ancor poco noto del Missouri. NelPAfrica il non meno dotto che modesto marchese 0. Antinori studiò, oltre che TA- frica centrale, la fauna ed i monumenti della Tunisia, scoprendo nella Zeuzitana e nella Bizacena avanzi di città ed iscrizioni sfuggite ad altri viaggiatori. NelTAsia infine il marchese Gian Martino Arconati Visconti, le cui opere sono in corso di stampa, percorse TArabia Petrea. A trattare più completamente siffatto argomento vor- rebbonsi eziandio studiare e compendiare nelle loro parti più interessanti i lunghi viaggi del piemontese conte Vidua, che moriva nelle Molucche non molto lungi da Bomeo, ove il sig. 0. Beccari eseguiva nel 1865-66 ri¬ petute escursioni, sulle quali ci diede un breve cenno nel 1° fascicolo del Bollettino della Società Geografica italiana. Gli annali de’missionari italiani, che in numero di mille 0 poco meno sono sparsi in tutto il globo, of* frono preziosi cenni ad arricchire una particolareg¬ giata e completa storia de’moderni nostri esploratori. Vedemmo che i missionari italiani furono fra i primi europei che si spinsero e si mantennero intrepidi nel¬ l’Africa centrale sotto il formidabile clima di Santa Croce e di Gondocoro; parlammo, sebbene brevemente, dei meriti del Borghero, del Sapete,dello Stella e del Bei- trame; ma altri si adoprarono in prò’delle scienze in remote contrade, e fra essi basterà che .io qui citi il mi¬ lanese Salerio, cui si deve una desCTizione delParcipe^ Digitized by LjOOqIc 496 lago delle Woodlark, sotto 141* L. N. all’E. della Pa- pnasia o Nuova Guinea. Il quadro non sarebbe compito quando si omettesse di fare un cenno degli esperti nostri viaggiatori e di quelli specialmente che dai lidi di Liguria mossero più volte su fragili legni fino ai mari più remoti. Sebastiano Baldnino faceva il giro del globo; lo stesso fece Agostino Tortello con una goletta di 120 tonnellate e cinque uò- mini.di equipaggio (1852-S7)'; e lo stesso i capitani Luigi Pescetto e Giacomo Ansaldo. Ricchissima fu sempre la Liguria di navigatori imperterriti, e nel nostro secolo i legni mercantili genovesi non lasciarono intentata al¬ cuna sponda, mentre le grosse navi da guerra tenevansi entro le colonne d’Èrcole, che da pochi anni hanno im¬ preso a varcaré. Venerando decano dei liguri capitani di mare è il sig. Gian Andrea Bollo, che, circondato da bella e virtuosa famiglia, vive in Moneglia, tranquilla borgata della riviera di levante. Piloto a quindici anni, navigava sotto la direzione di suo padre Sebastiano, alla Piata (1820), capitano a diciannove anni solcava col pro¬ prio legno e sotto bandiera inglese il Mar Nero e l’Ar¬ cipelago, sfidando le piraterie dei Greci, e accoppiando alla prudenza l'ardire. Verso il 183Ó fece con bandiera sarda una serie di viaggi da Genova al Brasile, c nel 1833 da quest’ultimo paese, varcando il capo Horn, venne ai porti della costa occidentale, Valparaiso, e Guayaqnil. Fra il 43” ed il 46* di L. S.. circa sotto il 53® da Green- wicb, incontrò buon numero di enormi isole natanti di ghiaccio, e con sua sorpresa non ne vide alcuna a mez¬ zodì, sebbene si spìngesse fino al 61° parallelo. Negli anni successivi esegui cinque viaggi da Genova al golfo del Messico ed alle Antille, ed altri quattro da Genova agli Stati Uniti nord-americani. Nel 1850 colla nave Demo¬ crazia iì sole 225 tonnellate afferrava al Callao di Lima, e da questo porto salpava con emigranti per S. Fran¬ cisco di Galifornìa, ove niun legno italiano aveva dap¬ prima approdato. La sete dell’oro avendo indotto quasi tutto l’equipaggio alla diserzione, con soli tre marinai Digitized by LjOOqIc 497 e due figli, venne al porto Unione ncirAmerica Centrale. Cinque altri viaggi esegui fra la California, e i porti deirAmerica Centrale e Meridionale sul Pacifico, cioè: San Blas, Mazatlau, Guayaqnìl, ecc. Nel 1856 dal Chili si avviò, attraversando il Pacifico, ai porti dell’Australia, dai quali navigando pei mari poco noti fra la Nuova Guinea e la Nuova Caledonia venne nel mare di Celebes, ove trovò correnti si forti che Io trasportavano di 70 miglia all’est nello spazio di un giorno. In questo viaggio esplorò tutta la costa Sud di Mindanao, visitò Zamboanga ed altre piccole colonie spagnuole, e approdò in molti punti nelle isole Filippine, mai note agli stessi posses¬ sori europei. Qua e là s’abboccò con indigeni che non avevano mai visto legno più grosso del suo. Da Manilla con carico di olio di cocco, costeggiando il Giappone e spingendosi fino alle Aleutine, tornò a San Francisco, indi a Guayaquil ed al Callao. Altri due viaggi fece fra le coste della Cina e quelle d’America trasportando le cocciniglie del Guatemala ad Hong-Kong, e le merci cinesi di Canton al Perù.Nel 1860 ritirossi a godere in seno alla famiglia il ben meritato riposo di sì grandi fatiche, dopo avere eseguito trenta lunghi viaggi di mare, e dopo aver passato sul mare quarant* anni di vita, durante i quali non soffri mai naufragio, non perdè mai un albero, non ebbe mai caso di morte a bordo, non mai querele colle autorità. L’invida sorte non gli concesse tanta felicità senza esigerne la rivincita. Il 5 aprile 1868, nelle acque della nuova Zelanda, i culi» cinesi, imbarcati sulla nave Teresa veleggiante dalla Cina al Perù, insorsero contro i due comandanti Federico e Sebastiano Bollo, figli del nostro egregio capitano, e, so* praffatto l’equipaggio composto di soli 32 Europei, fe¬ cero perire fra lunghi e ripetuti martori Federico, mal¬ trattarono Sebastiano, e costrinsero la ciurma a far rotta per la costa donde erano partiti, e colà giunti saccheg¬ giarono tutto il carico. Il triste caso, il danno, l’insulto fatto alla nostra bandiera, furono oggetto di vive ed eloquenti rimostranze al Parlamento ed ai Ministri ita- Digitized by LjOOQle 498 lUnì, cui incombe il dovere di esigere la più solenne e completa riparazióne, se la nostra bandièra deve essere rispettata dalle malfide popolazioni deU’Àsia orientale. Con questo cenno sulla carrièra del capitano G. A. Bollo, inteso a rendere omaggio a lui ed a tutta la coraggiosa marina mercantile, chiudo questo mio com¬ pendio non senza la speranza che i nuovi destini del nostro popolo, le comunicazioni moltiplicate, i porti ampliati, i consolati istituiti, le navigazioni più fre¬ quenti delle navi da guerra nei mari lontani, la stazione navale stabilita alla Piata, la pubblicazione utilissima del Bollettino Consolare, il viaggio della Magenta, ed il taglio deU’istmo, abbiano veramente a segnare un no¬ tevole incremento nei nostri traffici e nelle imprese ma¬ rittime e geografiche. La Società Geog^r«/?capotrà assai utilmente consigliarle, vegliarle, e dirigerle. • Digitized by LjOOqIc 13sr iD I a E Alla Società geografica italiana . . . Pag*. I. Bibliografia dei viaggiatori Italiani ...» II. Viaggi degVItaliani in Asia nel XIII secolo » Giovanni di Carpini, i Polo, Giovanni da Montecorvino ed i Missionari Apostolici. 11 tentativo dei Vivaldi. III. Viaggi degVItaliani nel XIV secolo . . » Oderico da Pordenone, Pcgolotli, Luca Tarigo, ed altri Genovesi, i due Zeno, Marino Sanuto ed altri Carto¬ grafi. IV. Viaggi degVItaliani nel secolo XV . . » Viaggi degl’Italiani in Oriente: Niccolò Conti, Giosafatte Barbaro, Caterino Zeno, Ambrogio Contarini.—Viàggi verso mezzodì: Luigi Cadamosto, Antoniotto Usodi- mare.— Viaggi verso settentrione: Alessandro Gua¬ rino, Pietro Querini. — Grandi navigazioni verso oc¬ cidente: Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci. — Analisi critica della vita di Vespucci. cartografi italiani del XV secolo. V. Viaggi degl Italiani nel secolo XVI » Primo viaggio intorno al mondo del vicentino Pigafetla con flagellano. — Navigazione di Giovanni da Veraz- zano alle coste d’America, per conto della Francia. — Viaggi in Asia di Giovanni da Empoli, Lodovico Barthema, Andrea Corsali, Luigi Roncinotti, Cesare de’Federici', Gaspero Balbi, Filippo Sassetti, ed altri. — Viaggi in America di Gerolamo Bcnzoni e Marco da Nizza. — Gian Battista Ramusio raccoglitore di viaggi. — Scrittori di cose geografiche. — I cartografi. Digitized by Google V I 21 56 85